venerdì 13 gennaio 2012

BEPPE DE SANTIS BIOGRAFIA 1

BEPPE DE SANTIS-NOTE BIOGRAFICHE-BRANI LIBRI E INTERVENTI ANNI 70-80-90-2000-parte 1

CATTOLICI DI SINISTRA E PCI -1973
Introduzione


Questo opuscolo è nato per raccogliere un minimo di documentazione relativa al « PROCESSO DI ADESIONE AL PCI, PROMOSSO DA SETTORI DELL'EX MPL, DA SETTORI DEL DISSENSO CATTOLICO, DA GRUPPI GIOVANILI DI BASE ».
La sua struttura è informale dal punto di vista tecnico e contenutistico proprio perché vuole dare il senso reale della iniziativa politica di cui è espressione. . ,
Si tratta di un processo APERTO, IN SVILUPPO, estremamente articolato, seppur UNITARIO, con una serie di soggetti diversificati per storia e per cultura, ma uniti dalla medesima matrice cristiana e dall'orientamento politico di adesione al PCI.
L'opuscolo ha due pretese:
-essere strumento di orientamento e di dibattito tra i promotori della iniziativa politica;
- rilanciare il dibattito sulla questione politica dei cattolici all'interno del. cosiddetto «dissenso cattolico» e nel PCI.
Esso può essere diviso in quattro parti.
La prima parte raccoglie alcuni degli ultimi articoli apparsi sulla stampa, relativi al processo politico di adesione al PCI. Il primo articolo (<< Cattolici che scelgono il PCI») sintetizza in parte i motivi politici della scelta comunista. Il secondo (<< Adesioni di cattolici al [I(:r ») è un comunicato dell'Esecutivo del Movimento e offre qualche il/r/i(,flzi01U: ,di tipo organizzativo. Il terzo (<< Perché entriamo nel PC!») fa riferimento ad una pubblica assemblea, tenutasi a Parma, sul tema “Cattolici e Comunisti per il rinnovamento democratico e socialista del paese”, e offre spunti per una ricostruzione storica del travaglio di una parte del mondo cattolico approdato in questi anni} a scelte di classe.
I due articoli seguenti (<<Nel PCI i militanti del MPL del Molise ») «Adesione al PCI di giovani dell’ ex MP L nel Leccese») delineano chiaramente una componente fondamentale dell'iniziativa: I GIOVANI.
Uno stimolo quindi per la FGCI ad approfondire il dibattito e l'iniziativa pratica tra i giovani cattolici che si trovano a vivere in una DUPLICE CRISI: quella dello studio e del lavoro tipica di tutta la gioventù e quella della loro fede cristiana.
La prima parte è conclusa da due paragrafi del rapporto del compagno Berlinguer all’ultimo Comitato Centrale del PCI (<< Liquidare le pregiudiziali anticomuniste ») «Debolezza e pericolosità del governo Andreotti ») che a noi pare} tocchino chiaramente le due motivazioni fondamentali della nostra scelta politica e} di fatto} fanno riferimento alla nostra iniziativa politica.
La seconda parte è costituita dalla « Proposta di documento politico » cosi articolata:
1 ) Una brevissima cronistoria dei dati politici dai quali è scaturita l'iniziativa politica;
2) Il carattere APERTO IN SVOLGIMENTO;
3) Le forze pro motrici e la loro articolazione;
4) L'impostazione teorica del rapporto tra movimento cattolico e movimento comunista alla luce del Xl Congresso del PCI; analisi di alcuni aspetti del PCI
5) Alcune motivazioni politiche e -ideologiche della scelta (affermazione della strategia complessiva del PCI; critica alle ipotesi di traghetto; lotta contro l'anticomunismo; lotta contro la logica del centro-sinistra; rilancio nel PCI del dibattito e dell'iniziativa sulla questione cattolica; negazione della svolta a destra; riproposizione al centro della lotta politica della «Questione comunista »; analisi piu precisa della D.C.; giustezza della linea del PCI sull’unità strategica delle masse cattoliche) socialiste e comuniste; recupero dei militanti ex-MPL dispersi; accentuazione in settori del «dissenso cattolico» del confronto col PCI; questione giovanile e questione cattolica; assemblee elettive locali e la nostra iniziativa; apporto creativo di settori del «dissenso cattolico»);
6) Alcune indicazioni operative,

La terza parte è costituita dal saggio di Attilio Monasta (su “Testimonianze”, sett-ott 1972, pag. 598-627) “Qualificazione politica del dissenso cattolico”.
Questo saggio rappresenta una tappa decisiva raggiunta dal «dissenso cattolico» sul terreno del confronto politico e meriterebbe molto più spazio nel dibattito politico nel 1973. L'apporto più significativo è stato raccolto nel paragrafo 11 relativo al possibile contributo creativo che settori del dissenso potrebbero offrire a tutta la strategia alla sinistra.
L'ultima parte è costituita da un capitolo del recente libro di Peppino Orlando «La comunità di Oregina: evangelo e marxismo nel dissenso cattolico »} (ed. CLAUDIANA) pagg. 113-135). Il suo valore sta nella serenità con la quale affronta l'analisi storica del PCI} la critica serrata all’ anticlericalismo di tipo borghese e all’estremismo inconcludente che a volte serpeggia in frange del «dissenso»
In fondo tutto il libro fa perno su questo capitolo} dedicato al PCI} in uno sforzo ammirevole di offrire CHIARI motivi politici e ideologici al confronto privilegiato e all’adesione al PCI.

ROMA, 12 febbraio 1973
a cura dell'Esecutivo cl o Red. «Nuova Generazione » via della Vite 13, 00187 - ROMA
telefono (06)6795257

Provenienti dall'ex-MPL
Adesioni di cattolici al P C I
Interessante processo unitario avviato al « coordinamento» di Roma
l'Unità - martedì 6 febbraio 1973

Nei giorni scorsi, nei locali della Casa della Cultura di Roma, si è tenuto il primo coordinamento nazionale di un settore dell'ex-MPL, di rappresentanti di settori del «dissenso cattolico », di forze giovanili per promuovere un processo di adesione al Partito comunista italiano.
Si è trattato di una prima tappa decisiva, organizzativa e politica di una serie di forze emerse negli ultimi mesi.
Dal disciolto MPL è emersa una componente significativa (MPL di Parma, del Molise, di Ferrara, di Lecce; gruppi consistenti di Roma, Liguria, Novara, Sicilia, Modena) che, rifiutando, con una lenta maturazione, le indicazioni di sbocco espresse l'estate scorsa, ha promosso un processo di coordinamento per l'adesione al Partito comunista,
Questo processo è valido, non tanto per se stesso, ma perché va collegato ad un orientamento che è maturato, nel 1972, in settori del «dissenso cattolico»: la necessità di un confronto stretto con le sedi storiche del movimento operaio, e soprattutto, col 'PCT, suo polo centrale.
Il dibattito è stato ampio e appassionato,
L’iniziativa politica contribuisce alla lotta contro l’interclassismo cattolico, nel momento in cui offre un contributo concreto al superamento dei falsi steccati ideologici, a battere l’anticomunismo, annidato, appunto, in certi settori dl mondo cattolico componente del movimento operaio il compito di dialogare ed incontrarsi col mondo cattolico.
Si oppone all'attuale tendenza politica, rappresentata dal governo Andreotti, in quanto nega la disponibilità di vasti settori del mondo cattolico al radicarsi dell'operazione di centro-destra, basata, appunto, sull'-isolamento del PCI, sull'anticomunismo come ideologia di stato,
Il carattere di fondo del processo sta nella sua nascita spontanea, quasi naturale, e, nella sua ampia prospettiva, che tende ad aprire una fuse più avanzata nel rapporto tra movimento cattolico e movimento comunista,
L'assemblea ha programmato una serie di conferenze-dibattito provinciali e regionali che avranno sbocco in una conferenza dibattito nazionale.
Tale processo offre motivi concreti per rilanciare in tutto il partito il dibattito e la iniziativa sul terreno della questione cattolica.

Considerato il fallimento delle ipotesi di strumenti intermedi di «traghetto », e il progressivo esaurirsi di concezioni intimistiche e comunitarie dell'impegno politico di classe, l'assemblea ha ribadito che quello deJ11interclassismo è un problema di tutto il movimento operaio.
Vari interventi hanno sottolineato la convergenza di due fenomeni di adesione al Partito comunista: quella di massa sempre più vaste di giovani e quella di settori del “dissenso cattolico”.
In questo ambito originale è la crisi dei giovani cattolici, che investe i problemi del lavoro e della scuola, ma anche della loro fede cristiana.
Tutto ciò come ulteriore conferma della giustezza di una linea politica unitaria, già prefigurata nell’analisi politica gramsciana, portata avanti dal PCI  con tenacia, che persegue la unità strategica delle masse cattoliche, socialiste e comuniste per l’edificazione di una società superiore.

Perché un gruppo organizzato entra nel Partito
Cattolici che hanno scelto il P C I
Una lettera al giornale. «Rimanere fedeli alla nostra ,giovane ,tradizione di ,lotta contro l'interclassismo significa dare un contributo concreto per battere 1'anticomunismo »

Caro direttore,
continuare la lotta contro l'interc1asssismo cattolico per noi exMPL (Movimento politico dei lavoratori) o provenienti dal « dissenso cattolico» significa innanzi tutto contribuire, con un atto chiaro e concreto, a battere la svolta a destra nel nostro paese,
La scelta che una parte del disciolto MPL e settori del dissenso cattolico» si apprestano a fare, di confluenza nel BCI, riveste un grande significato in generale e nell'attuale momento politico,
I fatti sono maturati, un po' nell'ombra, nel corso del 1972,
Da una parte si è calato il sipario sulla storia del MPL troppo in fretta; dall' altra non si sono colti con la dovuta attenzione orientamenti che faticosamente, ma in modo chiaro, si fanno strada in quel complesso movimento 'che, per comodità, usiamo definire del dissenso cattolico.
Nel «dissenso cattolico» emerge infatti un orientamento di attenzione, di confronto stretto, di adesione alle sedi storiche del Movimento operaio e al PCI. Dal MPL, a sua volta, è sorto un gruppo che sta confluendo nel PCI. E' proprio di questi giorni la creazione di una segreteria nazionale organizzativa, Il gruppo comprende l'MPL del Molise, di Parma, di Ferrara e nuclei di aderenti di Novara, Roma, Lecce, Genova, Abruzzi; e altri che si formano in questi giorni.
Questa iniziativa politica è sorta spontaneamente, e in modo quasi naturale, E' maturata con calma nei mesi scorsi, senza nascere da una mozione e da un appello di vertice, E' valida perché collegata ad orientamenti che vanno maturando nel «dissenso» cattolico, E' valida perché riguarda molti giovani cattolici che vivono contemporaneamente le contraddizioni del lavoro e dello studio, e della loro fede cristiana; perché è una iniziativa aperta e dà inizio a una fase certamente più avanzata nei rapporti tra movimento cattolico e movimento comunista,
L'esperienza degli ultimi anni ha chiaramente dimostrato che il problema dell'intevc1as,sismo cattolico è un problema di tutto il movimento operaio e non può trovare soluzione  strumenti intermedi di «traghetto », ma facendo i conti con le sedi storiche della lotta politica delle masse popolari e soprattutto col PCI. Questo gruppo « organizzato» di cattolici confluente nel PCI, andrà ad affiancarsi a milioni di lavoratori cristiani che da anni già militano nel partito,
D'altronde le recenti confluenze dei socialisti del MSA e del PSIUP e, oggi, dei cattolici del MPL e di settori del «dissenso cattolico» significano che la strategia del PCI si è venuta affermando nelle diverse componenti politiche ed ideali presenti nel movimento dei lavoratori come più alto momento di unità delle masse popolari laiche e cattoliche, comuniste e socialiste,
La nostra adesione è un altri frutto di quella strategia lungamente e tenacemente perseguita dal PCI, già prefigurata nella elaborazione gramsciana: l'unità delle masse cattoliche, socialiste e comuniste per edificare una società superiore.

Del resto il XIII Congresso del Partito comunista ha riproposto il tema dello storico incontro delle tre componenti come base per la svolta democratica.
Peppino De Santis

I militanti dell'ex MPL di Parma
«Perchè entriamo nel P C I»
L'approdo di un non facile processo di acquisizione critica
l'Unità - lunedì 22 gennaio 1973

Tra gli stucchi e le dorature del Ridotto del « Regio» di Parma, giorni or sono, alla presenza di centinaia di giovaaJ1li e ragazze, di preti-operai e cattolici del movimento «7 Novembre », di aclisti ed esponenti della corrente di «Forze nuove» della DC, di comunisti, di socialisti e, perfino della squadra «politica» della questura (mandati! a cercare fantomatiche bombe telefonicamente preannunciate dall'idiota di turno), il gruppo di maggioranza dell'ex Movimento politico dei lavoratori del Parmense e della Bassa reggiana - guidato da Luciano Mazzoni, ex cordinaatore provinciale - ha testimoniato i motivi ideali e politici per i quali ha aderito, in blocco al PCI.

RAMMARICO DELLA CURIA

Sui muri della città, i manifesti: «Perché entriamo nel PCI ».Essi sintetizzavano le ragioni già apparse sul mensile «Parma contro »: «La tenuta del bracco moderato e interclassista di fronte alle modificazioni e ai processi prodottisi nella società italiana pone dei seri problemi a tutta la strategia della sinistra e ribadisce in modo definitivo il fallimento dell'ipotesi del "traghetto" o di un secondo partito cattolico ... La situazione politica e sindacale attuale esige il massimo di unità e di compattezza del movimento operaio attorno a una unica prospettiva strategica .... L'esperienza degli ultimi anni ha dimostrato come le moltéplici iniziative sviluppatesi sull' onda dell'« autunno caldo» rischino di frantumarsi e di disperdere un notevole potenziale di militanza e di lotta qualora sia assente una effettiva direzione politica che le coordini, le controlli, le generalizzi. E questa risposta, che andiamo anche noi sperimentando localmente attraverso un rapporto creativo, e originale, non può che venire dal PCI e dal suo sforzo - che peraltro incontra difficoltà oggettive - di realizzare la sintesi necessaria di spontaneità e di direzione. In questa luce lo stesso centralismo democratico diviene un centralismo in movimento, una continua adeguazione al movimento reale ... ».
E, di' contro, una replica di «Vita nuova» - periodico della Curia - in mi un indispettito rammarico non riusciva a celare il disagio: «La dispersione di forze giovanili generose e sincere induce a riflettere sulle responsabilità che ci derivano da ciò che non è stato fatto ».
Non, dunque, un meccanico fatto di proselismo. L'assemblea del «Regio» ci appariva, piuttosto, il traguardo toccato da un non facile processo di acquisizione critica, l'approdo razionale, di un lungo, cammino percorso con onestà di intenti nel «partito nuovo» di Togliatti che, superate le lacerazioni di Livorno e le secche deterministiche, dogmatiche e corporative, fonda la sua strategia, autenticamente nazionale, sui pilastri dell'antifascismo, dell'unità opeeraia, della quetsione meridionale e di quella cosiddetta «romana ». ,
E i giovani compagni dell'ex MPL
Anche per questa la vicenda di Parma è un passo innanzi chiarificatore. Lungi dal contestare la validità di un processo, vivo e multiforme a livelli diversi, tuttora in atto in quello che sommariamente definiamo «mondo cattolico» dai, confini spesso imprecisi, esso lo arricchisce di una esperienza costruttiva anche se non esclusiva; processo che attraversa una fase delicata di ricerca e di meditazione sui cocci di illusioni facilmente costruite, talora, sotto i segni della vocazione minoritaria e dell'impazienza intellettualistica.
Troppo lungo sarebbe ripercorrere la vicenda complessiva che è alle spalle dei compagni dell'MPL di Parma e, più in generale, del Movimento dei lavoratori cristiani sorto nell'ambito di una istituzione ecclesiale in cui - lo ricordava un dirigente aclista - è di rigore, prima ancora del Vangelo, imbattersi nelle prescrizioni delle encicliche. Ma quella vicenda, il suo rilancio critico, le sue evoluzioni e brusche virate, sono patrimonio dell'intero movimento opeeraio, della sua avanguardia politica; senza di essi mancherebbe una pagina fitta del gran libro della lotta per il socialismo in Italia.
Per volontà di papa Pacelli e di De Gasperi il movimento dei lavoratori cristiani venne battezzato ,in Laterano con l'acqua lustrale dello scisma sindacale. Commentava, poi, Giuseppe Di Vittorio: «La scissione sindacale è stata voluta e lungamente premeditata dagli alti papaveri della DC e dai loro ispiratori le cui preoccupazioni politiche e sociali sono totalmente estranee - quando non sono nettamente contrapposte – agli interessi dei lavoratori”. 
La restaurazione capitalistica del primo decennio successivo alla Liberazione, su modelli che escludono ogni ispirazione anche formale alla cosiddetta <~ dottrina sociale cattolica» (cosa analoga accadrà nella Repubblica federale tedesca di Adenauer, di Ehrard e di una consistente maggioranza assoluta parlamentare democratico-cristiana), e una direzione politica centrista colpiranno in quegli anni i lavoratori cristiani non meno degli altri come doocumentò «il libro bianco delle ACLI milanesi» ispirata da Livio Labo. Se ne rese conto, allora, lo stesso Giovan  Battista Montini arcivescovo di Milano, che, nel tentativo di rinverdire e rendere credibile la cosiddetta «dottrina sociale », ne asseri concitatamente la validità dinanzi agli operai della «Magneti Marelli» di Sesto San Giovanni in un discorso (censurato nel testo per la stampa dalla direzione dell'azienda) che ad un certo punto recava: «La Chiesa cattolica non è alleata del capitalismo oppressore del popolo; i primi a staccarsi dalla religione non furono i lavoratori, ma' i grandi impresari, i grandi economisti del secolo scorso che sognarono di fondare un progresso, una civiltà, una pace senza Dio e senza Cristo ... ».
La crisi, in realtà, era ben più, profonda e non lambiva soltanto la strumentazione politico-pratica della presenza cristiana nella società italiana irta di infiniti problemi sociali irrisolti. Il Concilio Vaticano, la «Pacem in terris », la stessa aspra, condanna di un sistema volto esclusivamente alla ricerca del massimo profitto esplicita nella montiniana «Populorum progressio », portarono alla luce un dissenso sempre più incisivo ed essenziale contro la persistente alleanza delll'altare con il trono della società capitalistica, sancita dall'enciclica leoniana «Rerum novarum ».
La «scelta socialista» del convegno di Vallombrosa - che con qualche addità il direttore di «Testimonianze» chiamò «le cinque giornate annuali di rivoluzione che le ACL  fanno» - merita, certo, critiche di verticismo, diffusione concorrenziale e altre, ma non certo quella di non aver rappresentato, ad, un certo stadio, la caduta verticale della mitologia interrc1assista, una diffusa, anche se talora indistinta, r-ipulsa delle masse dei lavoratori cristiani al ruolo di puntello del «disordine prestabilito» della società proprietaria.

COERENZA CRISTALLINA

Del resto, lo stesso Gabaglio, presidente delle A:CLI, nell'agosto del '70 non mosse un passo oltre la più fedele interpretazione centrale del Concilio: «La questione della proprietà privata, dei mezzi di produzione - egli disse - che per tanto tempo era sembrata
I essere quasi sacralizzata nell'insegnamento del magistero, sembra oggi in effetti positivamente risolta con la scelta del Concilio di non ribadire, ancora una volta, la ormai tradizionale valutazione del diritto di proprietà come diritto naturale. Nell'interpretazione che oggi è possibile derivare, legittimamente, da questa omissione del Concilio, che non ci pare possibile interpretare come casuale, il diritto reale, veramente naturale, non è quello della titolarità della proprietà al possesso dei beni, ma semmai quello della partecipazione personale di tutti al dominio dei beni »,
La coraggiosa scelta dei compagni dell'ex MPL di Parma appare quindi in cristallina coerenza con un'ardua maturazione ideale e politica innestata su un patrimonio di esperienze non sterili, né episodiche.

Ed è questo che conta. Ed è attraverso tale riesame e tale progressiva evoluzione che altri coraggiosi militanti del movimento operaio cristiano dovranno passare per uscire dal ristagno e dall'amarezza derivati dall'inevitabile insuccesso di «sperimentazioni» dettate da improvvisazione e irrealtà.

La confluenza è avvenuta ,nel corso di un appassionato dibattito a Termoli
Nel PCI i militanti MPL del Molise
La scelta comunista di decine di giovani, soprattutto studenti, entusiasti e impegnati nello scontro politico. Un momento di forte ripresa del nostro partito nella regione.
Adesioni al PCI del Movimento politico dei lavoratori anche a Parma, Ferrara, Lecce, Bari e Verbania
l'Uniità - domenica 7 gennaio 1973
TERMOLI, 6.

Nella regione molisana una larga ed attiva parte di aderenti al disciolto Movimento politico dei lavoratori ha deciso di confluire nel PCI. In particolare a Termoli l'ingresso ufficiale nelle file del nostro partito di decine e decine di giovani - soprattutto di studenti - dell'ex MPL è avvenuto questa mattina nel corso di una appassionata conferenza-dibattito.
«Portiamo al PCI - ha detto Pepppino De Santis, già responsabile nazione della commissione scuola dell'ex MPL - la nostra gioventù, il nostro entusiasmo, le esperienze avute nel mondo della scuola, fra gli studenti, i rapporti e i legami che manteniamo con i giovani cattolici, la nostra volontà di iniziativa ed efficace presenza politica ». Lo stesso De Santis nei giorni scorsi, aveva espresso in una lettera, a nome di una ottantina di giovani dell'ex MPL, la maturata richiesta di adesione al PCI: «L'ultimo anno di storia politica del nostro paese, l'approfondimento soggettivo, hanno determinato in buona parte dei compagni de MPL del Molise un orientamento  e completo di confluenza nel PCI
La risposta positiva del nostro partito alla domanda di iscrizione al PCI degli ex aderenti al MPL del Molise è stata illustrata dal compagno Bruno Zinghini, che ha porto ai nuovi compagni il benvenuto e l'augurio di buon lavoro.
L'ingresso del nuovi compagni nel partito coincide con un momento di felice ripresa della organizzazione comunista nel Molise: sono state aperte le sezioni del PCI a San Giacomo e Petacciato; a Ururi è stato raddoppiato il numero degli descritti al partito; sezioni come quelle di Portocannone, Campomarino, Larino, hanno superato il 100 per cento; Termoli ha raggiunto il 100 per cento con 40 reclutati. Inoltre, proprio in questi giorni, sono state elette giunte di sinistra a Portocannone, San Martino, Guardiafiera.
A Termoli e nel basso Molise vari giovani del «Manifesto », sono entrati nel PCI e taluni di essi erano presenti all' assemblea di questa mattina.
Ha concluso la conferenza il compagno Gravano del CC, segretario regionale del PCI molisano. Gravano ha sottolineato le odierne condizioni che permettono l'afflusso di nuove masse di l’afflusso di nuove masse di iscritti al nostro partito.



\

stra è venuto soprattutto dal carattere confuso e contraddittorio di certi provvvedimenti economici da esso varati, olltre che dalla clamorosa inerzia di fronnte a gravissime V'iolazioni della legaalità democratica. Ed è singolare, annche, che il discorso che il compagno Nenni rivolge alla DC sembra una pura ripetizioile di ·quello ad essa fatto agli albori del centro-sinistra (una speck di contratto: voi rompete con i libeerali e noi rompiamo con i comunisti). Si dimentica casi che tutta la fase del centro-sinistra caratterizzata da una nettta delimitazione della maggioranza, è


Proposta di documento politico per l'adesione al PCI di forze dell' ex MPL e di settori del « dissenso cattolico»

I

In queste settimane, da più parti, si è creduto e. scritto che « tutto il MPL è confluito nel PSI », «la maggioranza del MPL ha deciso di proseguire nel PSI la propria battaglia politica, la maggioranza del MPL , confluito nel PS!. Scelte diverse sano state compiute da gruppi di minoranza ».
Sullo stesso «Almanacco PCI '73» ci si esprime in tal senso.
Questa versione dei fatti non corrisponde molto alla 'Verità.
Sono necessarie almeno quattro 'Osservazioni.
1) Nonostante serie perplessità emerse nella fase ante-campagna elettorale, il MPL, complessivamente, dalla base dei militanti ai quadri regionali, era andato alla 'lotta elettorale con decisione, passione ; speranze; la storia ricca del dissenso cattolico, i legami con le ACLI ; la FIM, il discreto reticolato di quadri e organizzativo, i calcoli elettorali specifici facevano ben sperare.
Il crollo elettorale, anzi il «collasso» elettorale giunse inaspettato e duro creando in tutto il MBL, specie nella base una condizione psicologica generale di sbandamento, di dolorosa meraviglia, di smarrimento; moltissimi compagni, interi gruppi, interi gruppi provinciali e quadri regionali si appartarono sdegnosamente per la delusione, la vergogna e la responsabilità dei voti sprecati, e da allora non si presentarono più né alle riunioni locali né a quelle nazionali.

2) Negli incontri e nei CCN dopo le elezioni, si delinearono, grosso modo, due schieramenti. L’8-9 luglio l’assemblea ha votato infatti due documenti contrapposti, I due schieramenti nOI1 cl'ano assolutamente omogenei e si registrava la fluttuazione di una gran parte di compagni. Le due mozioni erano ambedue dotate di poca chiarezza e di non poca ambiguità.
La prima ispirata da Labor e dal gruppo proveniente dalle ACLI. La seconda, sostenuta dai dirigenti provenienti o vicini alla FIM, Ambedue le m021ioni erano portatrici di una ben precisa operazione politica, però apparnano anche apparentemente problematiche, aperte alla ricerca, ma nebulose ed equivoche, in modo da raccogliere più consensi possibili almeno tatticamente.
La prima gestiva un'operazione di confluenza nel PSI, la seconda di aggancio organico ,al « PSIUP resistente» per la costruzione di una nuova organizzazione politica o la ricostruzione del PSIUP.
Quella ispirata da Labor, ipotizzava la creazione di uno strano strumento, il CRIAS (centro ricerche e iniziative per l'alternativa socialista), non si sa se tattico o strategico, strumento politico o sociale o un secondo ACPOL risicato,
Nella delusione, nella amarezza e sbandamento, l'ipotesi di mantenere tutta l'organizza2ione attorno a un qualsiasi strumento nazionale si fece strada anche fra molti compagni che rifiutavano decisamente una operazione di confluenza nel PSI.
Anche il discorso dell'altra mozione, della costruzione del polo di resistenza, dei «poli di resistenza» contro il riflusso moderato e la logica di polarizzazione creò un certo consenso, specie in chi individuava, nella prima mozione, chiaramente l'operazione di confluenza nel PSI e parimenti non si sarebbe imbarcato in una iniziativa tipo PDUP.
Negli interventi e nelle dure polemiche più voci si sono levate a pretendere di riservare un medesimo trattamento e al PSI e al PCI senza privilegiare nessuno dei due. La stessa mozione di opposizione del 24-25 giugno affermava «un rapporto autonomo ma dialettico con i partiti della sinistra che tende a rafforzare il ruolo alternativo del PCI e del PSI » e più voci, polemizzando con la linea Labor affermavano che se da adesso in poi si doveva fare i conti con le forze storiche del Movimento Operaio, questo significava fare i conti, soprattutto, col PCl, l'asse della lotta anticapitalistica, democratica e socialista in Italia.

La conclusione è questa:

a) i 130 voti espressi, 1'8-9 luglio, a favore della prima mozione non significano affatto adesione di 130 delegati alla linea di confluenza nel PSI;
5) La commissione nazionale scuola;
6) Il MPL Lecce
7) I gruppi di Roma, Lazio, Genova.

È di queste settimane la creazione di una segreteria nazionale.
Sarà questa il prima gruppo di cattolici che con una «scelta unitaria » entra nel PCI ad affiancarsi a milioni di lavoratori e di giovani che, provenienti dal manda cattolico, sono già parte viva e decisiva, da malti anni, del PC!.
L’adesione della terza componente MPL, che cercherà di orientare sul nel tutta quella gran parte del movimento restata fuori dalle due operazioni politiche suddette, riveste in sé un grande significata politica nella 'strategia di DIALOGO, anche di INCONTRO esterno e" interna tra monda camunista e manda cattolico.
Ma il significato di questa adesione va altre, nel momento in cui essa coincide con una maturazione complessiva  di una parte del manda cattolica, di una parte del cosiddetto « dissenso », al quale, dopo lunga ricerca, ancora can oscillazioni e incertezze, va esprimendo a livello malta significativa ormai, un orientamento versa il Partita Comunista Italiana, giudicato l'asse centrale della latta anticapitalistica e della lotta di liberazione dall'appressione; orientamento ribadita, tra l'altra, nella rivista «Testimonianze» in questi ultimi giorni; all'interno del Movimenta 7 Novembre; nel dibattito del recente convegno delle riviste del dissenso a Firenze; c'è da notare con 'soddisfazione che alcuni degli intellettuali più impegnati in questo movimento come Peppino Orlando hanno militato nel MPL.
Quindi la nostra iniziativa non chiude una esperienza né una fase ma apre una fase nuova nel rapporto tra Partito Comunista e Mondo Cattolico come sbocco della storia del decennio che ci precede.

Per la FGCI

Possiamo registrare dal '70 al '73 due fenomeni per certi versi anche connessi: una duplice tendenza di orientamento di forte avvicinamento e di adesione al Partito Comunista Italiano:
1) Da una parte una «s,volta di generazione », che, avendo superata le prime incertezze e confusioni, trova il sua sbocco nell'incontro di masse giovanili e studentesche con la grande tradizione del Partita Comunista Itailiana,
2) Dall’altra, dopo un lungo e tormentato cammino, la rottura degli steccati che per lunghi anni avevano diviso, in maniera abbastanza netta, il mondo cattolico e il mondo comunista, e quindi l’orientamento deciso e avanzante e già l’adesione, rafforzatasi proprio nel ’72, di larghi settori del cosiddetto “dissenso cattolico”; basterebbe riferirsi alle recenti prese di posizione della rivista “Testimonianza”, alle posizioni emerse in larghi settori del movimento “7 novembre” e nel convegno delle riviste del “dissenso” tenuto a Firenze tra il 15 e il 17 dicembre ’71.

II

La nostra iniziativa

Da questi fatti è scaturita una esigenza di incontro; di verifìca, di approfondimento e di coordinamento.
L'esigenza di scoprire le motivazioni comuni della scelta e quella di offrire elementi di orientamento alle forti frange di militanti sbandati, hanno offerto le premesse per la nostra iniziativa politica.

