lunedì 12 marzo 2012

Nota n. 19 di beppe de santis sul paradigma vetero-eoropeista di Habermas


PRESIDENZA/SEGRETERIA 
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N. 18 Beppe De Santis, Segretario, nazionale dei “Meridionalisti Italiani”sulla crisi del tradizionale  PARADIGMA EUROPEISTA (da Habermas)
12 marzo 2012

Leggete attentamente il seguente intervento di Jurgen Habermas.Uno dei più prestigiosi filoni contemporanei. Propugnatore appassionata del ruolo e della centralità delle opinioni pubbliche informate e consapevoli nella tenuta della democrazia. In sintesi, le tesi dell’autore.

1-L’integrazione degli Stati europei non deve essere scissa dalla contemporanea integrazione democratica dei cittadini europei. Altrimenti, si consolida il dominio devastante di “questi” marcati finanziati governati dalla finanza globale speculativa.
2.E’ sommamente errato scindere l’azione di risanamento d finanziario e debitorio dalla politica per lo SVILUPPO. Altrimenti, la deriva recessiva travolgerà tutti.
3.L’Europa, oltre le politiche  di risanamento, deve dotarsi di una vera potestà di governance democratica.
4.La politica tedesca della Merkel è sbagliata, contraddittoria , pericolosa, tutta schiacciata sul rigorismo, egoista, arrogante nei confronti degli altri parteners.
5.Gli Stati nazionali NON DEVONO DISSOLVERSI IN UNO STATO FEDERALE D’EUROPA: il contrario dell’auspicio contenuti nell’appello di qualche giorno fa , firmato , tra gli altri ,da Giuliano amato e Romano Prodi, di cui abbiamo fatto cenno nella nostra nota n.14.

Insomma, Habermas vuole  “Più Europa” democratica e veramente legittimata  democraticamente;
ma, soltanto, attraverso l’integrazione “democratica” degli Stati europei e non una vero governo europeo federale, né tanto meno gli STATI UNITI D’EUROPA;
con i singoli Stati che restano il baluardo della democrazia fondamentale.

Ma, ciò che Hamermas auspica è esattamente l’Europa reale, sotto i nostri occhi.

IL PARADIGMA E’ QUELLO DELL’ATTUALE EUROPA INTERGOVERNATIVA, A-DEMOCARTICA, SCHIACCIATA DALLA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA.
Sono anni e anni che reiteriamo stancamente l’auspicio, che Habermas aupica ancora una volta.
In questa contraddizione stiamo morendo.
Non si possono avere, insieme, la botte piena e la moglie ubriaca.

Allora ,delle due l’una: o si fanno presto e bene gli Stati Uniti d’Europa,una vera sovranità statale europea, con una banca statale europea sovrana,almeno come la Federal Reserve americana ,e, con una moneta veramente sovrana,
o si DEVONO RIPRISTINARE LE TRE CLASSICHE SOVRANITA’ DEGLI STATI NAZIONALI: sovranità statale, sovranità democratica popolare, sovranità monetaria , con il ritorno alla valuta nazionale.
Secondo lo schema rilanciato prepotentemente dal movimento neokeynesiamo mondiale,e, in particolare dall’approccio della Modern Money Theory, di cui al recente summit di Rimini e che abbiamo abbondantemente evocato nelle nostre precedenti note.




L'EUROPA DEI CITTADINI PIÙ DEMOCRAZIA, MENO MERCATI FINANZIARI
di JÜRGEN HABERMAS - la Repubblica
Lunedì 12 Marzo 2012 10:09 -
Il filosofo tedesco contro le politiche di Angela Merkel. Tiepide
verso una maggiore integrazione. Arroganti con i popoli. Succubi
degli speculatori

Nel processo dell'integrazione europea vanno distinti due piani.
L'integrazione degli stati affronta il problema di come ripartire competenze tra l'Unione da un lato e gli stati membri dall'altra. Questa integrazione riguarda dunque l'ampliamento di potere delle istituzioni europee.

Invece l'integrazione dei cittadini riguarda la qualità democratica di questo crescente potere,
ossia la misura in cui i cittadini possono partecipare a decidere i problemi dell'Europa.

Per la prima volta dall'istituzione del Parlamento europeo, il cosiddetto «fiscal compact» che si sta varando in queste settimane (per una parte dell'Unione) serve a far crescere l'integrazione statale senza una corrispondente crescita dell'integrazione civica dei cittadini.

(...) La tesi che vorrei difendere in questa sede è presto detta. Solo una discussione democratica che affronti a trecentosessanta gradi il futuro comune della nostra cittadinanza europea potrebbe produrre decisioni politicamente credibili, capaci cioè di imporsi ai mercati finanziari e agli speculatori che puntano sulla bancarotta degli stati. (...)

 Finora, pur cercando di armonizzare accortamente (quanto meno nell'eurozona) le loro politiche fiscali ed economiche, gli stati membri non sono andati al di là di retoriche proclamazioni. L'integrazione degli stati diventerà credibile solo quando potrà appoggiarsi a una integrazione dei cittadini in cui si manifestino maggioranze dichiaratamente pro-europee.

In caso contrario, la politica non riguadagnerà più la sua autonomia di contro alle agenzie di rating, grandi banche ed hedgefounds. (...) Dal mio punto di vista, sul piano della politica europea, il governo tedesco sta facendo poche cose giuste e molte cose sbagliate. Lo slogan Più Europa è la risposta giusta a una crisi dovuta a un difetto di costruzione della comunità monetaria. La politica non riesce più a compensare gli squilibri economici che ne sono nati.

Sul lungo periodo, il riassetto dei divergenti sviluppi economico-nazionali è realizzabile solo in termini di collaborazione, nel quadro di una responsabilità democraticamente organizzata e condivisa, capace di legittimare anche un certo grado di redistribuzione che oltrepassi le frontiere nazionali.

Da questo punto di vista, il «fiscal compact» è certamente un passo nella direzione giusta. Fin
dalla sua definizione ufficiale - trattato «per la stabilità, l'armonizzazione e la governance» - si
vede come questo patto sia costituito da due diversi elementi. Esso obbliga i governi per un
verso a rispettare le discipline di bilancio nazionali, per l'altro verso a istituzionalizzare una
governance di politica economica avente per obbiettivo di eliminare gli scompensi economici
(quanto meno nell'eurozona).
Come mai però Angela Merkel festeggia solo la prima parte del patto, quella mirante a
penalizzare le infrazioni di bilancio, mentre non spende una parola sulla seconda parte, mirante a una concertazione politica della governance economica? (...) Il governo tedesco, pur
riconoscendo a parole il bisogno di una integrazione ulteriore, di fatto contribuisce a lasciar
marcire la crisi. A questo riguardo mi limito a quattro brevi considerazioni.

 In primo luogo non occorre farla lunga, in termini di politica economica, per capire che una unilaterale politica restrittiva, come quella caldeggiata nella Ue dal governo tedesco, spinge nella deflazione i paesi più sofferenti. Ove non si integrino le politiche restrittive con politiche di sviluppo, la pace sociale delle nazioni poste sotto tutela finirà per essere disturbata non soltanto dai pacifici e ordinati cortei dei sindacati.

