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PRESIDENZA/SEGRETERIA 
                                        NAZIONALE

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Prot. 1952/2012/13

Oggetto: Dall’esperienza del PSUD al congresso costituente di  “Meridionalisti Italiani”

1- Il 26 febbraio 2012, a conclusione del Congresso fondativo del movimento “Meridionalisti italiani”, svoltosi a Rimini, nel “105 Stadium”, contestualmente al summit di MMT Italia (Modern Money Theory), è stata eletta la Segreteria nazionale.
Sono stati eletti, inoltre, il Consiglio direttivo nazionale, i responsabili delle 20 Regioni e i responsabili dei dipartimenti nazionali di lavoro.

2- Il nostro percorso politico, negli ultimi 15 anni, è stato di ricerca, di innovazione, di sperimentazione:movimenti sociali e civili, movimenti antimafia, l’esperienza della Rete e altri successivi, il movimento “Noi siciliani”, recenti esperienze neo-autonomistiche.

3- Nel 2008, contestualmente all’esplodere della crisi globale, abbiamo maturato la scelta di contribuire alla progettazione e promozione di un GRANDE SOGGETTO POLITICO NEOMERIDIONALISTICO, UN VERO PARTITO POPOLARE DI MASSA.

4- Abbiamo lavorato, di conseguenza, in questo triennio, soprattutto ad elaborare il PROGETTO STRATEGICO del neomeridionalismo. Senza Progetto, sarebbe tutto un vano agitarsi sudista, inconcludente e dannoso. Questo lavoro è continuato fino allo sbocco progettuale rappresentato dal summit MMT di Rimini del 24-27 febbraio 2012, per il ripristino della sovranità monetaria, statale e popolare.

5- In questo percorso, abbiamo incontrato altri soggetti singoli, associazioni, piccole reti di movimento dalla più diversa ispirazione meridionalista, collaborando e dialogando, ove è stato possibile. Si è inserita, in questo ambito, anche l’esperienza del PSUD, dal tardo autunno del 2010. Una esperienza utile, ma, dal nostro umile punto di vista, non pienamente soddisfacente. Si sono registrate, presto, legittime, ma non lievi, divergenze di strategia, di metodo, di prassi. Divergenze non facilmente componibili. Così, ciascuno ha ripreso e riprende la sua strada. Ciò è inevitabile, giusto e legittimo.

6- Noi, ad esempio, pensiamo che per porre in essere un vero grande partito neomeridionalista, occorre, perlomeno, un decennio di umile e generoso lavoro.
Con prudenza, passo dopo passo. Altri, pensano legittimamente che si può fare più presto e altrettanto bene.
Noi abbiamo deciso di continuare il nostro cammino dando vita al  nuovo soggetto politico denominato “Meridionalisti Italiani”.

7- E’inevitabile, in questi casi, che insorgano malumori, polemiche, sorde o esplicite, diplomatiche o astiose. Anche atti , più o meno fondati, di appassionata stigmatizzazione.
Con inerziali accuse e contraccuse. Così è la vita. Ciascuno si assume le proprie  responsabilità, nello stile che preferisce. Polemiche dalle quali volentieri ci asteniamo.

8- Conta, infine, la storia di ciascuno. Conta  e conterà il  cammino fatto e  da fare.
Per il bene del Sud, dei meridionali e dell’Italia intera. Poi, per il bene di tutti, chi ha più filo tesserà. Chi ha più talenti, pazienza e umiltà seminerà. Per i figli.

Nel rileggere “ I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, ciascuno, è umano, può identificarsi- o identificare l’altro- in Gulliver o nei Lillipuziani.
L’opzione è libera.
Soltanto i fatti contano e conteranno.

Grazie, buon lavoro a tutti e auguri.


Beppe  De Santis, Segretario  Nazionale dei “Meridionalisti Italiani”;
Alfonso Sciangula, Vicesegretario Nazionale vicario.

27 febbraio 2012, Rimini.     

 
Prot. 1952/2012/264-messaggio n.9
“GIU’ AL SUD” di Pino Aprile,un libro straordinario,una miniera di idee e suggestioni per la costruzione di un moderno meridionalismo
Il libro di Pino Aprile, “Giù al Sud. Perchè i terroni salveranno l’Italia” è un libro straordinario, un capolavoro, un super-libro.Tutti i meridionali e gli italiani, tutti i giovani, lo devono leggere e meditare.Chi l’acquista fa un affare.19,50 euro di prezzo sono niente rispetto al valore del libro.500 pagine eccezionali.
Ma, il punto è che UN libro ne contiene DIECI.
Comprartelo.Farete un affare.Paghi uno, prendi dieci.
Il libro contiene più libri, a matrioska.
Primo libro.
“Terroni bis”.Il libro è l’aggressiva continuazione, e lo sviluppo, di “Terroni”, dal successo fuor dal comune.
La riscossa dell’identità meridionale.La storia ri-disvelata della colonizzazione del Sud. Colonizzazione militare, politica, economica, mentale.La distruzione del paradigma della MINORITA’ mentale e culturale meridionale.Pino procede a raggiera, a cerchi concentrici, con veri colpi da fuoco d’artifico, nel distruggere i pregiudizi razzisti antimeridionali.Si veda-ad esempio- il capitolo 38 sul terremoto di Messina del 1908 e il successivo terremoto governativo sabaudo abbattutosi sulla città martirizzata.
Secondo libro.
Diario di bordo di un grande polemista.
Pino narra due anni di polemiche furiose innescate dalla pubblicazione di “Terroni”.E rintuzza tutte le aggressioni, una per una.Puntuale, pungente, ironico, scintillante in alcuni tratti. Esilarante e feroce è il capitolo 12 contro il presuntuoso e sballato libello del sociologo torinese Luca Ricolfi, il presunto “Saccheggio del Nord”, nel quale il mirabile scienziato dimostra che la disoccupazione avvantaggia i meridionali, perché il, TEMPO LIBERO E’ RICCHEZZA quantizzata e quantizzabile. Cose da manicomio. Che dire dell’azzardato volume “Terrorismo”, di Marco Demarco, saccente direttore del “Corriere del Mezzogiorno”? Un tentativo della corazzata del “corriere della sera” di affondare l’umile barchetta di Pino Aprile, risoltosi- per Demarco -in un fallimento e in un boomerang. Demarco ha venduto -del librone pseudo -crociano- soltanto qualche centinaia di copie.In questo brillante quadro polemico, Pino fa a pezzi tutti gli equivoci su veri o presunti borbonismi e antiborbonismi, a proposito di “Terroni” e degli stessi movimenti neomeridionalisti. Spiega Pino che lo stesso “ Terroni” è stato scritto non per fare ulteriormente a pezzi l’Italia, ma per rifondarne l’Unità, su fondamenti di verità e giustizia. Rimettendone al centro il grande cuore meridiano.
Terzo libro.
Diario di bordo del viaggiatore identitario.
 Il diario del viaggiatore della rinascente identità meridiana.
Centinaia di paesi, luoghi, personaggi,associazioni, circoli, memorie, suggestioni, miti, nel lunghissimo viaggio di presentazione di “Terroni” .nel Sud, nel centro-Nord, all’estero. Un caleidoscopio di spunti vitali. Pino risulta insieme un esploratore, un entomologo,un archeologo, un visionario lucido e concreto delle identità meridiane passate, presenti e future. Alla ricerca e alla individuazione anche del genius loci dei vari territori e comunità lunghe , che compongono il Sud.Le città e le regioni nelle quali prevale la creatività artistica, ad esempio Napoli;quelle  dalla vocazione analitica e polemica ( le Puglie);quelle dal carisma , dall’inventiva,e dal genio politico connaturati ( la Sicilia).
Quarto libro.
Il libro delle nuove generazioni meridionali.
 Che non sono più meridionali. Ma, globali. Globali-locali, se volete. Pino ne propone  almeno una diecina di esempi calzanti e affascinanti. Sono loro che salveranno il Sud e il Nord, salveranno l’Italia. E’ questo il vero centro del libro. La vera profezia narrata e comprovabile. Questa la tesi. Questa la sfida.
Quinto libro.
E’ il libro dei carismi del Sud.
Diversi e complementari.  Esemplifico con i capitali 19,38 e 52 , che riguardano più direttamente la Sicilia. La sua lunga storia autonomistica. La sua tensione storica a diventare nazione. La rivisitazione finalmente onesta e fiera del gigantesco  e complesso movimento rappresentato dal separatismo siciliano della fine degli anni 40 del novecento.Il valore strategico dello Statuto autonomistico, utile , in prospettiva a tutto il Sud , argomenta- con audacia e generosità- Pino Aprile. La Sicilia laboratorio storico di innovazione politica. Su questi capitoli tornerò presto.
Sesto libro.
E’ il libro della riforma costituzionale dell’Italia del XXI secolo.
Pino propone una grande riforma costituzionale dell’Italia. In particolare, nel già citato capitolo 19. In sintesi, si tratta di estendere, in modo unificante,la potenza costituzionale contenuta nello Statuto Speciale Siciliano. Per questa via, Pino giunge alle stesse straordinarie conclusioni di Giorgio Ruffolo, contenute nel libro ,”Un Paese troppo lungo”:unificare  costituzionalmente le 8 Regioni del Sud, superare i difetti del regionalismo autoreferenziale e sprecone,istituire un vero Parlamento del Sud, all’interno di una  rifondata Repubblica federale d’Italia, unita, coesa, solidale. E’ questa la parte geniale del libro di Pino. Vi torneremo più volte nelle prossime settimane.
Settimo libro.
Un manuale di AUTODIFESA del Sud e dei meridionali diffusi. Vi sono regole  e suggestioni di attacco e difesa , per tutti i gusti.
Potrei continuare, ad enucleare il libro ottavo, nono, decimo..Mi fermo qui.Abbiamo recentemente dibattuto del libro di Pino, con QUESTA IMPOSTAZIONE ALTA E STRATEGICA- rifuggendo ogni cretinismo sudista, molto di moda, peraltro- nel meraviglioso Salone della Capriate di Palazzo Steri, sede del rettorato, a Palermo, il 2 marzo 2012.Potete scorrere i relativi video nel blog http://meridionalistiitaliani.blogspot.com/ .
Faremo una campagna, con questa impostazione, in ogni angolo d’Italia. Sono già in calendario una cinquantina di riunioni.
Buona lettura e buona meditazione.Grazie Pino.
Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani”,6 marzo 2012.