Il carattere di fondo della iniziativa è la spontaneità, direi la naturalezza: non è nata da una mozione, né da un appello di vertice, né da una calcolata fase di lento coordinamento, ma dal basso) in maniera spontanea; né tantomeno partita dal PCI, o dai suoi esperti del settore della questione cattolica.
Oggi possiamo in grandi linee cogliére due fasi:
- una prima fase fino al dicembre '72, spontanea;
- una seconda (dalla prima settimana di gennaio) di incontro, di verifica, di consapevolezza sempre maggiore, fino ad un minimo di . coordinamento delle realtà già espresse e di promozione di quelle orientate, orientabili o molto interessate al senso della nostra iniziativa politica.
Nella prima fase i poli di interesse sono stati Parma, Fenara, Molise; nella seconda il lavoro di ricerca e di coordinamento ha interessato Puglie. Abruzzi, Liguria, Umbria, Lazio, Sicilia.
Oggi, mediante una interessante, anche se non organica ricognizione, su gran parte del Paese, che ha fatto perno inizialmente sul lavoro della ex-commissione scuola nazionale del MPL, abbiamo a nostra disposizione una serie di dati che possono essere la base della iniziativa politica.

III

Chi siamo

La nostra è una iniziativa APERTA, in SVOLGIMENTO, in SVILUPPO.
Trarre un bilancio quantitativo subita è dtl1icile e non ne coglierebbe la validità qualitativa,
Un prima giudizio è possibile dare cogliendo i soggetti della iniziativa almeno da quattro angolature:
1) Cogliamo due gruppi:
- GIOVANI E GATTOLCI.
2) Cogliamo tre gruppi:
- la componente comunista del MPL;
'- i settari del dissenso cattolico che si orientano sul PCI;
- giovani di varie esperienze (sociale, extraparlamentare, culturale) che si incontrano col PCI.
3) Cogliamo quattro gruppi:
- intellettuali;
-giovani;
-membri delle assemblee elettive locali di estrazione cattolica che hanno rotto con l'interclassismo DC (ex-MPL, exDC, provenienti dalle liste del dissenso cattolico);
- insegnanti cattolici politicizzati nel clima confuso delle lotte studentesche, dalla crisi di ruolo sociale, dall’impegno nei sindacati confederali e specialmente nella CGIL- scuola.

A tal proposito non è inutile ricordare come spesso in questi anni, un minimo Movimento degli insegnanti avesse anche un suo nucleo in gruppi del dissenso cattolico.

IV
Movimento cattolico e movimento comunista

Credo sia valido per analizzare la crisi dell'interclassismo cattolico e, quindi, la nostra storia il discorso che Berlinguer faceva aprendo il XIII Congresso:
« Il Concilio Vaticano II rivelò la preoccupazione della chiesa di stabilire un serio rapporto con quel gigantesco movimento di emancipazione, esploso in ogni continente dalla fine della TI Guerra Mondiale in poi, del quale erano protagoniste sterminate masse umane e di cui erano e sono parte e guida decisiva i,l Movimento Operaio, i Partiti comunisti, gli Stati Socialisti, i movimenti a'11timperialisti. Fu il tentativo di portare attenzione a quelli che Giovanni XXIII chiamò i « segni dei tempi »,

« T'l'a le novità del Concilio 'stanno la scoperta della centralità del problema della emancipazione terrena dell'uomo e non più esclusivamente della sua salvezza ultraterrena, e il co1nvincimento che la soluzione di entrambi questi problemi comporta la valutazione massima del momento 'Collettivo,
«Così, nel corso di questa ricerca, è 'venuto a frantumarsi il vecchio quadro teorico e ideale della tradizionale dottrina sodale cristiana, Corporativismo, interclassismo, costantinismo, temporalismo sono entrati in crisi, e una parte delle masse popolari cattoliche e dei quadri delle loro organizzazioni laiche non hanno più accettato la pretesa di considerare come unica, sufficiente ed esauriente, la risposta cattolica ai problemi terreni dell’uomo – politici, economici, sociali, civili e culturali – COMPRENDENDO LA NECESSITA’ DEL CONFRONTO CON ALTRE CONCEZIONI E CON ALTRI MOVIMENTI.
“Di conseguenza, diveniva ugualmente insostenibile l’antica posizione, secondo cui deputata a dare soluzione a questi problemi rimaneva, in un’ultima istanza la Chiesa gerarchica: di cui l’affermato orientamento  CHE E’ COMPITO DEI LAICI COMPIERE LE SCELTE POLITICHE NECESSARIE, GIUDICANDO IN BASE ALLA SITUAZIONE STORICA IN CUI ESSI SONO CHIAMATI AD OPERARE.
A seguito di tutto questo - concludeva Berlinguer - il mondo cattolico italiano (ma non solo italiano) ha conosciuto e vive tuttora un periodo ricco di inquietudini, di ansia di ricerca, di propositi, di proteste”.

Questo difficile, complesso e anche contorto  processo di emancipazione si esprime in fenomeni 'Come il progressivo esaurirsi del collateralismo democristiano delle ACLI, l'affermarsi di posizioni unitarie ,all’interno della CISL, i segni di crisi del dominio feudale di Bonomi nella Coldiretti, la tendenza di alcune organizzazioni del laicato cattolico a trovare forme autonome di impegno citvile e religioso.
A livello politico-partitico il processo di emancipazione è addirittura complesso e sofferto.
Le risposte date sono molteplici e contraddittorie, ma anche ricche di indicazioni:
1) dallo sforzo interessante ma contraddittorio e a volte carico di equivoci della sinistra democristiana (pensiamo alle elezioni del presidente Leone, alla campagna elettorale del '72, al primo atteggiamento di fronte alla linea centrista di Andreotti);
2) al lungo cammino delle ACLI, pieno anche di pesante sociologismo;
3) ai processi unitari della CISL però intrisi di equivoco pansindacalismo;
4) o tutte le interpretazioni intimistiche e comunitaristiche dell'impegno politico anticapitalistico,emerse nell'area del dissenso cattolico negli anni scorsi, e che oggi vanno perdendo fortunatamente posizione;
5) alle ipotesi di fasi intermedie, alle ipotesi di «traghetto» duramente battute (e non solo sul piano elettorale) 'l'MPL è stato l’esempio classico da questo punto di vista;
6) ai processi di passaggio da una critica da destra alle forze storiche del M.O. (PCI - PSI) ad una estremistica critica da sinistra: anche questo un processo che si va esaurendo dopo i risultati di frazionismo, spontaneismo, avventurismo di malti gruppetti, esposti fortemente alle infiltrazioni e alla provocazione di destra.
Oggi c'è giustamente chi sostiene che la fase del DIALOGO, casi proficua di risultati, è chiusa: siamo entrati in una seconda fase di INCONTRO; l'incontro non solo col Movimento Operaio genericamente, ma con le sedi storiche della lotta politica del M. O.
Il confronto si è fatto ravvicinata col PSI e specialmente col PCI, pala centrale della latta anticapitalistica, democratico e socialista in Italia.
a) il risultato è reso possibile dal lungo dialogo teorico che ha dimostrato, tenendo conto della situazione concreto che il socialismo è più vicino del capitalismo all'utopia cristiana:
«infatti mentre il capitalismo è fondato strutturalmente sull'egoismo e sull'interesse privato come vettore centrale, il socialismo è fondato strutturalmente sulla socializzazione, non soltanto sulla socializzazione dei rapporti di produzione, ma anche sulla socializzazione della ricchezza e del potere e quindi anche sulla socializzazione dei rapporti sociali e dell'elaborazione della cultura» (Ramos Regidor).
b) E nel corso di questi ultimi anni dal rovesciamento del'impostazione del confronto che ,consiste nel sostituire alla prospettiva ideologica ed ideale (cioè dei problemi) per la quale «mondo cattolico» e «mondo marxista» sono due diverse realtà e vanno prese complessivamente come due unità più o meno inscindibili ed a confronto l'una con l'altra!
Una prospettiva politica e reale (cioè una prospettiva che dà il primato agli aspetti politici, alla realtà in divenire dei problemi) secondo la quale il mondo è una, quello dello sfruttamento capitalistico e del!l'oppressione dell'uomo e tutti, credenti e non credenti, cattolici e marxisti, sano chiamati a dare una risposta politica, storicamente situata, praticabile a questa realtà che viviamo! (Monasta).
I risultati poco soddisfacenti delle esperienze tentate, la durezza della scontro politico (esemplificata dal pesante clima di terrorismo politico della Primavera-Estate '72), una più adeguata meditazione del rapporto tra spontaneismo e direzione alla luce della recente storia politica, una maggiore conoscenza diretta delle sedi storiche del M.O., hanno accentuata e determinata questa processo nel 1972,di incontro diretto soprattutto col PCI.
Questa è la tappa che aggi tocchiamo dopo un lungo e sofferto cammino: l'incontro diretto col PCI.
« Non si può condurre una analisi del capitalismo italiano e condurre una lotta contro di esso senza passare per il Partito Comunista. Sarebbe assurdo che gruppi orientati sulla scelta di classe in Italia conducessero per proprio canto e al di fuori di un confronto con l'esperienza e la tradizione del PCI un'analisi e una lotta contro il capitalismo italiano» (Monasta).
Da più punti di vista noi siamo gli ultimi arrivati: migliaia, milioni di lavoratori e non pochi intellettuali che hanno aderito in questi anni al PCI e alla CGIL sono stati credenti e moltissimi lo sono tuttora.
Riteniamo il PCI l'interlocutore fondamentale (ma non esclusivo ovviamente) per il semplice fatto che questo partito è l'asse della strategia anticapitalistica, democratica e socialista in Italia.
A livello di  partiti anche il PSI può giocare un valida ruolo in questa strategia, purché non si ponga come alternativa a questo asse centrale, rinnovi le Sue radici di classe can una politica di base e di massa, e che operi vitali ricambi di quadri che ne aumentino la credibilità tra i lavoratori.
Alternative reali a questa configurazione del PCI non sembrano esistere.
« Se il più grande Partito comunista del mondo capitalistico non fosse capace  addirittura, come qualcuno insinua, avesse rinunciato) ti contrastare validamente lo sfruttamento capitalistica e l'oppressione imperialista, la causa del socialismo nel nostro' paese, e forse anche i Il Europa, sarebbe irrimediabilmente perduta per questa generazione : nessun gruppetto, o nessun altro partito potrebbe salvarla sottraendo il PCI il potere che esso ha raggiunto, un potere di mobilitare o non mobilitare milioni di lavoratori ». (Monasta).
Consideriamo come segno di vitalità storica il mutamento avvenuto nella  situazione culturale e ideologica della sinistra e ,del PCI, in rapporto agli sviluppi della situazione interna e internazionale.
La resistenza, l'antifascismo e la Costituzione avevano indotto Il pcr a storicizzare la sua strategia con l'elaborazione di una «via italiana al socialismo».
Accantonata la via insurrezionale, si prospetta l'unità delle masse cattoliche, socialiste e comuniste, per obiettivi di una democrazia popolare che ponga già le basi per la transizione al socialismo.
L'antifascismo e il dettata costituzionale costituiscono le radici storiche e politiche di questo processo che ormai il M.O. ha fatto suo.
IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI PROCESSI UNITARI TRA I LAVORATORI OOSTITUISCONO LA TRAMA POLITICA SEMPRE PERSEGUITA, AL DI FUORI DI OGNI SETTARISMO E IDEOLOGISMO.


Da questa impostazione deriva l'elaborazione dettagliata di tutte le conseguenze sul terrena delle «ALLEANZE» :
- regionalismo;
- riforme di struttura (Sud, Agricoltura, Scuola, Casa, Sanità, Trasporti, Burocrazia);
- dialogo e incontro
- statuto aperto a chiunque condividi il programma indipendentemente da fedi e ideologie;
- abbandono della logica di cinghia di trasmissione in l'apporto al sindacato;
- ampiezza di dibattito culturale (quando non assuma la piega organizzativa e «,frazionistica» della corrente);
- politica verso i ceti medi produttivi e intellettuali;
- comprensione per la piccala e media impresa contro i monopoli;
- sintesi dialettica tra spontaneismo e direzione politica.
Nel clima rovente del '68-69 si è cercato di mettere in dubbia la validità della via italiana al socialismo.
In particolare sona emerse fuori del partita frange attestate su un dogmatico stalinismo e altre legate a filoni consiliari (del tutta integrati in Italia entra la tematica del l'apparta tra socialismo e democrazia).
In queste, dopa il' '68, vive una spirito di ricerca di testi antichi, dalla crisi della Terza internazionale fino al tema cinese, in relazione al fallimento delle rivoluzioni europee. Nel convegno dell'Istituto Gramsci del '71, il Partita ha iniziata 'seriamente la verifica e la discussione di questa «marxismo degli anni '60» che aveva presa consistenza in aperta a velata polemica con la via italiana al socialismo. A noi non compete, in questa sede, valutare e confutare, in moda organica e approfondita, le varie ipotesi del cosiddetti «tradimento» del PCI, volta a volta accusato di «riformismo »,di «revisionismo », di «integrazione» nel sistema parlamentare borghese.
Ci limitiamo a tre osservazioni:
1) Dal momento che tutti ammettano pare che la polemica sul riformismo sia meglio condotta confrontando questi obiettivi e soprattutto con le forze reali che sono capaci di sostenerli.
2) Per quanto riguarda il revisionismo ci pare di dover ampiamente approvare la tradizione sanamente storicistica del PCI che ha saputa cogliere in profondità le radici della cultura nazionale, ha evitata di stabilire sul metodo marxista quella metafisica dogmatica destorificante che attecchisce fortemente nelle linee « pure» di malti giovani studenti.
3) Per quanta riguarda il mondo cattolica, anzi l'area del cosiddetto « dissenso », quando l'impegno politica è stato scelto in alternativa all'impegno evangelico eccleisale (e non visto in connessione dialettica, com'è giusto) i nuovi politici facevano nuove dogmatiche e nuovi testi sacri, nel campo ben più sobrio e coi piedi per terra del M.O., dal quale, del resto, rimangono fortemente staccati nella pratica sociale.
Il gergo politico che attecchì e poi si di6fuse qua e là anche nei dissenso cattolica, faceva parlare ex-cattedra i nuovi «teorici» sulle fedeltà e i compiti del proletariato.


v
Il significato politico della nostra iniziativa

1) La nastra iniziativa politica riveste un importante significato per tutto il PCI: è un momento di crescita politica e di affermazione della sua strategia complessiva.
Le recenti confluenze dei socialisti del MSA e del PSIUP, delle masse giovanili e dei cattolici del MPL nel PCI significano che la strategia del Partito è venuta affermandosi nelle diverse componenti politiche e ideali presenti nel Movimento dei lavoratori come più alta e originale momento di unità delle masse popolari laiche e cattoliche, comuniste e socialiste.

2) La nostra iniziativa sancisce definitivamente la sconfitta politica delle ipotesi del secondo partito cattolico e delle ipotesi intermedie, del cosiddetto «TRAGHETTO ».
Il problema dell'interclassismo cattolico è un problema complesso di tutto il Movimento operaio, di rotta la sinistra: risolverlo è compito delle forze culturali, sociali, sindacali della sinistra, del PSI e soprattutto del PCI.
3) Offriamo un contributo interessante per il superamento dell'ANTICOMUNISMO nel nastro paese.
Una iniziativa di respiro territoriale nazionale ORGANIZZATA, che porta nel PCI militanti provenienti dal MPL, dal dissenso cattolico, e dal mondo giovanile è certamente un contributo che dimostra la necessità del superamento e il progressivo superamento delle false divisioni tra credenti e non credenti) il progressivo superamento dei falsi steccati ideologici che in maniere diverse e più raffinate, ma sempre vengono proposte nel nostro paese.
Questo ,è il senso più profondo e centrale della nostra iniziativa.
Se ci deve essere una divisione essa deve essere tra sfruttati e sfruttatori!
Nello scorrere della lotta politica, nello scorrere dei mesi e degli anni bisogna sempre insistere con PROVE PRATICHE su questo punto:
che l'unità politica dei cattolici è un dogma superato;
che la Democrazia Cristiana non ha nessuna investitura a rappresentare comUl1Jque le masse popolari 'cattoliche;
ma c'è la possibilità aperta e logica di scelte alternative di impegno si fortemente democratico nella sinistra D.C., ma anche e soprattutto nelle forze culturali, solidali e sindacali della sinistra, nel PSI, nel Partito Comunista Italiano.
L'interclassismo si combatte e si vince soprattutto sconfiggendo l'anticomunismo.
La nostra iniziativa contribuisce alla lotta per il 'superamento della categoria politica di «cattolica ».
4) La nostra scelta comunista, decisa e organizzata, è una critica concreta alla logica di fondo del Centro-sinistra, quella 'logica tendente a ritenere compito di una sala componente del Movimenta Operaia l'incontro col Manda Cattolica, a delegare al PSI, soltanto, il dialogo e l'incontro col Manda Cattolico.
La nastra scelta indica chiaramente la fine dell'epoca del «surrogato» dell'incontro tra M.O, e manda cattolico.
Su questo argomenta il compagno Alessandro Natta nella relazione al Comitato Centrale del 29-5-72 diceva:
« C'è un insegnamento da confermare per il nostro partito e che a noi sembra dovrebbe valere per l'intera sinistra; e cioè, che al dialogo con i cattolici, al confronto e allo scontro con la D.C. occorre andare con un'impostazione e un'iniziativa unitaria, non privilegiando i rapporti con l'una o l'altra componente, quella comunista o quella socialista. Tesi, fantasticate a sperimentate, di questa tipo obbediscono non all’obiettivo di promuovere e condurre positivamente avanti un processo di trasformazione della società italiana, ma a quello della rottura del Movimento Operaio. Non a caso “l’incontro storico tra socialisti e cattolici” ha ceduto il passo all’”area democratica” non appena il PSI ha voluto cercare un collegamento, una intesa con il complesso del Movimento Operaio e con il nostro Partito; non a caso abbiamo avuto la lunga e varia agitazione, su problemi come quello del divorzio e della Presidenza della Repubblica, per distorcere la nostra linea, per avvalorare l'idea dello scavalcamento dei socialisti, della nostra disponibilità alle cosiddette intese conciliari. Interpretazioni, in questi termini del ,rapporto tra 'movimento popolare cattolico e movimento operaio possono servire ai dirigenti D.C.; non sono e non possono essere le nostre né, crediamo, possono essere più quelle del PSI. Il che non significa affatto - 'è chiaro - che noi indichiamo una qualche intesa « frontista », una “egemonia » comunista come condizione e base preliminare che dovrebbe dare efficacia al rapporto can i cattolici e consistenza alla battaglia per determinare una crisi nell'orientamento e nella direzione politica della D.C.

« Vogliamo invece ribadire come il fondamento di tutta la prospettiva di svolta democratica, di incontro tra le componenti storiche del movimento operaio e popolare, di costruzione di una nuova maggioranza, sia per noi proprio quella politica di unità a sinistra, che può derivare vigore e 'slancio dalla autonomia di ogni partito, dal confronto aperto delle posizioni politiche, e delle 'strategie di lotta ».
5) La nostra confluenza ha già riproposta a livella provinciale e regionale (esempio: Parma e Molise) all'interno del partito il problema dell'iniziativa verso il mondo cattolico.
Il coordinamento e la promozione delle realtà omogenee al nostro discorso devono essere occasione per proporre a livello di base e a livello nazionale questa problematica. Tale contributo non è certamente secondario nel momento in cui si avverte in tutto il Partito la necessità di insistere su questa questione.
Berlinguer la proponeva come tema centrale al Congresso, ma già la campagna elettorale registrava una carenza su questo tema che Natta rilevava nel c.c. del 29 maggio. Diceva Natta:
«È necessario dare al problema del dialogo e dell'incontro con i cattolici una ulteriore, più ampia articolazione, e una più spiccata autonomia» ,
E coglieva così un'esigenza fortemente espressa da parte di ampi settori del dissenso cattolico: la necessità di far chiarezza e articolare il rapporto col Mondo Cattolico distinguendo la Chiesa, la D.C., la sinistra D.C., le masse popolari cattoliche, il dissenso cattolico e, con una sintesi dialettica in sviluppo, secondo il diverso peso dei molteplici interlocutori che costituiscono il mondo cattolico.
6) La nostra confluenza e l'orientamento emersa nel dissenso cattolico verso il PCI sona contro la svolta di Centro destra, contro il governo Andreotti. Per cogliere questo significato è necessario ricordare un serie di elementi:
- Il moto di emancipazione e di liberazione dei popoli su scala mondiale;
-L'avanzata del movimento comunista e socialista nel mondo;
-il mutamento dei rapporti di forza politici e ideali determinatasi nel corso degli ultimi venticinque anni;
- le idee e la linea unitaria sulla base dell'antifascismo e della Costituzione, la proposta di un impegno comune, positiva e costruttivo per una società nuova assunto dal ,PCI verso il Movimento Cattolico.
Tutto ciò ha determinato la svolta CONCILIARE, la ricerca di un nuovo rapporto fra il cattolicesimo e il mondo moderno, le forze progressive del mondo moderno.
Tutto questo ha avuto un riflesso decisivo nel rapporto tra chiesa, DC e movimento cattolico.
E’ sufficiente ricordare alcuni degli elementi di fondo che hanno definito in passato il ruolo della D.C.:
a) Il cemento confessionale e religioso come presupposto e vincolo dell’unità politica dei cattolici.
b) L’identificazione della sorte del Cattolicesimo con quella del sistema capitalistico, della civiltà occidentale, addirittura con l’atlantismo.
c) L'ANTICOMUNISMO, NON SOLO COME UN DISCRIMINE IDEOLOGICO, COME UNA SEPARAZIONE MANICHEA, MA COME POLITICA E IDEOLOGIA DI STATO.
Quando queste investiture vengono messe – come sono state messe – in discussione nell'orientamento della Chiesa e del Movimento Cattolico, inevitabilmente si apre una crisi nella connotazione ideale e politica della D.C.
L’interclassismo perde la sua legittimazione ideologica fondamentale, il potere della D.C. in larga misura è privato di quelle idealità e di quei valori come in qualche modo erano presenti nella visione di tipo liberal-democratico dei tempi di De Gasperi.
La D.C. sta cercando una via d’uscita dalla sua crisi e dalla crisi del paese nel ritorno indietro al Centrismo. La ripresa di toni e di impostazioni anticomuniste, anche se sotto forme diverse da quelle del passato (gli opposti estremisti e così via) le intimidazioni al PSI a ritornare nel solco di una alleanza subalterna, le rinunce e i silenzi imposti e subiti dalle sinistre democristiane, tutto ciò per conto, senza dubbio anche della ,Chiesa e delle gerarchie ecclesiast1che, ma la linea è debole. La debolezza o addirittura l'inconsistenza del cosiddetto ritorno alle origini, del ritorno della D.C. al degasperismo, si manifesta non solo sotto il profilo politico, ma anche dal punto di vista della impostazione teorica culturale e ideale. L'operazione di tipo centrista non può radicarsi perché per il movimento cattolico nel suo complesso non è più attendibile, non più credibile.
Ecco in 'Che senso la nostra iniziativa è contro il centro-destra: perché è un segno che l'anticomunismo va diminuendo nelle masse cattoliche.
Bisogna riflettere sul fatto che una scelta comunista dall' ambiente MPL e dal dissenso cattolico si viene a esprimere proprio nel 1972 in cui la DC ripropone il centrismo, basato tra l'altro sull' anticomunismo.
7) La lotta contro il governo Andreotti significa, in positivo, porre nel nostro paese decisamente LA QUBSTIONE COMUNISTA. Con la nostra scelta contribuiamo a questa opera, appunto, lottando contro i falsi steccati ideologici, contro l'anticomunismo.
Da una parte l'ampiezza della crisi del nastro paese; i processi di involuzione, di disfacimento, di tenaci resistenze conservatrici, che tendono a precipitare in forme di reazione cieca e di tentazioni avventuristiche.
Dall'altra parte l'avanzata del Movimento Operaio e democratico di cui il PCI è l'animatore, per imporre un programma rigoroso di generali riforme nelle strutture dell'economia e della società: la maturità della classe operaia e l'ampiezza delle sue alleanze politiche, sociali e culturali ;
tutto questo ripropone il problema della centralità del PCI: la decisione la decisiva questione nazionale di oggi che è la
«QUESTIONE COMUNISTA ».
8) Intendiamo anche riproporre nel Partito, nel Mondo Cattolico, tra i giovani, una analisi più precisa della crisi e della struttura della D.C.
La profonda: trasformazione del partito che è tuttaltra casa non solo dal vecchio partito popolare ma anche dal partito dei. tempi di De Gasperi.
L'industrializzazione, l’urbanizzazione, la scolarizzazione di massa: tutto questo ha mutato il vecchio quadro sociale, incrinato il cemento ideale.
Attenuata l'efficacia del confessionalismo la D.C. è stata organizzata «nel senso di farne il centro di un nuovo sistema di potere fondato sulla utilizzazione dell'apparato statale, di ENTI o aziende pubbliche come strumenti per mantenere ed estendere una rete di controllo e di collegamento con una varietà di ceti sociali ».
9) Intendiamo ribadire la giustezza della linea del PCI nel rapporto col mondo cattolico, da Gramsci, a Togliatti, agli approfondimenti successivi fino al XIII Congresso; dalla pOl1itica di unità antifascista e nazionale; all'idea dell'incontro strategico per un impegno comune per la costruzione di un nuovo ordinamento democratico e di una nuova società, nella ribadita autonomia della vita politica nei confronti della religione; la distinzione fra politica e ideologia.
Questa linea portata avanti nei tempi necessari, con coerenza e con malto coraggio, fa cambiare qualcosa all'interno del mando cattolico, dà i suoi frutti.
Questa linea raccoglie un altro frutto oggi; una componente del mondo cattolico, unitaria e di respiro nazionale: un fatto del genere non ancora si registrava dalla confluenza dei «comunisti cattolici» negli anni' 40.
Perciò possiamo dire che la nostra scelta non è casuale, non è improvvisata né dettata da motivi contingenti, ma una scelta difficile, tormentata, ,lungamente maturata in questi lunghi decenni.
10) La nostra iniziativa, in termini pratici immediati, riguarda il contatto, confronto, coordinamento dei militanti ex-MPL confluiti o decisamente orientati sul PCI, al fine di recuperare alla nostra prospettiva politica, a breve termine, quelle ampie frange del MPL disorientate, rimaste fuori dalla confluenza PSI e dalla costruzione del PDUP. Questo con un discorso chiaro e unitario e in necessari tempi brevi.
Nel profondo rispetto delle scelte diverse espresse dal MPL (PSL e PDUP), ribadiamo con coraggio il senso della nostra scelta politica, chiamando tutti a confrontarsi francamente.

Per quanto riguarda la scelta PDUP, diciamo che la coerenza a ciò siamo stati, con il MPL, deve essere espressa in termini sostanziali e non formali; non in termini di rinnovata scelta minoritaria, che non ha spazio politico certamente nel paese ma in termini politici sostanziali, capaci di portare avanti le due esigenze di fondo dell’ex-MPL:
a) la lotta all’interclassismo cattolico;
b) la politica di massa e di base.
Per quanto riguarda la scelta PSI, ribadendo il molo insostituibile di questo partito della classe operaia e il rispetto per la scelta fatta da una parte del MPL in questa senso, affermiamo l'acuta perplessità per le tentazioni terzaforziste del partito; per le tentazioni, purtroppo anch'esse esistenti, di contrapporsi all'asse alternativo facente perno sul BCI; per i legittimi con la base che vanno ad esaurirsi perché non c’è un forte impegno di ripresa di lavoro politico di massa e organizzativo; per settari dirigenti che a volte rischiano di confondersi anche con metodi clientelari tipici del mondo democristiano.
Riteniamo più proficua per il M.O., e più coerentemente per i militanti ex-MPL e che avevano fatto della lotta all’interclassismo il centro del loro impegno, l'orientamento e la confluenza nel PCI: ciò significa lottare contro gli steccati ideologici, contro l’anticomunismo.
Per noi continuate la lotta contro l'interclassismo cattolico significa innanzitutto dare un contributo alla lotta contro l'anticomunismo per riproporre al centro del dibattito politico la questione comunista.
E non possiamo non essere che onestamente polemici con chi fa le proprie scelte in nome di un evocato «lirbetarismo», molto dubbio, che non riusciamo bene a comprendere in che consista, a meno di proporre di fatto, l'equazione libertarismo = correntismo di tipo liberal-borghese. 
E non possiamo non essere che onestamente polemici can chi sarebbe tentato a riproporsi ALL'INTERNO' DI UN PARTITO OPEERAIO, COME RAPPRESENTANTE UNICO, QUESTA VOLTA INNTERNO, DEL MONDO CATTOLICO PROGRESSISTA, RIPROOPONENDO L'IDEA PERICOLOSA DI UN PSI SOLO, INVESTIITO A DIALOGARE E INCONTRARSI COL MONDO CATTOLIICO, A NOME DI TUTTO IL MOVIMENTO OPERAIO; RIPROOPONENDO DI FATTO LA LOGICA CHE HA DOMINATO IL CENTRO-SINISTRA.
Ci sembra tra l’altro che riproporre questa frase: «noi cristiani e voi comunisti », con i due termini di antitesi non sia corretto nel momento in cui moltissimi comunisti sono anche cristiani!
11) Con la nostra iniziativa contribuiamo 'a lanciare, o meglio, a rilanciare e rafforzare una strategia di attenzione del mando cattolico, del .dissenso cattolico, dei giovani alle sedi 'storiche del M.O. e soprattutto al PCI che è il suo polo determinante.
Offriamo un esempio concreto e cristallino a quelle forze, - intellettuali, comunità, riviste e bollettini,  movimenti del mondo cattolico e del «dissenso cattolico» di come vada affrontato coraggiosamente e chiaramente il problema dell’impegno politico di liberazione.
Non a caso nella nostra iniziativa sano impegnati in maniera diretta e indiretta interessanti settari delle forze suddette:
E’ necessario chiarire che la nostra iniziativa non ha e non può avere nessuna pretesa di forzata rappresentanza rispetto a tutte quelle posizioni di ricerca, di attenzione critica, di orientamento in svolgimento che pur si riferiscono molto chiaramente al Partita comunista: il nostro è un onesto e chiaro contributo dialettico alla luce del sole.
12) Il nostro contributo, oltre che nella direzione MPL e nella direzione «dissenso cattolico» va in quella del mondo giovanile.
Questo per tre motirvi:
a) Gran parte dei militanti ex MPL che confluiscono nel PCI sono GIOVANI approdati alla militanza politica con il movimento degli studenti e poi con il MPL, specie nelle regioni del Sud.
b) I settori più 'sensibili alle novità, al dialogo, al confronto, alle scelte di classe, alla scelta comunista nel' mondo cattolico sono quelli, appunta, giovanili, impegnati specialmente nel lavoro di quartiere; tra i baraccati, nel sud; nelle campagne; tra gli emarginati.

c) Nel '71 e nel '72, consumate complessivamente le esperienze spontaneistiche e gruppettistiche, il mondo giovanile si è orientato in massa verso il PCI, anche in relazione ad un recupero operato sul terreno della scuola e della questione giovanile da parte del partito.
Per cui in questi mesi registriamo un confronto stretto, una ricerca matura, una attenzione serrata di folti gruppi di giovani rispetto al POI.
La nostra iniziativa va a cogliere, e, già in gennaio l'abbiamo verificato, molte di queste realtà giovanili già precedentemente in contatto con i gruppi MPL e l'opera di orientamento e di confluenza si allarga in questo senso.
Questi elementi comportano una sottolineatura più marcata del carattere convergente di due fenomeni che interessano contemporaneamente il PCI: da una parte l'orientamento di massa dei giovani; dall’altra una maturazione interessante verso il PCI del dissenso cattolico.
Da sottolineare la particolare condizione dei giovani cattolici che vivono contemporaneamente le contraddizioni della condizione giovanile e del loro essere cristiani: la scelta comunista dei giovani cattolici si pone ricca di esperienze e di significato politico.
Confrontando unitamente i due fenomeni è necessario fare almeno due rilevazioni:
a) Mentre sul terreno della scuola e dei giovani il Partito ha investito molto del suo impegno e dei suoi mezzi ottenendo molti risultati, sul terreno della questione cattolica il Partito ha investito di meno e a livello operativo sta cogliendo con poca tempestività ciò che matura nel dissenso cattolico: anche su questo terreno urge un intervento quantitativamente e qualitativamente considerevole.
b) La nostra iniziativa non può non interessare la FGCI, nel mento in cui l'affluenza di giovani cattolici organizzati è densa di significato e contribuisce con nuove esperienze e soggetti ad arricchire le capacità politiche e culturali.
Si arricchisce la capacità della FGCI sul terreno delle masse giovanili cattoliche sia quelle organizzate che quelle rilevanti non organizzate.
Si offre un contributo al recupero di quelle frange di giovani compagni politicamente sbandati dopo la bruciante esperienza gruppettistica.
Come nel '72 si è avuto una forte ripresa di impegno sul terreno delle ragazze, urge un impegno. sul terreno del giovani cattolici, in maniera specifica.
13) Un contributo tutto da scoprire e da definire riguarda i militanti ex-MPL, ex DC, e provenienti dalle liste autonome del dissenso cattolico, presenti tuttora nelle assemblee elettive locali.
Riportiamo come indicazione problematica stralci dell'intervento del compagno G. C. Rattazzi di Verbania al Congresso della Lega delle Autonomie locali (Perugia 15-'17 dicembre 1972).
«E’ proprio perché la Lega è tesa al raggiungimento, di questa finalità essenziale allo sviluppo democratico del nostro paese che tanti amministratori locali, provenienti da mi ambito sociologico che per brevità si usa definire «cattolico», individuano nel1a Lega delle Autonomie e dei poteri locali la sede in cui potranno portare avanti quella posizione di rottura definitiva con l'interclassismo democristiano, sempre più chiaramente colpevole delle ingiustizie e disuguaglianze sociali che, urtano ogni coscienza sinceramente e intelligentemente cristiana.
La posizione in cui si trovano oggi tanti amministratori locali eletti nelle liste D.C. molti dei quali avevano aderito al MPL dopo le e1eziòni politiche del 7 maggio e i!1 dignitoso scioglimento del MPL, è tale da renderli protagonisti avanzati nei pubblici consessi democratici della ricerca di collocazioni politiche nei partiti della sinistra operaia e quindi di proporre all'attenzione dei cittadini cattolici e non cattolici il discorso della conciliabilità, quantomeno pratica nella prassi politica della presenza di cattolici nei partiti di ispirazione marxista. E’ la prima volta che in Italia, cioè nel paese il cui futuro politico in senso progressista è condizionato dallo spostamento di masse cattoliche su posizioni alternative a quelle democristiane, è la prima volta che gruppi organizzati di cattolici, politicamente impegnati, esperito il tentativo di procurare un nuovo sbocco politico autonomo diverso e contrapposto alla D,C. per i lavoratori cattolici ancora prigionieri dell’interclassismo o dell’intercultura confessionale, indicano nella presenza diretta o almeno nell'appoggio operativo ai partiti di sinistra l’unica strada seria e reale ,di lotta anticapitalistica nell'Italia di oggi. E si sentono di avanzare questa indicazione non benché cattolici, ma perché cattolici.