In secondo luogo, la politica restrittiva risponde all'idea sbagliata secondo cui tutto si risolverà nel momento in cui gli stati membri sapranno accettare questo nuovo patto di stabilità e crescita. Di qui la fissazione di Angela Merkel nel voler imporre sanzioni: una postura minacciosa assolutamente superflua nel momento in cui si riuscissea inserire nella legislazione ordinaria della Ue una governance economica condivisa. Continua invece a imperversare l'idea per cui basterebbe istituire una «giusta» costituzione economica - dunque «regole» sovratemporali - per risparmiarci le fatiche di una concertazione politico-economica nonché i costi derivanti da una legittimazione democratica dei programmi di redistribuzione.

In terzo luogo, Merkel e Sarkozy operano sostanzialmente sul piano di una politica
intergovernativa, mirando a spingere avanti, senza troppo rumore, l'integrazione degli stati e
non quella dei cittadini. I capi di governo dei 17 paesi rappresentati nel Consiglio dei ministri
dovrebbero tenere in pugno il bastone di comando. Sennonché, una volta dotati delle
competenze di governance economica, essi svuoterebbero la sovranità economica dei
parlamenti nazionali. La conseguenza sarebbe un rafforzamento postdemocratico degli
esecutivi dalle conseguenze imprevedibili. Allora, l'inevitabile protesta dei parlamenti spodestati avrebbe almeno il vantaggio di portare in luce quel deficit di legittimazione che solo una riforma democratica degli organi di governo comunitari potrà colmare.

In quarto luogo, le parole d'ordine del governo tedesco in fatto di bilancio suscitano all'estero il sospetto che la Germania federale persegua mire nazionalistiche. «Nessuna solidarietà, se prima non si garantisce stabilità». La proposta lanciata da Berlino di mandare un commissario plenipotenziario ad Atene - dove già ci sono, con analoghe funzioni di controllo, tre commissari appena giunti dalla Germania- dimostra un'incredibile insensibilità nei confronti di un paese in cui non si è ancora spento il ricordo delle efferatezze compiute dalle Ss e dalla Wehrmacht. Helmut Schmidt, in un appassionato discorso, ha deplorato che il governo attuale stia dilapidando il prezioso capitale di fiducia che la Germania si era guadagnata presso i vicini nel corso degli ultimi cinquant'anni.

L'impressione generale - che si ricava da questa sciocca arroganza, per un verso, e dalla
troppo timida risposta al ricatto dei mercati finanziari, per l'altro - è che la politica europea non abbia ancora raggiunto il livello di una vera «politica interna». (...) Queste prudenze non sono neppure giustificabili dal vecchio argomento secondo cui l'integrazione è destinata a fallire per mancanza di un popolo europeo e di una sfera pubblica europea. Nelle idee di «nazione»e di «popolo» avevamo a che fare con fantastici soggetti omogenei: ideali che solo nel corso dell'Ottocento, canalizzati dalle scuole pubbliche e dai mass media, si erano impadroniti dell'immaginario popolare. Sennonché le catastrofi del ventesimo secolo non hanno lasciato indenni le ideologie storiografiche dei vari nazionalismi. Oggi l'Europa deve fare i conti non tanto con popoli illusoriamente omogenei, quanto piuttosto con stati-nazione concreti, con una pluralità di lingue e di sfere pubbliche.

Pur associandosi sempre più strettamente sul piano europeo, gli stati nazionali conservano funzioni specifiche. Essi non devono affatto dissolversi in uno stato federale d'Europa, ma conservare un ruolo di garanzia per i livelli di democrazia e di libertà fortunatamente già raggiunti. Ciascuno di noi unisce in petto due ruoli: quello di cittadino del proprio stato e quello di cittadino dell'Unione. E nella misura in cui i cittadini dell'Unione capiranno quanto profondamente le decisioni europee modificano la loro vita, tanto più si sentiranno coinvolti in una politica europea che può anche chiedere di spartire sacrifici. (...) Si dice che la repubblica di Weimar sia fallita perché i suoi difensori democratici erano troppo pochi. Fallirà l'Unione europea per i troppi sostenitori troppo tiepidi?

domenica 11 marzo 2012

17 beppe de santis sulla demolizione della democrazia da Guido Rossi

 





N. 17 Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani” sugli effetti di demolizione dei valori morali, culturali e democratici della tradizione occidentale indotti dall’attuale dominio della finanza globale speculativa
11 MARZO 2012

Il valoroso giurista economico Guido Rossi lancia un allarme estremo:
LA DEMOLIZIONE DELLA BASI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE INDOTTA DALL’ATTUALE CAPITALISMO FINANZIARIO ANTIDEMOCRATICO E ANTILIBERALE.

La democrazia del profitto e il valore della Bellezza di Guido Rossi
Il Sole 24 Ore, 11 marzo 2012-03-11

La più grande ristrutturazione storica del debito statale è avvenuta in Grecia in una situazione ancora non del tutto chiara. Il cosiddetto salvataggio, che non elimina tuttavia le dichiarazioni di default, è stato condotto con lo scopo dichiarato di tutelare, nei limiti del possibile, i creditori ben più che i cittadini greci.
Creditori che, anche attraverso la speculazione ampiamente adottata con le assicurazioni stipulate sul default greco,mediante quei singolari derivati chiamati credit default swaps per il momento, pur nei tagli all’ammontare dei crediti,hanno goduto di una sorta di sgangherata par conditio creditorum.
E questa, ai danni di una cittadinanza, in pericolo di caduta oltre che economica, di democrazia.
Questa operazione, creata dalle derive del capitalismo finanziario globale, è ben diversa dalla impostazione ideologica e culturale adottata dal presidente Roosevelt con il New Deal, che aveva in precedenza indicato come principio fondamentale per risolvere la crisi della grande depressione, progetti che venissero dal basso e non dall’alto. e che prestassero «fiducia una volta di più nell’uomo dimenticato fondo alla piramide economica».
Le politiche di austerity prima, e di vaga quanto incerta crescita poi, costituiscono da  tempo in Occidente uno "stato di eccezione", con grave pericolo della democrazia e dei diritti dell’uomo storico, ripresi nella Dichiarazione del 1948 e frutto della profonda cultura europea.
The forgotten man, cioè l’uomo dimenticato, è sempre più dimenticato in ragione anche di una crescita basata soltanto ed esclusivamente sulle quantità del Pil, il quale può sì avere un suo riflesso nel rapporto tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri, ma all’interno del singolo Paese, ricco o povero che sia, il Pil non conta più , se non in rapporto al benessere e al profilo soggettivo della ricchezza individuale,per cui  quella dell’uno non da la stessa felicità che l’identica ricchezza da all’altro.


Globalizzazione, Pil, crescita esclusivamente economica, spinta all'educazione alle sole culture tecnologiche o scientifiche, ma con scarso pensiero critico, sono state recentemente bollate e aspramente criticate da Martha C. Nussbaum, anche nell'articolo apparso sull'ultimo numero della rivista Il Mulino dal titolo "Educare per il profitto o per la libertà?". Conclude significativamente la Nussbaum che "produrre crescita economica non significa produrre democrazia, né garantire una popolazione sana, occupata, istruita".