 
Prot. 1952/2012/265-messaggio n.10
SI AGGRAVA LA CRISI AGRICOLA,SI APPESANTISCE IL CARICO FISCALE,CONTINUANO LE LEGITTIME PROTESTE,NON SI OTTENGONO I RISULTATI CONCRETI DELLA VERTENZA E DELLE LOTTE,RESTANO CONFUSI O MANCANTI LE STRATEGIE VINCENTI,IL PROGETTO E LA PIATTAFORMA PER LA SALVEZZA E  LA RINASCITA DELL’AGRICOLTURA ITALIANA E  MERIDIONALE
Continuano, per fortuna,manifestazioni e proteste degli agricoltori nel Sud e in tutta Italia. Da parte di organizzazioni autonome e di quelle ufficiali storiche.
Il 9 marzo è prevista una manifestazione nazionale a Roma.
Come è noto, gli antesignani di questo ciclo di lotta sono stati i Pastori Sardi, da 10-15 anni sul campo di battaglie.
Sono spuntate ,poi, diecine di sigle autonome, un po’ in tutta  Italia, con caratteristiche anche molto peculiari e diversificate tra loro.
Nel Sud e in Sicilia, abbiamo visto – e vediamo- all’opera, con alterna fortuna, dal 2009,  tra gli altri, “Il Tavolo verde di Puglia   Basilicata”,“Altragricoltura”, i CAS ( Comitati Autonomi Agricoltori Siciliani), Comitati in Rete, “Terra è Vita”,in ultimo, i “Forconi” con gli autotrasportatori di Richici, la FIMA ( Federazione Italiana Movimenti Agricoli).
Frattanto, almeno dal 2009 al 2012, la crisi agricola si è aggravata.
Recentemente, si è aggiunta  la mazzata fiscale di Monti, in particolare con l’IMU agricola (da 1,3 a 1,5 miliardi di euro di aggravio fiscale), l’una tantum di circa 2-3 MLD per l’accatastamento dei fabbricati rurali, insomma 4-5 mld in più rispetto alla  vecchia ICI. Piove sul bagnato.
La settimana scorsa, il Parlamento Europeo ha approvato una normativa a favore della piena libertà di esportazione dei prodotti agricoli marocchini in Italia e in UE. Ad una mazzata, segue un’altra mazzata.
Insomma, aumentano le lotte, ma ,aumentano contestualmente i disastri,le mazzate,i risultati negativi. Ecco, il punto. Ecco, la contraddizione sbalorditiva.
Bisogna interrogarsi su questa contraddizione. E tentare di risolverla.
Gli agricoltori, le associazioni, i movimenti, per resistere e vincere, HANNO ASSOLUTO BISOGNO DI OTTENERE RISULTATI CONCRETI.
La lotta per la lotta,sacrosanta, purtroppo, prima o poi mostrerà la corda. Se mancheranno sempre i RISULTATI CONCRETI.
Anzi, più precisamente occorrerebbe ottenere risultati di tre tipi:risultati immediati, sia pure limitati;risultati intermedi, nei tempi e nella consistenza; risultati strutturali e strategici, di sistema.
Altrimenti, un conflitto sociale, pur legittimo e prezioso, è destinato alla dispersione.
Allora, il problema preliminare da ponderare è LA PORTATA DELLA VERTENZA,  la portata della partita.
Ebbene, quella della crisi agricola/civiltà agricola- e della relativa vertenza- è, per usare una metafora calcistica,un CAMPIONATO MONDIALE, non un torneuccio da oratorio.
Bisogna  essere attrezzati, dunque, ad un campionato mondiale:le mutazioni in- dotte dalla  globalizzazione  sull’agricoltura,il dominio della finanza globale speculativa anche sull’agricoltura,la liberalizzazione  legale illegale e anche criminale dei mercati mondiali agricoli e agro-alimentari,la pervasività delle agromafie in tutta la filiera, qualità e sicurezza dei prodotti,il nesso tra agricoltura qualità della vita, territorio e ambiente.
Quella dell’agricoltura e della civiltà agricola non è una crisi settoriale, congiunturale, ma, una CRISI DI SISTEMA, storica.
Per essere fronteggiata ha bisogno di una RISPOSTA DI SISTEMA.
Occorre dotarsi di un’analisi all’altezza della sfida, di una teoria adeguata, di una visione adatta, di una strategia potente, di un progetto all’altezza dello scontro,di una piattaforma precisa e robusta, coerente.
Occorre dotarsi, quindi, di una SOGGETTIVITA’ culturale, tecnica, sindacale, civile, politica e istituzionale all’altezza della sfida.
Costruire una rete potente di alleanze culturali, tecniche , politiche e istituzionali, per farcela.
Sul tempo immediato, sul medio termine, sul lungo termine.
Gli agricoltori, le associazioni tradizionali, i nuovi movimenti agricoli dispongono, oggi,  di tale strategia, programma, progetto, piattaforma? No.
Dispongono di una potenza soggettiva all’altezza dello scontro? No.
Dispongono della rete delle alleanze adeguata? No.
Gli agricoltori dispongono oggi della tragedia della crisi agricola, dei debiti, del massacro fiscale e previdenziale, di tanta rabbia, di dolore, di voglia  a volte eroica di battersi, di capacità  di lottare.
Ma, così e da soli, non possono farcela.
E’ l’intero sistema che si deve far carico della crisi agricola. Se lo può e vuole fare.
Altrimenti saranno guai e dolori.
Ciascuno deve poter fare, nella propria autonomia, la propria parte, se vuole e se può.
Per parte nostra, abbiamo , negli anni seguito con rispetto  e responsabilità la parabola della crisi agricola e delle proteste.
Abbiamo rispettato e rispetteremo sempre l’AUTONOMIA dei singoli gruppi e movimenti.
Il problema non è cosa fa  o non fa questa o quella  associazione, o questo o quel movimento.
Il problema è cosa fa ciascuno di noi ,come singolo e come responsabile di qualcosa: a livello  internazionale L’Organizzazione del Commercio Mondiale, la Banca  mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, le varie strutture di governance della cattiva globalizzazione in corso; a livello europeo, le varie istituzioni della UE; a livello nazionale, l’intero circuito istituzionale, politico, amministrativo, sindacale e culturale. Così, a livello regionale e locale.
Noi faremo, con umiltà e rigore, la nostra parte. NEL RISPETTO DELL’AUTONOMIA RECIPROCA DEI RUOLI.
A partire da questa prima nota  generale,nei prossimi giorni e settimane, avremo modo di comunicare idee e progetti, di proporre e promuovere iniziative che riterremo utili, di agire i raccordi e le alleanze giuste.
Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani”,7 marzo 2012.



