venerdì 13 gennaio 2012

RONALD DORE LIBRO

FINANZA PIGLIATUTTO
Ronald Dore

Quanto sarà profonda la recessione verso la quale il mondo si sta dirigendo?

Gli effetti di annuncio possono funzionare nel caso delle blande recessioni tipicamente associate all’andamento del ciclo economico, ma è improbabile che abbiano un effetto apprezzabile sull’odierna economica reale, data la notevole intensità dello shock finanziario.

Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, i governi e le banche centrali hanno impegnato somme ingenti per la nazionalizzazione delle banche e delle compagnie di assicurazione che stavano fallendo, con la creazione di nuove linee di credito e l’immissione del capitale dei contribuenti attraverso l’acquisto dei “titoli tossici” senza valore che erano iscritti nel loro bilancio.

I profitti finiscono nelle mani di alcuni, e hanno un carattere privato, mentre i rischi gravano sulla società. E, anche se si perde il lavoro, quando scoppia la crisi, si possono tenere i guadagni dei tempi buoni, tanto saranno i contribuenti a raccogliere i pezzi.

La dimensione della “distruzione di ricchezza” lascia senza fiato. Secondo alcuni calcoli, negli ultimi nove mesi del 2008 la perdita di valore nei mercati azionari mondiali è stata pari a 28 mila milioni di dollari,  vale a dire circa 3000 euro per ciascuna persona vivente sulla faccia della terra. Anche la borsa di Milano ha contribuito a questa “distruzione”, facendo registrare perdite per una cifra che si avvicina a 5.000 euro per ogni cittadino italiano nel corso del 2008.

1.LA LENTA, TETTONICA, EVOLUZIONE AL TERREMOTO ATTUALE
Le pratiche e le credenze del capitalismo anglosassone stavano gradualmente guadagnando terreno in territorio tedesco e nipponico.

In uno dei pochi volumi che trattano direttamente dell’argomento. Financialization of the World Economy, Gerald Epstein offre una generica definizione di “finanziarizzazione” che è sufficiente ai nostri scopi: “il ruolo crescente dei moventi finanziari, dei mercati finanziari, degli attori finanziari e delle istituzioni finanziarie nel funzionamento delle economia nazionali e internazionali”. La parola chiave qui è “crescente”: i cambiamenti che si indicano con la parola “finanziarizzazione” hanno subito una notevole accelerazione negli ultimi trent’anni.
Essi possono essere così sommariamente descritti:
1.      nelle economie industriali e postindustriali  una quota crescente di reddito si accumula nelle mani di coloro che operano nel settore finanziario, in conseguenza di tre fattori:
2.      della crescita e della maggiore complessità delle attività di intermediazione tra coloro che nell’economia reale, risparmiano e coloro che impiegano i capitali, attività in larga prevalenza di natura speculativa;
3.      del fatto che la proprietà delle grandi imprese rivendichi in modo sempre più insistente e sfacciato i propri diritti proprietari, trascendendo così tutte le altre forme di responsabilità sociale delle imprese;
4.      del maggiore impegno dei governi nel promuovere una “cultura azionaria”, nella convinzione che ciò migliorerà la capacità dei soggetti nazionali di competere a livello internazionale.

1. Un’attività redditizia
Per quanto riguarda la quota crescente di reddito che nelle economie nazionali e internazionali affluisce a coloro che operano nel settore finanziario, esiste un buon indicatore statistico per gli Usa. Lo si può ricavare dai calcoli del reddito nazionale statunitense. Essa mostra la serie storica dei profitti delle imprese finanziarie e non finanziarie a partire dal 1946. Nei primi cinque anni – vale a dire fino al 1950 compreso -, la proporzione dei profitti delle imprese finanziarie su quelli totali ha oscillato con piccole fluttuazioni intorno a una media del 9,5%. Vi è stata quindi un’accellerazione, fino a raggiungere il valore massimo del 45% nel 2002, e poi un calo (33% nel 2006) dovuto unicamente al rapido aumento dei profitti del settore non finanziario. In realtà, la crescita inesorabile dei profitti del settore finanziario ha proseguito inarrestabile: essi sono aumentati a un tasso del 16,7% annuo tra il 2000 e il 2006 (da 200 a 505 miliardi di dollari), a confronto con una crescita annuale del 9,4% nel periodo  1990-1996.

