giovedì 12 gennaio 2012

GALLINO INTERVISTA FINANZA GLOBALE

Intervista. Luciano Gallino e la finanza globale

22 giu.  Non c’è dubbio. A Torino ci sono persone che per studio, intelligenza e cultura possono aiutarci a comprendere i fatti del mondo. Un mondo al tempo della crisi. Crisi economica, finanziaria e, forse culturale, che ha coinvolto i singoli e gli stati. Una partita che è drammatica e che coinvolge miliardi di persone. Un dato per tutti: sono ben 2,4 miliardi gli uomini e le donne “che vivono con meno di due dollari al giorno”. E ancora. Nei mondi occidentali, in Usa e in Europa, ad oggi, a pagare i costi del crollo delle economie “sono stati le persone con reddito da dipendente, i pensionati e i giovani. Mentre il vertice della piramide si è ulteriormente arricchito”.
La crisi, iniziata nel 2007, ha messo in luce aspetti nuovi del capitalismo e della finanza. Un altro indicatore: “Nel 2008 i derivati (titoli finanziari complessi e speculativi nda) sono risaliti, dopo un periodo di stasi, a ben 601 trilioni di dollari (pari 601 mila miliardi)”. Una cifra enorme. Il che significa che la forza della finanza speculativa è tutt’altro che diminuita e che la possibilità che altre crisi si affaccino all’orizzonte è quasi una certezza “se non si interviene rapidamente”.
Luciano Gallino, professore emerito dell’Università di Torino, sociologo di fama internazionale e, dal 2001, editorialista del quotidiano ‘La Repubblica’. Ha recentemente pubblicato un libro dal titolo ‘Finanzcapitalismo’. È la persona giusta per comprendere questi fenomeni e cercare di individuare dei percorsi di uscita. Il termine Finanzcapitalismo, spiega Luciano Gallino, indica “una mega macchina che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dal maggior numero possibile di esseri umani, sia dagli eco sistemi”.
Professor Gallino, qual è la tesi di fondo del suo libro e perché c’è poco tempo per porre rimedio a questo stato di cose?
“L’idea di fondo del libro si può riassumere in questo modo: la finanza è uno strumento necessario per il buon funzionamento delle economie nel suo complesso. Per tanto è un mezzo importante per conseguire uno scopo: produrre beni e servizi per la collettività. Quello che è avvenuto, in modo accelerato in questi ultimi trent’anni, è che la finanza si è trasformata da ancella dell’ economia a padrona snaturando la sua funzione. Questo cambiamento mette in gioco la natura stessa della democrazia. Perché se ciò che viene prodotto condiziona il sistema di lavoro, le paghe e le pensioni insomma tutto ciò che sono le condizioni di vita materiali e non… se tutto ciò viene condizionato per l’80% dalle esigenze e dai dettati della finanza questo vuol dire che la democrazia è stata svuotata di senso”.
È per questo motivo che lei sembra affermare che la politica, intesa come capacità di mediare tra le diverse esigenze, ha abdicato al suo ruolo?
“No. La mia interpretazione è diversa. La politica non ha abdicato al suo ruolo. La politica ha assunto il ruolo di custode dei cancelli e invece di far fronte al dovere di tenerli robustamente chiusi e di aprirli soltanto in misura moderata e in tempi limitati, per far fronte alle esigenze dell’economia, la politica ha spalancato i cancelli in modo consapevole e deliberato. Tutto ciò che di devastante è stato inventato e messo in atto dal sistema finanziario negli ultimi trent’anni – le banche che possono fare qualsiasi tipo di attività, la moltiplicazione di nuove forme di denaro che circola in modo incontrollato (come i vari tipi di derivati), lo sviluppo di una immensa finanza ombra (termine utilizzato in un documento del Congresso degli Stati Uniti) è stato reso possibile da regolamenti e leggi emanati da parlamenti europei e americano. In questo l’Europa ha avuto parte importante. Soprattutto la Francia, durante il governo Mitterrand, ha avuto una parte importantissima nel liberare da regole i movimenti di capitale. E poi presidenti democratici come Clinton hanno varato leggi che hanno permesso alla finanza qualunque tipo di eccesso. Dunque non si parli di finanza che prevale sulla politica”.
Qualche esempio?
“La legge che elimina la distinzione tra banche di investimento e di raccolta. Una disastrosa legge fatta da Clinton di ‘modernizzazione’ dei titoli derivati e molte altre leggi e leggine che hanno permesso alla finanza tutti gli eccessi che si sono ripercossi sulla società”.