«I partiti di sinistra, presentando all'opinione pubblica un programma alternativo ben definito e credibile, renderanno possibile l’apertura di un varco nel mondo cattolico e le circostanze storiche che sono ormai favorevoli ad una evoluzione del genere da quando riescono ad apparire ed emergere le generazioni educate allo spirito del Concilio. L'attuazione di queste nuove forze è tanto più possibile quanto più praticamente anche a livello locale le forze di sinistra mantengono atteggiamenti ,di coerenza politica e morale, oltre che di efficienza pratica, nella gestione delle attività civiche,
«Anche per questo la Lega è strumento importante nella prospettiva di allargamento dell'area della sinistra italiana. E ,lo è nel momento più valido, cioè alla base più che al vertice. Da questo punto di vista, quanto più nei comuni e negli enti locali in genere si verificheranno  nei fatti collaborazioni, legami e partecipazione diretta, efficace e sentita tra gli amministratori anche di diversa provenienza, ma con un'unica visione della strategia politica per la costruzione del socialismo, tanto più si renderà credibile anche in pratica, oltre che essere assoluta in teoria, l'affermazione che la distinzione in politica nelle attività temporali di interesse sociale, la distinzione non è tra cattolici e marxisti, ma tra interclassisti e classisti, tra conservatori e progressisti,  tra destra e sinistra. E in questo assume rilevante significato l’apertura della Lega verso tutti coloro che accettino la sua caratterizzazione classista, progressista e autonomistica, nella comune battaglia per il rinnovamento e la democratizzazione dello Stato italiano”.
14) Nel momento in cui la nostra si propone come una iniziativa aperta, in svolgimento, come apertura di una fase più avanzata nel rapporto tra movimento comunista e movimento cattolico, vanno valutate all’interno del partito tutte quelle proposte di una operazione politica specifica, avanzate da quella parte del dissenso cattolico che si orienta sul PCI.
La proposta di un apporto creativo da parte di queste forze che hanno raccolto e raccolgono migliaia e migliaia di persone e di lettori intorno alla problematica di una nuova coscienza di fede e della necessità di un impegno di l1berazione, in un paese in cui tradizionalmente si legge poco e si ha una certa diffidenza nei confronti della partecipazione politica.
a) La proposta di un apporto sul piano della «politica delle alleanze » con i ceti medi e intellettuali.
Bisogna tener conto che queste forze sono composte, in alta percentuale, di piccola e media borghesia: la loro funzione può contribuire ad approfondire la crisi e la scelta alternativa tm intellettuali, studenti, insegnanti, impiegati di certi settori: un complesso la cui unità ideologica, non è un mistero, si è fortemente incrinata negli anni '60.
b) L'ipotesi di una funzione stimolante perfino nei confronti di quella parte di ceti medi che da tempo costituiscono una parte della forza economica e organizzativa della sinistra.
c) Rivalutare in tutto il partito l'impegno. tradizionale da parte delle forze del dissenso cattolico TRA IL SOTTOPROLET ARIATO URBANO, LE POPOLAZIONI DELLE ZONE DEPRESSE DELLA CAMPAGNA E DELLA PROVINCIA; IL PROLETARIATO DI RECENTE FORMAZIONE IMMIGRATO DAL SUD NEI GRANDI CENTRI INDUSTRIALI E TERZIARI DEL CENTRO-NORD.
d) L'esigenza di sforzarsi 'a prefigurare già in un concreto (per quanto ciò sia possibile nella attuale società) modelli alternativi nel modo di fare politica, di fare scuola, ecc.
e) L'esigenza di accompagnare alla lotta politica, strettamente intesa, ,una continua battaglia culturale di formazione quadri.
Tutte queste proposte ed esigenze emergenti vanno prese in considerazione nel partito, per valutare la loro validità politica.
(cfr. saggio di A. Monasta, paragr. 11, pagg. 619, 25, su Testiimonianze, settembre-ottobre, n. 147-48).

. Parimenti è tutto da valutare e da ORGANIZZARE l'apporto che la nostra iniziativa e la sua prospettiva possono offrire nella: strategia di dialogo e d'incontro sui temi come:
- i grandi problemi della epoca moderna (pace, fame nel mondo, equilibrio ecologico);
- lotta di liberazione dei popoli;
-scuola;
- famiglia.
È utile sottolineare, en passant, l'identità di alcuni temi di fondo della FGCI con quelli sui quali confrontarsi col movimento cattolico.
Aderire come gruppo unitario nel PCI, abbiamo detto, è di rilevante significato politico.
Ma ciò non significa affatto ipotizzare di rimanere « organizzati” una volta all'interno del partito; il che non avrebbe senso né è nella volontà dei promotori.
Secondo la libera scelta di ogni singolo compagno, si possono prevedere processi di aggregazione al fine di dare contributi specifici a livello locale, regionale e anche nazionale sulla strategia del dialogo e dell'incontro tra movimento cattolico e movimento comunista.
Si possano prevedere e anche programmare e promuovere forme di aggregazione da parte di chi, individualmente lo ritenesse utile, attorno a strumenti di dibattito, di cultura, di stampa specializzata (es. « Quale società»).
L'impostazione di fondo del1a nostra confluenza è il contributo massimo per una dialettica creativa e disciplinata nel partito.

VI
Indicazioni operative

Seguono una serie di indicazioni operative:
- È necessario ribadire che alla nostra iniziativa, per il carattere stesso articolato e in svolgimento, partecipano promotori diretti e indiretti, interlocutori molteplici vicini e non vicini.
Tra i promotori indiretti sono da comprendere una serie di compagni che, per collocazione politica nelle assemblee elettive, per particolari ruoli all'interno del mondo culturale e del dissenso cattolico, ritengono più utile emergere in un secondo momento.
Questi fatti non esprimono l'incertezza della iniziativa ma al contrario l'efficacia, nel senso che, appunto, si tratta di una operazione aperta, in sviluppo.
- Al più presto sarà redatto un documento sui dati della nostra iniziativa e sulla sua impostazione politica (la presente è soltanto una bozza, elaborata dalla ex Commissione Scuola, raccogliendo le varie indicazioni emerse nel corso del lavoro).
- Il lavoro di ricerca, di confronto, di approfondimento e di coordinamento nelle prossime settimane si farà più serrato e organico in modo da essere massimamente produttivo.
- Si prevedono una serie di assemblee locali, provinciali e regiool1aIli che rappresentano l'ossatura della operazione politica.
- Si prevede un opuscolo informativo, di dibattito e di coordinamento da utilizzare tra i nostri vari interlocutori.
-Continuerà e si approfondirà l'impegno di confronto con il partito e specialmente con quegli uomini (intellettuali e politici) che in questi anni hanno cinto un contributo determinante alla politica di dialogo e di incontro; in questo ambito il confronto colla FGCI sui temi più pertinenti.
- A tempo breve-medio una conferenza-dibattito nazionale come un momento di sintesi della iniziativa.
Il compagno Berlinguer nella relazione al XIII Congresso affermò:
« I1 nostro compito: favorire il Libero Sviluppo di tutte le forze cattoliche autenticamente democratiche, fare la nostra parte perché quei valori a cui tendono le coscienze cristiane più vive trovino espressione storicamente adeguata per contribuire in modo autonomo alla edificazione di una società superiore».

Crediamo che la nostra iniziativa rientri proprio in questa impostazione: da una parte la nostra è stata una maturazione libera, la nostra iniziativa è sorta spontanéa e in modo quasi naturale.
Dall'altra parte chiediamo il contributo del partito proprio nel senso di favorire lo sviluppo di una parte delle forze autenticamente democratiche del mondo cattolico: quelle che si orientano sul PCI, Noi cercheremo di contribuire, alla edificazione di una società superiore, apportando, nella verifica continua, una nostra creativa originalità.

Attilio Monasta:
Qualificazione politica del « dissenso cattolico»
« TESTIMONIANZE>> n. 147-48, settembre-ottobre 1972

Dal novembre del '71 ad oggi è trascorso un anno che può essere considerato fra i più intensi della storia dell'Italia repubblicana. I ritmi di lavoro di ciascuno e l'informazione pubblica a velocità incalzanti, bruciano gli avvenimenti in modo tale che quasi non ricordiamo  più che, in meno di un anno; abbiamo visto un presidente della Repubblica eletto da una maggioranza di destra coi voti determinanti dei fascisti, in un parlamento spaccato in due; elezioni politiche anticipate preparate da un governo dimissionario, anticipate e preparate da un clima terroristico dei più torbidi della nostra storia, nel quale, per dimostrare il male degli opposti estremismi e il bene della centralità democratica, si è fatto ricorso, (nessuno saprà mai da chi ed a quale livello) all'assassinio politico, alla morte «accidentale », lilla carcerazione preventiva di militanti in base a indizi che paiono talvolta addirittura prefabbricati, e poi un governo di centro destra al quale nessuno dava lunga vita e che dimostra, invece, di saper gestire i Il piena salute la dura linea di restaurazione e di riorganizzazione c:lpitalistica in Italia, una situazione economica che, stagnante e tendente all'inflazione per ovvi motivi di ricatto del mondo imprenditoriale (blocco degli investimenti come risposta alla conflittualità sociale), trova ancora difficoltà a rimettersi in movimento, dimostrando ancora una volta come il padrone italiano sia ancora più perverso e ottuso di un governo di centro-destra, e infine, un'estensione, solo tardivamente controllata dallo Stato, dello squadrismo fascista all'ingresso delle scuole e per le strade delle città con il ferimento e l’assassinio di militanti politici di sinistra.
Non credo sia piccola cosa, in questo contesto, parlare del dibattito che si è venuto sviluppando.' proprio da un anno a questa parte, sul ruolo dei cattolici nella lotta politica italiana; credo anzi sia necessaria fare un primo bilancio di tale dibattito, soprattutto per sottolineare alcuni fatti nuovi ed alcune inversioni di tendenza, che forse riusciranno in un prossimo futuro a sbloccare l’antica e annosa questione della contrapposizione (prima), della reciproca comprensione, del dialogo, della tentata collaborazione (poi) fra cattolici e marxisti, questione che, impostava sempre a partire da una distinzione dei due mondo, necessita (ed ha oggi reali possibilità) di una rivoluzione copernicana nel modo di essere posta.
Dico subito che tale rovesciamento di impostazione, di cui cercherò di mostrare lo sviluppo attraversa il dibattito di un anno, consiste nel sostituire alla prospettiva ideologica ed ideale (cioè una prospettiva 'Che dà il primato' agli aspetti teorici dei problemi) per la quale «manda cattolica» e «manda marxista» sana due diverse realtà che vanno prese complessivamente come due unità, più a mena inscindibili ed a confronta l'una can l'altra, una prospettiva politica e reale (cioè una prospettiva che dà il primato agli aspetti pratici dei problemi) secondo -la quale il mando è uno, quella della sfruttamento capitalistica e dell'oppressione dell'uomo e tutti, credenti e non credenti, cattolici e marxisti, sana chiamati a dare una risposta politica, storicamente situata, praticabile, a questa realtà in cui viviamo,
1 - E ancora valido, oggi, impastare il problema della partecipazione dei cattolici alla latta politica in termini di «autonomia del credente nelle scelte temporali»? A questa affermazione teorica e di principia che sembrava ormai acquisita da tutti, si oppongono invece realtà ben diverse. Da un lata la Chiesa cattolica ha ufficialmente sconfessata e represso ogni posizione che traducesse in un fatta politica reale questa autonomia. Dall’altro molti cattolici sono recentemente approdati a certe scelte politiche di sinistra proprio in base ad un diversa moda di pensare e di vivere la loro fede cristiana. Infine, malti cattolici (più di quanti non si credesse) continuano ad operare scelte politiche restauratrici e reazionarie propria in base ad un altra moda di sentire e vivere la fede, Tutta ciò, pur coi risultati negativi che ciò può portare, dimostra un fatta: la distinzione tra coscienza cristiana ed azione politica si pone sul piana teorico, L'autonomia del credente nelle scelte temporali crea una distinzione fra il « religioso» e il «politico» che è teorico. Nella pratica politico, per quanto sia legittima rivendicare l'autonomia del credente dall'istituzione ecclesiastica, dalla gerarchia, dalla struttura, non è più possibile parlare di autonomia dell'azione politica dalla coscienza religiosa.
Il ruolo conservatore che gioca un certo tipo di coscienza religiosa di vaste masse popolari e piccolo borghesi è una realtà storica che non può essere liquidata con la semplice affermazione secondo cui ciò è dovuto alla mistificazione ed alla strumentalizzazione operate, insieme, dal potere borghese e dalla gerarchia ecclesiastica, e quindi è una realtà storica che non può essere liquidata solo con la lotta all’istituzione ecclesiastica. Va compresa la logica popolare di questa sintesi di coscienza religiosa e ruolo conservatore, ponendosi nella prospettiva politica di cogliere e sviluppare le contraddizioni emergenti a questo livello con la gradualità e la tattica necessarie a recuperare le masse popolari ad una lotta anti-capitalistica senza, necessariamente, spezzare in modo illuministico questa sintesi.

Il ruolo innovatore che possono avere gruppi di credenti che vivono in modo rinnovato la fede cristiana, per quanto ciò possa metterli in conflitto con la gerarchia ecclesiastica, non consiste, quindi, nel rinnovare solo la teologia o la Chiesa, o nel condurre uno scontro frontale con l’istituzione ecclesiastica a prescindere dal contesto storico politico in cui si valuta e si decide un’azione rivoluzionaria, ma nel presentare, con la propria esperienza storica e politica, una nuova sintesi tra coscienza religiosa e partecipazione politica, che sia praticabile non solo dalla elites illuminate e profetiche, ma dalle stesse masse popolari che vivono certe contraddizioni politiche e religiose.

Una prima discriminazione fra i cattolici italiani oggi impegnati nel travagliato e contraddittorio sviluppato della chiesa post conciliare e della società italiana, consiste a mio avviso nell’accettazione o nel rifiuto di una logica politica da applicare all’analisi della realtà storica in cui viviamo.













LE CULTURE DEI VERDI 1976
Giuseppe De Santis


2. Giuseppe De Santis
Giorgio Ruffolo: la qualità dello sviluppo

Giorgio Ruffolo è l’esponente più autorevole del riformismo ambientalista italiano. Il suo ultimo libro, La qualità sociale, è probabilmente tra le elaborazioni più significative della cultura politica progressiva italiana dell’ultimo  decennio.

Il paradigma generale

Il paradigma teorico e politico di Ruffolo può essere così sintetizzato sotto il profilo analitico e propositivo:

Analisi

l) La crisi del compromesso socialdemocratico (e dello schema Keynesiano classico), fondato sulla crescita quantitativa e sul benessere sociale, quale forma specifica di mediazione tra Stato e mercato, è globale e irreversibile. La metamorfosi ha prodotto il «malessere del mercato» e lo «Stato del malessere»:

2) Il punto critico nuovo e centrale è dato dalla contrapposizione tra crescita quantitativa e sviluppo qualitativo. La crescita urta strutturalmente contro tre limiti: frontiera ecologica, dei «desideri», etica. La crescita ha mancato i tre obiettivi ritenuti ad essa connaturati:  attenuazione del conflitto sociale, della disoccupazione, del conflitto internazionale.

3) A metà degli anni Ottanta, lo scontro, per Ruffolo, è tra il liberismo autoritario e la rifondazione di una prospettiva di socialismo liberale su presupposti radicalmente riclassificati o nuovi (principio ecologico, rivoluzione informatica orientata, terzo sistema economico, pianificazione e deburocratizzazione).

Proposta

Nel rapporto tra la possibilità (tendenze reali in atto) e desiderabilità (bisogni), vi sono tre linee di riorientamento della società, rispettivamente sul lato economico, politico, morale: a) dalla crescita allo sviluppo; b) dallo Stato alla Repubblica; c) verso la società socievole.

l) Sul lato economico e sociale (riforma del capitalismo) occorre trapassare dalla crescita allo sviluppo. Secondo tre linee di intervento: a) il nuovo equilibrio ecologico, selezionando le possibilità date da tre interventi (ecologia conservativa, tecnoecologia, ecologia creativa); b) lo sviluppo del terzo sistema economico transmercatistico (settore informale, economia associativa, settore volontario, settore D), per la riappropriazione del lavoro e del tempo, facendo leva soprattutto sulla rivoluzione informatica; c) la ridefinizione delle chances e degli obiettivi di eguaglianza (una «equa diseguaglianza»).

2) Sul lato politico ed istituzionale (riforma dello Stato), occorre realizzare una più alta capacità di governo dello Stato, procedendo contestualmente ad un processo decisionale a forte tasso di pianificazione e di deburocratizzazione della funzione pubblica, facendo leva anche in questo caso sulle possibilità date dalla rivoluzione informatica, la metamorfosi che 1'autore definisce «dallo Stato alla Repubblica».

3 ) Sul lato etico e culturale (riforma dei valori), occorre una profonda trasformazione dei valori della società, perché assolutamente non bastano né una economia riorientata dalla crescita quantitativa allo sviluppo qualitativo né una politica riorientata dallo statalismo all' autogestione sociale, né tutte e due insieme, ma necessitano valori di solidarietà, fondati nel saper conoscere, saper fare, saper vivere socialmente.

I nuovi principi propulsivi

L'approccio di Ruffolo è, come si può constatare, ampio, complesso e sofisticato, sofisticatissimo. Non inganni il nitore, e l'agilità, della sua scrittura. Ruffolo muove dall'ispirazione di fondo, ormai plurisecolare dell' illuminismo democratico, del liberismo e poi del socialismo liberale. Rivaluta nel suo eccezionale valore storico positivo il welfare e il ruolo del movimento operaio e socialista. Tratteggia una critica acuta e puntuale delle correnti di pensiero e delle politiche economiche che fanno capo al cosiddetto neoliberismo, soprattutto laddove avanza il richiamo a vedere, di questa controffensiva di destra, le ragioni e le motivazioni profonde: «la controffensiva di destra, le ragioni e le motivazioni profonde «la controffensiva liberistica trova una giustificazioni reale, e non solo un pretesto ideologico-politico, nella degenerazione burocratica-statalista della democrazia di massa.». Riclassifica categorie analitiche, politiche e valori tradizionali o più recenti (progresso, pianificazione, eguaglianza, Stato-Repubblica).
Può dare l'impressione di innestare approcci, intuizioni e suggestioni nuove (ecologia, rivoluzione informatica, autogestione, terzo sistema) su tronchi secolari, rischiando, magari, ad una superficialissima lettura, il sospetto di sincretismo velleitario o di continuismo brillante un po' trasformistico. Al contrario, ecco il punto, l'approccio di Ruffolo, in particolare nel libro su La qualità sociale, realizza un eccezionale scatto in avanti, una rottura - perché non dirlo? - rispetto alla tradizione, anche la più aggiornata, liberale, socialista e liberaI-socialista, rispetto all' intero panorama tradizionale della cultura di sinistra. La rottura consiste nell' inserire al centro del dispositivo analitico e prospettico alcuni nuovi principi propulsivi (nuovi in assoluto oppure tradizionali riclassificati).
Quattro, in particolare, in ordine di importanza, tra i quali i primi due sono quelli determinanti:

l) il principio ecologico, che è la vera novità dell'intero paradigma cuffoliano;

2) il principio informativo, vale a dire le possibilità offerte dalla rivoluzione informatica (società dell'informazione), possibilità non oggettive e neutrali, al contrario possibilità offerte alla soggettività degli uomini, della politica, della morale, alle capacità progettuali volontà normativa;

3) il principio del valore d'uso, cioè il «terzo sistema» economico sociale, a sua volta assolutamente dipendente ed interdipendente rispetto al principio ecologico e alla società dell’ informazione;

4) il principio della pianificazione e dell'autogestione, cioè la possibilità di usare i nuovi sistemi informatici al fine di alleggerir i compiti amministrativo-burocratici dello Stato, e, obiettivo a questo complementare, la possibilità di rendere la società dell'informazione anche società e repubblica della pianificazione.
Ecco il punto critico e politico, nuovo di Ruffolo: principio ecologico / rivoluzione informatica (società dell'informazione) / terzo sistema / pianificazione e deburocratizzazione. La sequenza vale anche in ordine logico, concreto, politico. Stringendo ulteriormente il discorso: se, da una parte, si tratta di guidare e torcere soggettivamente, progettualmente, politicamente la rivoluzione informatica e la società dell' informazione, cioè l'ultimo stadio della società tecnologica, ciò che è un dato di fatto anche se non assolutamente neutrale ma pur sempre un dato di fatto, dall'altra parte il punto veramente innovativo sta nell' assumere, nella sua portata epocale, il principio ecologico: la fine del mito della crescita, la rivoluzione - questa sì, vera - dalla crescita allo sviluppo. Il nuovo centro propulsivo dell'approccio di Ruffolo è qui: non si scappa. Definire Ruffolo l'esponente più lucido ed autorevole del riformismo ambientalista italiano trova qui la sua oggettiva e incontestabile giustificazione.

La frontiera ecologica e l’equilibrio ecologico

Sia nella parte analitica che in quella propositiva, il centro dell'approccio di Ruffolo è costituito dalla contrapposizione tra crescita e sviluppo. È nella razionalità quantitativa che soprassiede e valorizza l'economia della crescita, e negli evidenti limiti e conflitti che quest'ultima produce, nella quantità di domande che essa lascia inevase, che Ruffolo rintraccia i motivi fondanti di un' analisi critica e l'opportunità di un profondo mutamento. Ruffolo fa proprio e rielabora, a questo proposito, il concetto fatale di limite. Limiti materiali, fisici, determinati dal fronte del possibile esaurimento di alcune risorse e da quello dell'aumento dell'inquinamento e, soprattutto, limiti sociali e limiti etici. Ragioni fisiche, sociali e politiche, ed etiche, convergono quindi nella critica della crescita.
A parte il rischio di guerre e, in particolare, di guerre nucleari, Ruffolo sostiene che «il problema ecologico dominerà la cultura del' XXI secolo».
Ruffolo ha affermato recentemente, in un' intervista a «Nuova Ecologia». di essere giunto a questa conclusione dal suo punto di vista, di economia, attraverso una profonda insoddisfazione su come questo problema è trattato dalla scienza economica. Di essere stato sempre dubbioso nella possibilità di tradurre lo sviluppo e il benessere in una sola misura: il prodotto nazionale. Sebbene l’invenzione di questa misura abbia reso possibile calcolare in un unico indice l’insieme delle merci e dei servizi che si scambiano ogni anno nel mercato e dunque anche indirizzare la politica economica. Ma gli stessi economisti che hanno inventato il prodotto nazionale, ne hanno sottolineato i limiti, limiti di un indicatore che lascia fuori una quantità di costi a partire dall'insieme dei servizi pubblici e sociali. Ancora più grave è che il prodotto nazionale somma i cosiddetti valori aggiunti ma non tiene affatto conto dei cosiddetti valori dedotti. È, insomma, un indice dei flussi di reddito, ma non della «erosione del patrimonio». E oggi si sa che l'attività economica intacca il patrimonio naturale e addirittura, per la prima volta, minaccia l'ecosfera ambientale. Non è cosa da poco. Non si può continuare a pensare che indice della crescita e del benessere possa essere una misura che non tenga conto di questo tremendo rischio.
La scienza economica non può essere un sistema chiuso, i grandi economisti lo sapevano bene. E un sistema aperto da una parte alla sfera etica, dei desideri, dei bisogni e dei valori e dall' altra parte alla ,sfera ecologica. È a partire da qui che si può stabilire quella distinzione tra crescita e sviluppo che è fondamentale per individuare i reali progressi della nostra società. Circa il «che fare», Ruffolo sostiene che c'è, innanzitutto, un problema culturale, di «tecnica della conoscenza», simile a quello che gli economisti hanno risolto con l'invenzione del prodotto nazionale lordo: abbiamo bisogno di altri misuratori sociali, di nuovi indicatori del benessere.
Se si potesse disporre di indicatori dei livelli ottimali dal punto di vista dell'inquinamento, della congestione urbana, della distribuzione delle specie, della sofisticazione degli alimenti, ecc., la programmazione ambientale avrebbe dei punti di riferimento precisi, definendo appunto nuovi standards ottimali.
Sotto il profilo più propriamente analitico, Ruffolo fa riferimento alle analisi di O. Giarini, F. Dayson, A. Toynbée, ma soprattutto assume fino in fondo quelle di B. Commoner de Il cerchio da chiudere, vero padre del riformismo ambientalista.
«Abbiamo spezzato il cerchio della vita trasformando i suoi cicli senza fine in eventi umani di tipo lineare: il petrolio viene estratto dal sottosuolo, distillato a carburante, bruciato in un motore e convertito in fumi nocivi che vengono emessi nell' atmosfera. Alla fine di questa linea c'è lo smog. Altre alterazioni che l'uomo ha provocato a danno dei cicli ecologici sono l'emissione dei prodotti chimici tossici, di liquami, di montagne di rifiuti, testimonianza del nostro straordinario potere di lacerare il tessuto ecologico che ha garantito; per milioni di anni, la vita del nostro pianeta». La minaccia ecologica assume due aspetti fondamentali: l'esaurimento (depletion) e l'inquinamento (pollution).
I rischi più gravi non derivano dal processo di esaurimento, ma dall'inquinamento. È con l'inquinamento che la tecnosfera minaccia di intaccare la biosfera. Ruffolo assume la critica sia al Teorema dell'infinita sostituibilità (per cui le risorse, anche quelle esauribili, sono di fatto talmente abbondanti, da non destare alcuna preoccupazione di scarsità, data la possibilità di ricorrere a sempre nuove risorse, man mano che quelle utilizzate si estinguono) sia a quello della inesauribile tecnologia (per cui la tecnologia è in grado comunque di far fronte a qualunque esigenza, attraverso 1'aumento della produttività delle risorse). Secondo Ruffolo, da una parte non si possono determinare con assoluta precisione i limiti ecologici assoluti della crescita, nel senso che non si può giurare né su una catastrofe imminente, né su una dolce transizione a una condizione di pace con la natura; dall' altra parte è certo, invece, che esistano gravi limiti relativi, nel senso che la crescita comporta costi crescenti dell'uso delle risorse naturali e ambientali: e ciò sia nel caso che risorse finite in via di esaurimento siano sostituite con altre risorse più abbondanti, ma «finite» anch'esse, sia nel caso che risorse, considerate fin qui «libere», non economiche, praticamente infinite (l'aria, l'acqua) entrino nel regno della scarsità, e siano valorizzate. La conclusione è che i costi ecologici comunque aumenteranno. Il problema reale è: chi paga questi costi? Il fatto è che il mercato non può più rivelare 1'aumento assoluto dei costi ecologici.
E’ solo nella misura in cui  la produzione nel suo complesso sarà indirizzata verso impieghi che consumano tempo e informazione, anziché energia e risorse naturali, che il tasso di inquinamento del sistema potrà essere «governato». Quindi i costi assoluti, che il mercato è incapace di misurare e governare, devono essere oggetto di una valutazione politica. Non c’è altra transazione tra società e natura, di quella che passa attraverso la coscienza della società.
Dal momento e nella misura in cui le risorse naturali e ambientali vengono considerate dalla società come beni finali, come la salute e l' educazione, i termini della loro preservazione devono essere sottratti al giudizio del mercato e devono essere definiti in sede politica.
A questo punto, l'autore prende in considerazione tre possibili vie d'uscita, che non si escludono tra di loro a vicenda, ma si differenziano quanto al loro «radicalismo».
La prima, politica ecologica conservativa, è la meno radicale e consiste nel tentativo di frenare, se non di arrestare, la degradazione ecologica e ambientale, agendo soltanto attraverso disincentivi al'impiego delle risorse scarse o dei processi di inquinamento o delle azioni congestionanti.
La seconda, tecnoecologia, è una via molto più radicale ed efficace, ed è quella che mira a innovare profondamente la tecnologia produttiva, sostituendo tecniche ecologicamente distruttive con tecniche ecologicamente compatibili.
La terza, ecologia creativa, è la via più radicale ed efficace ed è quella di agire propriamente alle radici del modo di produzione e cioè sul tipo dei beni e servizi richiesti dalla collettività: insomma, sulla struttura dei consumi e delle attività, attraverso la politica del territorio e dell' ambiente e soprattutto attraverso l'educazione,
Ruffolo è molto scettico sulla prima (ecologia conservativa), che si limita a frenare i danni della distruzione ecologica, pur non escludendola del tutto; ritiene la seconda (tecnoecologia) la via maestra per riportare in equilibrio economia ed ecologia, anche se richiederà una lunga fase di transizione in salita (50 - 100 anni!); ma fa leva soprattutto sulla terza (ecologia creativa), anche per poter preparare e attuare nel tempo la seconda.
Per le finalità di questa scheda, il discorso si può concludere qui, richiamando 1'interdipendenza tra frontiera ecologica / rivoluzione informatica e società dell'informazione / terzo sistema e sviluppo transmercatistico del valore d'uso / riforma dello Stato e della politica: si tratta di un unico cerchio.