La creazione di élite competenti in tecnologie e affari ha sottovalutato l'importanza di educare alle scienze umane e alle arti per evitare l'ottusità morale che, eliminando i valori creati dalle scienze umane, ha soppresso uno degli aspetti principali della democrazia, quello della partecipazione critica dei cittadini alle scelte politiche. È così che l'"uomo dimenticato" si allontana sempre più dalla politica costellata di luoghi comuni e di interessi lobbystici, con governanti che impongono modelli e schemi di attività sociali, con presunzione e arroganza ora vergognosamente scandalosa, ora sobria, ma sempre aliena dal considerare al centro della democrazia the forgotten man.

Eppure le disuguaglianze sempre più gravi create dalla cultura dell'economia finanziaria invece che dalla cultura delle scienze umane, delle arti (non del mercato dell'arte) e del pensiero critico, non vengono rimosse secondo una ricetta che già in altri momenti di crisi avevano convinto dei grandi illuministi come Condorcet. Questi era del parere che, per risolvere le ineguaglianze create dalla libertà dei commerci, fosse necessario garantire la parità di istruzione dei cittadini. Egli stesso, poi, fin da allora, sottolineava che è la ricchezza che domina la politica e che dunque la politica in realtà è appannaggio dei ricchi.

L'invito di Martha Nussbaum a investire oltre che nelle competenze tecniche e scientifiche anche, e ora soprattutto, in quelle umanistiche e artistiche, che potrebbero sparire perché non producono profitto, rimane inascoltato.
Ciò comporta il rischio di soffocare, nella mancata coscienza dei diritti umani e di quelli dei cittadini a scegliersi liberamente il loro governo, anche la grande tradizione della democrazia europea e dei diritti umani che fanno parte della sua storia.

Cioè quei diritti sociali dell'uomo storico europeo alla salute, alla dignità del lavoro e all'abitazione, all'uguaglianza dei punti di partenza, insomma a tutto il processo di welfare che finora ha in qualche modo fatto sì che nei Paesi europei la pur dilagante povertà sia meno grave che altrove.
Risultano allora inquietanti le dichiarazioni di chi è ai vertici delle istituzioni europee, che hanno accompagnato la crisi e che pretenderebbero ora di risolverla, che il welfare europeo è finito.

Non è invece tempo di investire nella democrazia, nel pensiero critico e nella cultura della bellezza delle arti, grande patrimonio europeo e in modo particolare italiano? Sarà forse questa una strada per riproporre all'uomo dimenticato che anche la Bellezza, come nei miti dell'antica Grecia, produce ordine e giustizia, cioè elimina le disuguaglianze. La giustizia di Afrodite nella ricostruzione del mito greco fatta da James Hillman può essere un viatico da non trascurare poiché, come egli conclude, "quando Lei trionfa in tutta la sua sublimità, allora la sconfinata confusa chiarezza del cosmo stesso è in perfetto ordine, e anche la giustizia trionfa".

16 de santis sul default greco da Rampini



N. 16 Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani” SULLA DERIVA RECESSIVA DI GRECIA, POTRTOGALLO, SPAGNA E… ITALIA
Federico Rampini, nell’articolo che segue, con la sua consueta lucidità e il suo coraggio intellettuale,nel commentare il semi-default greco in corso,evidenzia che nella stessa deriva greca  sono precipitati  anche gli altri Paesi dell’Europa mediterranea , a partire dal Portogallo e dalla Spagna. Poi, c’è in pista l’Italia. In pista, sul precipizio.
Si deve cambiare strategia e paradigma economico.
E’ quel che noi sosteniamo.
Sulla scia del movimento neo-keynesiano mondiale, e in particolare, dell’’approccio della Modern Money Theory:
l’immediato ripristino della sovranità statale , democratica e monetaria.
Lo Stato italiano deve avere , stampare e gestire la propria valuta nazionale, senza passare per le forche caudine dei mercati finanziari privati speculativi. Ripristinando il ruolo dello Stato nell’alimentazione della domanda aggregata, mediante spesa pubblica ben investita. A partire dal ripristino delle tutele essenziali del welfare state.
Perciò, siamo nati come “MERIDIONALISTI ITALIANI”. Col congresso costituente, svoltosi a Rimini, dal 24 al 27 marzo 2012, in contemporanea con lo straordinario summit di MMT Italia.

Da "LA REPUBBLICA" di domenica 11 marzo 2012
Ma le banche credono al default della Grecia di FEDERICO RAMPINI