Ed è anche per questo che lei, nel suo libro, afferma che  tutto ciò produce anche una crisi di civiltà?
“Sì, quando una civiltà è dominata da un suo strumento, perché la finanza è uno strumento necessario ma è solo un pezzo dell’economia, significa che la civiltà è in crisi. Ci sono altri aspetti della crisi della civiltà: il tipo di razionalità strumentale che indica nel fatto che i grandi della finanza sono depositari della conoscenza ha coinvolto tutti i livelli della società così tutto deve essere economizzato. Questa è una patologia assurda che coinvolge le persone e la collettività”.
E questo pensiero si ricollega anche alla questione del poco tempo a disposizione per rimediare a tutto questo?
“Dico che ci rimane poco tempo per due motivi collegati ma diversi tra loro. Primo: la crisi del 2007 è tutt’ora in corso. Ha avuto effetti catastrofici sulla produzione. Negli Stati Uniti si stima che i disoccupati siano oltre 25 milioni e che per ogni posto di lavoro offerto ci sono 4,6 persone in ricerca. È il dato peggiore dal 1929. Sono decine di milioni di persone che non sanno dove sbattere la testa per vivere. I mesi durissimi della crisi sono nell’autunno del 2008. Fallisce Lehman Brothers e Bush (allora presidente americano nda) implora il Congresso di concedergli 700 miliardi altrimenti il lunedì dopo non ci sarebbe più stata l’economia e saremmo sull’orlo dell’abisso. Si sarebbe dovuto fare delle riforme per rimettere la finanza nei suoi ranghi. Ma le riforme non sono state fatte. Quella di Obama (attuale presidente USA nda) sono poca cosa nonostante la corposità delle leggi varate nel luglio del 2010. Va detto che in un anno non sono stati ancora promulgati decreti attuativi. Nulla è stato fatto. In Europa non parliamone. Basilea Tre (sistema di accordi europei di regole sulla vigilanza bancaria nda) è un accordo tra banchieri. Abbiamo una Banca Centrale Europea ossificata nel perseguimento dell’unico obiettivo della stabilità dei prezzi. La Fed (Federal Reserve System: banca centrale Usa nda), nonostante tutti i guai che ha combinato ha tra i suoi scopi oltre alla stabilità dei prezzi anche la promozione dello sviluppo e dell’occupazione. La Banca Centrale Europea nel suo statuto non ce l’ha. Sarà ben meglio qualche punto in più di inflazione e un tasso basso di disoccupazione! Si calcola che il livello di disoccupazione in Europa sia allo stesso livello di quello Usa. Quindi siamo in urgenza perché le riforme non sono state fatte. Molti osservatori convergono nell’idea che stando così le cose la crisi si riproporrà nel 2015-2017 poiché nulla degli eccessi, delle follie, degli arbitri delle grandi banche è stato eliminato e superato. La seconda ragione di questa urgenza è che i modelli di produzione, i modelli di consumo, i modelli di sfruttamento delle terre, degli uomini, delle foreste, dei mari che sono stati fortemente accelerati dal capitalismo finanziario sono assolutamente insostenibili. Si può andare avanti ancora dieci anni, forse venti, però poi si va a sbattere con un treno ad alta velocità contro la montagna”.
Per questo motivo lei ha firmato l’appello contro la Tav (Treno Alta velocità)?
“Ho scritto diversi articoli su La Repubblica affermando che sono favorevole alla rotaia, e sono favorevole al trasferimento del trasporto delle merci dalla gomma al treno. E pertanto se qualcuno mi fornisce cifre ed argomenti plausibili io sono pro Tav. Però di argomenti plausibili non ne ho mai visti. Gli unici argomenti sono che il traffico merci tra Lisbona e Kiev sta aumentando moltissimo: dove sono questi aumenti di volume di traffico? Non è affatto vero che il traffico merci stia aumentando. Si sta riducendo non solo per effetto della crisi ma perché c’è una smaterializzazione della produzione. Quindi non avendo visti dati e argomenti plausibili sono molto scettico sulla Tav. Questa operazione incorpora benissimo il modello dell’iper sviluppo, della sostenibilità illimitata, della totale ignoranza dei limiti dello sviluppo”.
Di nuovo la finanza?
“Si, questo è il modello fortemente voluto e sostenuto dalla finanza. Proseguendo così il rischio della catastrofe planetaria è concreto. Magari non nel 2015 ma nel 2030 o un po’ più in là ma è un dato praticamente certo”.
Su questi temi il risultato dei referendum possono dare qualche speranza per una inversione di tendenza?