2.La dimensione dei mercati finanziari
L’”investimento corrente” sui mercati dei derivati – vale a dire la dimensione delle  poste in gioco (spesso con elevata leva finanziaria) che i partecipanti scommettono sui mercati finanziari – è difficile da misurare, ma la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) esegue indagini periodiche sui contratti derivati in circolazione. Alla fine del 2004, essa ha rilevato che il valore dei contratti  over-the-counter (Otc) era pari a 197 mila miliardi di dollari e che i derivati scambiati in borsa ammontavano ad altri 36 mila miliardi, per un totale di 234 mila miliardi. Nel giugno 2007, solo il valore dei contratti Otc era aumentato fino a raggiungere quota 516 mila miliardi di dollari. Il prodotto interno lordo (Pil) mondiale a parità di potere di acquisto nel 2006 è stato calcolato in 66 mila miliardi di dollari – solo un ottavo rispetto ai contratti derivati in circolazione.

L’innovazione finanziaria basilare su cui è costruita la piramide costituita da strumenti finanziari sempre più arcani è la cartolarizzazione (securitization).

Il confezionamento di titoli obbligazionari, chiamati collateralizad debt obbligation (Cdo), basati su mutui o su crediti al consumo, è di origine più recente. La prima Cdo è stata emessa nel 1987, ma, dopo la sua nascita, questo animale si è evoluto: i titoli sono diventati sempre più complessi – alcuni contratti arrivavano a centinaia di pagine -, talmente complessi da renderne impossibile la valutazione.

Così i titoli davano vita ad altri titoli, interponendo un vasto edificio di “promesse di pagamento” tra coloro che detenevano il capitale e coloro che volevano prestarlo per finanziarle.
Questi mercati si sono sviluppati rapidamente: si stima che l’emissione aggregata di titoli sul mercato globale del Cdo nel 2006 sia stata pari a 2 mila miliardi di dollari.

Prendere a prestito a breve termine e prestare a lungo termine (e su collaterali di così dubbia natura come quelli delle Cdo) è sempre un affare rischioso, ma è quanto hanno fatto le società veicolo e le banche di investimento.

Riassumiamo questo tentativo di descrivere il primo dei fattori principali che hanno portato l’industria finanziaria alla sua attuale posizione di predominio: essa ha creato una vasta sovrastruttura di transazioni speculative costruita sulle esigenze di produttori speculative costruita sulle esigenze di produttori e consumatori di beni e servizi non finanziari, che hanno bisogno di: a) credito; b) assicurazione contro l’incertezza; c) impieghi redditizi per il loro capitale. E’, in definitiva, sono i produttori e i consumatori a pagare i costi di transizione e di gestione delle attività generati da questa immensa sovrastruttura, a beneficio di coloro che la fanno funzionare.

E giustamente il “Financial Times” di recente ha citato Keynes: “quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò di gioco, è probabile che vi sia qualcosa che non va bene”. Ancora di più quando il casinò è globale e non solo nazionale.

3. L’incidenza del settore finanziario nel valore aggiunto dell’economia reale
La moltiplicazione e l’espansione delle commissioni di transazione e di gestione nei mercati finanziari è un modo in cui il settore finanziario trae profitto a spese dei restanti settori. Un altro è costituito dall’esercizio dei diritti di proprietà che i sistemi giuridici garantiscono a chi detiene capitale azionario, attraverso i sistemi di corporate governante.