I governi europei lo definiscono un successo: missione compiuta, il salvataggio della Grecia è andato in porto. Per i mercati tecnicamente è un "default", il più grande consolidamento di un debito pubblico mai avvenuto nella storia, e sono certi che non basterà.
Un’altra bancarotta greca è prevista per il 2013, nelle scommesse degli investitori. Non è solo questione di finanza: l’intera euro-zona sprofonda nella recessione, la Spagna vede materializzarsi lo spettro di una "spirale greca", coi debiti che crescono perché il Pil va sempre più giù. Si apre un dissenso tra il Fondo monetario internazionale e la Germania, a cui il New York Times dedica la prima  pagina mettendo in scena le due donne avversarie, Christine Lagarde e Angela Merkel. Dietro il Fmi c’è l’America di Obama, in forte ripresa, con oltre 700.000 posti creati in più dall’inizio dell’anno. La divaricazione è di nuovo ai massimi, tra il discorso politico e la logica dell’economia. Per l’euro-zona quello avvenuto venerdì è un passo avanti verso la stabilizzazione, a cui tutti hanno contribuito: su 200 miliardi di euro di debito statale greco, circa la metà sono stati letteralmente cancellati dal "valore nominale" dei titoli del Tesoro. La Merkel l’ha spuntata su un aspetto: le banche internazionali che detenevano i bond greci ci rimettono tanto, perdono ben oltre il 50% del valore dei loro investimenti. Un piccolo gruppo di investitori ribelli ha rifiutato il concordato: è per questa ragione che tecnicamente il consolidamento non si può definire "volontario", e scatta il pagamento di 3,2 miliardi di Credit default swap (cds), titoli derivati dal contenuto assicurativo e/ o speculativo. Ma non è questo l’aspetto più importante.
 Il default greco segna l’uscita di scena dei banchieri: al loro posto nella veste di creditori di Atene subentrano gli altri Stati europei e le istituzioni sovra-nazionali che sono emanazione degli Stati (Fmi, Fondo europeo salva-Stati). Risultato: il prossimo default greco lo pagherà il contribuente europeo, tedesco in primis. Che forse si rivelerà- per governo interposto-  un negoziatore più intransigente della comunità bancaria.  Quest’ultima non ha dubbi: la Grecia tornerà in bancarotta. Lo dicono le scommesse sui mercati, dove i nuovi bond greci "risanati" vengono valutati attorno al 15% del loro valore ufficiale. A Wall Street la data è considerata quasi certa, nel 2013 Atene sarà di nuovo in default.
La sindrome greca non lascia scampo. E’ all’economia reale che bisogna guardare per capire che questa situazione è una "aporìa", situazione senza via di uscita, come le tragedie di Eschilo. Il Pil della Grecia è crollato del 7,5% solo nell’ultimo trimestre del 2011, peggio del previsto. Le cronache da Atene narrano di aziende e privati cittadini che portano i capitali all’estero, di giovani disoccupati che riprendono la strada dell’emigrazione.
Se non ci credono i greci, figurarsi chi dovrebbe investire in quel paese.
L’unica soluzione- sussurrano da mesi gli esperti del Fmi - è la massiccia svalutazione, cioè l’uscita della Grecia dell’euro. Proprio quel che pensano i parlamentari di Atene che hanno già effettuato bonifici su conti offshore.
PORTOGALLO E SPAGNA NELLA STESSA TRAPPOLA? Il Portogallo è il prossimo sulla lista. Anche se il suo default non è affatto una certezza, spaventa il tasso d’interesse che Lisbona deve pagare su certi bond, attorno al 13,5% e quindi insostenibile. Il Pil portoghese continua a franare. Per rilanciare la crescita, e quindi poter ripagare i debiti, il Portogallo ha bisogno di esportare. Ma il suo principale mercato di sbocco, la Spagna, è a sua volta in recessione e quindi compra meno di prima. Il caso spagnolo lo coglie nella sua drammaticità il premier Mariano Rajoy: conservatore come la Merkel, non esita a sfidare la cancelliera tedesca per "l`austerity impossibile" che viene richiesta alla Spagna.
Ecco i numeri dell’esercizio assurdo: l’anno scorso Madrid doveva chiudere il bilancio con il 6% di deficit sul Pil, invece il disavanzo è balzato a1l`8,5%. Perché? Per la stessa trappola in cui sono cadute Atene e Lisbona:  con il pavimento del Pil che sprofonda sempre più in basso, gli obiettivi di deficit e debito diventano dei bersagli mobili che si allontanano a vista d’occhio. Se Rajoy dovesse applicare la cura che gli viene imposta dalla Germania, i consumi spagnoli perderebbero altri 4 punti solo quest’anno, in un paese dove la disoccupazione giovanile è al 50%.
SCONTRO LAGARDE-MERKEL, OFFENSIVA DI OBAMA.  L’ austerity voluta dalla Merkel sta logorando il rapporto tra le due donne più potenti dell’economia globale, la cancelliera e la francese Lagarde che dirige il Fmi. Da quando ha sostituito Dominique StraussKahn, la direttrice ne ha raccolto l’ispirazione molto critica verso l`eurozona. Alla Germania, il Fmi chiede uno sforzo finanziario molto più sostanzioso per il "muro di fuoco"  anti - contagio: servono almeno 750 miliardi di euro perché il fondo salva-Stati sia un argine credibile contro future crisi.
Soprattutto, il Fmi è costernato per l’assenza di una strategia di crescita. Dietro le critiche della Lagarde c’è l’ombra di Barack Obama. Seguendo la strategia opposta a quella della Merkel, respingendo l`austerity, il presidente americano raccoglie successi innegabili: 24 mesi consecutivi di crescita dell’occupazione in  America, e un’ accelerazione negli ultimi tre mesi in cui il saldo netto tra nuove assunzioni e licenziamenti supera regolarmente le 200.000 unità mensili. Obama e il Fmi hanno le prove che l’ austerity della Merkel non danneggia solo la periferia dell’ euro-zona, ma fa male alla Germania stessa. Negli ordinativi ricevuti dalle imprese industriali dall’inizio dell’anno, l’America ha una crescita seconda solo a quella dell’India. L’industria tedesca, che aveva continuato a beneficiare di una crescita degli ordini fino a tutto il 2010, dalla metà dell’anno scorso non fa che retrocedere.



15 messaggio beppe de santis su Andrea Camilleri


N.15

UNA ARTICOLO BELLISSIMO SI SALVO FALLICA SUL GRANDE CAMILLERI

Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “ Meridionalisti Italiani”
11 marzo 2012

Si può dire di tutto e il contrario di tutto sul maestro Camilleri. Camilleri è Camilleri, Sciascia è Sciascia.  Ma,Camilleri  è letto e stimato da milioni di cittadini. La sua passione civile e democratica è straordinaria.
Indubbio è il suo contributo alla rivoluzione culturale e civile della Sicilia, del Sud e dell’intero Paese.
A suo modo, Camilleri è uno straordinario neomeridionalista.


L’artigiano della letteratura

«Il segreto del successo letterario? Francamente non lo conosco, e lascio volentieri ai critici e agli studiosi questo argomento». Andrea Camilleri si diverte a rispondere in questo modo alla classica domanda sulla quale si arrovella una parte del mondo giornalistico, accademico e intellettuale: qual è la vera causa di un successo narrativo e culturale senza precedenti nella storia italiana? La questione non è affatto semplice, il fenomeno Camilleri non riguarda solo la letteratura, ma anche la tv, il teatro, i nuovi media, insomma è una realtà multimediale. Un italiano di 86 anni, che giunge dalla grande tradizione verghiana-pirandelliana-brancatiana, è diventato un protagonista letterario e mediatico dell'era contemporanea. Al di là di come la si pensi sul suo stile, anche chi lo avversa non può fare a meno di riconoscere che il suo è un successo  di grandi proporzioni, che non ha confronti nel quadro della storia narrativa del Novecento italiano. Uno scrittore talmente popolare che un protagonista del mondo dello spettacolo quale Fiorello, lo imita, e la sua performance diventa un evento, decisamente cult.

Camilleri va capito anche come fenomeno sociale, attraverso lo scrittore di Porto Empedocle si possono leggere anche gusti e interessi cultural-sociali di una parte degli italiani. Camilleri non ama darsi delle arie, il suo rapporto con la letteratura è pieno di passione ma scevro dall'aura di sacralità. Si ritiene un artigiano della letteratura, anche se in realtà è un artista che ama farsi capire dal popolo. Il vero primo motivo del suo successo, che vale per tutti i campi nei quali si è misurato e continua a misurarsi, è che Camilleri ama raccontare delle storie. E lo fa con la passione del cantastorie. È un grande affabulatore, e il suo obiettivo è quello di affascinare il lettore-ascoltatore. Così come per i cantastorie della grande tradizione siculo-italica, non vi è racconto, non vi è "cunto", se non vi sono persone che stanno ad ascoltare.

Così, nel tempo, Camilleri ha costruito il suo pubblico, in una "piazza" che è quella della letteratura, della tv, del teatro. Camilleri ha anche il dono di raccontare le storie con una ironia intelligente e vivace, che conferisce dinamismo alle storie. Non è una fusione a freddo la sua costruzione letteraria, ha una anima, data dal suo compenetrarsi con la storia raccontata. Nel suo narrare vi è una voglia di comunicare, al centro della sua opera vi è democraticamente il lettore.

