giovedì 12 gennaio 2012

stiglitz indignatos

“LA PROTESTA GLOBALE”, (Joseph Stiglitz).

Il movimento di protesta partito a gennaio dalla Tunisia, diffusosi poi all´Egitto e in seguito alla Spagna, ha acquisito una dimensione globale. I dimostranti adesso affollano le piazze di Wall Street e di altre città degli Stati Uniti. La globalizzazione e le tecnologie moderne permettono ora ai movimenti sociali di superare le frontiere tanto rapidamente quanto le idee. E la protesta sociale ha trovato terreno fertile dovunque, perché sono diffuse la percezione che il “sistema” abbia fallito e la convinzione che nemmeno il processo elettorale delle democrazie raddrizzerà le cose, sicuramente non senza una forte pressione dalle piazze.
A maggio sono stato nel luogo dove si concentravano le proteste tunisine, a luglio ho parlato con gli indignados spagnoli, da lì mi sono recato in piazza Tahrir a Il Cairo per incontrare i rivoluzionari e, poche settimane fa, ho parlato con i manifestanti di Occupy Wall Street a New York. In tutti questi luoghi c´è un tema comune, sintetizzato dal movimento Ows nella breve frase: «Siamo il 99 per cento».
Lo slogan richiama un mio articolo pubblicato recentemente il cui titolo, “Dell´1 per cento, per l´1 per cento e tramite l´1 per cento” descriveva l´enorme aumento delle disuguaglianze negli Stati Uniti: l´1 per cento della popolazione controlla più del 40 per cento della ricchezza e riceve più del 20 per cento del reddito. Inoltre, coloro che si collocano in questo strato così unico ricavano spesso tali enormi benefici non per aver dato alla società un contributo maggiore, ma perché sono, per dirla senza giri di parole, dei cacciatori di rendite di successo (e qualche volta corrotti). Con ciò non si vuole negare che una parte di questo 1 per cento abbia dato dei contributi importanti. Difatti, i benefici sociali di molte vere innovazioni vanno ben oltre ciò che ne ricavano questi innovatori.
L´influenza politica e le pratiche che mortificano la concorrenza (sostenute spesso dalla politica) sono state, tuttavia, un fattore centrale nell´approfondirsi delle disparità economiche in tutto il mondo. Inoltre, il trend è stato rafforzato da sistemi fiscali nei quali un miliardario come Warren Buffett paga meno tasse della sua segretaria (in percentuale sul reddito) e gli speculatori, che hanno contribuito a far collassare l´economia globale, hanno imposizioni fiscali più basse di chi lavora per vivere.
Le ricerche condotte negli ultimi anni evidenziano l´importanza e il radicamento dei concetti relativi all´equità tra i cittadini. I dimostranti spagnoli e quelli degli altri paesi hanno ragione a essere indignati: hanno di fronte un sistema nel quale i banchieri sono stati salvati, mentre coloro cui essi facevano la predica sono stati lasciati ad arrangiarsi da soli. Peggio ancora, quei banchieri sono seduti oggi nuovamente alle loro scrivanie e portano a casa dei bonus che la maggior parte delle persone che lavorano possono solo sperare di guadagnare in una intera vita lavorativa, mentre per i giovani che hanno studiato con impegno e attenendosi alle regole non ci sono prospettive di un lavoro soddisfacente.
L´approfondirsi delle disuguaglianze è il prodotto di un circolo vizioso: i ricchi cacciatori di rendite usano la loro ricchezza per influenzare le leggi in modo tale da proteggere ed espandere la loro ricchezza – e influenza. Con la nota sentenza del caso Citizens United, la Corte suprema degli Stati Uniti ha allentato le redini che limitavano le corporation nell´uso delle risorse al fine di influenzare la politica. E così, mentre i ricchi possono impiegare il loro denaro per diffondere le loro opinioni, in piazza, la polizia non mi ha permesso di parlare ai dimostranti utilizzando un megafono.
Il contrasto tra una democrazia iper-regolamentata e un sistema finanziario non regolamentato non è passato inosservato. I manifestanti sono stati ingegnosi: quelli più vicini hanno ripetuto a quelli più indietro ciò che dicevo in modo che tutti potessero ascoltare. E, per evitare di interrompere il “dialogo” con gli applausi, per esprimere il loro assenso hanno utilizzato dei segnali della mano molto espressivi.
Hanno ragione a sostenere che nel nostro “sistema” ci sono delle cose che non vanno. In tutto il mondo, a fronte di risorse sottoutilizzate ci sono bisogni enormi non soddisfatti, come la lotta alla povertà, la promozione dello sviluppo e un adattamento dell´economia all´esigenza di combattere il riscaldamento globale, tanto per nominarne solo qualcuno.
I dimostranti sono stati criticati per non avere un programma, ma questa critica ignora l´essenza della protesta, vale a dire, il fatto che il movimento è l´espressione di una frustrazione riguardo al processo elettorale. È un campanello d´allarme.
Il movimento di protesta contro la globalizzazione partito nel 1999 da Seattle, in occasione di quella che si riteneva sarebbe stata una nuova ronda di trattative sul commercio, ebbe il risultato di richiamare l´attenzione sui fallimenti della globalizzazione e delle istituzioni internazionali e degli accordi che la governavano. Approfondendo le richieste e le motivazioni del movimento, la stampa si rese conto che esso aveva ragione su molti punti che non erano precisamente dettagli. I negoziati del commercio che seguirono furono differenti – furono impostati, almeno in principio, come negoziati per lo sviluppo tesi a correggere qualcuna quantomeno delle deficienze segnalate dal movimento – e il Fondo Monetario Internazionale avviò di conseguenza delle riforme importanti.
Su un livello, chi oggi scende nelle piazze chiede poco: la possibilità di usare la propria capacità, il diritto a un lavoro decente e a una retribuzione decente e una economia e una società più giuste. La loro speranza è di tipo evoluzionistica, non rivoluzionaria. Su un altro livello invece si chiede molto: una democrazia nella quale contino le persone e non i dollari e un´economia di mercato che dia i risultati promessi.
I due livelli sono correlati: come abbiamo visto, senza regolamentazione i mercati generano crisi economiche e politiche, mentre lavorano correttamente solo quando operano all´interno di un appropriato quadro normativo. Questo quadro può essere solo costruito in una democrazia in grado di riflettere gli interessi generali e non solo gli interessi dell´1 per cento. Non è più sufficiente avere il miglior governo che si può comprare con il denaro.
Traduzione
di Guiomar Parada.
Da La Repubblica del 09/11/2011.
giovannitaurasi.wordpress.com

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