Il metodo, le fonti, lo stile, i destinatari, del grande mediatore politico-culturale


Da alcuni anni Ruffolo seguiva alcuni filoni di ricerca, facendo i conti con sviluppi teorici della critica neoliberista e con le nuove elaborazioni che emergevano nel vasto arcipelago della sinistra europea e mondiale. In seguito, questi filoni di ricerca vengono ricondotti in un unico discorso globale dotato di notevole compattezza e nel quale la confluenza di acquisizioni provenienti da campi disciplinari molto diversi non acquisisce mai un carattere di astratta erudizione, ma viene rigorosamente finalizzato all'impegno di contribuire alla definizione di un progetto riformatore, tale da dover lasciare un segno forte nella cultura politica e sulle scelte delle forze progressiste e della sinistra; una delle elaborazioni più alte e lucide scaturite dal travaglio dell'ultimo decennio.
A questo proposito, le considerazioni più puntuali e brillanti restano quelle svolte da Michele Salvati su «L'indice»: «Politico, grand commis . 'a tempo definito", organizzatore di ricerca, studioso, Giorgio Ruffolo è uno dei più grandi mediatori politico-culturali di cui dispone il nostro Paese.
Sia loro reso lode, perché il loro compito è importante e sovente misconosciuto. Non sono divulgatori, anche se divulgano, non sono "esperti", anche se talora ne svolgono la funzione: divulgazione ed expertise implicano un passaggio semplice da una disciplina scientifica o tecnica ad una sua elucidazione o ad una sua applicazione su commessa. Più o meno bene, chiunque di noi può svolgere questi ruoli. Ma pochissimi tra noi hanno la passione politica, la cultura, il bagaglio di conoscenze, la posizione istituzionale, il reticolo di audiences, che sono necessari al mestiere di mediatore politico-culturale.
I mediatori non divulgano, scelgono. Non applicano, propongono linee guida per eventuali applicazioni. Non traducono, tematizzano. Sono criticati da tutte le parti: dai politici perché non sono politici abbastanza. Dagli esperti di singole discipline, perché - di solito - non ne dominano alcuna sino alla frontiera. Dai burocrati e dagli amministratori, perché la loro devozione professionale non è esclusiva. La critica non coglie il segno, poiché è proprio la limitata specializzazione funzionale, e invece l'ottima integrazione di funzioni diverse - ognuna di esse controllate solo in modo soddisfacente - a fare dei mediatori quello che sono: microprocessori delicati e influenti - e troppo scarsi purtroppo – inseriti nelle giunture tra ambiti funzionali e culturali eterogenei di cui si compone la nostra società,
In particolare, La qualità sociale è dunque un grande messaggio di un grande mediatore: un messaggio alto e commovente a politici e uomini di cultura» 18.
Un messaggio che trasmette agli esperti delle varie discipline «un' idea forza»: che i loro sforzi disciplinari sono politicamente rivali, e che però vanno composti in un paziente lavoro di aggiustamento e di incastro. È l'insieme orientato che diventa alta politica.
Il contributo più personale consiste però nella sintesi, nella mediazione, nella tematizzazione, sovente radicale; nel trasmettere ai politici il messaggio profondo di Karl Polany e di Fred Hirsch, e nel criticare a loro uso l'insidioso scetticismo di Niklas Luhmann. Nell'incardinare nel dispositivo analitico e propositivo il principio ecologico, fondato su alcune coordinate analitiche della cultura di ispirazione ecologista, sia nel suo versante più strettamente «ambientalista» sia nel suo versante più filosofico e istituzionale.
Basti considerare alcuni degli autori più citati: Commoner (Il cerrchio da chiudere), Daly (Lo stato stazionan'o), Giardini (Il Dialogo sulla n"cchezza e ti benessere), Gorz (Addio al proletariato), Illich, ecc.
Anche se, non lo si dimentichi mai, Ruffolo, procedendo tra capisaldi storici, riclassificazioni, innesti nuovi, scarti radicali, tiene salde le radici filosofiche e politiche sul potente filone del socialismo, del socialismo liberale, del liberalismo, non escluse le radici kantiane.
Si tratta di un approccio creativamente multidisciplinare che utilizza fili resistenti e sottili dell' analisi filosofica, economica, sociologica e polito logica in un disegno ricco, complesso e convincente, in cui convergono contributi e spunti derivanti da piste diverse: la ricerca nella rifondazione della sinistra, la ricerca postindustriale c futuro· logica statunitense e francese in particolare, la ricerca di S<.:I1S0 di ascendenza mitteleuropea. Specificamente, vi è un intreccio strettissimo di tre sottosistemi: economico-sociale, politico-istituzionale, etico o culturale, non semplicemente giustapposti ma ricondotti a unità. Per cui, ai valon' liberali della tradizione democratica occidentale, si aggiunge il valore ecologico, e si propone la ricerca di nuovi equilibri di solidarietà (una equa disuguaglianza).
In questo quadro, lo stzle della scrittura non è secondario: uno scrivere politico elegante, secco e nitido. Ruffolo è scrittore politico in senso proprio, di intervento, a suo agio sia nella dimensione di un giornalismo ragionato, sia del saggio, sia ogni tanto, del libro.
I destinatari del messaggio di Ruffolo sono esplicitamente collocati in quella sinistra sociale e politica, ideale e morale che da 150 anni è protagonista, tra successi e sconfitte, della storia occidentale. L'esordio del libro citato non lascia dubbi: «Un vento di destra spira sull' Occidente.
Reaganiani e moderati, marxisti pentiti e cattolici provvidenzialisti, profeti postindustriali e intellettuali postmoderni, sociologi del sommerso neurovegetativo, sistemisti, neo-decisionisti, neo-liberisti, neo-opportunisti evocano e celebrano lo spirito nascente del capitalismo. Decisamente questo libro non si iscrive in questa vague. È forse un libro controcorrente».
Ma non tutti i destinatari sono ben disponibili. Alcuni hanno fatto finta di non capire.
Hanno preferito parlare d'altro. Altri, dopo le lodi di rito alle elaaborazioni ruffoliane hanno messo il dito su questa o l'altra carenza vera o presunta: il rapporto Nord-Sud, la dimensione europea, il «qui e ora», quali sono le gambe per realizzare il progetto, l ' occupazione e l'alienazione del lavoro, la dimensione storica, la distinzione tra programma politico immediato e progetto e utopie.
Va rammentato comunque che il libro La qualità sociale è stato pubblicato nel 1985. Prima che si appalesassero le difficoltà strutturali delle forze neoconservatrici dell' Occidente (l' Irangate, l'empasse della Thatcher e di Chirac e dello stesso Kohl), prima dell'ultimo congresso dalla Spd tedesca e delle ultime elezioni tedesche con la grande affermazione dei verdi, prima della maturazione dell' opzione «rosso-verde» nelle stesse forze della sinistra politica e sociale italiana.
Chi non ha voluto confrontarsi con il messaggio di Ruffolo nel 1985, lo dovrebbe fare oggi. Altrimenti vale quanto l'autore racconta, in chiusura del suo libro, di Alessandro il Grande, il quale, avendo saputo che un soldato con il suo stesso nome si faceva notare per la ribalderia, lo fece chiamare e gli offrì la seguente scelta: o cambi condotta o cambi nome.























IL LIBRO DELLE LEGHE DEI DISOCCUPATI- secondo semestre 1997
Da emarginati a protagonisti. Organizzazione e lotta.
A cura di Beppe De Santis

PREMESSA

Questo volume si divide in due parti. La prima è una breve introduzione politica articolata in tre punti: il ruolo delle Leghe per l'unità di classe di tutta la forza-lavoro occupata e disoccupata; l'incidenza politica delle Leghe nel secondo semestre del '77 come soggetto organizzatore dei giovani disoccupati e come punto di riferimento unitario per un nuovo tipo di movimento di tutta la gioventù; i problemi fondamentali con i quali le Leghe si dovranno misurare nei prossimi mesi.
La seconda parte è un primo abbozzo di storia delle Leghe. E' divisa in undici brevi capitoli che ne tracciano, da una parte l'intelaiatura cronologica: dalle esperienze prefiguranti le Leghe nell'autunno '76 alle grandi mobilitazioni di massa dell'autunno '77; e, dall'altra, disegnano uno schema dei punti tematici specifici: dal movimento per l'occupazione delle terre al rapporto Leghe-studenti, dalla nuova cooperazione giovanile alla terza fase del movimento, cioè quella vertenziale e della campagna di tesseramento.
L'impostazione del libro è di carattere nazionale, guarda cioè all' esperienza complessiva del movimento, alle varie espressioni locali come alla sua dimensione nazionale, pur ancorandosi ampiamente alla esperienza romana e laziale.
Esso è stato realizzato fin troppo in fretta e senza un adeguato lavoro di ricerca, di dibattito e di redazione.
Ci interessavano però tre obiettivi che riteniamo qualificanti: che il libro fosse scritto dai protagonisti stessi del movimento; che uscisse presto perché ne sentivamo il bisogno come strumento per la campagna di tesseramento dei primi mesi del 1978; che fornisse un contributo alla unificazione nazionale del movimento sollecitando la costruzione di una sua coscienza storica.

Roma, 16/1/1978

INTRODUZIONE
«Le Leghe dei disoccupati per l'unità di classe»

UNA CONTRADDIZIONE

L'esigenza di questo volume è nata dopo il2 dicembre '77. Da una contraddizione. Da un lato il movimento delle Leghe è diventato robusto, presente a livello nazionale, punto di riferimento per vaste masse giovanili, dall'altro allarmante è lo stato di pressoché completa inapplicazione della legge per l'occupazione giovanile.
Il 2 dicembre: 200.000 metalmeccanici a Roma, prima manifestazione nazionale anche delle Leghe dei disoccupati, riconquistata unità tra classe operaia e giovani, dopo un grande ciclo di lotte operaie e dopo il/atto nuovo e straordinario dell'affermazione di massa delle Leghe con le mobilitazioni di novembre e dicembre.
l risultati concreti, in termini di posti di lavoro, del nuovo movimento dei disoccupati: scarsi nel settore agricolo, insufficienti e/orse assistenziali nei servizi socialmente utili, nulla nei settori produttivi industriali privati.
Che fare dunque? La mobilitazione autunnale non basta per conquistare oltre un milione di nuovi posti di lavoro, nuovi anche nella qualità.




OBIETTIVI PARZIALI, OBIETTIVI GENERALI, POTEERE POLITICO

S'impone una svolta al movimento: svolta nella capacità vertenziale e realizzati va, nello sviluppo territoriale e di massa, nella tenuta e nel respiro politico generale.
Un compito arduo, tre livelli di lotta.
a) conquistare subito decine e decine di migliaia di posti di lavoro, sia pure straordinari e limitati, legati a processi di qualificazione e riqualificazione, nonostante la crisi e contro la crisi;
b) organizzare l'enorme «potenziale politico» che si è messo in moto con l'iscrizione di oltre 800.000 giovani alle liste, costruire una forte e incisiva Lega unitaria in ogni circoscrizione nelle grandi città e in  ogni comune nelle province e nel Mezzogiorno, farne un nuovo centro di potere politico delle nuove generazioni, sperimentare forme di autogoverno dei giovani con un' ondata straordinaria di nuove cooperative giovanili, realizzare nei quartieri una diffusa rete di centri di aggregazione polivalenti per disoccupati e studenti, donne ed emarginati, per conquistare insomma nuovo potere politico alle nuove generazioni, decentrare e rinnovare gli attuali contenuti e modi di governare;
c) a fronte di una crisi profonda e lunga, il movimento deve esserne all'altezza e reggerne i tempi, disporre cioè di una grande progettualità politica, di una adeguata scienza politica, di una idea e di un programma di uscita dalla crisi e di transizione, perché l'obiettivo di oltre un milione di nuovi posti di lavoro significa allargamento delle basi produttive mediante il rinnovamento profondo dell'intero assetto economico-sociale.

LEGHE, CATTOLICI E ESTREMISTI

Per le Leghe una rapida e profonda svolta. Non un semplice aggiustamento di tiro. Recenti e potentissimi segnali di quanto si agita nel magma delle masse profonde dei giovani, dall'elezioni scolastiche alla nuova ondata di cieca violenza, devono indurre le Leghe ad una riflessione più approfondita sulla propria natura e sul ruolo che ad esse spetta oggi, e all'interno di tutta la gioventù, della questione giovanile, e nel più generale scontro di classe.
L'alta percentuale del voto cattolico nelle scuole, che si porta appresso un segno moderato e conservatore, ma che non è tutto moderato e conservatore, ha spazzato via, di un colpo, le fumisterie ideologiche che, nella agiografìca visione di un movimentismo irruento e corrosivo, nascondevano il reale panorama delle forze e delle opinioni, per ricordare a tutti di vivere in questo paese in cui ci sono la chiesa, il Vaticano, migliaia di associazioni cattoliche, una antichissima esperienza cristiana, una vita organizzata nelle comunità intermedie della famiglia e della scuola. Un panorama ben diverso da quello dipinto di questo o quel gruppo estremistico.
E nella violenza che si è scatenata agli inizi di gennaio molti hanno letto qualcosa di spaventoso e di ignobile, di diverso rispetto al passato. Nuova I(t natura degli aberranti crimini. Si colpisce a caso, alla cieca. Ogni motÌ1Jazione politica, se pure aberrante, scompare: gli assassini non firmano. Ricacciare indietro la democrazia di massa: ecco l'obiettivo. Far sprofondare ogni cittadino, solo e indifeso, con la coscienza confusa e mortificata, nella crisi economica e sociale che si aggrava, per svuotare la democrazia della partecipazione dei lavoratori e della gente comune, con il prevalere della paura e degli egoismi individuali.
Il livello di guardia è stato abbondantemente superato. Nello sfascio e nella disgregazione l'attacco non è indirizzato più semplicemente contro la democrazia e il movimento operaio, ma colpisce e logora i valori fondamentali di umanità, di giustizia, di razionalismo, di pluralismo.
Il movimento dei disoccupati non è, non può essere un movimento settoriale, per così dire «specialistico», che lotta per il lavoro e basta, non si interessa di politica generale, non parla a tutte le masse giovanili.

Intanto perché lottare per il lavoro oggi significa trasformare radicalmente l'intero assetto economico-sociale e imporre un nuovo modo di governare, mediante il decentramento e una nuova articolazione del potere, mediante una reale programmazione economica.
E ancora perché tali obiettivi richiedono movimenti autonomi, di massa, democratici, unitari che siano all'altezza dell'attuale scontro di classe, dotati di tanta scienza politica quanta ne richiede il fare i conti con tutta la realtà, a partire da quella giovanile. Altro che movimento settorialistico.
Un movimento quindi che organizzi le masse dei disoccupati, in modo pluralistico e creativo, e contro l'ipoteca cattolico-integralistica contro il corporativismo eversivo dell'estremismo.

GIOVANI, CRISI, TRANSIZIONE

Le Leghe: punto di riferimento di tutta la gioventù, COS1' com'è, netta crisi e in una fase di transizione da una società all'altra. Il punto è insomma il rapporto tra Leghe e questione giovanile, crisi, transizione.
Guardando alla condizione giovanile noi possiamo misurare quanto profondi siano i guasti determinati dallo sviluppo capitalistico e dalla politica dette classi e dei partiti dominanti; quanto gravi siano i pericoli legati atta crisi cui è approdata questa crescita squilibrata e distorta.
La realtà è che il rapporto tra nuove generazioni e società e quindi tra le generazioni, così come si è delineato in questo trentennio, è entrato in crisi nei suoi diversi aspetti e deve essere fondato su basi nuove.
Questo è il punto da cui partire se vogliamo comprendere il modo in cui si presenta la questione giovanile netta attuale realtà del nostro paese e individuare il ruolo dette Leghe dei disoccupati.
Se questo è il punto di partenza si comprende subito che in primo piano sono, non solo l'occupazione e il contratto del mercato del lavoro, ma le grandi questioni detta scuola e dell'università, dell'organizzazione e detta qualità detta vita civile.
Si tratta, in sostanza, del fatto che viene delineandosi il rischio di una frattura tra le nuove generazioni o, per ora, tra una parte di esse e la nostra democrazia, come i fatti universitari dei primi mesi del' 77 hanno dimostrato.
Il rischio è che masse di giovani, che si distaccano dalle classi dominanti e dalla loro egemonia ideale e che la crisi spinge in una sorta di trasparente terra di nessuno, non riescano a costruire un rapporto organico col movimento operaio.
Le Leghe devono porsi all'altezza detta tematica detta transizione e detta crisi ideale che si presenta in essa, giacché «il tramonto di un modo di vivere e di pensare non può verificarsi senza una crisi».
E' la fase detta transizione da una società all'altra che apre lo spazio, specie tra i giovani, a «fenomeni i più morbosi. Nella riflessione di Gramsci sulla crisi italiana degli anni del primo dopoguerra, la questione dei giovani è vista sotto questo aspetto, e il giudizio che se ne trae è che, quando si determina una vera e propria frattura tra le generazioni, questi strati giovanili finiscono per porsi contro il movimento operaio e contro la democrazia.
Quando c'è un «tumulto» tra le generazioni, è il momento in cui si decide non se l'avranno vinta i «giovani» o gli «anziani», ma se l'avranno vinta le nuove o le vecchie classi dirigenti. Il pericolo è quello dei «giovani» contro gli «anziani», ma - per dir/a con Gramsci - contro gli «operai anziani».

CENTRALITÀ DEL LAVORO

Il vecchio sviluppo si è arrestato; le forze dirigenti hanno risposto atte spinte nuove detta società, più ancora che in altri paesi capitalistici, spostando risorse dalla produzione atta sussistenza, allargando la spesa pubblica terziaria non qualificata: il saggio di attività oscilla oggi intorno al 40%, è enormemente cresciuto il pezzo di società che non ha un rapporto stabile col lavoro, fino a includere gran parte dette donne e quasi tutti i giovani.

C'è un enorme allungamento dei tempi di reperimento del primo lavoro, ed anche detta sua ricerca. Un quarto della popolazione vive ormai permanentemente netta scuola, i disoccupati intellettuali si muovono rapidamente verso il milione.
Non si può pretendere d'altronde di rilanciare, con la società che abbiamo di fronte, un'etica ingenua del lavoro, ma bisogna piuttosto insistere sulla complessa connessione allargamentozio ne-finalità del lavoro, su cui pur avendola ben vista, il movimento operaio e sindacale ha ancora concretamente lavorato troppo poco.
Sergio Garavini introducendo il seminario su «Crisi economica e crisi dei valori: condizione giovanile e strategia sindacale» che la CGIL ha tenuto nell'aprile '77, è partito proprio da un punto molto critico (<<l'incontro tra il sindacato e i giovani nette fabbriche, negli anni sessanta, con un effetto dialettico di rinnovamento del sindacato e di formazione di una nuova generazione operaia militante, non si è dunque ripetuto che molto parzialmente negli anni settanta»), per concludere con una prima indicazione di linea che, sul punto forte dell'unità occupati-disoccupati, vuole ricreare le condizioni di quell'incontro, di quella saldatura.
Nuova centralità dunque del lavoro, quale chiave di interpretazione «strutturale» detta questione giovanile, centralità del rapporto occupati-disoccupati e sindacato-giovani: qui sta la sostanza profonda delle Leghe unitarie dei disoccupati CGIL-CISL-UIL. 


ESERCITO DEI DISOCCUPATI MODERNI

Ricostruire un solido rapporto tra giovani e sindacato significa individuare e rimuovere le cause che lo rendono oggi difficile.
All'origine delle drammatiche condizioni dei giovani, della protesta, dell'atteggiamento di contrapposizione e di estraneità verso il processo produttivo e, a volte, verso il movimento sindacale, vi sono la disoccupazione e l'inoccupazione, la mancanza di una prospettiva di lavoro qualificato dalla scuola, l'ampliamento di supporti assistenzialistici che vengono adottati praticamente in tutti i paesi capitalistici, a cominciare dagli Stati Uniti.
Voglio insistere su cinque punti.
Primo. Il dilatarsi della inoccupazione e disoccupazione dei giovani, e quindi della presenza dei giovani nelle aree di lavoro precario, ha segnato un certo distacco nel rapporto diretto sul lavoro tra il nucleo operaio fondamentale del movimento sindacale e le nuove generazioni, proprio quando più grande è divenuta la forza del sindacato nelle fabbriche. E i punti di incontro più vasti sul lavoro tra giovani e sindacato si sono spostati, rispetto agli anni sessanta, fuori della fabbrica.
Secondo. I! processo di scolarizzazione di massa negli ultimi dieci quindici anni si è sviluppato parallelamente al restringersi della base produttiva e dell' occupazione direttamente produttiva, al restringersi della domanda di lavoro, e soprattutto del lavoro qualificato, nella produzione. E' avvenuto esattamente il contrario di quanto negli anni '50 era stato ufficialmente previsto, che la dilatazione della domanda di lavoro qualificato si sarebbe scontrata con la ristrettezza della formazione scolastica dei giovani.
Ed è proprio la mancanza di prospettive nel lavoro che viene sentita dagli studenti come componente essenziale dello svuotamento interno progressivo della scuola, del suo perdere il fondamento professionale e di formazione culturale, del decadimento di tensione morale e disciplinare che passa in crescente complicità dagli studenti agli insegnanti e viceversa. Ciò a tanta maggior ragione quando la scuola è passata, senza rinnovarsi, da scuola di élite a scuola di massa; come scuola di élite, destinata a formare un gruppo dirigente, è stata rivolta ad una formazione che non è direttamente per il lavoro produttivo, che è spesso lavoro esecutivo, ma per quel lavoro che consiste nell'organizzare, nel dirigere, nell'esercitare un'egemonia nella società. E' allora una .rcuola che, nella sua attuale dimensione di massa, dà ai giovani una visione negativa del lavoro, semina un odio per il lavoro, che diventa o dominio .rugli altri o subalternità e sottomissione. Una scuola contro i lavoratori.

Terzo. L'intreccio di questi fenomeni ha cambiato nel profondo le società capitalistiche, nel senso che il fenomeno tradizionale dell' esercito di riserva dei disoccupati, si è allargato dalle classi subalterne, ai ceti intermedi e ha cominciato a caratterizzare la vita delle grandi città, fin quasi alle porte della borghesia vera e propria. Si è venuto così proponendo un modello di vita assistita e improduttiva e, dentro questo modello, la rivendicazione di un diritto di libertà non più connesso al lavoro, di un diritto alla vita non più connesso alla produzione.
Quarto. I processi di ristrutturazione attuati dal padronato italiano, a partire dalla recessione del '63-64, hanno puntato all’innalzamento della produttività per due vie: pochi investimenti e alta intensità nello sfruttamento del lavoro.
Il risultato è stato da una parte una vera e propria rigidità del lavoro e dall'altra selvaggi processi di decentramento della produzione, varie forme di lavoro occulto e precario, quale valvola di sfogo per il complesso delle contraddizioni del sistema. L'attuale tendenza all' «americanizzazione» del lavoro, cioè la precari età-flessibilità della forza lavoro rispetto al ciclo capitalistico, trova un ostacolo fortissimo negli attuali livelli di sviluppo delle forze produttive e in modo particolare nella richiesta di una nuova qualità e nuovi scopi del laavoro da parte dei giovani e delle donne, che si oppongono in misura crescente ad un inquadramento lavorativo di tipo autoritario e alienante che li priva di iniziativa, di responsabilità e di creatività.
La conseguenza è una contraddizione eccezionale: da una parte i giovani, in modo particolare quelli scolarizzati, non accettano il lavoro precario quale mezzo per integrarsi in modo stabile e duraturo nella produzione e dall'altra parte il lavoro precario stesso si presenta per essi come una necessità e come una forma di resistenza, una specie di seconda area di parcheggio insieme alla scuola e all'università, in attesa di conseguire un lavoro qualitativamente nuovo e finalizzato.
In questa realtà e contraddizione si individua un vero e proprio esercito di «disoccupati moderni».
Quinto. L'effetto dell'intreccio di questi fenomeni di massa è lo spreco assurdo delle risorse, la ricerca disperata di una ragione di vita nelle strutture in putrefazione della vecchia società, la scissione tra privato e pubblico, forme nuove di ripiegamento individuale, l'emarginazione, e infine, il ribellismo eversivo antioperaio e antidemocratico, la contrapposizione occupati-disoccupati, «garantiti e non garantiti.

SINDACA TO E GIOVANI, OCCUPATI E DISOCCUPATI

Una sfida per il movimento operaio e per il sindacato. E il sindacato non potrebbe non seguire una linea di confronto e di impegno attivo, e nel confronto dotarsi di una linea e di una proposta di fondo, le cui grandi coordinate siano quelle del lavoro come rivendicazione fondamentale, del rinnovamento della scuola, per un nuovo intreccio tra lo formazione e lavoro, e dell'azione democratica di massa come metodo di lotta contrapposto alla violenza minoritaria.
L'organizzazione diretta dei disoccupati nel sindacato e il confronto aperto e serrato con gli studenti: la creazione delle Leghe dei disoccupati e la capacità da parte loro di essere punto di riferimento unitario di un nuovo tipo di movimento dell'intera gioventù, in primo luogo gli studenti. Tutto questo è diventato chiaro e impellente nel corso della primavera '77. Il movimento universitario, l'approvazione della legge-giovani 285, l'ondata eccezionale di occupazioni delle terre incolte, con la creazione di centinaia di cooperative agricole giovanili: tutto spinge i giovani disoccupati e il sindacato a rompere gli indugi.

650.000 ISCRITTI ALLE LISTE SPECIALI

La data dell'11 agosto ha riservato molte sorprese e (forse) anche molte delusioni a quella querula schiera di scettici e ipercritici, che non hanno perso l'occasione per sottolineare con petulanza i limiti «intrinseci» della legge 285, i pericoli per uno snatura mento del mercato del lavoro, o, all'opposto, la sua organica impossibilità di funzionare di fronte al «mostro giovanile» del rifiuto del lavo 1'0. Invece, una cocente smentita, e di quelle che lasciano i segni: 650.000 iscritti alle liste speciali che chiedono lavoro e lavoro produttivo. Il primo rilevante effetto che la legge ha provocato è quello di aver sollecitato il risveglio di un intero e articolato sottosistema di emarginazione economica e sociale, di aver/o indotto a porre in termini espliciti, collettivi e di massa, il problema del lavoro e del ruolo produttivo, sociale e civile per centinaia di migliaia di giovani, professionalizzati e non forniti dei più alti livelli di istruzione scolastica o privati anche del diritto all'istruzione di base.
In agosto è chiara l'esigenza per il sindacato di confrontarsi con questo dato, clamorosamente uscito dalla fredda astrattezza delle tabelle statistiche delle ricerche sul mercato del lavoro per incarnarsi nella correttezza drammatica di una speranza collettiva. Nessun appello al realismo potrebbe giustificare una ritirata più o meno «strategia» del sindacato di fronte al dovere di gestire questa speranza e di promuovere tutte le condizioni generali necessarie perché essa non vada delusa. L'iscrizione in massa alle liste carica le istituzioni e la società di responsabilità accresciute.
Il problema, a questo punto, è: un enorme potenziale di lavoro dev'essere occupato, e per essere occupato, un enorme «potenziale politico» dev'essere organizzato. Il tipo di iscrizione alle liste è la conferma anche del contenuto non episodico, ma di scelta politica permanente che è stata compiuta dai giovani.

UNA STRATEGIA CONTRO LA GUERRA TRA I POVERI

La prima scelta da fare è cogliere la 285 come un 'occasione, un terreno di lotta per introdurre una logica di cambiamento, per forzare la strada verso un diverso tipo di sviluppo, a cominciare dal Mezzogiorno. Non si tratta di vedere questa legge come un settore a sé dell'impegno sindacale, con i suoi specialisti, (On un suo ufficio «giovani disoccupati», magari accanto a quello degli invalidi civili e mutilati del lavoro. Ma una leva fondamentale della battaglia sindacale generale, che si chiama lotta per la riconversione industriale, lotta per applicare un piano generale per l'agricoltura, lotta per gestire la legge speciale per il Mezzogiorno, lotta per forzare i nuovi impegni programmatici delle aziende a Partecipazione Statale, lotta per ottenere concreti obiettivi nel piano casa; una leva per la battaglia generale che passi per l'uso coordinato di tutti gli strumenti a disposizione del sindacato.
L'alternativa a questa scelta, sarebbe l'amministrazione dell'esistente, la rinuncia a mobilitare le forze che possono far uscire il paese' dalla crisi, la difesa corporativa, e la frantumazione corporativa del movimento. L'alternativa, in questo caso, sarebbe l'amministrazione della miseria e dell'assistenza, una linea illuso ria e suicida per un organizzazione di classe come il sindacato. Rinunciare a questa linea sarebbe il penoso arbitrato di una guerra tra poveri, con mezzi che sono oggi palesemente incapaci di amministrare nemmeno la politica di assistenza che in anni più fetici le, classi dominanti sono riuscite a utilizzare come mezzo di attenuazione del conflitto sociale.
Il carattere strutturale della disoccupazione giovanile, l'intreccio, come emerge con chiarezza dall'analisi delle iscrizioni alle liste speciali, di 4 ordini di questioni: quella meridionale, quella femminile, quella giovanile, quella intellettuale, richiedono che la lotta della classe operaia e quella dei «soggetti nuovi» investiti dalla crisi convergano e trovino un terreno di unificazione nella pratica di obiettivi adeguati. Tutto ciò esclude una via di «rivoluzione passiva» alla Keynes (la sfera pubblica garantisce la sussistenza finché il ciclo riprende a tirare), ma postula invece che gli stessi interventi straordinari, necessari e ineludibili in questa crisi, operino e si configurino anche nella coscienza di massa in modo coerente e propulsivo verso la riconversione e l'allargamento della base produttiva, a soli obiettivi che possono permettere di aggredire le cause di quei fenomeni. Si tratta cioè di praticare un terreno di lotte capace di rompere il diaframma che oggettivamente la crisi tende ad innalzare tra la logica degli occupati e quella degli «altri», nella consapevolezza che, se divisi, gli uni non potranno evitare regressioni corporative e gli altri la sconfitta.