Il punto è che tutto questo non gli basta. Da raccontatore di storie, da uomo di teatro, vuol affascinare il suo lettore-ascoltatore, lo vuol far riflettere facendolo divertire. Sta qui il nodo dei suoi obiettivi programmatici, che non ha bisogno di esporre in una articolata poetica, perché fanno parte della sua storia, della sua visione culturale, delle sue esperienze professionali, della sua antropologia. Il suo sperimentalismo è una parte della sua essenza vitale. Scrivere solo di Montalbano lo annoia, confrontarsi con altri generi letterari lo gratifica, gli conferisce energia intellettuale. Del resto perché un uomo a 86 anni dovrebbe fermarsi, perché non dovrebbe sperimentare ancora? La sua pluralità di espressione culturale è uno sperimentare la vita, con la fantasia letteraria, con la fluidità della scrittura, con l'amore per la pagina scritta. Nell'ironia camilleriana vi è la chiave di lettura della sua opera cultural-letteraria, è lo strumento di interpretazione della realtà, vi è la concezione filosofica con la quale capire e comprendere con disincanto il mondo che ci circonda. È alla ricerca della verità, senza alcun dogmatismo.
Ma tralasciando l'epistemologia, la sua bussola etica è forte, e non a caso il suo credere nei valori morali della democrazia, del l'onestà, della cultura delle regole, lo ha fatto diventare un paladino
della battaglia etica e di legalità di Confindustria Sicilia. Alle scaturigini del rinascimento etico-culturale lanciato da Antonello Montante e Ivan Lo Bello, e sostenuto con vigore dal presidente Emma Marcegaglia, vi è anche l'ispirazione camilleriana. Oggi, probabilmente, anche Leonardo Sciascia concorderebbe con Camilleri, «quella in atto è una rivoluzione culturale». E la Sicilia non è affatto irredimibile, ma è, per una volta, un modello di cambiamento positivo.

sabato 10 marzo 2012

14-Beppe De Santis sulla lettera di Giuliano Amato, Romano Prodi e altri per la costruzione dell’Unione Europea politica-Messaggio n. 13 del 10 3 2012

 



Beppe De Santis sulla lettera di Giuliano Amato, Romano Prodi e altri per la costruzione dell’Unione Europea politica-Messaggio n. 14  del 10 3 2012



Cari amici, leggete attentamente la  lettera , rivolta  ai capi di governo della Germania e dell’Italia e all’intera leadership europea,pubblicata dal “Corriere della Sera” del 10 marzo 2012.
La lettera è di autori autorevoli:ex premier ( Amato, Prodi), ex presidenti della Commissione Europea ( Prodi),intellettuali  e giornalisti di fama internazionale,euro-parlamentari famosi e brillanti euro-burocrati.

La lettera dice, in sostanza , tre cose:
1-L’operazione di risanamento e salvataggio finanziario- economico in corso in Europa, fino al cosiddetto   FISCAL COMPACT, è positiva, ma NON BASTA;
2-Tale operazione va approvata tempestivamente e in pompa magna;
3-Tutto questo non basta. Bisogna FARE L’EUROPA POLITICA: “Unione politica con un governo federale”, Dichiarazione di INTERDIPENDENZA dell’Unione Europea,approvare un nuovo Trattato dopo quello insufficiente di Lisbona,promozione di una CONVENZIONE COSTITUENTE  dell’Europa:l’intera opera è da svolgersi tra le elezioni europee del 2014  e la fase immediatamente successiva.

Insomma, a mio umile parere,le classi dirigenti europee e italiane sono con la canna di gas in gola.

Stritolati dentro una contraddizione devastante.
Da una parte,sostengono la politica di DOMINIO DELLA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA sul mondo.
Dall’altra parte, si rendono  conto che così non si può andare avanti.
Allora , intuiscono che bisognerebbe costruire gli STATI UNITI DI EUROPA, con il ripristino delle tre sovranità statale, democratica e monetaria.
Ma, alla fine, non sono in grado di formulare con forza, precisione e coraggio l’obiettivo, pur oscuramente percepito.
Soprattutto, non sono in grado di realizzarlo quell’obiettivo.
Restano gli auspici confusi e le lettere dei desideri.

E’ il tempo del nostro progetto e della nostra iniziativa.
Il progetto economico dibattuto nel summit di Rimini dell’MMT.
Il progetto politico dei “Meridionalisti Italiani”, approvato al congresso di fondazione di Rimini del 27 febbraio 2012, sintetizzato nei precedenti 12 messaggi pubblicati nel blog



Procediamo al ripristino della sovranità dello Stato italiano, al ripristino della sovranità popolare democratica, al ripristino della nostra sovranità monetaria.
Al ritorno, per autodifesa, alla valuta nazionale.






Corriere della sera  10 marzo 2012, pag. 60

Un’iniziativa di Italia e Germania per un sì veloce all’accordo europeo

Un nuovo passo in direzione della governance  economica europea è stato compiuto con la firma  del cosiddetto fiscal compact con un rafforzamento di ciò che era stato fatto negli scorsi mesi dalle istituzioni europee con il Six Pack e il Patto Euro Plus. La decisione finale è ora nelle mani dei parlamenti nazionali non solo per la ratifica del nuovo Trattato, ma anche per rispettare il dovere della cooperazione leale  nel raggiungimento dell’obiettivo della stabilità finanziaria nel quadro  e in conformità al primato del diritto dell’Unione.
Ma ciò non è certamente sufficiente.
Politiche per la crescita sostenibile  dovranno essere adottate per accompagnare l’austerità e la disciplina di bilancio. In questo quadro, dovranno essere rimosse  le restrizioni e gli ostacoli  per la libera circolazione e la concorrenza,rinunciando alla tentazione di forme di autodifesa protezionista. La lista di queste restrizioni  e di questi ostacoli è molto ben conosciuta .Per rimuoverla la Commissione  ha presentato da tempo proposte legislative  specifiche che giacciono davanti al Consiglio e al Parlamento europeo. Al fine di superare la crisi di fiducia  e per offrire ai cittadini dell’Unione una nuova prospettiva europea creando uno spazio pubblico di democrazia  e di solidarietà fondato sul principio federale dell’interdipendenza, noi proponiamo;
-Che i Parlamenti tedesco e italiano adottino una corsia preferenziale per ratificare nello stesso giorno  e prima del Consiglio europeo del 28-29 giugno il cosiddetto fiscal compact, accompagnando la legge di ratifica con l’approvazione di una comune dichiarazione politica per un nuovo passo in avanti  verso una forte Unione politica  con un governo federale, ispirandosi ad Alcide De Gasperi,Altiero Spinelli,Konrad Adenauer e Walter Hallstein e proponendo un metodo e un’agenda per realizzarla.
-Che un’avanguardia di Paesi membri dell’Unione europea sottoponga  al prossimo Consiglio europeo una Dichiarazione di  interdipendenza dell’Unione europea aprendo la strada ad un ampio dibattito sul futuro  dell’Europa in vista della riforma del Trattato di Lisbona.
Quattro anni dopo la sua firma , le debolezze del Trattato di Lisbona –chiaramente inadeguato per far fronte alla inaspettata crisi internazionale- sono evidenti  così come lo sono i costi della non-Europa.
L’ampio dibattito deve in primo luogo chiarire  la capacità di agire dell’Unione  in settori come lo sviluppo sostenibile,la politica energetica,l’immigrazione, la dimensione sociale con particolare  riferimento alla disoccupazione giovanile  e alla lotta alla povertà,la politica industriale,la cooperazione giudiziaria in campo penale,la politica estera e di sicurezza. In secondo luogo,l’eventuale trasferimento di competenze dagli Stati membri dell’Unione dovrebbe essere sostenuto dal trasferimento contemporaneo di risorse finanziarie  e di spese ad un bilancio federale. In terzo e ultimo luogo,si dovranno fare scelte di natura costituzionale per garantire un processo di decisione politica, economica e fiscale  allo stesso livello rafforzando la democrazia europea e l’efficacia del sistema istituzionale dell’Unione.
Noi proponiamo:
-che i capi di Stato e di Governo dell’Unione europea partecipino alla seduta plenaria del Parlamento europeo del 10 settembre 2012 celebrando il sessantesimo anniversario della prima Assemblea europea e chiedendo al Parlamento europeo di elaborare  un rapporto sulla riforma del Trattato di Lisbona  approvandolo in tempo utile prima delle elezioni europee del 2014.
-Che , sulla base di questo rapporto dei risultati dei dibattiti nei Paesi membri, una Convenzione costituente sia convocato dopo le elezioni europee ma prima della fine del 2014.
-Che la componente parlamentare della Convenzione  costituente sia formata  seguendo la stessa distribuzione dei seggi nel Parlamento europeo e che la decisione finale  all’interno di questa componente sia presa a maggioranza qualificata.
-Che una clausola di integrazione differenziata  sia scritta nel nuovo Trattato  dando tempo sufficiente ai Paesi recalcitranti o di unirsi ai Paesi decisi ad andare avanti o di recedere dall’Unione  usando il diritto previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Fra poco più di due anni, mezzo miliardo di cittadine e di cittadini andranno a votare per rinnovare il Parlamento europeo .Restituiamo loro il sogno di una società  europea solidale, giusta e democratica.