 
Messaggio n. 11 di Beppe De Santis,Segretario nazionale di “ Meridionalisti Italiani”

DUE PROPOSTE STRATEGICHE DI PINO APRILE PER IL RINASCIMENTO DEL SUD :
RIAPPROPRIARSI DELLE RISORSE ENERGETICHE ED ESTENDERE LO STATUTO AUTONOMISTICO SICILIANO A TUTTO IL SUD

Vi propongo un paio di brani estratti dal Capitolo 19 del libro di Pino Aprile , “Giù al Sud”.
Primo:il Sud deve riappropriarsi delle proprie risorse energetiche.
Secondo: occorre estendere le prerogative costituzionali dello Statuto Speciale Siciliano a tutto il Sud.
Lezione: le 8 Regioni del Sud o si salvano insieme e periscono una dopo l’altra insieme.
Occorre unificare il Sud.
Occorre costruire una rappresentanza politica unitaria del Sud e dei meridionali, liberando i diversi carismi dei diversi territori del Sud.
I napoletani, e campani, da soli, non vanno da nessuna parte.
I siciliani ,da soli, non vanno da nessuna parte.
Così, i sardi, i lucani , i calabresi,i pugliesi,i molisani, gli abruzzesi.
Determinante è l’alleanza tra la Sicilia e le altre 7 regioni del Sud.
Il Sud , senza la Sicilia , non va da nessuna parte.
E viceversa.


Alcuni brani estratti da “ Giù al Sud” di Pino Aprile, dallo straordinario capitolo 19 ( pagg. 149-172)


“FUCILI PARLATI, FUCILI SPARATI
La Lega minaccia la secessione; la Sicilia può farla. Se ne accorge Franco Bechis, vicedirettore di «Libero»: scopre che se l’isola se ne va per i fatti suoi, l’Italia scende dall’au­tomobile e va a piedi. Ogni sparata di Bossi sull’uso delle armi riempie giornali e telegiornali e si dimentica che se lui fa “pum!” con la bocca, i siciliani, per l’autonomia, spara­rono davvero, crearono un esercito di volontari, attaccaro­no le caserme dei carabinieri, tesero agguati ai militari, sostennero una battaglia campale. Il totale dei morti (ci furono carabinieri fatti prigionieri e fucilati; almeno un ri­voltoso sarebbe perito sotto tortura) forse resterà ignoto: fra cento e duecento.

[...]. Pochi lo sanno, ma la Sicilia ha in mano le chiavi dell’auto italiana. Lì si raffina il 40 per cento della benzina e del gasolio utilizzati nel continente. Non solo: Lombardo (primo presidente autonomista della Regione Siciliana; N.d.A.) è in grado di spegnere luce, gas e riscaldamento in buona parte d’Italia. Un po’ perché lui produce energia in sovrabbondanza e il 12 per cento lo gira alle altre Regioni. Ma soprattutto perché in Sicilia transita il più grande me­tanodotto marino italiano che trasporta 25 miliardi di me­tri cubi di gas e passa di lì pure il gasdotto libico che at­tualmente è chiuso per guerra» ( Bechis).

 Questa situazione non è solo siciliana, perché la Puglia, per dire, produce più del doppio dell’energia che consu­ma (ma, come non bastasse, vorrebbero regalarle pure una centrale nucleare nella più bella zona umida della regione, Torre Guaceto); e la Lucania ha i più grandi giacimenti petroliferi non sottomarini d’Europa. Ricchezza che passa sulla testa delle regioni in cui è prodotta e va quasi total­mente a beneficio altrui. Ma mentre la Sicilia può bloccare l’esproprio (tale è, poche chiacchiere) delle sue risorse, le altre regioni del Sud no, perché non hanno i poteri che lo statuto speciale riconosce all’isola. Ma cos’accadrebbe in Lucania, in Puglia (dove si scoprirono, negli anni Sessan­ta, i più vasti giacimenti di gas d’Europa, nel Subappen­nino Dauno, quaranta miliardi di metri cubi, trasferito al Nord, senza alcun vantaggio alla popolazione locale), cosa accadrebbe se vedessero la Sicilia gestire in proprio quello che loro sono costretti a cedere per niente (o quasi, nel caso del petrolio lucano; e del gas calabrese nelle acque di Crotone)?

A norma di legge, la Calabria con il suo gas, la Lucania con il suo petrolio, la Puglia con il gas e il petrolio adriatico e via espandendo, potrebbero chiedere di aggre­garsi, previo referendum, alla Sicilia (com’è accaduto con alcuni ricchi comuni veneti, desiderosi di diventare trenti­ni, per essere ancora più ricchi). In tal modo, le norme del­lo statuto che tutelano la Sicilia si allargherebbero come un ombrello, su tutto il Sud; la cui ricchezza smetterebbe di migrare al Nord, in cambio di insulti.

 Ma l’elenco dei danni, se la Sicilia si staccasse, è anco­ra più lungo, ché «se uscendo dalle pastoie legali e buro­cratiche che finora li hanno fermati, venissero realizzati i due rigassificatori previsti a Porto Empedocle e a Priolo,» continua Bechis «quasi la metà del metano consumato in Italia verrebbe dalla Sicilia. Insomma, prima di chiude­re i ponti con una regione così, l’Italia dovrebbe pensarci su due volte.
 Lombardo ieri ha spiegato che se facesse la secessione, riscuoterebbe lui in loco quelle accise sui pro­dotti energetici che attualmente finiscono nelle casse del Tesoro italiano. È vero. E si tratta di dieci miliardi di eu­ro all’anno. Una somma che compenserebbe ampiamente quel che la Sicilia verrebbe a perdere staccandosi dal resto d’Italia
… Seguiamo Bechis: alla Sicilia, «nel bilancio provvi­sorio per il 2011 approvato in attesa della legge finanziaria sono previsti trasferimenti da parte dello Stato centrale per meno di 3 miliardi di euro, in gran parte legati alla spesa sanitaria. In quella somma non sono considerati però altri costi del governo centrale, che paga con fondi suoi buona parte del sistema di istruzione siciliano, così come l’ordine pubblico e la giustizia. Secondo uno studio (contestato dai siciliani) della Cgia di Mestre che ha diviso per abitante la spesa pubblica regionalizzata censita dalla Ragioneria generale dello Stato, ogni siciliano costa al resto di Italia 550 euro per la sanità, 681 euro per l’istruzione e 130 euro per ordine pubblico e giustizia. Ma anche mettendo insie­me tutte queste voci, la bilancia penderebbe dalla parte dell’isola: dieci miliardi di euro di accise in entrata e 6 mi­liardi di euro di trasferimenti statali per sanità, istruzio­ne e ordine pubblico a cui rinunciare. Ne avanzerebbero quattro, e sono ragione più che valida per non prendere sottogamba le parole di Lombardo».

E la Sicilia ha solo da guadagnare. Almeno finché si parla di soldi. Bechis non ha bisogno di spingere oltre il discor­so, per dimostrare quanto dice. Ma conviene fare un passo ancora in quella direzione: con tali sopravanzi, la Sicilia potrebbe finanziarsi l’espansione industriale, producendo merci che farebbero concorrenza a quelle del Nord in loco (dove arriverebbero sui mercati a chilometri zero e non dopo 1.200 e più) e altrove, facendo fruttare la posizio­ne centrale nel Mediterraneo; in più, come altri Paesi ex colonie, quale l’India, potrebbe puntare sulla più recente tecnologia informatica, lasciando al Nord quella del secolo scorso, su cui ancora insiste (auto, frigoriferi...): il necessa­rio, la Sicilia ce l’ha in casa, perché alle porte di Catania c’è il più grande centro di ricerca informatica d’Italia.”