Ha calcolato, per le imprese americane non finanziarie, l’ammontare di ciò che ha definito “pagamenti al mercato finanziario” – interessi (netti), dividendi e riacquisti di titoli azionari (buy-backs) – in percentuale dei flussi di cassa (profitti più deprezzamento). Ancora una volta si rileva un aumento costante. All’inizio degli anni Sessanta, la quota era circa del 20%, negli anni Settanta circa del 30%. A partire dal 1984 si è avuta una decisa tendenza al rialzo che è giunta al culmine nel 1990, con un picco del 75%; si è sperimentato quindi un improvviso calo a metà degli anni Novanta, ma si è tornati a una valore del 70% alla fine del decennio.
Queste cifre sono sintomatiche della trasformazione del capitalismo americano: un trasferimento di potere dai manager le cui capacità consistono nella conoscenza dettagliata del funzionamento delle organizzazioni che gestiscono, ai proprietari e ai rappresentanti dei proprietari che sorvegliano da vicino l’attività dei manager nell’ottica di massimizzare i rendimenti del capitale. In un libro recente, Rakesh Khurana ha ben descritto questa trasformazione: un passaggio da un capitalismo dei manager a un capitalismo degli investitori.

La remunerazione dell’amministratore delegato americano medio è pari a 475 volte lo stipendio medio; trent’anni fa era solo 25 volte tanto.

Negli Stati Uniti degli anni Ottanta, ha acquistato velocità un nuovo processo di concentrazione, in particolare con la crescita dei fondi pensione, delle assicurazioni sulla vita e dei fondi comuni. Gli investitori istituzionali statunitensi nel 1960 detenevano il 12% delle azioni; nel 1990 ne detenevano il 45% e tale quota è giunta al 61% nel 2005; nel 2007 erano proprietarie del 68% delle 1000 maggiori imprese americane.

Vi sono sempre stare discussioni tra coloro secondo cui le imprese sono istituzioni pubbliche, con una responsabilità nei confronti di una varietà di stakeholders, in primis i loro dipendenti, e coloro i quali sostengono che le imprese appartengono ai loro proprietari, che hanno il diritto di trarre da esse il massimo profitto possibile.

4.La cultura azionaria
I partiti conservatori, specialmente nei paesi anglosassoni, hanno da molto tempo sposato l’idea della “democrazia azionaria” come strumento per guadagnare il supporto popolare alle istituzioni del capitalismo.

La nostra democrazia azionaria è una caratteristica nazionale che ci unisce.

E ha aggiunto che questa era una cosa che la Gran Bretagna, in cui il valore dei titoli azionari scambiati sul mercato ammonta al 159% del Pil, e gli Stati Uniti, in cui tale valore è pari al 150% del Pil, potevano insegnare all’arretrata Germania, dove il valore di borsa è solo il 50% del Pil.

II. LE CONSEGUENZE SOCIALI
Sono tre fattori – l’innovazione finanziaria che ha creato modalità sempre nuove di inserire la speculazione redditizia nell’interfaccia tra risparmiatori e utilizzatori del capitale, il passaggio al dominio degli investitori nel controllo delle grandi imprese, la promozione da parte dei governi di una “cultura azionaria” – gli elementi principali che spiegano la dimensione e il potere crescenti del settore finanziario.

Molto più seri delle implicazioni sulla crescita e sulla stabilità ciclica dell’economia sono gli effetti corrosivi di lungo periodo di queste diverse tendenze sulle strutture sociali e sulla qualità della vita. Vale la pena sottolinearle quattro.

1. Il contributo della finanziarizzazione alla crescita delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza.

I redditi mediani ristagnano, mentre quelli del percentile più alto, e in particolare quelli del millile più alto, crescono in modo sensazionale. Le cifre per gli Stati Uniti sono familiari: l’1% più ricco possiede il 38% della ricchezza totale; il 10% più ricco detiene l’85% di tutti i titoli azionari scambiati sul mercato.

Questo aumento della disuguaglianza è tanto più cruciale per il futuro delle società industriali e per i loro sistemi democratici di governo in quanto è accompagnato da una diminuzione della mobilità sociale.