L'ingresso delle Leghe nel sindacato, nel pieno della crisi occupazionale dovuto allo sciopero degli investimenti produttivi e alle tendenze ad allargare il mercato del lavoro nero, decentrato e incontrollabile, coincide coll'acuirsi di uno scontro di classe dove la posta in gioco è il controllo e l'indirizzo dei processi di accumulazione. O passa una politica di primo, si afferma una direzione democratica dello sviluppo economico, oppure il movimento operaio si troverà ad amministrare la spartizione della miseria.
Con questo nuovo strumento che è la Lega, i giovani possono unirsi insieme con i lavoratori all'altezza di questo scontro.
Le due società, i garantiti e gli emarginati, di cui ha parlato tanta sociologia negli ultimi mesi, sono sempre stati gli obiettivi delle classi dominanti, l'obiettivo di ripartire dai tempi più antichi delle società mercantili e di dividere in più strati e in più classi non comunicanti i .figli di uno stesso sistema; ma questo schema, questo modello sociologico e ideologico che è sempre stato l'obiettivo delle classi dominanti o potrebbe diventare lo schema di governo di queste classi sui lavoratori tutti, prima divisi e poi battuti, se la classe operaia, organizzata, le forze emergenti del movimento giovanile non sono in grado di costruire una risposta diversa non solo per i suoi obiettivi, ma per gli strumenti che essa si dà.

FASE COSTITUENTE DEL SINDACATO UNITARIO DI CLASSE

Siamo di fronte al banco di prova forse decisi'vo del valore politico e strategico di tutta una esperienza di elaborazione e di lotta che ha caratterizzato il ruolo e la presenza del sindacato nel nostro paese in questi ultimi anni. Se nel '69fu la capacità del sindacato di assumere e interprete la condizione dell'operaio comune dell'industria come uno dei parametri decisivi su cui esso ha ricostruito tutta una strategia e rinnovato profondamente metodi e strutture, non è retorico affermare che oggi il ruolo e il potere del sindacato si gioca sulla capacità di dare voce politica e rivendicativa alle crescenti masse degli emarginati e, tra questi, in modo specifico, alle giovani generazioni.
Senza l'incontro con il sindacato di classe la rabbia dei giovani, la loro volontà di cambiamento sarà sconfitta.
L'unità occupati-disoccupati, delle Leghe esigono un nuovo sindacato. Bruno Trentin nella relazione al Convegno nazionale Sindacato-Leghe, tenutosi a ottobre, ha parlato di «avvio di una fase costituente, di un sindacato unitario capace di raccogliere e di unire lavoratori occupati e giovani disoccupati, di trarre da questo impegno l'occasione per un confronto aperto sulle sue scelte fondamentali, per un profondo rinnovamento delle sue strutture, della sua democrazia di base, del metodo che ispi1'a la sua difficile funzione di direzione delle lotte di tutti i lavo1'ato1'i, in una fase così drammatica per la società italiana». Innanzitutto far crescere un sindacato non corporativo, battendo le resistenze corporative, le posizioni difensive e i timori di chi non solo si chiude nel suo guscio, ma finisce - proprio per questo - per dividere il movimento. Un sindacato unitario per cui non basta, anche se è una grande sollecitazione, la formula dell'adesione unitaria delle Leghe alla Federazione unitaria. L'adesione unitaria rischia di tradursi in una operazione propagandistica o in una sortita tattica, se ad essa non si accompagna la fiducia e l'impegno di assicurare alle Leghe un quadro politico di riferimento autenticamente unitario e, al tempo stesso, la volontà di utilizzare questo stesso rapporto unitario come una rinnovata sfida, un elemento di innesco di una nuova carica di tensione alla battaglia per l'unità.
I consigli di zona bisogna però costruirli, e l'ingresso delle Legge, dato il carattere strutturalmente territoriale del movimento, sa1'à una di quelle leve che può aiutare il sindacato a superare quello che c'è di lento, quello che c'è di vecchio, .quello che c'è di burocratici nel suo modo di lavorare, può essere l'occasione per costruire e rilanciare il consiglio di zona, quale struttura democratica di base. Infatti il travaglio, i dubbi, le resistenze, i timori espliciti che si esprimono nel sindacato contro le Leghe spesso sono scelti e rimangono conoscenza non sempre confessata dei problemi che nasceranno dalla carica di rinnovamento che è contenuta in questo incontro tra le forze dei giovani organizzati e le strutture sindacale con tutti i suoi limiti.

Una cosa è «dialogare» con i giovani, altra cosa è pagare il prezzo di una grossa scommessa, cioè creare nel sindacato un nuovo centro di lotta e di decisione. l'ingresso dei giovani nel sindacato. Le Leghe dei disoccupati non sono una proposta di alleanza e di organizzazione ad un interlocutore più o meno privilegiato del sindacato, Non è una proposta di dialogo tra le cosiddette due società, di garantiti e di emarginati. La scelta delle Leghe, che comporta dei prezzi e dei rischi per il sindacato, è quella di uno strumento che riaffermi innanzi tutto la centralità della classe operaia, la centralità del movimento dei lavoratori organizzati nei confronti dei disoccupati e degli emarginati, senza il quale non si vince la battaglia per l'occupazione e neanche per la democrazia.

UN ANNO DI LOTTE

Insomma, ripeto, i punti sono: Leghe e svolta vertenziale e di massa; Leghe e questione giovanile; Leghe e crisi-transizione; Leghe e centralità del lavoro; Leghe e sindacato-movimento operaio; Leghe e democrazia. Come si vede le Leghe dei disoccupati non possono non muoversi in un orizzonte ampio e complesso. Lottare soprattutto, a un livello alto e difficile. E le Leghe si presentano all'appuntamento del 1978. un bilancio di riflessione e di dibattito, ma soprattutto con un bilancio di lotte.
Questo volume intende spiegare la natura e il ruolo delle Leghe, informare sulle fasi ,più significative di dibattito e di confronto, ma, in modo particolare, raccontare e riflettere sul primo anno di lotta delle Leghe. Il volume si articola in Il capitoli che da un lato forniscono una intelaiatura storica della vicenda delle Leghe (la nascita e lo sviluppo del movimento, l'articolazione settoriale e le lotte di massa, lo sviluppo vertenziale e la campagna di tesseramento, dal dicembre 1976 al gennaio 1978) e dell'altra costituiscono una serie di piccole monografie sui singoli temi (la legge 285, il movimento di occupazione delle terre, l'ondata di iscrizioni alle liste speciali, il rapporto Leghe e sindacato, il nuovo tipo di movimento, il rapporto Leghe-studenti, le cooperazione giovanile, le Leghe e l'agricoltura, il ciclo di lotte autunnali, la terza fase delle Leghe).
Giuseppe De Santis

La nascita delle Leghe

l) PERCHÉ E COME LE LEGHE DEI DISOCCUPATI SONO NATE PROPRIO NEL 1977?

Che cosa ha determinato la rapida eliminazione delle inerzie e degli indugi del movimento operaio rispetto alla necessità di organizzare, al suo interno, i disoccupati? Delle Leghe si è cominciato a parlare nel corso del difficile e forse tumultuoso primo semestre del '77, mentre il movimento operaio era impegnato a fronteggiare problemi molteplici e di portata eccezionale: dalla lotta contro un processo inflattivo distruttivo e pericolosissimo all'insorgere di un intreccio inquietante di sorrde spinte corporative e di nuovo ribellismo eversivo. Perché in quel momento, e attraverso quali passaggi essenziali, si è arrivati alla scelta delle Leghe dei disoccupati?

2) SEI PUNTI FONDAMENTALI

La risposta si può riassumere, schematicamente, in sei punti.

A) In una situazione generale di disoccupazione di massa, sono emerse contraddizioni nuove e peculiari: l'esistenza di un doppio mercato del lavoro; la realtà complessa di un esercito di «disoccupati moderni» scolarizzati a livello medio-alto e il pericolo reale di una contrapposizione rovinosa tra occupati e disoccupati.

B) La chiara insufficienza e la crisi profonda delle tradizionali forme organizzative dei disoccupati (disoccupati organizzati) .

C) Il delinearsi, difficile ma evidente, di un nuovo movimento dei giovani disoccupati attraverso alcune esperienze esemplari (la manifestazione di 15.000 disoccupati in Abruzzo il 20 dicembre 1976).

D) I problemi sollevati dal movimento universitario del '77 sul tema del lavoro, attraverso impostazioni di storte e suubalterne giunte fino alla proposta generale del «rifiuto del lavoro».

E) La prima grande assemblea e manifestazione nazionale del nuovo movimento dei disoccupati a Napoli il 23 aprile 1977.

F) L'approvazione della legge 285 per il preavviamento al lavoro dei giovani il 31 giugno 1977.

3) LA INSUFFICIENZA E LA CRISI DEI TRADIZIONALI MOVIMENTI E DEI TENTATIVI DI ORGANIZZAZIOONE DEI DISOCCUPATI

Il primo dei sei punti è stato affrontato nell'introduzione. Il secondo meriterebbe ricerche e giudizi approfonditi e problematici. Ci limiteremo ad alcuni elementi essenziali.
In modo particolare, il sostanziale fallimento dei tentativi di organizzare i disoccupati sia da parte dei movimenti giovanili democratici e del movimento operaio nel suo complesso, sia da parte dell'area della cosiddetta nuova sinistra.
L'esito fallimentare dell'esperienza dei «disoccupati organizzati», anche nelle sue espressioni più note come quella napoletana, denota limiti ed errori profondi. Primo fra tutti, il mancato rapporto organico, anzi precario e distorto, col movimento sindacale, fino ad atteggiamenti apertamente antisindacali. Ma il limite di fondo va ricercato nei contenuti e negli obiettivi di lotta, assolutamente angusti e subalterni all'attuale mercato del lavoro e alla logica della crisi economica. Nel loro mancato inserimento in una scelta di lavoro produttivo, nel quadro di una credibile strategia di politica economica, volta a determinare un'uscita dalla crisi mediante il rinnovamento profondo dell'attuale assetto economico sociale - cosa che comporta innanzitutto l'argomento delle basi produttive del paese.
L'esperienza dei «disoccupati organizzati» dimostra che oggi non ha spazio un movimento dei disoccupati incentrato sull’obiettivo di posti di lavoro assistenziali nell’amministrazione pubblica.
Forme di lotta corporativo-eversive non spaventano certo le forze dominanti come ha dimostrato, in modo esemplare la vicenda napoletana che ha visto scendere in campo con le proprie «liste di lotta» lo stesso Gava. Inoltre i fatti si sono incaricati di dimostrare che non è certamente la <dista di lotta», cioè l'organizzazione dei disoccupati in gruppi corporativi, sottoposti alla più selvaggia lottizzazione politica, ciascuno in lotta contro gli altri e tutti contro le masse dei disoccupati non organizzati o semplicemente poco presenti nelle lotte, lo strumento per superare i tradizionali canali clientelari di accesso al mercato del lavoro.
D'altra parte, l'impegno del movimento operaio e dei movimenti giovanili democratici è stato assolutamente insufficiente. L'insufficienza è certamente da ricercare in problemi e processi generali, oggettivamente complessi e originali, collegati al difficile ruolo rinnovatore del movimento operaio e democratico per uscire da una crisi organica di eccezionale gravità. Essa emerge nell'intreccio contraddittorio tra la conquista di più avanzati livelli di potere economico e politico della classe operaia, in fabbrica e fuori, e la risposta padronale alla crisi e dalla nuova rigidità nell'uso della forza-lavoro attraverso il decentramento produttivo, il lavoro nero e a domicilio, in complesso, con lo sviluppo di un secondo mercato «sommerso)) del lavoro.

Insufficiente e inadeguato, nell'analisi e nell'iniziativa, è stato l'approccio del movimento operaio a quello che è stato definito il nuovo esercito dei «disoccupati moderni)) e, più in generale, alla questione giovanile in questi anni di crisi; così come vi sono state difficoltà e ritardi del sindacato a tener dietro al ritmo della crisi e della evoluzione del Paese, per andare oltre il contrattualismo tradizionale e per diventare sindacato unitario di tutta la forza-lavoro occupata e disoccupata.
L'insufficienza però non è soltanto a questo livello generale. Vi sono stati anche, oltre ai problemi di carattere generale, limiti ed errori più concreti e specifici da parte dei movimenti giovanili e democratici nel modo di affrontare il nesso crisi-questione giovanile. .
Lo slogan «diritto allo studio - diritto al lavoro)) giustamente al primo posto nelle lotte della gioventù democratica degli anni '70, non si è tradotto in un impegno coerente sulla seconda questione, quella del lavoro, nè si è realizzato un intreccio reale e profondo tra la prima e la seconda.
La giusta centralità dell'iniziativa nelle scuole e delle lotte studentesche non è stata accompagnata da una adeguata iniziativa tra la gioventù disoccupata e lavoratrice.
Non si è colto in tempo e a sufficienza come veniva modificandosi, insieme al ruolo della scuola, l'atteggiamento delle masse studentesche nei suoi confronti: cioè l'esistenza di centinaia e centinaia di migliaia di giovani, in parte parcheggiati nella scuola media superiore e nell'Università, e in parte più esplicitamente disoccupati, dotati di livelli di scolarizzazione comunque più alti rispetto al passato O addirittura medio-alti.
N on si è affermata abbastanza la nuova centralità del lavoro sia per le masse studentesche e per una incisiva lotta per la riforma della scuola, sia per organizzare un nuovo movimento di massa specifico della gioventù disoccupata.
Il tentativo di far partire una iniziativa di massa della gioventù non studentesca, nella formula di un «movimento della gioventù occupata e disoccupata, appare oggi in tutta la sua debolezza. Questa proposta manteneva sostanzialmente al centro il ruolo del movimento degli studenti medi, ipotizzava un generico e un po' pasticciato movimento della gioventù occupata e disoccupata, non coglieva cioè la nuova centralità della battaglia per il lavoro.
La necessità di andare ad una svolta e ad una vera e propria riconversione dei movimenti giovanili nell'impegno di organizzazione dei disoccupati, tenendo conto dei limiti e degli errori passati, è alla base della creazione delle Leghe.

4) ESPERIENZE ESEMPLARI E PREFIGURANTI IL NUOVO MOVIMENTO DEI DISOCCUPATI

Individuare ritardi, limiti ed errori significa fare tabula rasa? N ella costruzione del movimento delle Leghe siamo partiti da zero? Nient'affatto. Al contrario, le Leghe oggi più forti ed incisive hanno radici profonde in esperienze, limitate territorialmente, in genere precarie nella continuità, scarsamente conosciute e valorizzate, ma decisive e prefiguranti.
Se dovessimo indicare la data di nascita del movimento delle Leghe non potremmo riferirci nè alla prima manifestazione del nascente movimento ormai prossimo ad organizzarsi in Leghe a Napoli il 23 aprile '77, nè all'approvazione della legge 285, nè alla prima ondata di occupazioni delle terre nell'estate '77. Queste sono tappe importanti; tuttavia, il punto di. partenza concreto e già di per sè di eccezionale rilevanza non può che essere il20 dicembre '76, data della prima grande manifestazione di un nuovo tipo di movimento dei disoccupati a Pescara in Abruzzo.
Una manifestazione forse poco conosciuta persino all'interno del movimento delle Leghe e sicuramente del tutto sconosciuta alla gran parte della gioventù democratica, sia per lo scarso livello di dibattito e di omogeneizzazione del movimento sul piano nazionale con i conseguenti limiti di coscienza di sé é della propria storia; sia per la superficialità e la distrazione con cui gli organi di informazione guardano ai processi profondi che interessano le nuove generazioni e, in modo particolare, a quei fenomeni, come i movimenti di lotta della gioventù per il lavoro, forse meno vendi bili sul mercato dell'informazione.

Perché il «20 dicembre»? Perché la data, il luogo, alcuni contenuti essenziali, lo schieramento, le forme di lotta sono tutti elementi prefiguranti il movimento successivo delle Leghe.
La data, è emblematica. Una grande manifestazione democratica e di massa con la presenza di oltre 10-15 mila giovani disoccupati e studenti per il lavoro, a cavallo tra due cicli tra i più eclatanti del dibattito sulla questione giovanile: quello del «privato e politico» e di «Porci con le ali», nel secondo semestre del '76, e quello nel «movimento universitario del '77» e della «P. 38», nel primo semestre del '77. Oltre ai porci -alati turti «casa e sesso» e ai nuovi interpreti rivoluzionari della P. 38, nell'universo giovanile si agitava qualcos'altro di grosso. Pensate un po', un movimento per il lavoro che è sfuggito totalmente all'occhio onnipresente nonchè arguto di troppo eccellenti vati dei mass-media, quali gli ineffabili Giorgio Bocca e Giuliano Zincone.
Il luogo. Verrebbe da dire: un luogo qualsiasi del Sud. Non Roma; né Milano, né Bologna. Ma nemmeno Napoli O Reggio Calabria. L'Abruzzo: un posto in fondo fin troppo secondario nelle cronache attuali del nostro paese. E proprio per questo più significativo: perché si tratta del Mezzogiorno e perché organizzare una grande manifestazione con 10-15 mila disoccupati a Pescara non è cosa di ordinaria amministrazione. Significa avere una capacità di presa profonda, indica che un certo tipo di movimento per il lavoro è lo strumento di lotta necessario e decisivo e non solo in Abruzzo. Dopodichè discutiamo insieme anche di «Porci con le ali» e delle «P. 38».
I contenuti della piattaforma di lotta, con precisi obiettivi e vertenze per la conquista di posti di lavoro non assistenziali in una linea di allargamento delle basi produttive regionali; la presenza unitaria di più forze di orientamento diverso, condizione e risultato insieme di una mobilitazione di massa; il rapporto unitario con il movimento sindacale e contadino; il confronto serrato ma positivo con la Regione e gli Enti Locali; l'impostazione rigorosamente democratica anche con forme di lotta non rituali quali l'occupazione e la messa a coltura di terre incolte con le cooperative.
Sono tutti elementi che ritroveremo all'interno del movimento delle Leghe, ormai già forte e radicato, nel tardo autunno del '77.
Com'è nata la manifestazione del 20 dicembre? Ce lo racconta uno dei protagonisti, Gianni Melilla:
«Si cominciò a parlare di organizzare i disoccupati alcuni mesi prima del 20 giugno. Alle spalle nessuna esperienza reale, tutto da 'inventare. Dopo svariate serate di discussioni partimmo con un convegno a Popoli nella Val Pescara. Era il primo maggio, festa del lavoro, già allora coinvolgemmo una parte significativa del tessuto democratico abruzzese, ma i limiti erano evidenti: si parlava di occupazione, ma senza i disoccupati.
Poi le elezioni del 20 giugno fecero passare in secondo piano il problema dell'organizzazione dei disoccupati. L'estate del '76 è segnata anche in Abruzzo da fenomeni di americanizzazione del movimento giovanile. La nuova sinistra paga il prezzo più alto. La bruciante sconfitta delle attese del 20 giugno determinò in ampi strati della gioventù politicizzata una crisi verticale delle motivazioni dell'impegno politico. L'effetto di questa crisi fu una sublimazione della coscienza «infelice» del giovane militante. I giovani della nuova sinistra che tradizionalmente avevano caratterizzato anche spropositamente gli orientamenti delle nuove generazioni, entrano in una crisi profonda. Cosa fare a questo punto? Condividere quella crisi, «viverla all'interno» e magari anche criticarla, oppure impegnarsi in una dura battaglia contro quella disfatta per portare (e anche riportare) alla lotta politica la maggioranza della gioventù? In Abruzzo abbiamo scelto la seconda strada. E non in astratto, ma assumendo materialmente e idealmente il punto di vista complessivo, oserei dire il «senso comune» delle giovani generazioni.
Il lavoro: quale altro problema più vissuto dai giovani? E non solo in termini materiali (la ricerca del posto), ma anche in termini di valori, come ansia di uscire dal limite, non più storicamente necessario, di un lavoro alienato, parcellizzato, senza motivazioni.
Gramsci amava dire che «l'uomo entra in rapporto con la natura non semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica».

Con questa consapevolezza siamo ripartiti a settembre. Assemblee nei paesi, nelle scuole, riunioni coi c.d.z., le categorie e via dicendo.
La partecipazione alle nostre iniziative, la voglia di discutere, di essere protagonisti, di uscire da una condizione miserabile, ci spinsero ad una forzatura che all'esterno apparve quantomeno azzardata: una manifestazione regionale, il20 dicembre del '76. Producemmo un lavoro eccezionale, costituimmo decine di Leghe e il 20 dicembre fu un grande successo.
Il corteo di 15 mila giovani, molti per la prima volta in piazza, un pezzo di società conquistato alla lotta. Il 20 dicembre produsse nella regione un moltiplicarsi delle iniziative: nascono nuove esperienze, soprattutto le cooperative agricole per il recupero delle terre incolte e malcoltivate. Il rapporto con il sindacato si definisce ulteriormente nelle assemblee con Romei e Garavini. Il movimento nelle univesità ha un po' frenato la crescita delle Leghe, ma solo temporaneamente. .
Le lotte universitarie possono essere lette come una storia di «rivincita» di quella parte dei giovani che delusa dal20 giugno aveva lasciato l'impegno politico. E' stato cioè, il tentativo di riaffermarsi come «la» gioventù italiana senza, se non contro ogni mediazione politica (intendendo per la mediazione 1'equilibrio tra il proprio progetto e la sua verificabilità concreta). Il nostro movimento aveva radici reali, non ideologiche, per questo ha resistito, anzi è andato avanti.
Le cooperative agricole sono state la bandiera di questo movimento. Giovani, contadini, braccianti, in cui viva era ancora la memoria delle lotte degli anni '50 per la riforma agraria, hanno occupato le terre e ora in più di una zona stanno già lavorando.
Di fronte alla ricchezza e ai limiti, che pure non sono pochi di questo movimento, ci siamo posti il problema di una prima sistemazione delle esperienze realizzate. Per questo abbiamo organizzato 4 giorni di incontri politici e culturali a L'Aquila dal 28 al 31 luglio. Come sempre la federazione Cgil-Cisl- Uil è al nostro fianco e partecipa in prima persona. L'organizzazione dei disoccupati dentro il sindacato può essere considerata come una vera e propria «rifondazione» dell'organizzazione sindacale, specie nel sud. Forse proprio questo processo è decollato nella nostra regione».

5) UNA MIRIADE DI ESPERIENZE

In questa sede non è possibile tracciare un bilancio di quelle che abbiamo definito «esperienze prefiguranti». L'esperienza più significativa, quella abruzzese, può valere a titolo esemplificativo.
Una citazione obbligatoria riguarda però le iniziative, per molti aspetti diverse da quella abruzzese ma nella sostanza profonda molto omogenee ad essa, della Lega per il lavoro del quartiere Primavalle a Roma e dei comitati per il lavoro sviluppatisi a Napoli prima del '77 sulla base della lezione, sia pure in negativo, dei «disoccupati organizzati». Così le iniziative in Calabria e in modo particolare nella Piana di Gioia Tauro, la memoria storica dei movimenti giovanili in cui lo stesso movimento degli studenti medi, già agli inizi degli anni '70, aveva curato con più attenzione il rapporto con il lavoro e la dimensione territoriale della lotta studentesca.
Non è un caso né una forzatura soggettiva se già agli inizi di gennaio del '77 s'è svolta una prima riunione nazionale di una parte dei più significativi movimenti locali per il lavoro. Gli orientamenti emersi, in quella sede sono in parte raccolti in una prima bozza di documento nazionale che vale la pena citare direttamente.

DOCUMENTO DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE LEGHE E DEI COMITATI PER L'OCCUPAZIONE GIOVANILE - Roma, 27/1/1977.

Le Leghe e i Comitati per l'occupazione, delle regioni italiane dove sono presenti, riunitesi, presso la Camera del Lavoro di Roma, in Assemblea generale, giovedì 27 gennaio, alla presenza della Federazione Unitaria, dei rappresentanti dei Movimenti Giovanili democratici, della Lega Nazionale delle Coperative, nel dare un giudizio positivo per il farro che finalmente viene data l'occasione per misurarci concretamente su un disegno di legge che si aspettava da tempo, danno un giudizio su questi provvedimenti straordinari concernenti i giovani disoccupati, tutt'altro che favorevole. Perché ne esce penalizzata ancora una volta l'agricoltura, non si fanno scelte precise in senso meridionalista, ma soprattutto si tenta di riprendere come se niente fosse l'erogaazione assistenziale, riattivando la logica clientelare.
Le Leghe e i Comitari per l'occupazione

CHIEDONO

che un principio politico generale debba guidare rutto l'intervento per i disoccupati tra i 15 e i 28 anni e che il Governo accetti, in una formulazione esplicita, che i provvedimenti straordinari trovino applicazione a livello regionale. In particolare chiedono che, nell'attribuzione dei fondi, si tenga conto delle percentuali di disoccupazione giovanile regione per regione, che i giovani vengano impiegati nel settore privato come in quello pubblico, secondo le esigenze individuate in piani di sviluppo regionale, comprensoriale, concordati insieme con le Comunità Montane, gli organismi democratici di zona dei lavoratori, sentite le Consulte Regionali sui problemi dei giovani.
A tal fine le Leghe chiedono che le disposizioni concernenti i giovani disoccupati si raccordino ad una corretta applicazione della 183, dei progetti speciali, si riferiscano al piano di riconversione industriale e a quello agro-alimentare di cui si chiede contemporaneamente l'immediata attuazione secondo le indicazioni proposte dal movimento sindacale unitario.

CHIEDONO

- l'istituzione di corsi di formazione teorico-pratica, per l'utilizzo delle terre incolte e malcoltivate, con attività di sperimentazione su tetre incolte e malcoltivate del demanio.

- Corsi di formazione per cooperatori per lo sviluppo dell'associazionismo produttivo.

- Impiego di consulenti tecnici, ricercatori nel settore idro-geologico, per la corretta ucilizzazione delle acque, per il riassetto del territorio.

- Intervento nella forestazione produttiva, nella zootecnica per l'utilizzo delle zone montane e premontane.

CHIEDONO

per'il settore privato, oltre al controllo della Regione e delle OO.SS. sui progetti di formazione professionale e sulle assunzioni temporanee che vengano garantiti l'impiego e la formazione professionale dei giovani per una durata minima di un anno in quei settori produttivi che più hanno esigenze di sviluppo:
al piccole e medie imprese, artigianato e cooperazione per le quali si chiedono agevolazioni professionali insieme alle opportune garanzie di controllo democratico; .
- settori che producono mezzi ad alto contenuto tecnologico e settori che sono rivolti ai consumi sociali e alla domanda pubblica, edilizia, trasporti, sanità, elettronica, siderurgia,
Per quanto concerne l'impiego straordinario di giovani nella pubblica amministrazione, le proposte vanno articolate secondo priorità fissate dalle Regioni anche se si possono ipotizzare sin d'ora, in linea di massima, alcuni tipi d'intervento (Friuli, altre zone disastrate, riordino del catasto, protezione di beni culturali minacciati).
Per l'assunzione delle giovani disoccupate proponiamo agevolazioni ptivilegiate ed una distribuzione di fondi che rispetti il più possibile le percentuali di disoccupazione relativa,

CHIEDONO

che vengano introdotti criteri. oggettivi di valutazione per le assunzioni in vari settori;

l) Reddito dichiarato
2) Carico di famiglia
3) Anzianità di diploma

attribuendo a questi criteri un determinato punteggio, si potranno ottenere graduatorie pubbliche controllabili da ciascun candidato, in attesa che venga definita una disciplina realmente democratica del collocamento.
Infine le Leghe e i Comitati per)'occupazione chiedono di avere un incontro con la Presidenza della Conferenza per chiedere ufficialmente di partecipare con diritto di parola alla Conferenza Nazionale sull'occupazione giovanile del 3, 4, 5 febbraio.
A tale fine si delegano 6 rappresentanti delle varie realtà che svolgeranno una funzione coordinatrice temporanea e in attesa di una organizzazione stabile, e che spinga perché nei giorni prossimi si abbiano degli incontri con i Movimenti Giovanili democratici e con la Federazione Unitaria che ponga la base per un corretto rapporto tra le Leghe, il Sindacato e i Movimenti giovanili democratici.
I 6 rappresentanti dovranno impegnarsi, dei giorni immediatamente successivi alla Conferenza Nazionale, a convocare una nuova Assemblea Generale, e per riferire sull'andamento della Conferenza e per decidere iniziative concrete da prendere con il coinvolgimento in prima persona dei giovani disoccupati e degli studenti nel territorio nazionale, e per darei una struttura nazionale stabile di coordinamento.
Comitato per l'occupazione di Savona
Lega dei giovani disoccupati di Napoli
Lega dei giovani disoccupati di Palermo
Lega dei giovani disoccupati di Vibo Valentia
Lega dei giovani disoccupati di Catania
Lega dei giovani disoccupati di Brindisi
Lega dei giovani disoccupati di Gioia Tauro
Lega dei giovani disoccupati di Salerno
Lega dei giovani disoccupati di Roma
Lega dei giovani disoccupati di Firenza


6) IL MOVIMENTO UNIVERSITARIO DEL '77 E IL «RIFIUTO DEL LA VaRO»

L'esplosione tumultuosa del movimento universitario, appena un mese dopo la prima riunione nazionale dei nuclei delle future Leghe, rilancia, a sua volta, il tema del lavoro, sebbene nella formula paradossale e negativa della teoria del «rifiuto del lavoro».
Quale significato attribuire a questa ambigua e inquietante formula? Il giudizio, seppure frettoloso e sintetico, non può essere unilaterale e grossolano_ Il giudizio critico, anche aspro, non può eludere l'ambigua complessità della indicazione del rifiuto del lavoro.
Una formula che va colta nei suoi due aspetti diversi, contraddittori e ambiguamente intrecciati.
Da una parte, l'aspetto negativo, irrazionalistico e massimalistico del rifiuto effettivo del lavoro produttivo e del lavoro tout court che, sotto una crosta di acceso verbalismo e di rozzo ideologismo ultrarivoluzionario, nasconde la più netta subalternità alla struttura e alla ideologia del capitalismo assistenziale maturo, o per di più, in crisi. Insomma un atteggiamento sostanzialmente reazionario tendente non all'allargamento delle basi produttive e alla trasformazione reale dell'assetto economico-sociale, alla ricomposizione tra lavoro manuale e intellettuale, bensì all'estensione a livello di massa di privilegi di classe un tempo riservati a strati sociali più ristretti anche mediante l'uso di titoli di studio dequalificati, o inflazionati e non rispondenti alle esigenze di rinnovamento del Paese.
Dall'altra parte l'aspetto positivo del rifiuto del lavoro come formula critica dell'attuale stratificazione sociale classista, dell'attuale divario tra lavoro manuale e intellettuale e dell'organizzazione e qualità del lavoro, del rapporto tra qualità del lavoro e qualità della vita. In altri termini la pressione nella società, anche se in forme distorte, dello sviluppo delle forze produttive che è giunto a livelli alti attraverso l'acquisizione da parte di milioni di giovani e di donne di un più ricco patrimonio di cultura, di professionalità, di aspirazioni e di bisogni: l'esercito dei disoccupati moderni, composto da figure sociali che la crisi ha prodotto e che la società non riesce a riclassificare al suo interno.
Si tratta di una pressione positiva, da organizzare, riconvertire anche, secondo una strategia razionale di cambiamento.
Guai a lasciarsi sfuggire l'ambivalenza contenuta nella formula del «rifiuto del lavoro", con la quale occorre fare i conti fino in fondo senza nervosismi e chiusure aprioristiche.
Ma senza confondere per questo la posizione di vaste ma ben precise e definite aree sociali e culturali della gioventù attestate sul principio del rifiuto del lavoro - con la stragrande maggioranza dei giovani disposti a lavorare nei settori produttivi dell'industria e dell'agricoltura, anche senza una corrispondenza diretta tra il lavoro e la qualifica finora acquisita, come .ha dimostrato il tipo di iscrizione alle liste speciali di prelevamento.
In conclusione, il movimento universitario del '77, per quanto riguarda il lavoro, ha dimostrato due cose essenziali.
l) Il pericolo, del resto già in atto, di una americanizzazione del mercato del lavoro e del ruolo dei giovani nella società qualora continuasse a persistere a lungo la ristrettezza delle basi produttive, nel contempo, una scuola «impiegatizia» che educa al disprezzo del lavoro operaio produttivo e di qualsiasi tipo di lavoro, qualora dovessimo registrare come dato permanente una totale mancanza di rapporto tra le nuove generazioni e il lavoro.
2) La necessità per il movimento operaio di porre al centro della sua lotta, accanto all'obiettivo dell'allargamento delle basi produttive, quello di una nuova organizzazione e qualità del lavoro.
In generale, si tratta di ridare tutta la sua importanza al lavoro, quale chiave strutturale di lettura della questione giovanile, senza per questo aderire a rozzi schemi economi cisti ci.
Il movimento universitario del '77 ha compiuto molti e spesso gravissimi errori, e se c'è un terreno sul quale esso ha espresso tutta la sua debolezza e incapacità di incidere è certamente quello del lavoro.
Le elaborazioni 'e le iniziative delle «commissioni per l'occupazione», presenti nelle varie facoltà, nella fase più alta del movimento, sono rimaste isolate dal resto del movimento, sono state parziali e asfittiche. Ben presto, già all'inizio dell' aprile '77, sono state sostanzialmente abbandonate e, al massimo, rimpiante ma non troppo nelle assemblee nazionali.
Qualche provocatoria e isolata «ronda, proletaria>', impegnata a vendicare i lavoratori a domicilio con sparatorie e pestaggi, non ha certamente dato grandi contributi allo sviluppo dell'iniziativa su questo terreno.
In sintesi, il movimento universitario ha sollevato il tema del lavoro in modo inquietante, complesso e pericoloso, Nella sua profonda incapacità di affrontarlo sta uno dei motivi di urgenza dello sviluppo del movimento delle Leghe.