 
11-Beppe De Santis sulla Grecia:accordo con i creditori privati, recessione galoppante, fallimento soltanto rinviato


I creditori privati della Grecia hanno accettato di rinunciare a metà dei loro crediti.
L’ Unione  Europea presterà alla Grecia  i 130 Miliardi di euro promessi.
L’equilibrio dei mercati finanziari – di rapina- è salvo, per qualche tempo.
La recessione greca si fa galoppante: disoccupazione e povertà per la gran parte del popolo greco.
Il destino della Grecia coinvolge e coinvolgerà  il Portogallo, l’Irlanda. Poi, la Spagna, l’Italia e altri Paesi e territori.

La strategia cosiddetta di “risanamento” , imposta dall’establishment politico-finanziario europeo e mondiale, è errata, destabilizzate e letale.
Questa strategia distrugge ricchezza, diritti, democrazia e sovranità statale e monetaria.
Questa strategia è l’espressione del comando della finanza globale  speculativa. Comunque, subalterna al comando della finanza globale speculativa.
Occorre rovesciare, e distruggere questo paradigma, questo dominio. Al più presto.

Riconquistare la sovranità monetaria, statale e democratica.
Secondo l’impostazione neokeynesiana promossa dalla Modern Money Theory,di cui al recente summit di Rimini del 24-26 febbraio 2012.
Della quale , noi ,“Meridionalisti Italiani”, siamo convinti, attivi e primari sostenitori e promotori.

Tornando alle vicende di queste ore, che coinvolgono la Grecia,può essere utile leggere il seguente articolo dell’economista Mario Deaglio.
Pur all’interno del solito schema neoliberista, subalterno al comando della finanza globale speculativa, Deaglio pone in onesta evidenza il carattere non risolutivo e contraddittorio delle attuali politiche dell’establishment politico-finanziario.
Leggete.


La Stampa di venerdì 9 marzo 2012

Condannati alla povertà
di Deaglio Mario


Alla fine la finanza ce l'ha fatta. Alle otto di ieri sera, ora italiana, è arrivato l'annuncio ufficiale: i possessori privati di debito greco hanno detto sì alla proposta di accettare la perdita di oltre metà del loro denaro.

E’ stato così rinviato alle calende greche il rimborso del resto e i creditori si sono accontentati, per questo lungo periodo, di un tasso di interesse molto basso. Siccome l'adesione è stata volontaria - anche se certo non spontanea, viste le pressioni sui fondi e sulle banche che detenevano grandi quantità di titoli greci - la Grecia non è in fallimento; la valanga dei rimborsi sui Cds, i titoli-scommessa sul fallimento di Atene, ben più temibili del debito stesso, stimati in 1000-1500 miliardi di euro non si abbatterà quindi sulla finanza mondiale. A causa di questa valanga, alcuni grandi della finanza internazionale avrebbero potuto soccombere, ancora più facilmente della Grecia. L'equilibrio di fondo della finanza globale appare comunque salvo, per il momento; la testardaggine del cancelliere tedesco, temperata dai suoi partner italiani e francesi, consente ora a tutti di tirare un sospiro di sollievo.

L'indice Dow Jones - leggendario termometro dei capitalismo finanziario - può riprendere la marcia verso quota 13 mila, superata di un soffio prima di ricadere nei giorni scorsi, proprio per il pericolo di un cedimento dell'euro.

In questa situazione l'Italia incassa un bonus particolare: l'ormai famoso «spread», ossia la distanza tra i bassi rendimenti dei titoli decennali emessi dallo Stato tedesco e gli equivalenti emessi dallo Stato italiano, è sceso sotto il livello del 3 per cento. Siamo di nuovo un Paese rispettabile e l'estero non sembra dare gran peso al cicaleccio politico esploso improvvisamente due giorni fa, considerando- lo normale amministrazione. II che significa che lo Stato spenderà meno per ottenere il rifinanziamento dei debiti in scadenza nelle prossime settimane (e sperabilmente nel resto dell'anno).

E gli spagnoli, nostri «cattivi» cugini, che hanno apertamente sfidato l'Europa annunciando che nel 2012 non rispetteranno l'obiettivo di deficit a loro assegnato, hanno avuto la «punizione» che si meritano: per la prima volta da molti mesi il loro «spread» è (un po') più alto del nostro. Le distanze sono ristabilite, le normali gerarchie sono rispettate.
Di fronte a questo complicato e fragile ritorno alla normalità occorre evitare manifestazioni premature di giubilo.

E questo per tre motivi.
Il primo è che quello che abbiamo fatto alla Grecia trascende i confini dell'economia: premesso che i Greci sono stati dei grandi mentitori (ma l'Europa finanziaria per anni ha voluto credere alle loro menzogne senza darsi la pena di indagare) va denunciato che il resto d'Europa li sta trattando, per certi aspetti, peggio di come gli alleati della seconda guerra mondiale trattarono la Germania sconfitta. L'accordo che mette al riparo l'euro, condanna infatti la Grecia: tra il 2009 e il 2011 il prodotto lordo greco ha già subito una caduta del 10 per cento e scenderà ancora (secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale) almeno del 2 per cento nel 2012. La disoccupazione è raddoppiata, le retribuzioni dei pubblici dipendenti sono state decurtate del 20 per cento.

A fronte di questi enormi sacrifici, la Grecia non ha alcuna certezza che la cura funzioni. Può anzi trasformarsi in una trappola crudele: le imposte pagate da un'economia che si contrae in questa maniera si contraggono fortemente anch'esse e il sospirato pareggio di bilancio che sembra a portata di mano sfugge quando si crede di averlo afferrato. E' già successo con il primo tentativo di salvataggio della Grecia, potrebbe succedere di nuovo. Impedendole di dichiarare ufficialmente il fallimento, l'Europa sta costringendo la Grecia a dissanguarsi goccia a goccia senza una chiara possibilità di ripresa.

A questa tortura un giornale di Vienna ha dato il nome appropriato di «genocidio finanziario»: stiamo condannando quel Paese ad almeno 15 anni di relativa povertà.

Dalla parte dell'Unione Europea non tutto è tranquillo. Il presidente della Banca Centrale Europea (Bce) ha potuto ieri suonare il «cessato allarme» per l'euro e rallegrarsi pubblicamente per il superamento dell'ostacolo e il successo delle due recenti operazioni di finanziamento a tre anni, per complessivi mille miliardi di euro, che hanno fornito all'economia europea almeno una parte dell'ossigeno necessario per sopravvivere. La stessa Bce ha però ancora una volta tagliato le stime della crescita europea che ora oscilla tra -0,5 e 0,3 per cento, il che significa stagnazione. L'inflazione è prevista tra il 2,1 e il 2,7 per cento, in significativo aumento rispetto all'1,5-2,5 per cento di dicembre, soprattutto per l'aumento del prezzo del petrolio. Non è proprio un buon segnale.

Lo stesso Draghi, inoltre, ha dovuto difendersi dalle critiche dei «falchi» della Bundesbank, arrivate ai giornali grazie a un'insolita indiscrezione tedesca: dietro l'unità di facciata dei banchieri europei vi sono differenze profonde e molta incertezza. In questa prospettiva si colloca l'incerta situazione italiana; il rallegramento per i risultati raggiunti negli ultimi quattro mesi non deve far dimenticare che la strada che il Paese deve percorrere è lunghissima. Abbiamo scalato una collinetta, appena una piccola asperità che fa da anticima alla montagna del nostro debito, accumulato in una generazione. Stiamo andando di buon passo, ma la strada davanti a noi è ancora davvero molta.

 

Prot. 1952/2012/14



I 10 PUNTI DEL PROGETTO DEI “ MERIDIONALISTI ITALIANI”


BATTERE LA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA

1-LOTTA CONTRO IL DOMINIO DELLA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA, secondo la nota su  “La strategia generale del neomeridionalismo nell’epoca della finanza globale” ,battendosi sugli 8 punti ivi delineati ( messaggio di Beppe De Santis n. 3 del 29 febbraio 2012).


SOVRANITA’ MONETARIA, STATALE E DEMOCRATICA

2-“Stati Uniti d’Europa” subito, con conseguente ripristino delle tre sovranità statale, democratica e monetaria a livello europeo,o,ripristino – per legittima difesa -della sovranità nazionale d’Italia, con il ripristino della sovranità statale, della sovranità democratica e della sovranità monetaria attraverso il ritorno alla valuta nazionale, secondo l’approccio neokeynesiano della Modern Money Theory.