Appello firmato da

Giuliano Amato,Ulrich Beck,Emma Bonino, Elmar Brok,Rocco Cangelosi, Daniel Cohn-Bendit, Pier Virgilio Dastoli,Henrik Enderlein,Enrico Fava, Monica Frassoni, Franco Frattini,Thomas Jansen,Karl Lamers,Jo Leinen, Giacomo Marramao, Luisa Passerini,Ingolf Pernice, Hans-Gert Poettering,Romano prodi,Alberto Quadrio Curzio,Guido Rossi,Wilhelm Heinrich Schonfelder, Barbara Spinelli, Dieter Spori, Rainer Wieland.





venerdì 9 marzo 2012

beppe de santis foto

de santis 10 PUNTI DEL PROGETTO dei "Meridionalisti Italiani" n. 13 messaggio

PRESIDENZA/SEGRETERIA 
                                        NAZIONALE
-Via degli Uffici del Vicario, n. 36, Roma
-Via Mariano Stabile, n. 229,Palermo
-Via G. Rulli, n.7 Vasto (CH)
-Tel. 329-1011815     339-6288704 

Prot. 1952/2012/14



I 10 PUNTI DEL PROGETTO DEI “ MERIDIONALISTI ITALIANI”


BATTERE LA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA

1-LOTTA CONTRO IL DOMINIO DELLA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA, secondo la nota su  “La strategia generale del neomeridionalismo nell’epoca della finanza globale” ,battendosi sugli 8 punti ivi delineati ( messaggio di Beppe De Santis n. 3 del 29 febbraio 2012).


SOVRANITA’ MONETARIA, STATALE E DEMOCRATICA

2-“Stati Uniti d’Europa” subito, con conseguente ripristino delle tre sovranità statale, democratica e monetaria a livello europeo,o,ripristino – per legittima difesa -della sovranità nazionale d’Italia, con il ripristino della sovranità statale, della sovranità democratica e della sovranità monetaria attraverso il ritorno alla valuta nazionale, secondo l’approccio neokeynesiano della Modern Money Theory.


NEOMERIDIONALISMO

3-Incardinamento del progetto neomeridionalista all’interno della strategia globale dei due punti precedenti, promuovendo congiuntamente i 5 cardini del neomeridionalismo:coscienza storico-identitaria ( Pino Aprile) del Sud e dei meridionali, autonomia culturale, autonomia politica, autonomia costituzionale ( progetto Ruffolo), autonoma propulsione economico-sociale del Sud, secondo il Manifesto del neomeridionalismo del 2010 approvato negli Stati Generali dl Sud di Palermo ( 13-14 novembre 2010).


SVILUPPO sostenibile di qualità

4-Movimento per lo sviluppo locale-globale sostenibile,valorizzando e promuovendo tutte le forme di distrettualizzazione economica efficace e di sviluppo comprensoriale; valorizzazione delle risorse locali, in particolare, tradizionali e di qualità;a partire, dalla promozione dei turismi di qualità, dei prodotti agricoli e agroalimentari locali, del paesaggio e dell’ambiente, della cultura,delle identità locali-globali, del PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE; manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio del Sud e del Centro-Nord.


DEMOCRAZIA

5-Rpristino della democrazia in Italia, a partire dalla eliminazione dell’attuale obbrobriosa legge elettorale dei “ nominati”, e, attivazione di tutte le forme efficaci e moderne di  DEMOCRAZIA PARTECIPATA.



DECENTRAMENTO E AUTONOMIA

6-Massimo decentramento ,e, autonomia istituzionale e amministrativa,attivando i Consorzi o comprensori intercomunali, smantellando le Province, decentrando poteri e risorse statali e regionali ,a favore dei comuni  e delle loro aggregazioni comprensoriali.



LEGALITA’

7-Ripristino della LEGALITA’ REPUBBLICANA costituzionale  , a tutti i livelli; ripristino della legalità democratica. E, poiché la legalità repubblicana si regge sulla democrazia, e la democrazia si regge sulla buona politica e sull’esistenza di partiti democratici e popolari, una delle priorità strategiche consiste nella costruzione di nuovi partiti popolari e democratici, contro il modello dei cosiddetti partiti liquidi di opinione ( oligarchie) e dei partiti populisti e personalistici , che pullulano in Italia, a destra , al centro, a sinistra.



CULTURA

8-Investire  nella cultura , in scuola , formazione, università, ricerca e innovazione, cioè sul capitale umano e sociale. Investire nei talenti. Nel merito. La cultura è l’unica risorsa che può salvare l’Italia e il Sud.



NUOVE GENERAZIONI

9-Rimetter al centro della vita e del destino dell’Italia e del Sud le nuove generazioni maschili e femminili. Senza la mobilitazione della naturale forza biologica del Paese, non si va da nessuna parte. Oggi, quasi due intere generazioni sono fuori partita. Un orrore.



GRANDE MEDITERRANEO

10-La naturale area di agibilità geoeconomica e geopolitica del Sud e dell’Italia è rappresentata dal Mediterraneo.
Mediterraneo inteso in senso ampio:Paesi europei meridionali,Balcani,Medio Oriente, Turchia,Paesi arabi, Africa. IL NOSTRO DESTINO E’ IL GRANDE MEDITERRANEO.





Beppe  De Santis, Segretario  nazionale dei “Meridionalisti Italiani”

9 marzo 2012    

de santis sulla grecia - messaggio n. 12

 


11-Beppe De Santis sulla Grecia:accordo con i creditori privati, recessione galoppante, fallimento soltanto rinviato


I creditori privati della Grecia hanno accettato di rinunciare a metà dei loro crediti.
L’ Unione  Europea presterà alla Grecia  i 130 Miliardi di euro promessi.
L’equilibrio dei mercati finanziari – di rapina- è salvo, per qualche tempo.
La recessione greca si fa galoppante: disoccupazione e povertà per la gran parte del popolo greco.
Il destino della Grecia coinvolge e coinvolgerà  il Portogallo, l’Irlanda. Poi, la Spagna, l’Italia e altri Paesi e territori.