7) L'ASSEMBLEA E LA MANIFESTAZIONE NAZIONAALE DEL 23 APRILE A NAPOLI

Infatti, proprio quando il nuovo estremismo, egemonizzato dai «pitrentottisti" dell'autonomia operaia, stava ancora celebrando i suoi grandi riti pseudo-rivoluzionari, il nascente nuovo movimento dei disoccupati piazzava una grandiosa quanto inaspettata manifestazione. A Napoli, il23 aprile oltre 60.000 disoccupati hanno dato vita ad una entusiasmante giornata di lotta per le strade della città con due cortei, una assembleamizio nel suggestivo scenario barocco di quel teatro naturale che è piazza delle Vergini.
Una manifestazione ancora più significativa se rapportata alle difficoltà di quel momento; alla debolezza della dimensione nazionale del movimento; all'incertezza dell'approvazione e della qualità dei contenuti della legge di preavviamento; ai ritardi e alle resistenze del sindacato nell'impegno di organizzare i disoccupati al proprio interno; alla situazione di aspra divisione tra le nuove generazioni, anzi, di vera e propria potenziale divaricazione tra un'area ribellistica e un'area moderata e qualunquistica, con il conseguente effetto di mortificazione del protagonismo della stragrande maggioranza dei giovani democratici.
Chi ha partecipato a quella emozionante giornata ne conserva viva ed esaltante la memoria. Il colpo d'occhio dal palco mostrava una fitta folla di ragazzi e ragazze, serrati l'uno accanto all'altro, perché piazza delle Vergini, nel rione Stella, il cuore della Napoli più popolare, non riusciva a contenerli tuttti. Dai balconcini panciuti in ferro battuto dei palazzi spagnoleschi o affacciati alle finestre delle case che fanno della piazza quasi un teatro naturale, uomini, donne, bambini applaudivano i disoccupati venuti da Milano, da Padova, dalla Sicilia e che ,si erano stretti attorno a Napoli.
E chiaro a tutti, a questo punto, che la giornata rappresenta un punto di svolta. Si tocca con mano che le Leghe, i comitati, i coordinamenti stanno diventando una realtà nazionale. Una nuova forza di massa è entrata in scena e non potrà non essere considerata a tutti gli effetti un valido interlocutore per il sindacato, per i giovani, per i partiti democratici e per il governo. I fondatori delle prime Leghe, quel giorno e in quella piazza, hanno pensato, con emozione e con un po' di incredulità «ce l'abbiamo fatta». Questo era evidente già nel primo pomeriggio. Alle 16, davanti alla stazione, era tutto un brulicare di bandiere rosse e di striscioni, gente venuta con treni e pulman dalle parti più lontane e diverse. Ragazzi in jeans e camicioni, ragazze in gonna zingaresca, con capelli a riccioli intrecciati, portano i cartelli delle Leghe di Piana degli Albanesi, in Sicilia; di quelle particolarmente numerose dell'Abruzzo, o del comitato di lotta per il lavoro di Milano; dei consigli di fabbrica della Necchi di Pavia, della Solvay di Rosignano, della Vetromeccanica di Barra o della Philips di Albignano.
Corso Umberto, lungo il quale si incanala il corteo, offre uno scorcio imponente. Le voci, gli slogan, i canti rimbombano tra i palazzi e nelle strade. A metà Corso Umberto una scena bellissima e significativa: si aggiunge al corteo un gruppo di «disoccupati organizzati di Napoli», accolti dallo slogan, ripetuto accanitamente, «operai, studenti, disoccupati, vinceremo organizzati» .
Il corteo si avvia per via Duomo e si inoltra in un labirinto di vicoli. «I giovani del SU,d non vogliono emigrare, stanno lottando per restare», scandiscono le Leghe meridionali. E il palco addossato al palazzo chiude lo scenario.
«Il profondo significato di questa grande giornata - afferma Maddalena Tulanti, parlando a nome delle Leghe - è che la gioventù democratica consolida il suo rapporto con la democrazia e con il lavoro, contro l'avventurismo e l'ideologia assistenzialistica» .
Oltre la cronaca, qual' è il significato profondo di quella memorabile giornata?
In poche battute, la riattivazione di una vasta area della gioventù, mortificata dalla divaricazione estremismotismo, espressasi nei primi mesi del '77, su un terreno rigorosamente democratico e unitario nei confronti del movimento operaio e sindacale; la più piena consapevolezza della centralità del lavoro quale terreno di iniziativa della gioventù.
L'eccezionale e spontaneo entusiasmo di quella giornata è forse proprio da ricercare nell'intuizione della possibilità di aprire un nuovo ciclo di lotte giovanili e di lanciare un nuovo tipo di movimento di tutta la gioventù, contro i riflussi individualistici alla «Porci con le ali» e contro le mitologie anch'esse individualistiche della «P. 38».
Più concretamente la manifestazione di Napoli è stato un segnale positivo sia nei confronti del Parlamento per accelerare l'iter di approvazione della legge 285 sia nei confronti del sindacato per rompere ogni indugio nella decisione di organizzare direttamente i disoccupati.

La stessa assemblea nazionale svoltasi il 22 e nella mattina de123, nella sala del Consiglio Provinciale di Napoli, la prima dopo la riunione di gennaio, ha dato non irrilevanti contributi di elaborazione e di confronto che saranno alla base della successiva mobilitazione estiva.
Il volantone uscito da quella assemblea è inequivocabile e preciso su diversi punti essenziali:
Obiettivo delle Leghe. L'obiettivo delle Leghe e dei Comitati di lotta per il lavoro è la costruzione di un grande movimento di massa interno agli obiettivi dell'occupazione e del radicale mutamento delle condizioni di vita, di studio e di lavoro della gioventù. Alle Leghe aderiscono i giovani disoccupati, sottoccupati e inoccupati, al di là di ogni ideologia, che riconoscono nella classe operaia, nelle sue lotte e nel movimento sindacale unitario i punti di riferimento e gli alleati fondamentali della gioventù che si batte per costruttive e qualificate occupazioni. Questo movimento è già sorto in più parti del paese (Napoli, Abruzzo, Sicilia, Calabria e un altre città del Nord e del Sud) ma ancora insufficiente si è rivelato il suo rapporto con le masse giovanili.
L'obiettivo delle Leghe è di estendere questo movimento chiamando tutti gli strati sociali della gioventù a farvi parte. Il nostro obiettivo è portare nel Sindacato Unitario l'organizzazione di massa dei giovani disoccupati per realizzare l'unità dei giovani coi lavoratori e per costruire il sindacato di tutta la forza lavoro. Occorre rapidamente fare passi avanti in tale direzione, avviando subito esperienze esemplari di organizzazione della lotta per il lavoro; facendo partecipare le strutture di movimento dei disoccupati al dibattito congressuale dei sindacati; assicurando la presenza di rappresentanti delle Leghe e dei disoccupati organizzati alla impostazione delle piattaforme perchè al centro di esse siano gli obiettivi dell'occupazione.
Le sedi del sindacato Unitario e i consigli di zona devono diventare punto di riferimento per l'aggregazione dei giovani disoccupati a livello territoriale e per la promozione delle iniziative di lotta. Il successo di questo movimento sarà assicurato dalla coerenza con cui il movimento sindacale perseguirà la linea della centralità degli obiettivi dell'occupazione, degli investimenti, del Mezzogiorno e dell'allargamento della base produttiva.
Le Leghe intendono costruire un rapporto profondo di unità con la lotta degli studenti medi e universitari intorno all'obiettivo comune di una radicale riforma delle strutture formative e per un nuovo rapporto tra scuola e lavoro.
Proponiamo perciò alle strutture di movimento delle scuole e delle università di discutere nelle assemblee i contenuti proposti dal seguente documento e valutare gli obiettivi e le iniziative che esso intende proporre. E nostra convinzione infatti che la battaglia per il lavoro ai giovani è vincente solo se salda in un movimento unitario le masse studentesche e i giovani in cerca di occupazione.
La proposta delle Leghe al movimento. Facciamo appello ai giovani, agli studenti, ai disoccupati, ai militanti delle organizzazioni democratiche perché si creino nei quartieri e in ogni zona i comitati e le Leghe come strumento di aggregazione e di lotta della gioventù senza lavoro, dei giovani lavoratori precari, delle ragazze, dei sottoccupati e degli apprendisti. Questo movimento deve promuovere nel territorio, accanto all'iniziativa per nuovi posti di lavoro: la lotta contro il lavoro nero, per estendere la sindacalizzazione dei giovani, per il controllo sui processi di decentramento produttivo e di lavoro a domicilio, secondo le indicazioni presenti nei contratti di lavoro.
In questo quadro riteniamo urgente l'abrogazione della vecchia legislazione sull'apprendistato ed il suo superamento in un nuovo istituto di avviamento al lavoro dei giovani che, secondo le recenti indicazioni sindacali, salvaguardi la reale formatività del rapporto iniziale di lavoro e concrete prospettive di stabile inserimento occupazionale ...
Immediata approvazione di misure qualificate per l'occupazione giovanile che contengano scelte qualificanti in direzione del Mezzogiorno, dell'agricoltura, dell'occupazione femminile e di una profonda qualificazione e riqualificazione professionale dei giovani.
Ci opponiamo ad assunzioni stabili nelle P.A., riservate ai giovani attraverso provvedimenti straordinari, che prescindano da profonde modifiche e qualificazioni nella struttura dei servizi.

Chiediamo non una legge tampone ma un complesso di misure legislative che vadano nella direzione di una nuova politica del lavoro: un vero e proprio PIANO DEL LAVORO che abbia al centro i giovani, le donne, il Mezzogiorno e che leghi strettamente straordinarietà e misure più profonde di risanamento del mercato del lavoro.
Punti di inizio di questa nuova politica del lavoro sono:
- approvazione di una nuova legislazione sul collocamento, fondato sul controllo pubblico di meccanismi di assunzione e sul rapporto tra collocamento e formazione professionale. Decisivo deve essere il ruolo delle Regioni.
Fin da adesso vanno affrontati meccanismi e criteri per le liste dei giovani. - immediata approvazione della nuova legge quadro per la formazione professionale e ridefinizione dei piani regionali di formazione professionale.
- profonda riforma e politica di risanamento della scuola e dell'Università
la cui caratteristica fondamentale sia un nuovo rapporto tra istruzione e lavoro. A tale fine titeniamo pregiudiziale il ritiro dei provvedimenti legislativi del Ministro Malfatti contraddistinti da volontà provocatoria e restauratrice.
U n deciso sostegno esprimiamo alle piattaforme operaie dei grandi gruppi.
Occorre tradurre in obiettivi concreti le indicazioni che sono emerse circa la possibilità di un nuovo regime di orari, di una turnazione particolare di lavoro per i giovani e le donne, accompagnata da processi di formazione, lo sblocco di parti controllate del turn-over per giovani e donne, applicazione del potere di controllo sul decentramento produttivo ...
L'estensione della base produttiva e dell'occupazione può essere assicurata solo da una radicale modifica della politica economica che metta al centro la riconversione produttiva, l'estensione del tessuto industriale al Mezzogiorno, la ripresa qualificata degli investimenti ...
L'agricoltura è un terreno decisivo per la creazione di nuove e qualificate possibilità di lavoro. Nell'immediato riteniamo decisivo lo sviluppo del movimento per la valorizzazione delle terre incolte e malcoltivate, per conquistare un nuovo strumento legislativo per la concessione delle terre, perché lo stesso piano per l'occupazione giovanile contenga agevolazioni per gruppi di giovani tecnici e operai agricoli che, associati in cooperativa, censiscano le terre utilizzabili e ne avviino la trasformazione secondo i piani di sviluppi regionali e territoriali ...
Grande attenzione in una politica straordinaria per l'occupazione giovanile va data alla capacità delle Regioni, delle Autonomie Locali, delle forze democratiche e del movimento di massa di suscitare una leva straordinaria di lavoro di pubblica utilità accompagnata anche qui da estesi processi di qualificazione e riqualificazione professionale.
Una vera e propria campagna di lavoro civile in rutti i settori di emergenza nazionale ...
Questo processo va avanti se vi è un decisivo indirizzo di politica attiva per il lavoro nelle Regioni e nelle Assemblee elettive. Le Regioni, i comuni, le autonomie locali vanno impegnate alla stesura di veri e propri «progetti per la gioventù". Essi devono puntare alla modifica delle condizioni di vita, ai aggregazione culturale e di ricreazione della gioventù. Insieme, occorre indicare un uso diverso della scuola, la creazione di esperienze di gestione diversa di fondamentali servizi sociali e di assistenza, lo sviluppo della cooperazione giovanile ecc. Su tali progetti va sviluppata una campagna di dibattito tra la gioventù, nelle scuole, nei quartieri, nelle fabbriche ..
Questi punti non sono ancora una vera piattaforma. Questa è solo una prima proposta alle strutture di movimento ed ai giovani. Essi possono essere cambiati, rinnovati, allargati, nella misura in cui va avanti il confronto e la mobilitazione. E comunque chiaro che noi pensiamo ad un movimento di massa che può essere vincere solo se riesce a costruire un rapporto positivo con le grandi masse lavoratrici e le loro lotte.
La violenza va combattuta perché tende alla frattura tra i giovani e i lavoratori e perché rientra in un disegno di discredito della gioventù e delle istituzioni democratiche, come vero e proprio tassello della strategia della tensione e della provocazione.

Possiamo vincere solo se la nostra lotta sarà unitaria, intorno a obiettivi reali e concreti e se riusciremo a batterei costantemente a fianco dei lavoratori e dei sindacati. Insieme alla violenza va altresì combattuto il corporativismo, la politica della ghettizzazione, dell'assistenza improduttiva e parassitaria che sono da sempre gli e1ememi con cui il blocco di potere del nostro paese ha teso a, dividere gli occupati dai disoccupati, il Mezzogiorno dal resto del paese. Con la violenza e il corporativismo non ha nulla a che vedere la sacrosanta lotta dalle masse studentesche universitarie e dei giovani disoccupati il cui vero nemico è la irresponsabile politica fin qui seguita che ha portato allo sfascio e al deperimento delle istituzioni formative e dell'Università. E chiaro che la politica per cui ci battiamo non può essere attuata da questo governo inadeguato e insufficiente, superato dalle urgenze del paese, privo di reali basi di massa e di conpenso. Irresponsabile e provocatoria è stata inoltre la politica di questo governo verso la gioventù.
Seconda osservazione: la 285 non è un regalo di nessuno; tant'è vero che l'obiettivo concreto di lotta, posto al centro della grande manifestazione del 23 aprite a Napoli, è stato proprio l'approvazione della 285.

8) LA LEGGE 285 PER IL PREAVVIAMENTO AL LA VOORO DEI GIOVANI

L'approvazione della 285, il31 giugno '77, ha aggiunto un anello mancante decisivo per la costruzione delle Leghe dei disoccupati.
Oggi non si tratta più di disquisire attorno ai limiti della 285. Un dato emerge con nettezza inequivocabile: la legge è stata, nel secondo semestre del '77, una leva fondamentale per la creazione e il vigoroso sviluppo del movimento delle Leghe.
Il movimento delle Leghe è forse, per questa ragione, piattamente subalterno alle istituzioni e ai partiti e perciò stesso poco incisivo?
L'esperienza delle Leghe dimostra la vacuità di certe posizioni grossolanamente antistituzionalistiche e il vuoto politico di certe teorizzazioni per cui i movimenti di massa dovrebbero essere confusamente protestatari ed eversivi.
Certamente le Leghe non sono il «movimento della 285», , ma senza la 285 le Leghe non avrebbero potuto svilupparsi e dispiegarsi con quei caratteri propositivi di massa e che le hanno contraddistinte.
Non ci interessa in questa sede un'analisi articolata dei contenuti e delle potenzialità della legge di preavviamento, ma sottolinearne alcuni aspetti qualificanti: l'affermazione del principio della chiamata numerica, secondo una graduatoria, invece dell'arbitraria chiamata nominativa per l'accesso al mercato del lavoro; la centralità della formazione professionale in ogni tipo di lavoro e in modo particolarmente positivo nei contratti di formazione-lavoro; la scelta complessiva del lavoro produttivo contro ogni facile e illusoria ipotesi assistenzialistica.
Su questo punto due rapide osservazioni finali. La prima è una domanda: come spiegano i feroci detrattori della 285.

Il nuovo movimento per l'occupazione della terra

l) IL VALORE DEL NUOVO MOVIMENTO PER L'OCCCUP AZIONE DELLA TERRA

Il nuovo movimento dei disoccupati, dopo la prima fase, quella della nascita del movimento, si è espresso e ha avuto la sua prima prova realizzativa e di massa in un ciclo, per tanti versi inaspettato, di occupazione di terre incolte e malcoltivate, soprattutto nel Mezzogiorno.
Il valore di questa scelta sta nell' affermazione concreta della centralità dell'agricoltura dal punto di vista occupazionale, economico e civile, sta nella concretezza realizzativa che essa permette al movimento: con l'occupazione delle terre e la loro messa a coltura attraverso la cooperazione è stato possibile evirare il rischio dell'astrattezza e del vacuo ideologismo. Sta nel fatto che l'iniziativa per l'occupazione delle terre, partita in anticipo rispetto all'approvazione della 285 e alla sua applicazione, è andata subito oltre la legge stessa e ha immediatamente affermato il carattere fortemente meridionalistico del movimento.

2) UNA, CENTO, MILLE COOPERATIVE

Da questo punto di vista una breve panoramica di alcune esperienze, distribuite un po' in tutto il Mezzogiorno, è più efficace di ogni analisi generale.
Si tratta di esperienze anche diverse tra loro: cooperative già avviate o appena partite, incidenza notevole nell'intero movimento o relativo isolamento, ecc.

LA COOPERATIVA DI DECIMA, ROMA

Vogliamo partire dalla cooperativa «N uova Agricoltura» di Decima, a Roma, che a gennaio ha subito un grave attacco. La sentenza del Pretore ordina lo sgombero di 80 dei 140 ettari incolti che i 30 soci - giovani e adulti - in questi mesi hanno arato e messo a coltura, piantando e seminando, investendo nei campi i pochi soldi e molta, molta fatica.
I fatti vanno oltre Decima. Si delinea una pesante offensiva contro le cooperative agricole giovanili e il movimento delle Leghe. Non stiamo esagerando. La vicenda è grave, guai a sottovalutarla.
Il ragionamento è semplice. La cooperativa di Decima non è una realtà qualsiasi, nel movimento dei disoccupati romani, tra altre decine e decine di iniziative e realizzazioni. E' un'esperienza esemplare e decisiva. I giovani disoccupati vi hanno speso energie preziose. Rappresenta, sul versante della cooperazione agricola giovanile, l'esperienza più avanzata, più seria, e dal lato realizzativo e da quello politico generale.
E' un po' il simbolo di una difficile ma ampia e ricca iniziativa delle Leghe romane nel settore agricolo. Che è poi il più qualificante, considerato l'ostinato boicottaggio padronale nei confronti della legge-giovani.
Decima, dunque. I 140 ettari hanno alle spalle una vicenda lunga e intricatissima. Si tratta di terreni di proprietà comunale; nel '61 però il Campidoglio dette tutto in affitto all'agrario De Amicis per la cifra di 21.000 lire annue, per ettaro.
L'affitto prevedeva un uso per taglio di erba. La clausola non fu però mai rispettata: De Amicis iniziò subito ad arare i campi, per seminare grano, e a subaffittarli. Una vera e propria «agricoltura di rapina» perché mentre non valutava le potenzialità produttive dei 140 ettari riusciva a trame illecitamente il massimo dell'utile col minimo sforzo. Il contratto di affitto scadeva nel '63, ma ormai sulla terra pesavano due processi davanti alla pretura tra l'agrario e il Comune; un diverbio legale mai ricomposto con una sentenza definitiva, questo ha permesso all'agrario di rimanere in possesso dei terreni. Col tempo anche le coltivazioni estensive si sono andate facendo più rare e i campi sono stati praticamente abbandonati.
Qui si innesta la storia della cooperativa.
Prima fase. Dodici mesi di preparazione, incontri e assemblee, tra braccianti, contadini, giovani disoccupati, diplomati in agraria. Individuati i terreni, si è costituita la cooperativa. Neanche questa una cosa facile, occorreva essere molto concreti, contro ogni faciloneria e improvvisazione. Mettere a coltura quei terreni, va bene. Ma di fronte al principio della conduzione indi visa che faceva sfumare il sogno di potere un giorno dividere in tanti piccoli appezzamenti la tenuta, molti si sono ritirati. Seconda fase. I 30 soci preparano un piano culturale a brevissimo e a medio termine, studiato scientificamente con un'altra cooperativa, la Lanag (Lavoro Associato per una Nuova Agricoltura), di tecnici e laureati.
Terza fase. 2 luglio '77, l'occupazione coi trattori: sono 300-400 persone, soci, comitato di quartiere, Leghe dei disoccupati, sindacati che vanno ad occupare, aggirando i trattori posti dall'agrario a sbarrare l'accesso.

Quarta fase. Il lavoro inizia il 2 luglio. I mezzi: i soldi dell'autofinanziamento e della sottoscrizione popolare (raccolti 20 milioni), i trenta capi di bestiame portati dal socio Angelo, il trattore di Enzo, la pompa di irrigazione di Pietro, e poi brandine, pentole, piatti e bicchieri messi in collettivo. Gli stabili: sgombrate le sale, il torrione, di notevole valore storico per cui è stata chiamata la Sovraintendenza di monumenti; un baraccone ridotto dall'agrario a letamaio è stato trasformato in sala di soggiorno-lettura, in camera da letto con bagno; un altro edificio ospita oggi la cucina, che garantisce a tutti un pasto sociale. Determinante il contributo della cooperativa edile «La Nova» per creare la casa. Il lavoro duro, il salario pure: una ricompensa mensile è stata elevata da 60 a 70.000 lire.
In tempi brevissimi la cooperativa è riuscita a cogliere dei frutti economici importanti pareggiando il bilancio, pur tra mille difficoltà. Arati i campi e irrigati riattivando il solido sistema di irrigazione, pressoché distrutto dalla gestione dell'agrario, e resa fine la terra con i morgani per adattarla ad orto.
Tanto è vero che dopo due mesi l'orto, ovvero il piano a brevissimo termine, dà i suoi frutti, un record di efficienza su 20 ettari. Fagiolini, zucchine e insalata ogni mattina dal primo settembre vengono portati ai mercati generali, in attesa di instaurare rapporti con cooperative di consumo. Nella «cavolaia», seimila cavoli piantati a mano in attesa dei macchinari adeguati. Realismo e capacità progettuale. Si tratta di varare un vero e proprio programma zootecnico, analisi scientifica del terreno con l'AICA (Consorzio della Lega delle Cooperative), ecc.
Altro che «figure bucoliche»: scienza, tecnica, leggi, istituzioni, capacità di mobilitazione del movimento delle Leghe, il vivere insieme in modo diverso, il rapporto con le collettività, ecco gli strumenti e i punti di riferimento.
Si dovrà razionalizzare l'orario di lavoro, consentire più tempo libero, studio, letture, ma ci vorrà tempo e pazienza. Seppure spunti sono già venuti dalla presenza della compagnia «Laboratorio camion» che ha adattato per la TV «Casa di bambole», a gennaio, proprio presso e con la cooperativa di Decima.
La sentenza del pretore, per cui evidentemente è una colpa strappare la terra dell'abbandono, vorrebbe ricacciare indietro tutto questo e quanto dietro e oltre Decima si muove. La sentenza riguarda una parte dei terreni occupati, cioè 80 ettari occupati recentemente, dopo il 2 luglio.
Intanto la cooperativa attende che la celebrazione del processo tra l'agrario e il Comune, che dovrebbe tenersi al più presto, blocchi la situazione per tutti i 140 ettari, giacché l'ente locale ha già deliberato di affidare, in caso di vittoria, queste terre alla cooperati va.
Vogliamo dire che non c'è da drammatizzare più del giusto: le possibilità di uscire vincenti dalla controversia giudiziaria sono forti. Inoltre la cooperativa di Decima, le altre coopeerative e l'intero movimento hanno sviluppato una forte mobilitazione.

LA COOPERATIVA DI GIULIANOVA, TERAMO

1119 maggio '77 un'invasione pacifica di centinaia e centinaia di giovani su un terreno vistosamente incolto, aratri che tracciano un primo, grande solco per dimostrare che sotto gli sterpi e le erbacce la terra c'è, buona per il lavoro. Così la cooperativa «Montone» da inizio alla fase del proprio consolidamento. Il corteo, che si è sciolto per una lunga strada interpoderale scoscesa, assomiglia poco alle usuali manifestazioni.
L'Abruzzo non è ricco: ma ha ducentomila ettari di terre incolte o malcoltivate e, ora, anche braccia e intelligenze per lavorarle. Forse per questo, per il senso di una violenta distorsione di uno sviluppo che poteva esserci e non c'è stato, il momento di massima tensione ideale, il 19 maggio, si è avuto quando il primo giovane contadino, alla guida di un grosso trattore, ha cominciato a dissodare il campo. E' venuto giù dal crinale della collina, con decisione, forse anche con un po' di rabbia, quando le grosse zolle rivoltate hanno lasciato vedere la terra buona per tante colture, un grande appai uso è scoppiato spontaneamente da tutti i partecipanti. La storia che sta dietro all'occupazione è semplice, più complicata quella che sta avanti.

A Giulianova, una popolazione di 23.000 abitanti, l'iniziativa dei «diplomati disoccupati» ha destato scalpore e interesse: vi sono in città duemila disoccupati che attendono una qualsiasi prospettiva occupazionale (una sola fabbrica, un mangimificio con 180 addetti; vengono poi l'ospedale civile, con 385, e il comune con 186; per il resto lavoro in gran parte precario, legato al turismo stagionale e all'edilizia dei palazzinari della vicina Alba Adriatica).
L'idea è partita dalla Lega dei disoccupati di Giulianova, nell'estate 1976, sulla scorta di una legge regionale che assegna consistenti contributi a chi rimette a coltura terreni incolti o malcoltivati. La trafila per l'ottenimento dei terreni è stata talmente ardua che la terra non è stata ancora assegnata alla cooperativa.
Dopo un lungo pellegrinaggio per tutta la provincia, a caccia dell'area più adatta, i disoccupati puntano gli occhi su un appezzamento di terreno di 50 ettari, in località Montone di Mosciano, di proprietà dell'ESA (Ente di Sviluppo Abruzzese). L'art. 2 della legge regionale sulle terre incolte prevede contributi fino al 90 per cento per la rimessa a coltura dei terreni, mentre l'art. 6 offre, in aggiunta, il 50 per cento della cifra occorrente per il loro acquisto, se destinati a zootecnia.
A questa normativa i giovani giulesi si sono appellati. Scoprono, però, che le assegnazioni dell'ESA arrivano in tempi lunghissimi e funzionano con criteri clientelari o perlomeno strani: l'area da essi richiesta, ad esempio, è per metà in affitto precario ad una ex-parrucchiera romana, fulmineamente convertita all'agricoltura, che se ne è servita per copertura ad un traffico di import-export di carne bovina.
Perciò la manifestazione proprio su quelle terre, per sollecitare il necessario decreto prefettizio di esproprio; ma l'Ente resiste ancora caparbiamente.
Di fronte alle resistenze i cooperatori non mollano. La cooperativa si struttura: 10 giovani disoccupati e braccianti, 3 coltivatori diretti tra cui un affittuario dell'ESA.
Da un lato, il lavoro in cooperativa, intanto, inizia su circa 30 ettari dell'affittuario ESA e su l ettaro di terreno ad ortaggi affidato dal Comune di Giulianova.
Dall'altro, continua la lotta per 50 ettari, ottenendo la solidarietà concreta delle forze politiche democratiche, degli enti locali, del sindacato e del movimento contadino. Ci si batte per ottenere una legge regionale integrativa per le coperative, ottenere i crediti agevolati indispensabili per la fase di avvio.
Rendere una terra abbandonata di nuovo produttiva significa sudarci sopra almeno tre anni. La battaglia dei cooperatori di Giulianova è aspra, il lavoro è duro, ma la voglia di lottare e di vincere è forte.