“In qualche misura sì. Per intanto se non si fa il nucleare si dovrebbe andare verso un risparmio energetico. Si calcola che il 40% dell’ energia sia sprecata: è il risparmio la prima fonte di energia. Altro segno molto importante è che ci sono milioni di giovani che hanno capito come stanno le cose”.
Dalla sua esperienza di docente e di conferenziere che idea si è fatto del livello di insegnamento nelle università?
“Dove sembra che non sia successo nulla è nelle facoltà di economia. Si insegna la finanza come si insegnava quattro anni fa. I modelli di gestione dei rischi sono gli stessi di quattro anni fa. Sembra che nel mondo non sia successo nulla”.
Torniamo al Finazcapitalismo. Lei indica nel suo libro tre riforme fondamentali che debbono essere assolutamente fatte: redistribuzione del reddito, i contro movimenti e la de globalizzazione. Vuole spiegarle?
“Non sono propriamente delle proposte di riforma. In parte sono speranze. Forse la prima può essere una proposta anche politica. Perché una delle radici della crisi è stata la redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto e con i salari di fatto stagnanti. Le prime vittime di tutto questo sono i lavoratori degli Stati Uniti. Il salario medio dei lavoratori Usa nel 2007/2008 era, in termini reali, leggermente inferiore a quello del 1973. Il che vuol dire che questi poveracci portati a modello dai nostri governanti devono lavorare 500 ore più di noi per poter portare a casa un salario minimo con il quale non riusciranno a far fronte ai debiti contratti, per esempio, per comprarsi la casa. Il tema della redistribuzione del reddito è un tema grossissimo. Anche in Italia lo stato sociale continua essere soggetto a tagli che configurano una redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto. Bassi salari, ritmi di lavoro peggiorati, tagli alle pensioni, tagli alla sanità sono tutte forme di redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto. Anche le pensioni private hanno la stessa caratteristica. Si paga di tasca propria invece di avere un compromesso con la generazione al lavoro. Dal punto di vista politico, economico, etico la redistribuzione del reddito in misura ragionevole dall’alto verso il basso è un imperativo politico importante”.
E i contro movimenti?
“I contro movimenti sono un concetto espresso da Karl Polanyi (storico, e non solo, dell’economia del secolo scorso nda) il quale ricordava che il disordine liberale provoca delle reazioni che possono essere più o meno corpose, organizzate. Possono prendere direzioni diverse: una di tipo social democratico con una regolazione dell’economia, della finanza e di una equa redistribuzione del reddito e una sobria forma di dirigismo che usi lo stato per fare le cose che contano: difesa del territorio, scuole, sanità. In questo senso il New Deal è stato una forma di capitalismo intelligente: sono stati piantati un milioni di alberi, costruite migliaia di scuole ed ospedali, costruite strade ed infrastrutture. In termini culturali questo si dovrebbe esprimere con una critica agli attuali modelli di consumo. La nostra vita è ridotta ad una appendice della pubblicità: è tutto scientificamente studiato per essere diffuso fin dai primi anni di vita”.
Ultimo: la de globalizzazione?
“Su questo tema si possono intendere due cose. Primo. Adoperarsi per stabilire dei patti a livello internazionale, in primo luogo con Cina e India, affinché ci si impegni in un arco ragionevole di tempo, vent’anni al massimo, ad equiparare le condizioni di lavoro dei propri cittadini a quelli nostri e non il contrario. Su questo tema la responsabilità dei sindacati è grande poiché su queste garanzie non si è fatto nulla. In effetti i capitalisti fanno il loro mestiere. Infatti se è possibile che capitalisti americani od europei possono andare a Pechino, piuttosto che a Bombay a costruire merci pagando 70 centesimi di dollaro all’ora la manodopera a loro, e alle caste politiche di quei paesi, va benissimo. Sono i sindacati che a livello internazionale devono far sentire la loro voce. Abbiamo mai sentito levarsi la voce della Confederazione europea dei sindacati su questi temi? Ci vorrebbe un grande patto internazionale giuridico ed economico che elevi le condizioni economiche di quei lavoratori. Cosa significa competitività in queste condizioni? Si prenda l’Ipod, è prodotto in Cina da una società taiwanese ed in Cina 200 mila persone lavorano in uno stabilimento che di fatto è un lagher (mangiano, dormono lì dentro e non possono uscire) il tutto a 70 centesimi di dollaro all’ora. E ogni tanto si suicidano perché non ne possono più. Così non è competitività. Questo è il primo aspetto della delocalizzazione. Sarebbe giusto e necessario fare questo riallineamento piuttosto che intraprendere la strada indicata da Marchionne”.
E il secondo aspetto?