2. La maggiore disuguaglianza non è solo di reddito e di ricchezza, ma anche di sicurezza.

La volatilità dei salari e dell’occupazione è aumentata dal 1980; i piani pensionistici sono passati da schemi a prestazione definita a schemi a contribuzione definita; l’assicurazione sanitaria offerta dal datore di lavoro sta scomparendo.

3.Una terza conseguenza è la variazione nella distribuzione dei talenti.

Non sono solo le business schools ad essere cambiate. Alcuni dei laureati migliori e più brillanti dei dipartimenti di fisica ed ingegneria sono reclutati dai fondi hedge e dalle banche di investimento per la loro rapidità mentale e le loro abilità matematiche.

La finanza, una volta a servizio delle imprese dell’economia reale, ora le deruba delle reclute potenzialmente migliori al fine di controllarle.

4. Il processo generale di quanto in gergo viene definito “disintermediazione” è anche spersonalizzazione.

Ha un effetto generale sulla società, in quanto spersonalizza una vasta gamma di relazioni tra imprese e interpersonali, tra coloro che prestano e coloro che prendono a prestito, tra i proprietari e coloro che prendono in affitto.

III. L’EUROPA, UN MODELLO ALTERNATIVO?
Gli epicentri dell’attuale terremoto sono Londra e New York, i due centri principali del capitalismo finanziario globale, situati nei due paesi che, un secolo fa, erano i leader del capitalismo industriale, e che ora hanno il settore finanziario di dimensioni maggiori e dipendono in gran parte dal suo reddito.

E’ vero che nell’”Europa sociale” la finanza “piglia meno”. La presenza di sindacati ancora potenti mitiga la tendenza che spinge a gestire l’impresa unicamente nell’interesse degli investitori, la cultura azionaria è meno pervasiva e le azioni costituiscono solo una piccola quota della ricchezza delle famiglie, i fondi pensione privati sono più piccoli e il ruolo dello stato nella redistribuzione tra generazioni è più importante, il rapporto tra attività finanziarie e non finanziarie è minore e quello tra investimenti a reddito fisso, più sicuri, e azioni e altri investimenti, più rischiosi, è maggiore; la borsa è meno che altrove il centro dominante dell’economia.
IV. “QUE SERA SERA”: LA TESI DELL’INEVITABILITA’
Sono quattro gli argomenti per cui bisognerebbe accettare il predominio del settore finanziario come un fatto inevitabile. Consideriamoli uno alla volta.

1. Il primo è l’argomento generale dell’inevitabilità storica.

2. Un secondo argomento specifico, legato all’evoluzione sociale, è il seguente. L’economia reale globale è in crescita.

E’ vero che il contributo del sistema finanziario al mantenimento, negli ultimi cinque anni, di un tasso di crescita abbastanza rispettabile nell’economia globale è  stato importante. Ma come? Facendo dei consumatori,anglosassoni il motore della crescita. Grazie al loro crescente indebitamento, essi hanno potuto consumare dal 4 al 6% in più di quanto abbiamo prodotto, appoggiandosi ai risparmi di cinesi e giapponesi, che hanno consumato dal 4 al 6% in meno di quanto abbiano prodotto.

Anche dopo la pulizia finale successiva a questa esplosione, l’asimmetria strutturale, il problema dello squilibrio accumulato e tuttora in corso di accumulazione tra debito americano e risparmi asiatici, probabilmente rimarrà isolata.

3. Una terza argomentazione specifica, ancora una volta basata sull’evoluzione sociale, sostiene che il crescente predominio della finanza è una funzione della maggiore ricchezza.

Un numero maggiore di persone detiene volumi più ampi di attività finanziarie che desidera affidare a mani esperte e l’elemento speculativo nelle transazioni finanziarie rispecchia semplicemente l’aumento dei casinò nell’industria dell’intrattenimento. Oggi siamo tutti giocatori. Ovviamente, i giocatori brontolano quando perdono, ma il fatto che continuino a scommettere dimostra che si divertono.

4. La quarta argomentazione non si concentra unicamente sulla tesi dell’inevitabilità, ma anche sull’assoluta desiderabilità della tendenza alla finanziarizzazione.