NEOMERIDIONALISMO

3-Incardinamento del progetto neomeridionalista all’interno della strategia globale dei due punti precedenti, promuovendo congiuntamente i 5 cardini del neomeridionalismo:coscienza storico-identitaria ( Pino Aprile) del Sud e dei meridionali, autonomia culturale, autonomia politica, autonomia costituzionale ( progetto Ruffolo), autonoma propulsione economico-sociale del Sud, secondo il Manifesto del neomeridionalismo del 2010 approvato negli Stati Generali dl Sud di Palermo ( 13-14 novembre 2010).


SVILUPPO sostenibile di qualità

4-Movimento per lo sviluppo locale-globale sostenibile,valorizzando e promuovendo tutte le forme di distrettualizzazione economica efficace e di sviluppo comprensoriale; valorizzazione delle risorse locali, in particolare, tradizionali e di qualità;a partire, dalla promozione dei turismi di qualità, dei prodotti agricoli e agroalimentari locali, del paesaggio e dell’ambiente, della cultura,delle identità locali-globali, del PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE; manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio del Sud e del Centro-Nord.


DEMOCRAZIA

5-Rpristino della democrazia in Italia, a partire dalla eliminazione dell’attuale obbrobriosa legge elettorale dei “ nominati”, e, attivazione di tutte le forme efficaci e moderne di  DEMOCRAZIA PARTECIPATA.



DECENTRAMENTO E AUTONOMIA

6-Massimo decentramento ,e, autonomia istituzionale e amministrativa,attivando i Consorzi o comprensori intercomunali, smantellando le Province, decentrando poteri e risorse statali e regionali ,a favore dei comuni  e delle loro aggregazioni comprensoriali.



LEGALITA’

7-Ripristino della LEGALITA’ REPUBBLICANA costituzionale  , a tutti i livelli; ripristino della legalità democratica. E, poiché la legalità repubblicana si regge sulla democrazia, e la democrazia si regge sulla buona politica e sull’esistenza di partiti democratici e popolari, una delle priorità strategiche consiste nella costruzione di nuovi partiti popolari e democratici, contro il modello dei cosiddetti partiti liquidi di opinione ( oligarchie) e dei partiti populisti e personalistici , che pullulano in Italia, a destra , al centro, a sinistra.



CULTURA

8-Investire  nella cultura , in scuola , formazione, università, ricerca e innovazione, cioè sul capitale umano e sociale. Investire nei talenti. Nel merito. La cultura è l’unica risorsa che può salvare l’Italia e il Sud.



NUOVE GENERAZIONI

9-Rimetter al centro della vita e del destino dell’Italia e del Sud le nuove generazioni maschili e femminili. Senza la mobilitazione della naturale forza biologica del Paese, non si va da nessuna parte. Oggi, quasi due intere generazioni sono fuori partita. Un orrore.



GRANDE MEDITERRANEO

10-La naturale area di agibilità geoeconomica e geopolitica del Sud e dell’Italia è rappresentata dal Mediterraneo.
Mediterraneo inteso in senso ampio:Paesi europei meridionali,Balcani,Medio Oriente, Turchia,Paesi arabi, Africa. IL NOSTRO DESTINO E’ IL GRANDE MEDITERRANEO.





Beppe  De Santis, Segretario  nazionale dei “Meridionalisti Italiani”

9 marzo 2012    
 
Beppe De Santis sulla lettera di Giuliano Amato, Romano Prodi e altri per la costruzione dell’Unione Europea politica-Messaggio n. 14  del 10 3 2012



Cari amici, leggete attentamente la  lettera , rivolta  ai capi di governo della Germania e dell’Italia e all’intera leadership europea,pubblicata dal “Corriere della Sera” del 10 marzo 2012.
La lettera è di autori autorevoli:ex premier ( Amato, Prodi), ex presidenti della Commissione Europea ( Prodi),intellettuali  e giornalisti di fama internazionale,euro-parlamentari famosi e brillanti euro-burocrati.

La lettera dice, in sostanza , tre cose:
1-L’operazione di risanamento e salvataggio finanziario- economico in corso in Europa, fino al cosiddetto   FISCAL COMPACT, è positiva, ma NON BASTA;
2-Tale operazione va approvata tempestivamente e in pompa magna;
3-Tutto questo non basta. Bisogna FARE L’EUROPA POLITICA: “Unione politica con un governo federale”, Dichiarazione di INTERDIPENDENZA dell’Unione Europea,approvare un nuovo Trattato dopo quello insufficiente di Lisbona,promozione di una CONVENZIONE COSTITUENTE  dell’Europa:l’intera opera è da svolgersi tra le elezioni europee del 2014  e la fase immediatamente successiva.

Insomma, a mio umile parere,le classi dirigenti europee e italiane sono con la canna di gas in gola.

Stritolati dentro una contraddizione devastante.
Da una parte,sostengono la politica di DOMINIO DELLA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA sul mondo.
Dall’altra parte, si rendono  conto che così non si può andare avanti.
Allora , intuiscono che bisognerebbe costruire gli STATI UNITI DI EUROPA, con il ripristino delle tre sovranità statale, democratica e monetaria.
Ma, alla fine, non sono in grado di formulare con forza, precisione e coraggio l’obiettivo, pur oscuramente percepito.
Soprattutto, non sono in grado di realizzarlo quell’obiettivo.
Restano gli auspici confusi e le lettere dei desideri.

E’ il tempo del nostro progetto e della nostra iniziativa.
Il progetto economico dibattuto nel summit di Rimini dell’MMT.
Il progetto politico dei “Meridionalisti Italiani”, approvato al congresso di fondazione di Rimini del 27 febbraio 2012, sintetizzato nei precedenti 12 messaggi pubblicati nel blog



Procediamo al ripristino della sovranità dello Stato italiano, al ripristino della sovranità popolare democratica, al ripristino della nostra sovranità monetaria.
Al ritorno, per autodifesa, alla valuta nazionale.







Corriere della sera  10 marzo 2012, pag. 60

Un’iniziativa di Italia e Germania per un sì veloce all’accordo europeo

Un nuovo passo in direzione della governance  economica europea è stato compiuto con la firma  del cosiddetto fiscal compact con un rafforzamento di ciò che era stato fatto negli scorsi mesi dalle istituzioni europee con il Six Pack e il Patto Euro Plus. La decisione finale è ora nelle mani dei parlamenti nazionali non solo per la ratifica del nuovo Trattato, ma anche per rispettare il dovere della cooperazione leale  nel raggiungimento dell’obiettivo della stabilità finanziaria nel quadro  e in conformità al primato del diritto dell’Unione.
Ma ciò non è certamente sufficiente.
Politiche per la crescita sostenibile  dovranno essere adottate per accompagnare l’austerità e la disciplina di bilancio. In questo quadro, dovranno essere rimosse  le restrizioni e gli ostacoli  per la libera circolazione e la concorrenza,rinunciando alla tentazione di forme di autodifesa protezionista. La lista di queste restrizioni  e di questi ostacoli è molto ben conosciuta .Per rimuoverla la Commissione  ha presentato da tempo proposte legislative  specifiche che giacciono davanti al Consiglio e al Parlamento europeo. Al fine di superare la crisi di fiducia  e per offrire ai cittadini dell’Unione una nuova prospettiva europea creando uno spazio pubblico di democrazia  e di solidarietà fondato sul principio federale dell’interdipendenza, noi proponiamo;
-Che i Parlamenti tedesco e italiano adottino una corsia preferenziale per ratificare nello stesso giorno  e prima del Consiglio europeo del 28-29 giugno il cosiddetto fiscal compact, accompagnando la legge di ratifica con l’approvazione di una comune dichiarazione politica per un nuovo passo in avanti  verso una forte Unione politica  con un governo federale, ispirandosi ad Alcide De Gasperi,Altiero Spinelli,Konrad Adenauer e Walter Hallstein e proponendo un metodo e un’agenda per realizzarla.
-Che un’avanguardia di Paesi membri dell’Unione europea sottoponga  al prossimo Consiglio europeo una Dichiarazione di  interdipendenza dell’Unione europea aprendo la strada ad un ampio dibattito sul futuro  dell’Europa in vista della riforma del Trattato di Lisbona.
Quattro anni dopo la sua firma , le debolezze del Trattato di Lisbona –chiaramente inadeguato per far fronte alla inaspettata crisi internazionale- sono evidenti  così come lo sono i costi della non-Europa.
L’ampio dibattito deve in primo luogo chiarire  la capacità di agire dell’Unione  in settori come lo sviluppo sostenibile,la politica energetica,l’immigrazione, la dimensione sociale con particolare  riferimento alla disoccupazione giovanile  e alla lotta alla povertà,la politica industriale,la cooperazione giudiziaria in campo penale,la politica estera e di sicurezza. In secondo luogo,l’eventuale trasferimento di competenze dagli Stati membri dell’Unione dovrebbe essere sostenuto dal trasferimento contemporaneo di risorse finanziarie  e di spese ad un bilancio federale. In terzo e ultimo luogo,si dovranno fare scelte di natura costituzionale per garantire un processo di decisione politica, economica e fiscale  allo stesso livello rafforzando la democrazia europea e l’efficacia del sistema istituzionale dell’Unione.
Noi proponiamo:
-che i capi di Stato e di Governo dell’Unione europea partecipino alla seduta plenaria del Parlamento europeo del 10 settembre 2012 celebrando il sessantesimo anniversario della prima Assemblea europea e chiedendo al Parlamento europeo di elaborare  un rapporto sulla riforma del Trattato di Lisbona  approvandolo in tempo utile prima delle elezioni europee del 2014.
-Che , sulla base di questo rapporto dei risultati dei dibattiti nei Paesi membri, una Convenzione costituente sia convocato dopo le elezioni europee ma prima della fine del 2014.
-Che la componente parlamentare della Convenzione  costituente sia formata  seguendo la stessa distribuzione dei seggi nel Parlamento europeo e che la decisione finale  all’interno di questa componente sia presa a maggioranza qualificata.
-Che una clausola di integrazione differenziata  sia scritta nel nuovo Trattato  dando tempo sufficiente ai Paesi recalcitranti o di unirsi ai Paesi decisi ad andare avanti o di recedere dall’Unione  usando il diritto previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Fra poco più di due anni, mezzo miliardo di cittadine e di cittadini andranno a votare per rinnovare il Parlamento europeo .Restituiamo loro il sogno di una società  europea solidale, giusta e democratica.