La strategia cosiddetta di “risanamento” , imposta dall’establishment politico-finanziario europeo e mondiale, è errata, destabilizzate e letale.
Questa strategia distrugge ricchezza, diritti, democrazia e sovranità statale e monetaria.
Questa strategia è l’espressione del comando della finanza globale  speculativa. Comunque, subalterna al comando della finanza globale speculativa.
Occorre rovesciare, e distruggere questo paradigma, questo dominio. Al più presto.

Riconquistare la sovranità monetaria, statale e democratica.
Secondo l’impostazione neokeynesiana promossa dalla Modern Money Theory,di cui al recente summit di Rimini del 24-26 febbraio 2012.
Della quale , noi ,“Meridionalisti Italiani”, siamo convinti, attivi e primari sostenitori e promotori.

Tornando alle vicende di queste ore, che coinvolgono la Grecia,può essere utile leggere il seguente articolo dell’economista Mario Deaglio.
Pur all’interno del solito schema neoliberista, subalterno al comando della finanza globale speculativa, Deaglio pone in onesta evidenza il carattere non risolutivo e contraddittorio delle attuali politiche dell’establishment politico-finanziario.
Leggete.


La Stampa di venerdì 9 marzo 2012

Condannati alla povertà
di Deaglio Mario


Alla fine la finanza ce l'ha fatta. Alle otto di ieri sera, ora italiana, è arrivato l'annuncio ufficiale: i possessori privati di debito greco hanno detto sì alla proposta di accettare la perdita di oltre metà del loro denaro.

E’ stato così rinviato alle calende greche il rimborso del resto e i creditori si sono accontentati, per questo lungo periodo, di un tasso di interesse molto basso. Siccome l'adesione è stata volontaria - anche se certo non spontanea, viste le pressioni sui fondi e sulle banche che detenevano grandi quantità di titoli greci - la Grecia non è in fallimento; la valanga dei rimborsi sui Cds, i titoli-scommessa sul fallimento di Atene, ben più temibili del debito stesso, stimati in 1000-1500 miliardi di euro non si abbatterà quindi sulla finanza mondiale. A causa di questa valanga, alcuni grandi della finanza internazionale avrebbero potuto soccombere, ancora più facilmente della Grecia. L'equilibrio di fondo della finanza globale appare comunque salvo, per il momento; la testardaggine del cancelliere tedesco, temperata dai suoi partner italiani e francesi, consente ora a tutti di tirare un sospiro di sollievo.

L'indice Dow Jones - leggendario termometro dei capitalismo finanziario - può riprendere la marcia verso quota 13 mila, superata di un soffio prima di ricadere nei giorni scorsi, proprio per il pericolo di un cedimento dell'euro.

In questa situazione l'Italia incassa un bonus particolare: l'ormai famoso «spread», ossia la distanza tra i bassi rendimenti dei titoli decennali emessi dallo Stato tedesco e gli equivalenti emessi dallo Stato italiano, è sceso sotto il livello del 3 per cento. Siamo di nuovo un Paese rispettabile e l'estero non sembra dare gran peso al cicaleccio politico esploso improvvisamente due giorni fa, considerando- lo normale amministrazione. II che significa che lo Stato spenderà meno per ottenere il rifinanziamento dei debiti in scadenza nelle prossime settimane (e sperabilmente nel resto dell'anno).

E gli spagnoli, nostri «cattivi» cugini, che hanno apertamente sfidato l'Europa annunciando che nel 2012 non rispetteranno l'obiettivo di deficit a loro assegnato, hanno avuto la «punizione» che si meritano: per la prima volta da molti mesi il loro «spread» è (un po') più alto del nostro. Le distanze sono ristabilite, le normali gerarchie sono rispettate.
Di fronte a questo complicato e fragile ritorno alla normalità occorre evitare manifestazioni premature di giubilo.

E questo per tre motivi.
Il primo è che quello che abbiamo fatto alla Grecia trascende i confini dell'economia: premesso che i Greci sono stati dei grandi mentitori (ma l'Europa finanziaria per anni ha voluto credere alle loro menzogne senza darsi la pena di indagare) va denunciato che il resto d'Europa li sta trattando, per certi aspetti, peggio di come gli alleati della seconda guerra mondiale trattarono la Germania sconfitta. L'accordo che mette al riparo l'euro, condanna infatti la Grecia: tra il 2009 e il 2011 il prodotto lordo greco ha già subito una caduta del 10 per cento e scenderà ancora (secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale) almeno del 2 per cento nel 2012. La disoccupazione è raddoppiata, le retribuzioni dei pubblici dipendenti sono state decurtate del 20 per cento.

A fronte di questi enormi sacrifici, la Grecia non ha alcuna certezza che la cura funzioni. Può anzi trasformarsi in una trappola crudele: le imposte pagate da un'economia che si contrae in questa maniera si contraggono fortemente anch'esse e il sospirato pareggio di bilancio che sembra a portata di mano sfugge quando si crede di averlo afferrato. E' già successo con il primo tentativo di salvataggio della Grecia, potrebbe succedere di nuovo. Impedendole di dichiarare ufficialmente il fallimento, l'Europa sta costringendo la Grecia a dissanguarsi goccia a goccia senza una chiara possibilità di ripresa.

A questa tortura un giornale di Vienna ha dato il nome appropriato di «genocidio finanziario»: stiamo condannando quel Paese ad almeno 15 anni di relativa povertà.

Dalla parte dell'Unione Europea non tutto è tranquillo. Il presidente della Banca Centrale Europea (Bce) ha potuto ieri suonare il «cessato allarme» per l'euro e rallegrarsi pubblicamente per il superamento dell'ostacolo e il successo delle due recenti operazioni di finanziamento a tre anni, per complessivi mille miliardi di euro, che hanno fornito all'economia europea almeno una parte dell'ossigeno necessario per sopravvivere. La stessa Bce ha però ancora una volta tagliato le stime della crescita europea che ora oscilla tra -0,5 e 0,3 per cento, il che significa stagnazione. L'inflazione è prevista tra il 2,1 e il 2,7 per cento, in significativo aumento rispetto all'1,5-2,5 per cento di dicembre, soprattutto per l'aumento del prezzo del petrolio. Non è proprio un buon segnale.

Lo stesso Draghi, inoltre, ha dovuto difendersi dalle critiche dei «falchi» della Bundesbank, arrivate ai giornali grazie a un'insolita indiscrezione tedesca: dietro l'unità di facciata dei banchieri europei vi sono differenze profonde e molta incertezza. In questa prospettiva si colloca l'incerta situazione italiana; il rallegramento per i risultati raggiunti negli ultimi quattro mesi non deve far dimenticare che la strada che il Paese deve percorrere è lunghissima. Abbiamo scalato una collinetta, appena una piccola asperità che fa da anticima alla montagna del nostro debito, accumulato in una generazione. Stiamo andando di buon passo, ma la strada davanti a noi è ancora davvero molta.

giovedì 8 marzo 2012

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11-de santis sul capitolo 19 di Giù al Sud di Pino Aprile




Messaggio n. 11 di Beppe De Santis,Segretario nazionale di “ Meridionalisti Italiani”

DUE PROPOSTE STRATEGICHE DI PINO APRILE PER IL RINASCIMENTO DEL SUD :
RIAPPROPRIARSI DELLE RISORSE ENERGETICHE ED ESTENDERE LO STATUTO AUTONOMISTICO SICILIANO A TUTTO IL SUD

Vi propongo un paio di brani estratti dal Capitolo 19 del libro di Pino Aprile , “Giù al Sud”.
Primo:il Sud deve riappropriarsi delle proprie risorse energetiche.
Secondo: occorre estendere le prerogative costituzionali dello Statuto Speciale Siciliano a tutto il Sud.
Lezione: le 8 Regioni del Sud o si salvano insieme e periscono una dopo l’altra insieme.
Occorre unificare il Sud.
Occorre costruire una rappresentanza politica unitaria del Sud e dei meridionali, liberando i diversi carismi dei diversi territori del Sud.
I napoletani, e campani, da soli, non vanno da nessuna parte.
I siciliani ,da soli, non vanno da nessuna parte.
Così, i sardi, i lucani , i calabresi,i pugliesi,i molisani, gli abruzzesi.
Determinante è l’alleanza tra la Sicilia e le altre 7 regioni del Sud.
Il Sud , senza la Sicilia , non va da nessuna parte.
E viceversa.