VI. RIDARE ALL’ECONOMIA REALE LA SUA LEGITTIMA POSIZIONE
E’ necessario fare qualcosa di più se si vuole non solo impedire il ricorrere di crisi come quella che ha condotto il mondo al caos attuale, ma anche rovesciare la tendenza delle nostre economie a essere dominate dal loro settore finanziario
Permettetemi di cominciare esprimendo una mia inclinazione morale, la mia predilezione per quella che può essere definita un’etica produttivi sta – la convinzione che, nelle parole con cui i giapponesi esprimono la loro eredità confuciana, fare le cose, usare il denaro ed effondere impegno per fornire alle persone i beni e i servizi che mostrano di apprezzare, è un’attività molto più nobile dell’usarlo semplicemente per fare più soldi.

Anche un investimento in una nuova iniziativa imprenditoriale, chiaramente un uso di denaro finalizzato alla produzione di cose utili, può andare male o rivelarsi una miniera d’oro. Ma occorre fare tre importanti distinguo.
Il primo è tra investimenti in attività dell’economia reale a cui è connaturato un rischio imprenditoriale – il rischio, ad esempio, che il prodotto possa non piacere al pubblico; o che il prezzo di una materia prima possa improvvisamente impennarsi – e investimenti speculativi, il cui rendimento dipende solamente dalla capacità di saper indovinare con successo i movimenti dei prezzi di mercato.
Occorre poi distinguere anche tra lo scommettere con il proprio e con altrui denaro.

Il terzo distinguo che vale la pena di fare è tra i mercati primari e secondari.

VII. UN ABBOZZO DI AGENDA DI RIFORMA
4. Forse, ora, è giunto il momento di istituire la Tobin tax , la proposta del vincitore del premio Nobel per l’economia James Tobin di prelevare una piccolissima tassa (meno dello 0,5%) su tutte le transazioni in valuta estera.

Gli eventi dell’ultimo anno, la dimostrazione del ruolo cruciale dello stato durante le emergenze economiche, dovrebbero quanto meno indurre a moderare il rifiuto e la denigrazione dello stato e far si che le persone siano più recettive all’idea di affermare o riaffermare alcune delle sue funzioni economiche principali.

6. L’attuale  recessione cominciasse a fare concorrenza a quella degli anni Trenta, l’abbandono del fondamentalismo neoliberale di mercato potrebbe tramutarsi in una disfatta. Come è successo negli anni Cinquanta, in conseguenza della Grande Depressione, tutti potrebbero concordare sul fatto che la nozione di “economia mista” costituisca un ideale.

La “riabilitazione dello stato” è parte essenziale del mutamento ideologico di cui vi è bisogno.

Reich, nel suo volume sul “supercapitalismo” americano è chiaramente dell’opinione che la “cattura” del governo da parte di interessi potenti è già in uno stato avanzato, e sta peggiorando.

La “riabilitazione dello stato”, necessaria per porre l’autorità morale alla base di ogni  nuovo sistema di regolazione finanziaria, dipende dalle qualità intellettuali e morali della pubblica amministrazione.

VIII. LE PROSPETTIVE
Occorre dire, tuttava che, dato l’enorme potere politico della comunità finanziaria, le possibilità di una riregolazione veramente efficace del sistema non sono molte.

La cooperazione internazionale è tanto importante proprio perché, nell’ambito della regolazione sociale, la corsa è sempre al ribasso se viene lasciata alla concorrenza tra le giurisdizioni nazionali. Spetta a paesi come l’Italia, che non rappresenta un contendente serio per Wall Street, la City o Francoforte nel predominio in questa concorrenza, assumere il comando nei negoziati per controllarlo. I “poteri medi” devono unirsi e contrapporsi al potere egemone dominante, e contribuire, nell’interesse comune, a creare un sistema finanziario disegnato per aiutare e agevolare,piuttosto che per dominare, l’economia reale – nelle parole recentemente usate da Kay devono costringere le banche a smettere di agire come casinò e farle tornare a essere servizi di pubblica utilità.





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