Appello firmato da

Giuliano Amato,Ulrich Beck,Emma Bonino, Elmar Brok,Rocco Cangelosi, Daniel Cohn-Bendit, Pier Virgilio Dastoli,Henrik Enderlein,Enrico Fava, Monica Frassoni, Franco Frattini,Thomas Jansen,Karl Lamers,Jo Leinen, Giacomo Marramao, Luisa Passerini,Ingolf Pernice, Hans-Gert Poettering,Romano prodi,Alberto Quadrio Curzio,Guido Rossi,Wilhelm Heinrich Schonfelder, Barbara Spinelli, Dieter Spori, Rainer Wieland.

 
N.15

UNA ARTICOLO BELLISSIMO SI SALVO FALLICA SUL GRANDE CAMILLERI

Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “ Meridionalisti Italiani”
11 marzo 2012

Si può dire di tutto e il contrario di tutto sul maestro Camilleri. Camilleri è Camilleri, Sciascia è Sciascia.  Ma,Camilleri  è letto e stimato da milioni di cittadini. La sua passione civile e democratica è straordinaria.
Indubbio è il suo contributo alla rivoluzione culturale e civile della Sicilia, del Sud e dell’intero Paese.
A suo modo, Camilleri è uno straordinario neomeridionalista.


L’artigiano della letteratura

«Il segreto del successo letterario? Francamente non lo conosco, e lascio volentieri ai critici e agli studiosi questo argomento». Andrea Camilleri si diverte a rispondere in questo modo alla classica domanda sulla quale si arrovella una parte del mondo giornalistico, accademico e intellettuale: qual è la vera causa di un successo narrativo e culturale senza precedenti nella storia italiana? La questione non è affatto semplice, il fenomeno Camilleri non riguarda solo la letteratura, ma anche la tv, il teatro, i nuovi media, insomma è una realtà multimediale. Un italiano di 86 anni, che giunge dalla grande tradizione verghiana-pirandelliana-brancatiana, è diventato un protagonista letterario e mediatico dell'era contemporanea. Al di là di come la si pensi sul suo stile, anche chi lo avversa non può fare a meno di riconoscere che il suo è un successo  di grandi proporzioni, che non ha confronti nel quadro della storia narrativa del Novecento italiano. Uno scrittore talmente popolare che un protagonista del mondo dello spettacolo quale Fiorello, lo imita, e la sua performance diventa un evento, decisamente cult.

Camilleri va capito anche come fenomeno sociale, attraverso lo scrittore di Porto Empedocle si possono leggere anche gusti e interessi cultural-sociali di una parte degli italiani. Camilleri non ama darsi delle arie, il suo rapporto con la letteratura è pieno di passione ma scevro dall'aura di sacralità. Si ritiene un artigiano della letteratura, anche se in realtà è un artista che ama farsi capire dal popolo. Il vero primo motivo del suo successo, che vale per tutti i campi nei quali si è misurato e continua a misurarsi, è che Camilleri ama raccontare delle storie. E lo fa con la passione del cantastorie. È un grande affabulatore, e il suo obiettivo è quello di affascinare il lettore-ascoltatore. Così come per i cantastorie della grande tradizione siculo-italica, non vi è racconto, non vi è "cunto", se non vi sono persone che stanno ad ascoltare.

Così, nel tempo, Camilleri ha costruito il suo pubblico, in una "piazza" che è quella della letteratura, della tv, del teatro. Camilleri ha anche il dono di raccontare le storie con una ironia intelligente e vivace, che conferisce dinamismo alle storie. Non è una fusione a freddo la sua costruzione letteraria, ha una anima, data dal suo compenetrarsi con la storia raccontata. Nel suo narrare vi è una voglia di comunicare, al centro della sua opera vi è democraticamente il lettore.

Il punto è che tutto questo non gli basta. Da raccontatore di storie, da uomo di teatro, vuol affascinare il suo lettore-ascoltatore, lo vuol far riflettere facendolo divertire. Sta qui il nodo dei suoi obiettivi programmatici, che non ha bisogno di esporre in una articolata poetica, perché fanno parte della sua storia, della sua visione culturale, delle sue esperienze professionali, della sua antropologia. Il suo sperimentalismo è una parte della sua essenza vitale. Scrivere solo di Montalbano lo annoia, confrontarsi con altri generi letterari lo gratifica, gli conferisce energia intellettuale. Del resto perché un uomo a 86 anni dovrebbe fermarsi, perché non dovrebbe sperimentare ancora? La sua pluralità di espressione culturale è uno sperimentare la vita, con la fantasia letteraria, con la fluidità della scrittura, con l'amore per la pagina scritta. Nell'ironia camilleriana vi è la chiave di lettura della sua opera cultural-letteraria, è lo strumento di interpretazione della realtà, vi è la concezione filosofica con la quale capire e comprendere con disincanto il mondo che ci circonda. È alla ricerca della verità, senza alcun dogmatismo.
Ma tralasciando l'epistemologia, la sua bussola etica è forte, e non a caso il suo credere nei valori morali della democrazia, del l'onestà, della cultura delle regole, lo ha fatto diventare un paladino
della battaglia etica e di legalità di Confindustria Sicilia. Alle scaturigini del rinascimento etico-culturale lanciato da Antonello Montante e Ivan Lo Bello, e sostenuto con vigore dal presidente Emma Marcegaglia, vi è anche l'ispirazione camilleriana. Oggi, probabilmente, anche Leonardo Sciascia concorderebbe con Camilleri, «quella in atto è una rivoluzione culturale». E la Sicilia non è affatto irredimibile, ma è, per una volta, un modello di cambiamento positivo.
 
N. 17 Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani” sugli effetti di demolizione dei valori morali, culturali e democratici della tradizione occidentale indotti dall’attuale dominio della finanza globale speculativa
11 MARZO 2012

Il valoroso giurista economico Guido Rossi lancia un allarme estremo:
LA DEMOLIZIONE DELLA BASI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE INDOTTA DALL’ATTUALE CAPITALISMO FINANZIARIO ANTIDEMOCRATICO E ANTILIBERALE.