“Altra questione legata alla de globalizzazione è il consumo così detto a km zero. Se le merci facessero molti km in meno per arrivare nelle nostre case sarebbe una vera rivoluzione. Numerosi cibi fanno centinaia di migliaia di km prima di arrivare sulle nostre tavole. I gamberetti ‘coltivati’ in Danimarca, vengono caricati su aerei cargo e puliti in Tunisia e successivamente confezionati in Olanda: è un esempio ma non l’unico. Ha senso un’economia fondata su questo? I spazzolini da denti elettrici sono assemblati con decine di pezzi prodotti in decine di posti diversi. Ha senso? E ancora. Le mucche dell’unione europee ricevono un sussidio di tre euro al giorno. Coloro che vivono nel mondo con meno di due euro al giorno sono due miliardi e 45 milioni di persone. Quindi le mucche europee ricevono più sussidi degli uomini. Che senso ha questo? Lo scopo primo delle mucche sussidiate è di mandare nel Congo o in Manciuria o Mongolia del burro europeo ad un prezzo inferiore di quello locale. Il risultato è che si distrugge il mercato locale e questo un giochino, permesso dai sussidi, che crea solo disastri nelle altre realtà”.
E su Fiat, Bertone e l’industria in genere, quale opinione si è fatta?
“Anche nella questione Fiat c’è un peso finanziario prima che industriale. La Fiat ha trovato il modo di comprare con quattro soldi la Chrysler che stava fallendo ed è stata soccorsa dal governo americano. In effetti grazie ai sussidi di stato è stato possibile acquisire la Chrysler. Adesso l’incognita. Il prestito del governo americano che costa molto caro, attorno all’8%, va restituito oppure prolungato e questo fa sì che l’indebitamento della Fiat tenderà a crescere. Attualmente è già verso i 14 miliardi. Ma se ci fermiamo all’Italia c’è il problema dei modelli. La Fiat è stata il secondo produttore europea di auto in tempi passati. Nel 2010 è sceso al settimo o ottavo con solo 600 mila vetture. La Germania, la Francia, la Spagna e la Polonia hanno prodotto più di noi. Dato che il mercato dell’auto si è ridotto recuperare su tutti questo differenziale sembra molto difficile… In più non si capisce. Uno degli aspetti ambigui del piano Fiat è la storia della ex Bertone, oggi Officine di Grugliasco, che dovrebbe produrre 50 mila Maserati: sembra una follia. A Modena l’anno scorso ne hanno prodotte 4800, prezzo medio 130 mila euro. Sembra una storia totalmente priva di senso: a meno che non si pensi ad una Maseratina. Ma anche l’Alfa con Mito non né andato benissimo. Ci sono altri aspetti che riguardano Fabbrica Italia che non sono chiari: questo enorme Suv, la Grand Cherokee che si vuole costruire a Mirafiori ha aspetti molto strani. Un Suv enorme, oltre tre litri di cilindrata, consuma 4 km litro e le cui piattaforma e motore sono costruiti in America: qui si monterebbe il tutto per il mercato europeo. È strano. Ma se c’è il piano, ed è chiaro, e allora che lo si tiri fuori”.
Nel suo libro non si parla del ruolo della criminalità organizzata nella gestione della finanza: perché?
“Ho volutamente tener fuori questo tema perché bisogna studiare molto. Finanzcapitalismo è stato preceduto da altri libri, ci sono voluti dieci anni di studio per arrivare a questo risultato. Anche le mafie richiedono uno studio complesso. Occorre parlare dei confini tra finanza regolare e irregolare: i paradisi fiscali. A Parigi si discute molto del caso Total che quest’anno, con 12 miliardi di utili, non ha pagato un euro di tasse in Francia (pagando tasse in misura ridotta nei vari paradisi fiscali). Io tendo a credere che c’è una certa dose di criminalità in questo. E poi si chiede ai pensionati di abbassare le pensioni”.
Speranze per un rinnovamento della finanza?
“Mervyn King, Governatore della Banca d’Inghilterra, ha affermato in un discorso pubblico nel 2009 che una cosa che si deve assolutamente fare è impedire alle banche che giochino alla roulette o al casinò con i soldi dei depositi. Ovvero bisogna immediatamente separare le attività d’investimento da quelle di deposito e prestiti. Non stiamo parlando di un comunista e nemmeno di una persona con una particolare etica. Si tratta di sano pragmatismo ed un notevole fiuto per quello che potrebbe succedere. Cioè bisogna urgentemente fare qualcosa prima che il tetto ci cada sulla testa”.
Vito D’Ambrosio
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