LA COOPERATIVA DI ROSOLINI, SIRACUSA

A Rosolini l'annata è stata pessima. Da febbraio fino al tardo autunno non ha piovuto. A piazza Masaniello, al «mercato delle braccia» del «bar Roma», i vecchi braccianti, rassegnati, aspettano i «caporali» per il lavoro «a giornata». Qualche settimana fa i notabili del paese furono invitati alla «festa del miliardo», totalizzato da un «sensale» che ha accumulato e venduto nei silos di Chioggia le carote acquistate sottocosto dai piccoli proprietari di Rosolini. In questo piccolo borgo rurale dello zoccolo sud-orientale della Sicilia, una pagina nuova dell'agricoltura e dello sviluppo economico e civile la stanno scrivendo, coscienti dell'enorme fatica che li aspetta, quindici giovani delle liste speciali ed undici braccianti, che, associati in cooperativa, hanno presentato un progetto per la messa a coltura di qualcosa come duecento ettari di buona terra abbandonata alle ortiche dagli agrari: il barone Cartia tiene buona parte del suo latifondo pieno di sterpi da anni; il barone Modica sarebbe disposto, si, ad affittare il suo «feudo» trascurato, ma 130.000 lire al «tumulo», prendere o lasciare.
Fai qualche chilometro ed a Pachino trovi un vigneto lussureggiante che dà il famoso «nero», delizia dei buoni palati siciliani. Nell'agro di Noto, ci sono altre colture specializzate. Ma Rosolini è come un'isola; una zootecnia vecchia di secoli, mancano l'acqua e l'elettricità, in collina la piccola proprietà spezzettata, stretta tra l'incudine del clima e il maglio dei sensali, poi· un deserto d'erbacce, che non è la natura, ma l'uomo ad averlo creato.
L'idea della cooperativa l'hanno avuta insieme un prete, i giovani frequentatori della sua parrocchia ed una decina di studenti, già avanti nei corsi universitari, braccianti «stagionali» d'estate un po' per aiutare in famiglia, un po' per pagarsi le vacanze. I giovani cooperatori tra i braccianti Rosolini hanno acquistato popolarità e stima. In campagna c'è ancora chi li schernisce, c'è ancora chi sta al balcone ad aspettare come finirà.
C'è chi, invece, già li sostiene e partecipa completamente all'iniziativa. Tant'è che i giovani hanno già cominciato a lavorare, prima ancora di definire lo statuto, facendosi affidare sulla parola un ritaglio di terreno qui, un altro lì. Sembrava poco, ma è molto: è tanto: un ettaro l'hanno seminato a zucchine; mezzo ettaro a carote; un altro mezzo di aglio; due con patate. Per quelle aspettano certe sementi sperimentali olandesi che l'Università di Catania darà gratis. Si pensa anche ad un allevamenti di conigli e di maiali. Nel piccolo campo questa rivoluzione è già visibile: l'acqua - cinquemila lire per dodici litri -, pur scendendo da un ripido pendio, arriva lenta ed irriga dolcemente le pianti ne.
Nel resto del paese lo scetticismo e la sfiducia nella cooperazione sono duri a morire. Ma ormai per i giovani riuscire è quasi un punto d'onore, una sfida. Sono andati a Floridia, per spiegare come hanno fatto ad altri giovani, che intendono seguire il loro esempio. A Noto, stessa composizione, stesso stile di lavoro, un'altra cooperativa analoga sta nascendo. Il problema da affrontare subito è quello della commercializzazione, grande scoglio contro cui si sono infrante tante speranze imprenditoriali di piccoli coltivatori della zona.
I giovani di Rosolini sono andati a Modena, per cercare altri sbocchi di mercato, liberi dalla pastoia della intermediazione parassitaria. La lezione, infatti, non riguarda soltanto il modo nuovo di lavorare i campi, associati, con l'aiuto della scienza e della tecnica. In una tradizione di «scontri frontali» e di musi duri tra la «sinistra» e gli «altri», ha qualche significato che ad affidare alla cooperativa una parte del terreno che questi giovani stanno coltivando, sia stato un sacerdote, «don» Stefano Trombatore, e che sulle piccole gelosie di paese abbia prevalso una inaspettata generosità. Un piccolo proprietario, per esempio, ha garantito lui stesso il consorzio agrario per l'acquisto di concimi e sementi: i ragazzi pagheranno a fine raccolto. La loro «banca» in mancanza di precise scelte dello Stato e della Regione sul sostegno creditizio alle cooperative giovanili della «285», è per ora la solidarietà popolare.

LA COOPERATIVA DI S. GIORGIO MORGETO, REGGGIO CALABRIA

A S. Giorgio Morgeto, uno dei comuni collinari che chiudono la piana di Gioia Tauro come le gradinate di un anfiteatro, c'è una delle cooperative giovanili calabresi che è partita subito. La compongono 5 diplomati, 3 laureati, un architetto, un ingegnere, un agronomo e giovani braccianti e ragazze exraccoglitrici di olive. Su tre ettari, abbandonati da un exgnatario della riforma agraria, hanno piantato patate, mais, fagioli, melanzane, zucchine. La prima raccolta di patate si è avuta a settembre. Hanno oltre 800.000 lire di debiti un po' con tutti, soldi prestati da tanta gente di S. Giorgio Morgeto.
Altri debiti per incanalare l'acqua necessaria per evitare il disseccamento sotto il sole delle patate e dei fagioli.
Per i debiti niente cambiali, per non dare altri interessi alle banche. Anche se all'inizio cento quintali di patate in più non cambiano le cose in Calabria e nel Mezzogiorno, bisogna andare avanti. In Calabria esistono duecento mila ettari incolti. Con centinaia di cooperative così, con tutti i limiti e gli ostacoli, il mezzogiorno comincerà a non essere più tutto depresso eassistito.
«Siamo partiti - afferma Carlo Mileto, coordinatore delle Leghe della provincia - da una analisi semplice, cioè l'esistenza di ottantamila disoccupati. Dopo una lunga ricerca di obiettivi specifici, abbiamo capito che nè il quinto centro siderurgico, nè i corsi di formazione professionale organizzati dalla Regione, avrebbero risolto i problemi della disoccupazione giovanile nella zona. Cori la Federbraccianti scoprimmo le terre incolte e aprimmo un nuovo capitolo della nostra lotta».
Infatti, oltre la cooperativa di San Giorgio Morgeto, sono nate altre cooperative di giovani studenti, laureati e braccianti.
Undici giovani di Polistena che vogliono allevare i conigli; i giovani di Gelatro che pensano all'allevamento delle trote; quelli di Sant'Eufemia che vogliono riattivare una fabbrichetta di essenze per profumi; i giovani di Cinquefronti che hanno occupato ottanta ettari di oliveto; quelli di Losarno che pensano alla coltivazione in serra.

LA COOPERATI V A DI BUTI, PISA
Per l'esperienza della cooperativa «Rinnovamento» di Buti ci serviamo delle dirette testimonianze dei protagonisti.
«A Buti, un piccolo comune dei monti pisani, siamo riusciti coi giovani iscritti alle liste speciali e con alcuni lavoratori agricoli fino ad oggi sottoccupati a costituire una cooperativa di conduzione. Attualmente sono soci della cooperativa, che abbiamo chiamato il «Rinnovamento», cinque giovani, cinque contadini, e tre studenti della facoltà di agraria di Pisa.
La zona dei monti pisani, dove operiamo, non è tra le più brillanti dal punto di vista agricolo: la coltivazione dell'olivo in forma specializzata su terreni in forte pendenza, un bosco formato quasi esclusivamente da pino marittimo, nella pianura sottostante i terreni del Padule e del Bientina soggetti a restare sommersi per sei-sette mesi l'anno.
Ma in particolare la nostra cooperativa cosa può portare di nuovo? Primo, è una struttura che non si limita alla coltivazione dell'oliveto, anzi estende la sua attività alla realizzazione di interventi nel bosco e opera in un altro ambiente agronomico rappresentato dal Padule e dal Bientina, nonché può in prospettiva intraprendere esperienze nei settori dell'allevamento semibrado e degli allevamenti minori. L'intreccio di queste attività permetterà, secondo noi, di utilizzare razionalmente il lavoro lungo tutto l'arco dell'anno e la somma dei diversi redditi può rendere economico l'insieme della gestione. E' un fatto d'altronde che, oggi, gli interventi nel bosco, la coltivazione dell'oliveto, lo scarsissimo sfruttamento del Padule, si dimostrano ognuno preso a sé non economicamente validi per quanto riguarda l'oliveto e il Padule essenzialmente per l'impossibilità di impiegare in modo razionale il lavoro.
Ci si chiederà come pensiamo di potere articolare l'attività della cooperativa in modo da garantire l'occupazione piena a una decina di persone e l'economicità della gestione. Innanzitutto abbiamo chiesto che ci venga concesso dal Comune e dall'amministrazione provinciale il servizio estivo di vigilanza contro gli incendi, finora svolto da squadre di stagionali di cui erano componenti anche i contadini soci della cooperativa; come pure abbiamo chiesto alla Regione l'assegnazione di alcune perizie per interventi idraulico-forestali in modo da aver complessivamente assicurata l'occupazione nel bosco nei periodi morti che si hanno nella coltivazione dell'oliveto. Inoltre, stiamo portando avanti trattative con alcuni proprietari per prendere in affitto oliveti in produzione.
Come abbiamo accennato altre possibilità di occupazione e di integrazione di reddito deriveranno dai servizi di potatura, per i trattamenti fito-sanitari, per la ripulitura di cesse parafuoco e tracciatura di strade interpoderali e loro manutenzione. Quello che dà concretezza al discorso è l'elevato grado di complementarietà raggiungibile tra i diversi tipi di intervento: nel bosco, nell'oliveto, nel Padule. Concentrate nel periodo invernale e inizio primavera le operazioni di coltura dell'oliveto, fine primavera-estate nel Palude, estate-autunno nel bosco».

Rimandiamo al nono capitolo una sintetica valutazione dei più grossi nodi che il movimento per l'occupazione delle terre e della nuova cooperazione agricola si trova di fronte e che deve scegliere presto e positivamente per non rischiare un sostanziale riflusso.

3) IL FESTIVA L NAZIONALE DELLE LEGHE, 18-22 LUUGLIO, IN ABRUZZO

Il movimento per l'occupazione delle terre e più in generale l'intero nuovo movimento dei disoccupati, dopo la fase dell'entusiastico lancio di massa nel corso,dell'estate '77, hanno realizzato alcuni momenti di sintesi nazionale di grande interesse.
Un cenno merita certamente il festival nazionale delle Leghe svoltosi dal 18 al 22 luglio, a l'Aquila.
Un festival particolare. Il carattere popolare della sua proporzione, molti i protagonisti: i giovani disoccupati, disponi- , bili anche soltanto per qualche ora al giorno, perché impegnati nell'attività precaria legata al lavoro stagionale; gli operai della Sit-Siémens; e poi la gente più diversa. Il programma: un intreccio di festa, dibattito e lotta, sostenuto con il lavoro delle Leghe e le sottoscrizioni fatte dalla gente e soprattutto dai consigli di fabbrica. E' emblematico, sotto questo aspetto, che nello stesso periodo e a poca distanza dal festival, si sia svolto nel Parco Nazionale d'Abruzzo il festival degli «indiani», su temi più «aristocratici», è ovvio, e interamente finanziato dall'Ente Parco.
L'assemblea nazionale delle Leghe, svoltasi il 29, ha consentito, a partire da un bilancio dell'esperienza di un anno di lotta in Abruzzo, uno scambio di esperienze, di riflessioni sullo stato del movimento e ha contribuito a spingere avanti il processo di unificazione nazionale delle Leghe. Tant'è vero che tra le risoluzioni uscite al primo posto veniva sollecitata la convocazione. di un'assemblea nazionale Leghe-Sindacato, svoltasi poi a ottobre, e la costituzione di un effettivo coordinamento nazionale.
Contro il pericolo reale di uno «sfilacciamento estivo» dell'iniziativa delle Leghe, il Festival ha dato un'utile e forte spinta alla campagna per l'iscrizione alle liste speciali e ha precisato la piattaforma del movimento, sia sul lato dell'occupazione delle terre e della cooperazione agricola, sia su quello politico generale, in modo particolare il rapporto Leghecato.

DOCUMENTO FINALE DELL'ASSEMBLEA DELLE LEGHE DEI GIOOVANI DISOCCUPATI PRESENTI AL FESTIVAL DELL'AQUILA DEL 28/31 LUGLIO 1977

Le Leghe dei giovani disoccupati riuniti in assemblea e in commissioni nei giorni 28, 29, 30 e 31 luglio all'Aquila considerano questa fase di lotta per l'occupazione molto delicata e ancora da incentrate sul voto per la gestione delle legge sul riavviamento.
Questa legge è stata sempre considerata un concreto terreno di lotta soprattutto perché offre l'occasione di sviluppare un grande movimento di massa in direzione del rinnovamento e della trasformazione dell'economia del nostro Paese.
Nel con tempo si è espressa anche una preoccupazione per il numero degli iscritti alle liste speciali che, pur raggiungendo punte elevate in alcune regioni, è ancora limitato su tutto il territorio nazionale. Sono ancora centinaia di migliaia i giovani che dobbiamo spingere a iscriversi alle liste speciali E' un problema che le Leghe si pongono, dal momento che hanno scelto questo terreno di lotta e hanno considerato questa legge non l'obiettivo finale, ma lo strumento per mettere in campo le forze necessarie per una più vasta battaglia.
Gli iscritti alle liste speciali devono diventare i protagonisti della costruzione delle Leghe. Solo col loro coinvolgimento reale si potrà porre la questione dell'organizzazione dei disoccupati nel sindacato. Noi consideriamo positivamente le scelte della Federazione CGIL-CISL-UIL sul rapporto con i disoccupati e in particolare la proposta dell'assemblea nazionale di fine settembre.
La scelta sindacale si inquadra nella generale strategia di dare priorità ai problemi della piena occupazione e dell'utilizzo di tutte le risorse economiche, naturali e umane.
E' una scelta che premia il nostro lavoro, ma nello stesso tempo ci impone di alzare di molto il livello politico del nostro movimento. Il movimento non ha ancora una base nazionale, le esperienze sono poche e troppo Isolate tra loro: insomma una linea nazionale è ancora cosa da costruire. Ma le premesse ci sono e non sono date solo dall' oggettività della situazione. Infatti, secondo noi, esistono le forze per avviare un processo di estensione e coordinamento delle lotte giovanili per l'occupazione. Questo Festival, CUI, hanno partecipato rappresentanti delle Leghe di quasi tutte le regioni. SI tratta di andare entro l'assemblea del 30 settembre alla costruzione di coordinamenti regionali delle Leghe che fondino il rapporto con il sindacato non su petizioni di principio, ma sulla definizione di vertenze di zona per l'occupazione e lo sviluppo. Questa unità dal basso fra lavoratori, inoccupati e disoccupati, è la garanzia perché le Leghe possano vivere nelle lotte portandovi tutto il contributo di un movimento autonomo e organizzato.
Proponiamo per tutto il mese di settembre una mobilitazione straordinaria delle Leghe sull'applicazione della legge e sull’organizzazione del disoccupati nel sindacato. Questa campagna di massa dovrà servire non solo a far crescere il movimento, ma anche a concretizzare il nostro rapporto con le strutture territoriali del sindacato. .
Assemblee cittadine o di zona degli iscritti alle liste, promozione ovunque delle Leghe, incontri con le forze politiche, con gli Enti Locali, primo fra tutti la Regione, con le associazioni padronali nei diversi settori produttivi, industriali, commerciali, artigianali, agricoli. A partire da questo censimento capillare delle possibilità occupazionali dobbiamo dare concretezza alle vertenze di zona delle Leghe, dei Consigli di fabbrica, delle strutture territoriali del sindacato.
Pur consapevoli delle difficoltà che si presentano rispetto alla gestione della legge nazionale per l'occupazione giovanile, riteniamo opportuno dare alcuni elementi di riflessione. Il problema maggiore è dato dalle difficoltà che si riscontrano a livello di regioni e comuni ad intervenire utilizzando gli spazi previsti dalla legge. Corriamo il rischio che le Regioni non saranno in grado di preparare i piani entro il 30 settembre e che i comuni avranno difficoltà a prepaarare i progetti specifici. Questo è un primo aspetto decisivo rispetto al quale tutto il movimento dovrà concretamente spingere per far fare un passo avanti a tutta la situazione. La condizione perché questo sia possibile è che il movimento dei disoccupati sposti maggiormente la sua iniziativa su questo terreno e riesca" generalizzare e ad arricchire alcune esperienze anche parziali che fino ad oggi sono state fatte. Il nostro sforzo deve quindi consistere nella organizzazione di esperienze di lotta e di lavoro che sappiano indicare e prefigurare sbocchi concreti anche oltre i limiti fissati dalla legge e che aprano la prospettiva di un lavoro stabile e qualificato. Abbiamo la possibilità di rendere viva e concreta questa indicazione alle migliaia di giovani disoccupati a partire dalle possibilità che vi sono in alcuni settori fondamentali previsti dalla stessa legge per l'occupazione giovanile.
l settori sono: agricoltura e pesca, industria, artigianato e turismo, interventi di Regioni e Comuni per opere e servizi di utilità sociale ...
Questo il modo più corretto per fare dell'assemblea del 30 settembre un reale momento di confronto e di dibattito tra sindacato e leghe dei disoccupati.
Al fine di meglio organizzare la nostra partecipazione all'assemblea del 30 settembre, ci costituiamo in coordinamento provvisorio delle Leghe dei disoccupati, pur consapevoli dei limiti del nosrro livello di rappresentatività. Ci riconvochiamo per venerdì 9 settembre a Roma, invitando i rappresentanti delle Leghe non presenti in questo festival'
Sulla presenza delle donne nel movimento le compagne hanno approvato un documento a parte che alleghiamo.

ASSEMBLEA DELLE LEGHE DEI DISOCCUPATI PRESENTI AL FESTIIVAL ABRUZZESE DELL'AQUILA

Presenti, oltre alle Leghe e alle cooperative agricole abruzzesi, delegazioni di Napoli, Palermo, Taranto, Reggio Calabria, Gioia Tauro, Firenze, Bologna, Imola, Venezia, Pisa, Sesto S. Giovanni, (Cuneo), Perugia, Macerata, Poggia».
Un festival aperto, di spregiudicato dibattito tra movimento e partiti democratici, sindacato, associazioni contadine, consigli di fabbrica, enti locali, Di lotta, l'assemblea con l'esecutivo del coordinamento FIAT attorno alla vertenza della Val di Sangro.
Infine la presenza delle donne disoccupate, il loro primo incontro nazionale e una prima bozza di documento, che è emblematico delle difficoltà e dei ritardi su tale versante,

DOCUMENTO DELL'ASSEMBLEA DELLE DONNE IMPEGNATE NEL MOVIMENTO PRESENTI ALL'AQUILA IL 29 LUGLIO 1977

L'assemblea del 29 luglio delle compagne presenti nel movimento dei disoccupati è stato il primo momento in cui abbiamo potuto confrontare le diverse esperienze e prospettive. ,
Certamente questo primo incontro non è stato risolutivo di tutta la mole di problemi che abbiamo come donne che vogliono costruire una loro identità nel movimento, e tantomeno chiarificatore rispetto alle lotte da fare e agli obiettivi da sciogliere.
Sono usciti fuori per la maggior parre i problemi, le carenze di approfondimento, le difficoltà e la grandissima consapevolezza, comune a tutto, di misurarsi su un terreno molto alto, e quindi molto difficile per il livello politico che esprime.
In queste giornate all'Aquila abbiamo potuto misurare pienamente le difficoltà di sopravvivenza in cui tutto il movimento si trova, difficoltà dovute all'esigenza di portare lo scontro a un livello più alto, di omogeneizzare tutto il movimento nazionale dei disoccupati, di fornire elaborazioni nuove e più approfondite.
Una cosa fondamentale che abbiamo capito tutti è che dal propagandismo dobbiamo definitivamente uscire per misurarci con i problemi che non sono certamente facili da risolvere, ma che noi in questo movimento abbiamo coscientemente messo IO campo.
Se il movimento in generale registra tutte queste difficoltà, tanto più ne registriamo noi compagne che non ancora approfondiamo a livello regionale cosa vuoi dire occupazione femminile in generale ed in Abruzzo in particolare, che non ci impossessiamo ancora di cosa sia realmente il ruolo della donna nel processo produttivo, che non ancora abbiamo gli strumenti di conoscenza per il1ternnire nel centro dei problemi.
La cosa emersa con più chiarezza è questa grande volontà di approfondimento che, se è riuscita ad l'nucleare delle coordinate politiche, non è riuscita ,ancora a fare esempi concreti.
La difficoltà maggiore deriva dalla mancanza di una conoscenza più precisa, zona per zona, delle realtà esistenti e delle ipotesi di sviluppo che stanno maturando.
Il nostro compito è quello di studiare le possibilità di occupazione in relazione all'impiego di manodopera femminile.
La carenza di esempi concreti è per noi un limite da superare al più presto, ma, proprio per fari o seriamente e non in modo strumentale, abbiamo preferito mettere al corrente tutte le compagne che useranno questo documento come strumento di lavoro, oltre che di alcune linee generali anche delle incertezze e dei problemi che sentiamo su di noi. La prima cosa su cui siamo d'accordo e che ci sembra imponente è che tutte le questioni che riguardano il rapporto delle donne con il lavoro non possono per noi essere rigidamente separate in settori (occupazione femminile in generale da una parte, rapporto cosciente delle donne con il lavoro dall'altra, qualità nuova del rapporto con le scelte produttive da un'altra ancora e così via), ma segnare tutte dalla volontà di sovvertire le attuali condizioni del rapporti donna-lavoro.
Sappiamo tutti la condizione che vive la donna nella società, quale rapporto precario e nero abbia con il lavoro, come si collochi ai livelli più subordinati e pesanti. Da questa constatazione, che si arricchisce con rutta una serie di analisi che qui non possiamo fare, la volontà di imporre un primo punto fermo: dobbiamo riuscire su tutti i livelli a far esplodere il rapporto cosciente, voluto dalle donne con il lavoro.
Questa espressione di volontà si articola in alcuni punti, quali l'organizzazione dell'offerta di forza lavoro, che noi dobbiamo compiere insieme alle donne iscritte alle liste speciali, organizzazione diretta a tutti i settori della produzione, rovesciando la tendenza che vede la manodopera femminile diretta prevalentemente nel terziario e in alcuni settori dell'industria tessile, elettronica e settore alimentate. Un impegno nostro e di tutto il movimento dei disoccupati di intervenire dove le cooperative già ci sono per ampliare la presenza delle donne e dare così concretamente il segno di una tendenza.

Il secondo punto è relativo alla formazione professionale di cui noi dobbiamo conoscere e capire l'organizzazione per capire ed intervenire poi sugli sbocchi.
Dobbiamo tendere ad innalzare il livello della qualificazione tecnicofessionale femminile appunto perché le donne di solito, quando le hanno, hanno qualifiche professionali basse, ad es., in rapporto con l'organizzazione del lavoro e la possibilità di intervenire per modificarlo risultano subordinare o di fatto inutili.
Un'altra delle volontà espresse dal dibattito è appunto l'esigenza che sentiamo come soggetti attivi rispetto alle scelte sull'organizzazione e sulla qualità del lavoro. E' questo, probabilmente, l'obiettivo più alto a cui dobbiamo puntare: riuscire ad inserirci, come don ne, in tutto il dibattito che riguarda la produzione, il modo di produrre, cosa si produce, la gestione della produzione, l'ambiente di lavoro, l'organizzazione dei servizi sul territorio.
Più in generale è necessario a questo punto intervenire in direzione della organizzazione dell'offerta di manodopera femminile, farro dettato anche dal numero di donne iscritte nelle liste speciali (in Abruzzo il 48% contro il 13% nelle liste normali; in altre regioni la percentuale è superiore). Un dato questo. imporrante e positivo, però è necessario tener presente che per il tipo di scolarizzazione che abbiamo avuto, l'offerta di lavoro rischia di orientarsi soprattutto in settori improduttivi (terziario) favorendo quindi un uso assistenziale della legge in contrasto con l'esigenza fondamentale oggi, trattandosi di nuova occupazione, di introduzione in rutti i settori della produzione.

4) IL CONVEGNO DI IRSINA

Ma uno dei momenti più significativi, addirittura di svolta e di rottura, di sintesi nazionale e settoria1e della nuova cooperazione agricola giovanile è il convegno nazionale con la Costituente Contadina (trasformatasi poi con il Congresso del 18822 dicembre in Confederazione Italiana Coltivatori, svoltosi a Irsina dal 14 al 16 ottobre.
Irsina rimane a tutt'oggi una delle pagine, anche umanamente,più belle del nuovo movimento.
Il1 ottobre più di 1500 giovani, delle Leghe .dei disoccupati e, delle cooperative, contadini e tecnici, delegazioni giovanili di diversi orientamenti politici, occupano Taccone, borgata di Irsina, costruita negli anni '50 dall'Ente di riforma fonndiaria e lasciata a poco a poco da contadini e braccianti per mancanza d'acqua, di mezzi adeguati, di condizioni civili di vita. I giovani arrivati da tutta Italia guardano le donne che per strada rotolano le grandi botti ancora vuote; guardano i conntadini che risalgono dalla vallata con gli asini, carichi di uva delle poche vigne rimaste. N ella piazza della cattedrale parlano con gli abitanti, anche con una squadra di 5 uomini che trasportano, e usano, un torchio all'antica.
Poi fino al 16 ottobre il dibattito entra nel vivo: nelle assemblee, nei gruppi di studio, negli incontri improvvisati tra le stradine del borgo.
E un'intrecciarsi di dialetti, di esperienze di lotta, di lavoro, di realtà diverse, a volte contrastanti. Nessuno ha una «ricetta» bella e pronta, ma ognuno ha la consapevolezza di essere protagonista di una battaglia dura, difficile.
Nella prima giornata nell'ex dancing di Taccone si affollano centinaia e centinaia di giovani, braccianti e contadini, per l'apertura della manifestazione per «occupazione giovanile e sviluppo dell'agricoltura)), per darsi una piattaforma per l'occupazione giovanile che dovrà trovare applicazione per il 77-78.
Infatti da Irsina ci si è lasciati con l'impegno a fare regionalmente «tante piccole Irsine)) in modo da approfondire l'elaborazione sul rapporto tra agricoltura e occupazione giovanile. La base operativa è il documento preparato nelle commissioni e approvato dall'assemblea finale, che impegna a11avoro le organizzazioni contadine, e presenta richieste al governo e alle regioni. Nel documento si lamenta la scarsa applicazione della 285, e si chiede che l'articolo 22 della legge in questione venga integrato con una legge specifica che rimuova gli ostacoli di natura economica alla permanenza e all'inserimento dei giovani nelle aziende coltivatrici dirette, affrontando tutti gli aspetti della gestione e dell'attività delle imprese coltivatrici: il «Manifesto di Irsina». Il documento lancia i «cinque diritti»: 1) nuova regolamentazione del diritto di successione; 2) diritto allo studio (visto che nel '74 meno del6% degli addetti agricoli era provvisto di licenza di scuola media superiore); 3) diritto alla terra; 4) diritto al tempo libero; 5) servizi sociali.
Il documento chiede che siano applicati gli accordi programmatici firmati dai partiti, per il capitolo dell'agricoltura, e con particolare riguardo agli impegni di finanziamento, alle competenze regionali per le terre incolte, di riforma dei patti agrari, e alla richiesta di revisione della politica agricola europea. Alle regioni si chiede di intervenire rapidamente con iniziative legislative per favorire l'accesso alla terra, al credito agevolato e alla consulenza tecnica per le cooperative di giovani, e per la sperimentazione; le regioni devono inoltre avviare subito censimenti delle terre incolte e progetti di utilizzo di queste terre usando per la realizzazione degli stessi censimenti cooperative di giovani e di tecnici. Nel documento, infine è prevista la costruzione di organismi democratici e autonomi di coordinamento e di lotta, sia nazionali che regionali, tra giovani disoccupati, cooperative, organizzazioni sindacali e costituente.
Nel pomeriggio del 14 nella sala del Comune un dibattito sul piano pluriennale della Regione Basilicata; il 15 nel cinema di Irsina una tavola rotonda sul futuro dell'agricoltura; il 16 di prima mattina nel silos si discute animatamente il documento finale; più tardi la manifestazione di chiusura che si svolge in piazza, metà prato e metà asfalto davanti alla chiesa della borgata.
Le tre giornate di Irsina si riempiono di economia e di politica, l'intreccio tra passato e presente non si oscura, sono tanti i nessi emergenti: innanzitutto tra il paese e il borgo Taccone di colpo pieno di giovani e di attività, e poi quelli tra i problemi locali e nazionali, e perfino internazionali e quelli tra le generazioni. Col comizio si richiede un'iniziativa che partendo dai giovani serva a tutta l'Italia, ma nello stesso tempo a Irsina.
Lo stesso incontro con i «vecchi» del resto, è stato qualcosa di più di una grande festa commemorati va, di una celebrazione storica, è stato il segno che il giovane movimento che nasce nelle campagne del Mezzogiorno si dà anche una coscienza storica, impara a riflettere sulle battaglie passate, sulle sconfitte che si pagano ancora oggi.
Forse per noi il convegno è servito a conoscersi, a capire che si è in tanti, che si fa parte di un movimento nazionale, e scambiarci le reciproche esperienze. Ma dal convegno è uscito qualcosa di più di una solidarietà generica tra tante esperienze frammentarie. C'è stata innanzitutto unificazione tra rappresentanti delle cooperative giovanili e contadini adulti, risultato non secondario se si pensa alle differenze di orientamento nel movimento delle campagne e tra i giovani.
Il confronto c'è stato anche con il grosso dei ragazzi di Borgo Taccone, che in questi giorni hanno lasciato la scuola e si aggirano ad ogni ora, fino a notte, tra cinema e mensa, tra verde e sale di riunioni.
Irsina, un esempio che avrà i suoi frutti, un pezzo di utopia vivente, un grande momento politico e culturale, di unità tra i giovani (sono presenti tutte le componenti dai giovani comunisti e socialisti, agli studenti e tecnici, ai disoccupati organizzati, al cosiddetto «movimento» e Lotta Continua).
E i limiti? Numerosi, qualcuno grave. Uno in particolare Irsina ha denunciato: la coscienza non ancora sufficientemente nazionale del movimento dei giovani disoccupati. La «spia» più chiara in questo senso è stata la sensibile divaricazione del convegno di Irsina rispetto al generale movimento delle Leghe dei disoccupati. Se al coordinamento nazionale del 13 ottobre non si era parlato abbastanza di agricoltura, qui si è parlato ancora meno dei problemi dell'intero movimento delle Leghe.
Il pericolo di divaricazione tra Leghe, quale soggetto peculiare di lotta politica e di propaganda e cooperative, quale strumento concreto di realizzazione e di lavoro, non poteva essere più evidente.
Irsina ci ha anche insegnato che la cosa più urgente da fare è lavorare perché l'agricoltura non appaia più solo come un problema delle campagne e il movimento delle campagne non sia lasciato solo a lottare per la rinascita dell'agricoltura.