Alcuni brani estratti da “ Giù al Sud” di Pino Aprile, dallo straordinario capitolo 19 ( pagg. 149-172)


“FUCILI PARLATI, FUCILI SPARATI
La Lega minaccia la secessione; la Sicilia può farla. Se ne accorge Franco Bechis, vicedirettore di «Libero»: scopre che se l’isola se ne va per i fatti suoi, l’Italia scende dall’au­tomobile e va a piedi. Ogni sparata di Bossi sull’uso delle armi riempie giornali e telegiornali e si dimentica che se lui fa “pum!” con la bocca, i siciliani, per l’autonomia, spara­rono davvero, crearono un esercito di volontari, attaccaro­no le caserme dei carabinieri, tesero agguati ai militari, sostennero una battaglia campale. Il totale dei morti (ci furono carabinieri fatti prigionieri e fucilati; almeno un ri­voltoso sarebbe perito sotto tortura) forse resterà ignoto: fra cento e duecento.

[...]. Pochi lo sanno, ma la Sicilia ha in mano le chiavi dell’auto italiana. Lì si raffina il 40 per cento della benzina e del gasolio utilizzati nel continente. Non solo: Lombardo (primo presidente autonomista della Regione Siciliana; N.d.A.) è in grado di spegnere luce, gas e riscaldamento in buona parte d’Italia. Un po’ perché lui produce energia in sovrabbondanza e il 12 per cento lo gira alle altre Regioni. Ma soprattutto perché in Sicilia transita il più grande me­tanodotto marino italiano che trasporta 25 miliardi di me­tri cubi di gas e passa di lì pure il gasdotto libico che at­tualmente è chiuso per guerra» ( Bechis).

 Questa situazione non è solo siciliana, perché la Puglia, per dire, produce più del doppio dell’energia che consu­ma (ma, come non bastasse, vorrebbero regalarle pure una centrale nucleare nella più bella zona umida della regione, Torre Guaceto); e la Lucania ha i più grandi giacimenti petroliferi non sottomarini d’Europa. Ricchezza che passa sulla testa delle regioni in cui è prodotta e va quasi total­mente a beneficio altrui. Ma mentre la Sicilia può bloccare l’esproprio (tale è, poche chiacchiere) delle sue risorse, le altre regioni del Sud no, perché non hanno i poteri che lo statuto speciale riconosce all’isola. Ma cos’accadrebbe in Lucania, in Puglia (dove si scoprirono, negli anni Sessan­ta, i più vasti giacimenti di gas d’Europa, nel Subappen­nino Dauno, quaranta miliardi di metri cubi, trasferito al Nord, senza alcun vantaggio alla popolazione locale), cosa accadrebbe se vedessero la Sicilia gestire in proprio quello che loro sono costretti a cedere per niente (o quasi, nel caso del petrolio lucano; e del gas calabrese nelle acque di Crotone)?

A norma di legge, la Calabria con il suo gas, la Lucania con il suo petrolio, la Puglia con il gas e il petrolio adriatico e via espandendo, potrebbero chiedere di aggre­garsi, previo referendum, alla Sicilia (com’è accaduto con alcuni ricchi comuni veneti, desiderosi di diventare trenti­ni, per essere ancora più ricchi). In tal modo, le norme del­lo statuto che tutelano la Sicilia si allargherebbero come un ombrello, su tutto il Sud; la cui ricchezza smetterebbe di migrare al Nord, in cambio di insulti.

 Ma l’elenco dei danni, se la Sicilia si staccasse, è anco­ra più lungo, ché «se uscendo dalle pastoie legali e buro­cratiche che finora li hanno fermati, venissero realizzati i due rigassificatori previsti a Porto Empedocle e a Priolo,» continua Bechis «quasi la metà del metano consumato in Italia verrebbe dalla Sicilia. Insomma, prima di chiude­re i ponti con una regione così, l’Italia dovrebbe pensarci su due volte.
 Lombardo ieri ha spiegato che se facesse la secessione, riscuoterebbe lui in loco quelle accise sui pro­dotti energetici che attualmente finiscono nelle casse del Tesoro italiano. È vero. E si tratta di dieci miliardi di eu­ro all’anno. Una somma che compenserebbe ampiamente quel che la Sicilia verrebbe a perdere staccandosi dal resto d’Italia
… Seguiamo Bechis: alla Sicilia, «nel bilancio provvi­sorio per il 2011 approvato in attesa della legge finanziaria sono previsti trasferimenti da parte dello Stato centrale per meno di 3 miliardi di euro, in gran parte legati alla spesa sanitaria. In quella somma non sono considerati però altri costi del governo centrale, che paga con fondi suoi buona parte del sistema di istruzione siciliano, così come l’ordine pubblico e la giustizia. Secondo uno studio (contestato dai siciliani) della Cgia di Mestre che ha diviso per abitante la spesa pubblica regionalizzata censita dalla Ragioneria generale dello Stato, ogni siciliano costa al resto di Italia 550 euro per la sanità, 681 euro per l’istruzione e 130 euro per ordine pubblico e giustizia. Ma anche mettendo insie­me tutte queste voci, la bilancia penderebbe dalla parte dell’isola: dieci miliardi di euro di accise in entrata e 6 mi­liardi di euro di trasferimenti statali per sanità, istruzio­ne e ordine pubblico a cui rinunciare. Ne avanzerebbero quattro, e sono ragione più che valida per non prendere sottogamba le parole di Lombardo».

E la Sicilia ha solo da guadagnare. Almeno finché si parla di soldi. Bechis non ha bisogno di spingere oltre il discor­so, per dimostrare quanto dice. Ma conviene fare un passo ancora in quella direzione: con tali sopravanzi, la Sicilia potrebbe finanziarsi l’espansione industriale, producendo merci che farebbero concorrenza a quelle del Nord in loco (dove arriverebbero sui mercati a chilometri zero e non dopo 1.200 e più) e altrove, facendo fruttare la posizio­ne centrale nel Mediterraneo; in più, come altri Paesi ex colonie, quale l’India, potrebbe puntare sulla più recente tecnologia informatica, lasciando al Nord quella del secolo scorso, su cui ancora insiste (auto, frigoriferi...): il necessa­rio, la Sicilia ce l’ha in casa, perché alle porte di Catania c’è il più grande centro di ricerca informatica d’Italia.”