La democrazia del profitto e il valore della Bellezza di Guido Rossi
Il Sole 24 Ore, 11 marzo 2012-03-11

La più grande ristrutturazione storica del debito statale è avvenuta in Grecia in una situazione ancora non del tutto chiara. Il cosiddetto salvataggio, che non elimina tuttavia le dichiarazioni di default, è stato condotto con lo scopo dichiarato di tutelare, nei limiti del possibile, i creditori ben più che i cittadini greci.
Creditori che, anche attraverso la speculazione ampiamente adottata con le assicurazioni stipulate sul default greco,mediante quei singolari derivati chiamati credit default swaps per il momento, pur nei tagli all’ammontare dei crediti,hanno goduto di una sorta di sgangherata par conditio creditorum.
E questa, ai danni di una cittadinanza, in pericolo di caduta oltre che economica, di democrazia.
Questa operazione, creata dalle derive del capitalismo finanziario globale, è ben diversa dalla impostazione ideologica e culturale adottata dal presidente Roosevelt con il New Deal, che aveva in precedenza indicato come principio fondamentale per risolvere la crisi della grande depressione, progetti che venissero dal basso e non dall’alto. e che prestassero «fiducia una volta di più nell’uomo dimenticato fondo alla piramide economica».
Le politiche di austerity prima, e di vaga quanto incerta crescita poi, costituiscono da  tempo in Occidente uno "stato di eccezione", con grave pericolo della democrazia e dei diritti dell’uomo storico, ripresi nella Dichiarazione del 1948 e frutto della profonda cultura europea.
The forgotten man, cioè l’uomo dimenticato, è sempre più dimenticato in ragione anche di una crescita basata soltanto ed esclusivamente sulle quantità del Pil, il quale può sì avere un suo riflesso nel rapporto tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri, ma all’interno del singolo Paese, ricco o povero che sia, il Pil non conta più , se non in rapporto al benessere e al profilo soggettivo della ricchezza individuale,per cui  quella dell’uno non da la stessa felicità che l’identica ricchezza da all’altro.


Globalizzazione, Pil, crescita esclusivamente economica, spinta all'educazione alle sole culture tecnologiche o scientifiche, ma con scarso pensiero critico, sono state recentemente bollate e aspramente criticate da Martha C. Nussbaum, anche nell'articolo apparso sull'ultimo numero della rivista Il Mulino dal titolo "Educare per il profitto o per la libertà?". Conclude significativamente la Nussbaum che "produrre crescita economica non significa produrre democrazia, né garantire una popolazione sana, occupata, istruita".

La creazione di élite competenti in tecnologie e affari ha sottovalutato l'importanza di educare alle scienze umane e alle arti per evitare l'ottusità morale che, eliminando i valori creati dalle scienze umane, ha soppresso uno degli aspetti principali della democrazia, quello della partecipazione critica dei cittadini alle scelte politiche. È così che l'"uomo dimenticato" si allontana sempre più dalla politica costellata di luoghi comuni e di interessi lobbystici, con governanti che impongono modelli e schemi di attività sociali, con presunzione e arroganza ora vergognosamente scandalosa, ora sobria, ma sempre aliena dal considerare al centro della democrazia the forgotten man.

Eppure le disuguaglianze sempre più gravi create dalla cultura dell'economia finanziaria invece che dalla cultura delle scienze umane, delle arti (non del mercato dell'arte) e del pensiero critico, non vengono rimosse secondo una ricetta che già in altri momenti di crisi avevano convinto dei grandi illuministi come Condorcet. Questi era del parere che, per risolvere le ineguaglianze create dalla libertà dei commerci, fosse necessario garantire la parità di istruzione dei cittadini. Egli stesso, poi, fin da allora, sottolineava che è la ricchezza che domina la politica e che dunque la politica in realtà è appannaggio dei ricchi.

L'invito di Martha Nussbaum a investire oltre che nelle competenze tecniche e scientifiche anche, e ora soprattutto, in quelle umanistiche e artistiche, che potrebbero sparire perché non producono profitto, rimane inascoltato.
Ciò comporta il rischio di soffocare, nella mancata coscienza dei diritti umani e di quelli dei cittadini a scegliersi liberamente il loro governo, anche la grande tradizione della democrazia europea e dei diritti umani che fanno parte della sua storia.

Cioè quei diritti sociali dell'uomo storico europeo alla salute, alla dignità del lavoro e all'abitazione, all'uguaglianza dei punti di partenza, insomma a tutto il processo di welfare che finora ha in qualche modo fatto sì che nei Paesi europei la pur dilagante povertà sia meno grave che altrove.
Risultano allora inquietanti le dichiarazioni di chi è ai vertici delle istituzioni europee, che hanno accompagnato la crisi e che pretenderebbero ora di risolverla, che il welfare europeo è finito.

Non è invece tempo di investire nella democrazia, nel pensiero critico e nella cultura della bellezza delle arti, grande patrimonio europeo e in modo particolare italiano? Sarà forse questa una strada per riproporre all'uomo dimenticato che anche la Bellezza, come nei miti dell'antica Grecia, produce ordine e giustizia, cioè elimina le disuguaglianze. La giustizia di Afrodite nella ricostruzione del mito greco fatta da James Hillman può essere un viatico da non trascurare poiché, come egli conclude, "quando Lei trionfa in tutta la sua sublimità, allora la sconfinata confusa chiarezza del cosmo stesso è in perfetto ordine, e anche la giustizia trionfa".
 
 
18-N Messaggi dei “Meridionalisti Italiani” Beppe De Santis  dal 12 marzo 2012

PRESIDENZA/SEGRETERIA 
                                        NAZIONALE
-Via degli Uffici del Vicario, n. 36, Roma
-Via Mariano Stabile, n. 229,Palermo
-Via G. Rulli, n.7 Vasto (CH)
-Tel. 329-1011815     339-6288704 


N. 18 Beppe De Santis, Segretario, nazionale dei “Meridionalisti Italiani”sulla crisi del tradizionale  PARADIGMA EUROPEISTA (da Habermas)
12 marzo 2012

Leggete attentamente il seguente intervento di Jurgen Habermas.Uno dei più prestigiosi filoni contemporanei. Propugnatore appassionata del ruolo e della centralità delle opinioni pubbliche informate e consapevoli nella tenuta della democrazia. In sintesi, le tesi dell’autore.

1-L’integrazione degli Stati europei non deve essere scissa dalla contemporanea integrazione democratica dei cittadini europei. Altrimenti, si consolida il dominio devastante di “questi” marcati finanziati governati dalla finanza globale speculativa.
2.E’ sommamente errato scindere l’azione di risanamento d finanziario e debitorio dalla politica per lo SVILUPPO. Altrimenti, la deriva recessiva travolgerà tutti.
3.L’Europa, oltre le politiche  di risanamento, deve dotarsi di una vera potestà di governance democratica.
4.La politica tedesca della Merkel è sbagliata, contraddittoria , pericolosa, tutta schiacciata sul rigorismo, egoista, arrogante nei confronti degli altri parteners.
5.Gli Stati nazionali NON DEVONO DISSOLVERSI IN UNO STATO FEDERALE D’EUROPA: il contrario dell’auspicio contenuti nell’appello di qualche giorno fa , firmato , tra gli altri ,da Giuliano amato e Romano Prodi, di cui abbiamo fatto cenno nella nostra nota n.14.

Insomma, Habermas vuole  “Più Europa” democratica e veramente legittimata  democraticamente;
ma, soltanto, attraverso l’integrazione “democratica” degli Stati europei e non una vero governo europeo federale, né tanto meno gli STATI UNITI D’EUROPA;
con i singoli Stati che restano il baluardo della democrazia fondamentale.

Ma, ciò che Hamermas auspica è esattamente l’Europa reale, sotto i nostri occhi.

IL PARADIGMA E’ QUELLO DELL’ATTUALE EUROPA INTERGOVERNATIVA, A-DEMOCARTICA, SCHIACCIATA DALLA FINANZA GLOBALE SPECULATIVA.
Sono anni e anni che reiteriamo stancamente l’auspicio, che Habermas aupica ancora una volta.
In questa contraddizione stiamo morendo.
Non si possono avere, insieme, la botte piena e la moglie ubriaca.

