giovedì 12 gennaio 2012

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Paul Krugman: i tecnocrati non fanno bene all’euro

Il premio nobel per l'economia Paul Krugman (Credits:Imagoeconomica)
Economista, professore di Economia e Affari internazionali, nonchè Premio Nobel per l’economia: Paul Krugman è abituato a uno sguardo allargato sulle dinamiche dei mercati. Non fa eccezione il suo ultimo commento apparso sulle colonne di The New York Times di cui è affermato opinionista. Questa volta, Krugman punta il dito contro i tecnocrati: «Rimuoverli dal loro piedestallo è il primo passo per salvare il mondo», scrive.
Ma chi sono i tecnocrati? «Sono esperti così esperti da non riuscire a tenere conto del fattore umano e culturale nelle loro decisioni», sintetizza il professore e li fotografa sul campo: «Sono quelli che hanno convinto l’Europa ad adottare l’euro e sono quelli che adesso stanno convincendo l’Europa e gli Stati Uniti a puntare sull’austerità».
In sintesi: una particolare razza di romantici senza senso pratico le cui valutazioni si basano su come vorrebbero che le cose fossero, piuttosto che su come sono in realtà. Chi paga il prezzo di queste visioni sono lavoratori e famiglie. Un esempio della “pericolosità” dei tecnocrati riguarda la nascita dell’euro. «Se pensate che il progetto sia stato messso a punto dopo un calcolo accurato di costi e benefici, siete male informati», avverte il professore.
Le economie dell’Europa, infatti, sono troppo diverse fra loro per poter funzionare armoniosamente secondo una politica monetaria della “taglia unica”, mentre l’alto rischio di “choc asimmetrici”, con alcune economie in fase di crescita e altre in recessione, è stato dimostrato dai fatti. Nonostante i segnali di pericolo lanciati dagli analisti economici, i tecnocrati hanno accelerato sull’euro, per rispondere al sogno dell’unificazione delle élite europee, convinti che qualsiasi cosa sarebbe andata magicamente a posto se i Paesi membri avessero praticato le virtù vittoriane della stabilità dei prezzi e della prudenza fiscale.
Krugman valuta negativamente anche le scelte della Banca Centrale Europea: «Quella che dovrebbe essere la massima istituzione tecnocratica, ha cercato a sua volta rifugio nella fantasia, sostenendo che i tagli di budget, in un’economia depressa, avrebbero promosso la crescita,  la fiducia del business e dei consumatori. Strano a dirsi, non è successo». A questo punto, solo la Bce, spiega il Premio Nobel, potrebbe contenere la crisi in atto in Europa, intervenendo per fermare il circolo vizioso del collasso finanziario. «Ma i suoi esponenti continuano ad abbracciare il mantra della stabilità dei prezzi come cura per tutti i mali».

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