Allora ,delle due l’una: o si fanno presto e bene gli Stati Uniti d’Europa,una vera sovranità statale europea, con una banca statale europea sovrana,almeno come la Federal Reserve americana ,e, con una moneta veramente sovrana,
o si DEVONO RIPRISTINARE LE TRE CLASSICHE SOVRANITA’ DEGLI STATI NAZIONALI: sovranità statale, sovranità democratica popolare, sovranità monetaria , con il ritorno alla valuta nazionale.
Secondo lo schema rilanciato prepotentemente dal movimento neokeynesiamo mondiale,e, in particolare dall’approccio della Modern Money Theory, di cui al recente summit di Rimini e che abbiamo abbondantemente evocato nelle nostre precedenti note.




L'EUROPA DEI CITTADINI PIÙ DEMOCRAZIA, MENO MERCATI FINANZIARI
di JÜRGEN HABERMAS - la Repubblica
Lunedì 12 Marzo 2012 10:09 -
Il filosofo tedesco contro le politiche di Angela Merkel. Tiepide
verso una maggiore integrazione. Arroganti con i popoli. Succubi
degli speculatori

Nel processo dell'integrazione europea vanno distinti due piani.
L'integrazione degli stati affronta il problema di come ripartire competenze tra l'Unione da un lato e gli stati membri dall'altra. Questa integrazione riguarda dunque l'ampliamento di potere delle istituzioni europee.

Invece l'integrazione dei cittadini riguarda la qualità democratica di questo crescente potere,
ossia la misura in cui i cittadini possono partecipare a decidere i problemi dell'Europa.

Per la prima volta dall'istituzione del Parlamento europeo, il cosiddetto «fiscal compact» che si sta varando in queste settimane (per una parte dell'Unione) serve a far crescere l'integrazione statale senza una corrispondente crescita dell'integrazione civica dei cittadini.

(...) La tesi che vorrei difendere in questa sede è presto detta. Solo una discussione democratica che affronti a trecentosessanta gradi il futuro comune della nostra cittadinanza europea potrebbe produrre decisioni politicamente credibili, capaci cioè di imporsi ai mercati finanziari e agli speculatori che puntano sulla bancarotta degli stati. (...)

 Finora, pur cercando di armonizzare accortamente (quanto meno nell'eurozona) le loro politiche fiscali ed economiche, gli stati membri non sono andati al di là di retoriche proclamazioni. L'integrazione degli stati diventerà credibile solo quando potrà appoggiarsi a una integrazione dei cittadini in cui si manifestino maggioranze dichiaratamente pro-europee.

In caso contrario, la politica non riguadagnerà più la sua autonomia di contro alle agenzie di rating, grandi banche ed hedgefounds. (...) Dal mio punto di vista, sul piano della politica europea, il governo tedesco sta facendo poche cose giuste e molte cose sbagliate. Lo slogan Più Europa è la risposta giusta a una crisi dovuta a un difetto di costruzione della comunità monetaria. La politica non riesce più a compensare gli squilibri economici che ne sono nati.

Sul lungo periodo, il riassetto dei divergenti sviluppi economico-nazionali è realizzabile solo in termini di collaborazione, nel quadro di una responsabilità democraticamente organizzata e condivisa, capace di legittimare anche un certo grado di redistribuzione che oltrepassi le frontiere nazionali.

Da questo punto di vista, il «fiscal compact» è certamente un passo nella direzione giusta. Fin
dalla sua definizione ufficiale - trattato «per la stabilità, l'armonizzazione e la governance» - si
vede come questo patto sia costituito da due diversi elementi. Esso obbliga i governi per un
verso a rispettare le discipline di bilancio nazionali, per l'altro verso a istituzionalizzare una
governance di politica economica avente per obbiettivo di eliminare gli scompensi economici
(quanto meno nell'eurozona).
Come mai però Angela Merkel festeggia solo la prima parte del patto, quella mirante a
penalizzare le infrazioni di bilancio, mentre non spende una parola sulla seconda parte, mirante a una concertazione politica della governance economica? (...) Il governo tedesco, pur
riconoscendo a parole il bisogno di una integrazione ulteriore, di fatto contribuisce a lasciar
marcire la crisi. A questo riguardo mi limito a quattro brevi considerazioni.

 In primo luogo non occorre farla lunga, in termini di politica economica, per capire che una unilaterale politica restrittiva, come quella caldeggiata nella Ue dal governo tedesco, spinge nella deflazione i paesi più sofferenti. Ove non si integrino le politiche restrittive con politiche di sviluppo, la pace sociale delle nazioni poste sotto tutela finirà per essere disturbata non soltanto dai pacifici e ordinati cortei dei sindacati.

In secondo luogo, la politica restrittiva risponde all'idea sbagliata secondo cui tutto si risolverà nel momento in cui gli stati membri sapranno accettare questo nuovo patto di stabilità e crescita. Di qui la fissazione di Angela Merkel nel voler imporre sanzioni: una postura minacciosa assolutamente superflua nel momento in cui si riuscissea inserire nella legislazione ordinaria della Ue una governance economica condivisa. Continua invece a imperversare l'idea per cui basterebbe istituire una «giusta» costituzione economica - dunque «regole» sovratemporali - per risparmiarci le fatiche di una concertazione politico-economica nonché i costi derivanti da una legittimazione democratica dei programmi di redistribuzione.

In terzo luogo, Merkel e Sarkozy operano sostanzialmente sul piano di una politica
intergovernativa, mirando a spingere avanti, senza troppo rumore, l'integrazione degli stati e
non quella dei cittadini. I capi di governo dei 17 paesi rappresentati nel Consiglio dei ministri
dovrebbero tenere in pugno il bastone di comando. Sennonché, una volta dotati delle
competenze di governance economica, essi svuoterebbero la sovranità economica dei
parlamenti nazionali. La conseguenza sarebbe un rafforzamento postdemocratico degli
esecutivi dalle conseguenze imprevedibili. Allora, l'inevitabile protesta dei parlamenti spodestati avrebbe almeno il vantaggio di portare in luce quel deficit di legittimazione che solo una riforma democratica degli organi di governo comunitari potrà colmare.

In quarto luogo, le parole d'ordine del governo tedesco in fatto di bilancio suscitano all'estero il sospetto che la Germania federale persegua mire nazionalistiche. «Nessuna solidarietà, se prima non si garantisce stabilità». La proposta lanciata da Berlino di mandare un commissario plenipotenziario ad Atene - dove già ci sono, con analoghe funzioni di controllo, tre commissari appena giunti dalla Germania- dimostra un'incredibile insensibilità nei confronti di un paese in cui non si è ancora spento il ricordo delle efferatezze compiute dalle Ss e dalla Wehrmacht. Helmut Schmidt, in un appassionato discorso, ha deplorato che il governo attuale stia dilapidando il prezioso capitale di fiducia che la Germania si era guadagnata presso i vicini nel corso degli ultimi cinquant'anni.

L'impressione generale - che si ricava da questa sciocca arroganza, per un verso, e dalla
troppo timida risposta al ricatto dei mercati finanziari, per l'altro - è che la politica europea non abbia ancora raggiunto il livello di una vera «politica interna». (...) Queste prudenze non sono neppure giustificabili dal vecchio argomento secondo cui l'integrazione è destinata a fallire per mancanza di un popolo europeo e di una sfera pubblica europea. Nelle idee di «nazione»e di «popolo» avevamo a che fare con fantastici soggetti omogenei: ideali che solo nel corso dell'Ottocento, canalizzati dalle scuole pubbliche e dai mass media, si erano impadroniti dell'immaginario popolare. Sennonché le catastrofi del ventesimo secolo non hanno lasciato indenni le ideologie storiografiche dei vari nazionalismi. Oggi l'Europa deve fare i conti non tanto con popoli illusoriamente omogenei, quanto piuttosto con stati-nazione concreti, con una pluralità di lingue e di sfere pubbliche.

Pur associandosi sempre più strettamente sul piano europeo, gli stati nazionali conservano funzioni specifiche. Essi non devono affatto dissolversi in uno stato federale d'Europa, ma conservare un ruolo di garanzia per i livelli di democrazia e di libertà fortunatamente già raggiunti. Ciascuno di noi unisce in petto due ruoli: quello di cittadino del proprio stato e quello di cittadino dell'Unione. E nella misura in cui i cittadini dell'Unione capiranno quanto profondamente le decisioni europee modificano la loro vita, tanto più si sentiranno coinvolti in una politica europea che può anche chiedere di spartire sacrifici. (...) Si dice che la repubblica di Weimar sia fallita perché i suoi difensori democratici erano troppo pochi. Fallirà l'Unione europea per i troppi sostenitori troppo tiepidi?







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