Con Irsina comunque il movimento acquista una maturità di impostazione che fa piazza pulita di tante superficiali e stupide ironie sul suo preteso ruralismo romantico e bucolico.

La campagna di massa per l'iscrizione alle liste speciali

l) L'ISCRIZIONE ALLE LISTE SPECIALI UNA SMENTIITA A TANTI SUPERFICIALI GIUDIZI CONTRO LE NUOVE GENERAZIONI

In agosto, la questione della disoccupazione giovanile si impone di colpo, senza possibilità di equivoci sociologistici o ideologistici, all'attenzione di tutto il Paese destando sorprese, non sempre piacevoli, specie in quegli ambienti conservatori o radicali che si erano esercitati parecchio, nel corso del biennio '76-77, sulla questione giovanile per giungere tutti ad una felice e indiscutibile conclusione comune: «i giovani non vogliono lavorare».
Niente di più efficace a propositO è la citazione diretta delle fonti originali.

1 giovani e il lavoro. Un'indagine ISFOL-DOXA

NIENTE ZAPPA O TUTA BLU VOGLIONO FARE L'IMPIEGATO

A cercare attivamente il lavoro sono meno del previsto, non amano scuola e part-rime, 1'83% non farebbe l'operaio e il 78% l'agricoltore. Appena nato, quindi, il piano giovani ha già i suoi guai.

Il Messaggero 1/5/77

l GIOVANI DISOCCUPATI NON CREDONO AL MIRACOLO

È scattata solo dieci giorni fa, ma si può dite che la legge per l'occupazione giovanile inreressa solo un'esigua avanguardia dell'enorme esercito dei giovani in cerca di lavoro (quasi un milione e mezzo).

La stessa iscrizione di massa è stata una conquista dei giovani tra i giovani attraverso una campagna democratica, di massa, difficile, originale e capillare, di dibattito, di organizzazione e di iniziative esemplari. Ne sono stati protagonisti migliaia di nuclei promotori delle Leghe, costituenti cooperative, comitati per la gestione della 285, comitati per l'occupazione. E' stata realizzata attraverso un numero straordinario di assemblee nei quartieri popolari, nelle piazze, nei mercati e nei punti di ritrovo della gioventù. Attraverso una propaganda capillare e spontanea, dal basso; oppure promossa dai movimenti giovanili democratici, nelle forme più varie: megafonaggi, giornali parlati, schede, assemblee e convegni.
Per la prima volta sono scesi in campo soggetti sociali tradizionalmente emarginati dalle lotte giovanili: i giovani disoccupati delle borgate delle grandi città, espulsi dalla scuola prima della conclusione dell'obbligo; quelli dei piccoli centri di provincia e dei paesi meridionali, difficilmente organizzabili in movimenti non direttamente operanti su questioni concrete di interesse immediato; ragazze, casalinghe, ecc.

3) IL RUOLO PROPULSIVO DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI

I protagonisti fondamentali di questa battaglia sono stati i giovani, ma non i protagonisti esclusivi. Decisivo è stato il ruolo di almeno altri due protagonisti: il sindacato di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo e le Regioni con gli Enti Locali.

Delle Regioni e delle assemblee elettive locali, seppure in un quadro articolato di giudizi, va sottolineato il ruolo propulsivo e decisivo svolto per il consolidamento del movimento delle Leghe Giugno e luglio sono stati due mesi decisivi per le Leghe.
Giunti a maturazione gli sforzi difficili di oltre sette-otto mesi di delicata gestazione del nuovo movimento, approvata la 285, entrato in una fase irreparabilmente discendente il nuovo estremismo; mentre era già in piena espansione il movimento per l'occupazione delle terre, al nascente movimento dei disoccupati si imponeva la necessità di fare un salto di qualità e di esprimere una più rigorosa sintesi e una precisazione della propria linea e iniziativa.
In questi mesi è stato necessario affrontare almeno quattro ordini di problemi:
a) definire la propria struttura e identità, in modo particolare rispetto al rapporto di internità o meno con il sindacato; b) definire l'atteggiamento e l'uso della 285 e il rapporto l l'a questa e la piattaforma più generale di lotta per l'occupazione oltre la legge stessa.
c) sostenere la prima campagna capillare di massa su tre obiettivi: l'adesione dei disoccupati ai nuclei delle Leghe, l'iscrizione alle liste speciali, la definizione della piattaforma e della strategia generale;
d) verificare la propria capacità vertenziale e meno sul terreno fino a questo momento più proficuo, cioè quello della cooperazione agricola.
Senza il contributo promozionale delle Regioni e degli enti locali, difficilmente le Leghe avrebbero superato questa prova delicata.
Vogliamo qui ricordare che alcune Conferenze regionali, ad esempio, quelle promosse dalla Regione Lazio e dalla Regione Toscana, hanno consentito al movimento di ritrovarsi, per la prima volta, regione per regione, discutere e unificarsi. compiere insomma un decisivo salto di qualità che senza quelli: conferenze non ci sarebbe stato.

L'ISCRIZIONE ALLE LISTE SPEC)ALI PER CONOSCEERE MEGLIO LE NUOVE GENERAZIONI

Pubblichiamo quasi integralmente una ricerca del «Cespe" sulla ripartizione regionale, la composizione per età, sesso e titolo di studio degli iscritti alle liste speciali, gli effetti della legge sull'offerta di lavoro e le aspettative create nei giovani.
"Le iscrizioni alle liste speciali hanno avuto - come è noto - un ritmo maggiore nelle regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali. La diversa propensione territoriale dei giovani a iscriversi si rileva rapportando il numero degli iscritti alla popolazione presente tra i 14 e i 29 anni (dati 1975, ultimi disponibili; classe d'età; ISTAT). Mentre al Sud si è iscritta alle liste una quota l i popolazione giovanile che varia dal 7 al [0%, nel Nord tale quota si riduce al 5-4%, rivelando una propensione che nel Mezzogiorno è tre volte superiore a quella del Settentrione.
La composizione per sesso degli iscritti presenta inoltre una quota di donne più alta al Nord che al Sud. Essa scende dal 59,4% dell'Italia settentrionale al 51,1 % dell'Italia centrale al 42,9% dell'Italia meridionale.
Questa diversa composizione per sesso dell'offerta «speciale» di lavoro giovanile è degna di attenzione giacché al Sud è affluito un numero di donne rispetto al Nord. La diversa composizione per sesso è dovuta al fatto che nel Mezzogiorno si sono iscritti in massa anche i maschi adulti, ossia uomini che stanno nelle classi di età comprese tra i 22 e i 29 anni. Questi maschi adulti disoccupati, che rappresentano la disoccupazione strutturale delle atee depresse, sono quasi inesistenti nelle zone altamente industrializzate. E' la loro presenza nel Mezzogiorno e la loro affluenza alle lisce speciali, che ha modificato sia la distribuzione per sesso sia quella per classi di età.
Il diverso afflusso registrato al Nord e al Sud non rivela una diversa propensione dei giovani in cerca di occupazione, ma piuttosto una diversa composizione per età dell'offerta. In altre parole: la quota di meno giovani incide molto di più al Sud e sposta sensibilmente la situazione fra le due grandi aree del paese.

La percentuale dei giovanissimi (classi 15-17 e 18-19 anni) è molto più alta nelle regioni del Nord che in quelle del Sud, con il Lazio in una posizione intermedia che si avvicina molto alla situazione nazionale. Mentre in Piemonte e Lombardia da un quarto a un terzo degli iscritti non ha ancora 18 anni, in Campania e Sicilia soltanto un settimo e un decimo degli iscritti, rispettivamente, è compreso nella prima classe di età 05-17 anni): nelle due regioni settentrionali non più di un settimo degli iscritti ha superato i 24 anni, mentre nelle due regioni meridionali questa quota sale a circa un quarto del totale.
Anche la composizione per età evidenzia quindi una sostanziale diversità di struttura dell'offerta del lavoro giovanile suscitata dalla legge n. 285. Al Nord c'è stato pertanto un minor afflusso percentuale alle liste speciali, ma con una più forte presenza delle nuove leve che entrano nel mercato del lavoro: prevalentemente giovanissimi e donne. Al Sud invece l'afflusso è stato maggiore proprio perché ha coinvolto non soltanto i giovanissimi e le donne, ma anche una consistente quota di maschi adulti che già erano disoccupati, e che nelle liste speciali hanno visto un'occasione per uscire da uno stato <<normale» di precarietà e inattività.
In sostanza, al Nord la legge ha sollecitato in prevalenza le iscrizioni di coloro che sono in cerca di prima occupazione, e al Sud di coloro che sono da maggior tempo senza lavoro (e qui, più disoccupati già occupati che giovani in cerca di prima occupazione).
Infine va onorato che le iscrizioni femminili più di quelle maschili si concentrano nelle classi di età inferiori: il fenomeno è evidentissimo nelle regioni settentrionali ma sembra confermato anche in quelle meridionali.
I livelli di istituzione più elevati si trovano nell'Italia centrale, dove il 65% degli iscritti dei due sessi ha un titolo di scuola media superiore, e i16% è laureato. Si noti che non è il Lazio e quindi Roma, ad elevare in modo specifico i livelli di istruzione risultanti dai titoli di studio dichiarati dagli iscritti del Centro: sono invece l'Umbria e, ancor di più, le Marche.
Va ancora sottolineato che nell'Italia centrale il grado di scolarizzazione maggiore appartiene alle ragazze e non ai giovani. La tendenza ad una istruzione più elevata fra gli iscritti di sesso femminile è generale ed è più evidente nel Mezzogiorno, dove i16% delle ragazze ha una laurea: il doppio dei giovani. Il grado di scolarizzazione degli iscritti meridionali è fortemente influenzato dal macroscopico dato della Campania, che è ad un tempo il più consistente il più drammatico. La quota di giovani che non hanno dichiarato alcun titolo di studio raggiunge il 19% fra le femmine e addirittura il 32% fra i maschi, ,contro una media nazionale rispettivamente del 7 e del 14%.
La gravità di questa situazione non ha riscontro altrove, anche se alcune regioni del Sud seguono a distanza la Campania in questo primato negativo, l' ,,,,che se l'insieme degli iscritti senza titolo di studio arriva nel sud al 14%, rispettivamente, nel Centro e nel Nord.
Nell'Italia settentrionale non si verifica invece il fenomeno d'una alta scolarità fra le femmine iscritte alle liste speciali. La situazione è anzi rovesciata aspetto a quella dell'Italia meridionale, giacché i giovani hanno sistematica livelli di scolarizzazione superiori a quelli delle ragazze.
Nel complesso emerge una struttura dell'offerta di lavoro giovanile che è molto più omogenea fra le femmine che fra i maschi. Mentre il grado di istruzione delle donne del Nord è eguale o lievemente inferiore a quello del Sud, 11'.1 gli uomini la frattura Nord-Sud è invece molto marcata ed indica una offerta nettamente sotto-istruita rispetto alla media nazionale. La vera anomalia nella composizione degli iscritti per livelli d'istruzione risulta pertanto il dato, i maschi meridionali. Questo dato, unitamente al fatto che nel Mezzogiorno 1.1 quota di maschi sul totale è di gran lunga superiore a quanti risulta nel centro e nel Settentrione, risolleva quello che è forse il problema centrale del merito del lavoro italiano. La massa dei disoccupati non soltanto si trova in larga I \,In e nel Mezzogiorno, ma qui, pur essendo costituita prevalentemente da una capacità di inserimento nel mercato minore che nel resto del paese. I:"rrerra di lavoro nel Sud è «disinserita» non soltanto rispetto al posto di lavoro ma anche rispetto ai meccanismi formativi di base, come la scuola e la formazione professionale derivante dall'esperienza lavorativa.

E' possibile conoscere a livello regionale la quota di iscritti alle liste speciali , che non si erano iscritti come persone in cerca di occupazione nelle liste del collocamento. Nella media nazionale, quasi 4 giovani su 10 non si sono iscritti in precedenza agli uffici di collocamento. Ciò significa che il popolazione di richiamo della legge è staro altro.
Vi sono ruttavi a significativi scostamenti regionali da questo dato medio, e tra l'altro è vicinissimo a quelli del Nord e del Sud, identici, mentre il centro ha una quota leggermente più bassa. Va osservato che le due regioni dove speciali sono risultate meno mobilitanti sono la Campania e, soprattutto il Lazio; ciò potrebbe peraltro significare che qui i giovani inoccupati erano in gran parte iscritti agli uffici di collocamento.
Opposti invece appaiono i casi della Toscana (6 giovani su 10 non iscritti 11I'i ma) e della Calabria (5 su lO) dove evidentemente la legge ha stimolato che non si era posta sul mercato.
Più in generale, la battaglia politica per l'occupazione giovanile, insieme di attrazione che ha suscitato nell'opinione pubblica per il problema del lavoro ai giovani, ha avuto l'effetto di richiamare sul mercato una massa di persone che non erano censire tra i disoccupati espliciti: né iscritte agli uffici di collocamento, né rilevate dall'1ST AT attraverso le indagini trimestrali sulle I I) l'l,e di lavoro. Infatti nei mesi da maggio in poi di quest'anno, anche queste 11)111 i di rilevazione indicano un netto afflusso di giovani nell'offerta di lavoro l'esplicita. La fase di avvio della legge 285, e l'eco anche giornalistico e televisivo ( Il(.' ne sortì, ha richiamato un numero crescente di giovani anche nelle liste tradizionali del collocamento, e in particolare nella classe Il, dove si iscrivono i giovani con o senza esperienza professionale, sotto i 21 anni. L'incremento degli iscritti al collocamento, non solo si concentra progressivamente nella classe che accoglie i giovani, ma si verifica con una nuova intensità proprio a partire da giugno, mese di avvio della nuova legge: 50.000 iscritti in più rispetto a maggio e il 27% in più rispetto al giugno del '76. La crescita continua in luglio con altri 39.000 (con una progressione di 89.000 unità in due mesi), e con l'incremento del 35%, elevatissimo se paragonato al mese di luglio del 1976, quando non v'erano richiami straordinari. L'andamento delle iscrizioni nella classe non mostra invece un simile effetto di «dimostrazione>, delle liste speciali, salvo una marginale lievi razione in luglio; si ricordi che in questa classe cade solamente la «coda>, superiore per età (22-29 anni) della massa giovanile in cerca di lavoro.
Una ulteriore verifica del potenziale di richiamo della legge 285 si è avuto con l'indagine trimestrale dell'ISTAT sulle forze di lavoro, che ha registrato in luglio un aumento di 260.000 persone in cerca di occupazione. Questa quota aggiuntiva di offerta, manifestatasi rispetto ad aprile, è composta per 205.000 unità da giovani fra i 14 e i 29 anni, e per 55.000 da adulti. Non si può escluudere che anche una parte di questi ultimi abbia risposto allo stesso richiamo, ma è legittimo collegare il vistoso afflusso di giovani alla fase di avvio della legge sul preavviamento. La rilevazione ISTAT ha cioè registraro una propensione al lavoro su giovani che tale propensione non mostrano in aprile, in assenza di stimoli a presentarsi sul mercato del lavoro.
(L'1STAT stesso fa rimarcare questo fenomeno parlando di una «maggiore propensione a dichiararsi» dal comunicato-stampa sulla rilevazione di luglio).
L'effetto di mobilitazione, o di «dimostrazione», non riguarda solamente l'offerta di lavoro esplicita (disoccupati già occupar i e persone in cerca di prima occupazione), che aumenta di 131.000 unirà, ma anche l'offerta implicita di coloro che non sono in condizione professionale (srudenti, casalinghe, ecc.) che aumenta di 129.000 unirà, sempre fra aprile e luglio, mentre rra gennaio e aprile la situazione risultava abbastanza stabile.
Un risultato socialmente rilevante della diffusione di attese messa in luce dall'andamento delle iscrizioni alle nuove e «vecchie» liste, è una inevitabile sovrapposizione di offerta giovanile, straordinaria e ordinaria. Le doppie iscrizioni sono il 62% degli iscritti alle liste speciali. Ciò vuoi dire che si sono intrecciati due fenomeni: all'avvio della legge, giovani già iscritti agli Uffici di collocamento si sono iscritti anche alle liste speciali; man mano sono poi affluiti a queste i giovani che non si erano ancora presentati sul mercato, una parte dei quali ha però ritenuto utile iscriversi anche alle «vecchie» liste, visto che aveva trovato la strada del collocamento.

E' lecito pensare che nei prossimi mesi la quasi totalità degli iscritti alle liste speciali sarà dotata di doppia iscrizione. Ciò rafforzerà indubbiamente le loro aspettative.
Quanto abbiano detto sulla tendenza dei giovani alla doppia iscrizione serve a mettere in luce quali siano le loro reali aspettative riguardo alla legge 285, considerata da molti come un'occasione in più per cercare di uscire dall'inattività. Per quanto riguardi il tipo di lavoro che i giovani si aspettano, le indicazioni non potevano essere più chiare nello smentire chi attribuiva ai giovani una visione «assistenziale» dell'inserimento nel lavoro.
Non c'è una sola regione in cui la preferenza per il settore privato sia inferiore a quella per il settore pubblico. Non c'è quindi un'aspirazione prevalente ad entrare nella Pubblica Amministrazione O negli enti locali, soprattutto, se si tiene conto dell'elevato livello medio di scolarizzazione dei giovani, che quinti hanno il diploma di scuola media superiore o la laurea.
Non solo. Tra coloro che hanno un titolo di studio, oltre il 70% è disposto a svolgere attività non corrispondenti al proprio livello d'istruzione, ed in particolare il 68,3% delle femmine e il 72,4% dei maschi.
Infine, a chi sostiene che moltissimi giovani si sono dichiarati disposti a svolgere soltanto mansioni dirigenti o impiegatizie, va replicato che il dato rilevato dal ministero del Lavoro - 92% degli iscritti classificati come «dirigenti,. impiegati, subalterni,> - è interamente dovuto alle modalità di classificazione in vigore presso gli Uffici di collocamento, che non erano in grado cl; ripartire la nuova offerta in ruoli specifici. Non di aspiranti dirigenti si tratta quindi, ma semmai di disoccupati generici.

Le Leghe CGIL-CISL-UIL per il sindacato unitario di classe di tutta la forza lavoro occupata e disoccupata

I) CENTRALIT À DEL RAPPORTO LEGHE E SINDACAATO

Una storia delle Leghe senza una giusta sottolineatura della centralità del suo rapporto col sindacato sarebbe monca e distorcente. Il nesso sindacato-questione giovanile e, più in generale, il rapporto occupati -disoccupati, costituisce 'la sostanza della vicenda delle Leghe.
Alla complessità e alla difficoltà oggettiva di affrontare il rapporto occupati-disoccupati si sono aggiunti nell'ultimo periodo, l'impegno difficilissimo per una politica economica di risanamento e di rinnovamento che esige rigore nelle scelte e coerenza nei comportamenti; l'aggravarsi e l'esplodere della questione giovanile in forme e fenomeni di malessere diffuso ; di ribellismo individualistico che certamente contribuiscono a rendere ardua la soluzione del problema. Affrontarlo e lottare contemporaneamente contro l'inflazione e il pericolo della recessione, procedendo attraverso un sentiero stretto e difficile, sul ciglio di due burroni, non è impresa da poco.
Se a tutto questo si aggiungono da una parte le resistenze, i ritardi e gli errori specifici del movimento operaio nell'affrontare l'insieme delle esperienze, delle proposte di mobilitazione e organizzazione dei disoccupati (da quelle che abbiamo definito «esperienze prefiguranti» le Leghe alle esigenze sollevate dai «disoccupati organizzati»); e d'altra parte l'atmosfera pesante attorno al rapporto giovani-sindacato lasciata in eredità dal cosiddetto «giovedì nero di Lama». Se si tiene conto di tutto questo, dicevamo, si ha un'idea del carattere di svolta storica della scelta sindacale di acquisire al proprio interno il patrimonio di lotta del nuovo movimento dei disoccupati per andare alla creazione in tutto il Paese delle «Leghe unitarie dei disoccupati CG IL-CISL- UIi».

2) LE TAPPE FONDAMENTALI DELLA COSTRUZIONE DELLE LEGHE

Come si è arrivati, con l'assemblea nazionale delle strutture sindacali del 21 settembre, alla decisione di affiliare le Leghe al sindacato?

Cinque ci paiono le tappe da ricordare: 1) il seminario della CGIL «Crisi, giovani e strategia sindacale)) svoltosi presso la scuola sindacale di Ariccia il12-13 aprile '77; 2) i tre congressi confederali e l'assemblea dei quadri di Rimini, svoltosi nella tarda primavera; 3) alcune iniziative coraggiose e anticipatorie, promosse alla spicciolata soprattutto da alcune Camere del Lavoro e da strutture sindacali categoriali o territoriali di base, più raramente dalla Federazione Unitaria sindacale Provinciale; 4) il documento della Federazione Unitaria sindacale Nazionale, immediatamente successivo all'l l agosto, data della chiusura della prima fase delle iscrizioni alle liste speciali; 5) e infine la già citata assemblea nazionale delle strutture sindacati del 21 settembre, dedicata appunto alla questione delle Leghe.

3) DAL SEMINARIO DELLA CGIL AD ARICCIA AL DOOCUMENTO DI AGOSTO

IL SEMINARIO DI ARICCIA

Il12 e 13 aprile ad Ariccia la CG IL ha tenuto un seminario precongressuale su «Condizione giovanile e strategia sindacale)). E' stato un passaggio decisivo nel rapporto giovani e sinndacato, ma in linea di massima forse è stata un'occasione tutto sommato perduta. Tuttavia la relazione di Sergio Garavini pdi cui riportiamo un brano più avanti - ha svolto una lucida analisi della condizione dei giovani nella scuola e nel mercato del lavoro. Ma è negli interventi dei quadri intermedi che c'è stata carenza di contributi originali. E' sembrato che mancasse una conoscenza profonda e dettagliata della crisi dei giovani, sono mancate testimonianze di esperienze di lotta con i-giovani e con i disoccupati. Più ancora delle incertezze dei presenti si notavano le assenze: molti quadri sindacali dell'industria e gran parte della CGIL-scuola. Assenze che Lama ha criticato con durezza (<<chi non è qui non ha capito la nostra strategia») e che comunque indicano quanta strada ci sia da fare perché il sindacato si imponga come protagonista nella soluzione dei problemi giovanili. Insomma non ci sono state molte risposte. Domande, queste si.
Il linguaggio dei partecipanti era preoccupato e severo. Nel discutere crisi dell'Università e disoccupazione giovanile sono state da tutti respinte le soluzioni assistenziali.
Priorità dell'occupazione nell'attuale situazione economica, significa rinunciare per adesso ad altri obiettivi, significa non accontentare alcune fasce più privilegiate di lavoratori. Questa politica rigorosa di difesa degli interessi dei disoccupati, dei giovani, delle donne suscita tensioni, resistenze, ripiegamenti.
D'altra parte c'è contraddizione tra questo tipo di proposte rivolte a creare posti di lavoro, e certe tendenze presenti tra i giovani a rifiutare il lavoro. Su questo si sono avuti interventi, pochi, piuttosto franchi. Non servono appelli moralistici quando la crisi è appunto anche crisi di valori, e poi i giovani rifiutano «il» lavoro perché conoscono solo «questo» lavoro, alienante, dequalificato, povero di responsabilità e di spazi per la creatività personale.
Il seminario ha sottolineato il pericolo non astratto che i giovani non si riconoscano più negli obiettivi e nelle lotte del sindacato, fino ad opporsi al movimento operaio.
E non è solo sul terreno dell'occupazione che questa frattura si può sanare, ma attraverso un più generale confronto, che investa i valori e gli ideali, tra sindacato e movimento giovanile. Le lotte sindacali dovranno incidere sulla professionalità delle mansioni lavorative operaie, tecniche e impiegatizie, sulla struttura dei salari, sull'organizzazione del lavoro, sulla collocazione dei lavoratori nella società, quindi sui fondamenti della nostra organizzazione sociale.
Stabilire un rapporto tra sindacato e giovani, oggi che i giovani in gran parte non sono in fabbrica, esige una nuova presenza del sindacato nella società. Non bastano le novità organizzative in questo senso (diverso sviluppo delle organizzazioni territoriali come i consigli di zona, ingresso pieno delle Leghe dei disoccupati nel sindacato, perché un sindacato dei lavoratoti che si faccia portatore degli interessi dei nomi, un sindacato che si ponga meglio il problema dell'organizzazione sociale, del potere, implica una crescita culturale e politica dei suoi aderenti. Questo significa maggiore diffusione delle responsabilità, sviluppo della democrazia interna fino al punto in cui possano aver peso, nello stesso meccanismo attraverso cui si compiono le scelte del sindacato, non solo i lavoratori non iscritti al sindacato, ma anche i non-lavoratori.
Questa crescita della democrazia interna, per non snaturare il carattere di classe e la strategia del sindacato deve fondarsi su una capacità dinamica della classe operaia di esercitare e riconquistare continuamente la propria egemonia sugli altri strati sociali.

Dalla relazione di Sergio Garavini:

«In una parte della protesta dei giovani e del movimento degli studenti, invece, l'atteggiamento verso il processo produttivo è di contrapposizione e di estraneità, lungo un'articolazione molto complessa di posizioni, che vanno dal collegamento col rivendicazionismo più corporativo ed esasperato sui luoghi di lavoro, all'affermazione di una propria volontaria emarginazione dalla soocierà civile. Da questa collocazione, proviene, in sostanza, una rivendicazione di assistenza, come di un diritto a ricevere una quota del prodotto sociale, molto evidente in tante rivendicazioni studentesche che identificano nella scuola un servizio assistenziale, nel quale il voto garantito è la chiave per il salario garantito, fino alla mensa e alla casagarantita. Nel valutare il significato di queste posizioni, che ci sono nel fondo contrapposte, dobbiamo cercare di comprenderne le motivazioni sociali e distinguerle anche dal contesto di rivendicazioni civili e morali entro le quali rendono a proporsi: la loro origine è in sostanza nella stessa ampiezza dell'inoccupazione e nella mancanza di una prospettiva di lavoro qualificato dalla scuola che accomunano, sia pure in gradi diversi, tutto il mondo occidentale, e nella corrispondenza e ampiezza di supporti assistenziali che vengono adottati praticamente in tutti i paesi capitalistici, a cominciare dagli Srati Uniti ...
Vi è staro, e non è ancora risolto, un dissenso fra di noi, voglio dire nella CGIL e nella Federazione Unitaria, sul rapporto tra movimento sindacale e organizzazioni di non occupati. Particolarmente il fatto che certe organizzazioni di non occupati si propongano come obiettivo in sostanza un collocamento differenziale e preferenziale per i loro aderenti, nell'ambito dei posti di lavoro disponibili, cioè un obiettivo corporativo, viene considerato come dirimente, in senso negativo, nell'assunzione di un legame organico di organizzazioni di non occupati con il sindacato. Intanto, va detto che proprio queste organizzazioni a cui ho fatto riferimento sono quelle che di farro impongono un'attenzione e una tensione drammatica delle nostre organizzazioni, e Napoli insegni. Ma poi è chiaro che o il sindacato, nel complesso delle sue organizzazioni, dai Consigli di fabbrica alle Leghe dei braccianti, assume come suo problema la formazione di organizzazioni di non occupati, non soltanto riconducibili alle forme tradizionali - per cui, ad esempio, il bracciante o l'edile disoccupato restava iscritto alla sua lega - ma con una loro presenza e attività territoriali nel contesto del movimento sindacale, oppure queste masse di non occupar i, e soprattutto di giovani, prenderanno altre vie organizzative e politiche fuori e anche contro il sindacato, per far valere la loro protesta e rivolta.
Una forma territoriale di organizzazione di non occupati collegata al movimento sindacale e presente anche negli organismi dirigenti del sindacato, a me pare che sia questione su cui vanno presi un impegno e un orientamento che siano chiari. A meno che, naturalmente, la nostra analisi relativa alla drammaticità alla dimensione di massa dell'inoccupazione giovanile non sia corretta nemmeno per le città del Mezzogiorno; ma questo non sembra il caso ...
Sottolineato tutto questo, e dunque la natura fondamentale, strutturale, del problema del lavoro che non c'è per i giovani, una linea che sfidi il sistema, cioè il complesso delle imprese, il governo nazionale, i governi locali, su una proposta di lavoro e formazione professionale, è una linea oggi indispensabile; varranno, inevitabilmente, solo proposte assistenziali".

CONGRESSI CONFEDERALI

Nel complesso i tre congressi confederali del '77, rispetto alla disoccupazione giovanile, hanno svolto un lavoro insufficiente e per certi aspetti criticabile.

Il lato positivo è nell'accresciuta consapevolezza della esplosività della questione giovanile e nella centralità del lavoro come terreno di intervento comune tra sindacato e giovani. Il lato negativo sta nell'insufficiente individuazione delle linee di intervento e degli'strumenti operativi e organizzativi. Tant'è vero che rutto sommato delle Leghe dei disoccupati nei Congressi si è parlato ben poco, spesso in modo generico e, a volte, con impostazioni scopertamente giovanilistiche e demagogiche.

Del rapporto scuola occupazione vanno tenuti presenti due aspetti diversi , .. apparentemente contraddittori che pongono entrambi con forza la necessità di una ripresa dell'iniziativa sindacale sui problemi della formazione e della scuola. Da una parte l'esistenza del 61 % della forza-lavoro senza licenza dell'obbligo e la sua marginalizzazione nel mercato del lavoro (lavoro nero precario) riconfermando il ruolo della scuola come legittimazione e srabilizzazione della divisione sociale del lavoro e sottolineando l'urgenza dell'assunzione piena del movimento sindacale dei problemi della formazione di base dai piani di alfabetizzazione all'estensione delle 150 ore alla battaglia antiselettiva ed egualitaria per tutta la fascia dell'obbligo.
Dall'altra parte l'esistenza all'interno delle masse disoccupare giovanili di larghe quote di forza lavoro intellettuale e qualificata rinvia al discorso sulla qualità del lavoro parcellizzato, e ci impone di affrontare il rapporto tra scolarizzazione di massa e mercato del lavoro respingendo soluzioni conservatrici e reazionarie quali il numero chiuso o l'abolizione del valore legale dei titoli di studio e prospettando invece un'ipotesi di riqualificazione della scuola rispetto alla società e alla produzione e di una trasformazione profonda dell'organizzazione del lavoro ...
In questo quadro di riferimento anche il piano di preavviamento al lavoro ci offre spazi di intervento e di organizzazione al di là dei limiti e dei rischi pur presenti nella legge automatismo delle agevolazioni alle imprese, rischio dell'allargamento dell'area precaria di lavoro e dell'area clientelare e assistenziale della formazione).
Occorre un nostro impegno immediato per forme di organizzazione dei giovani disoccupati soggetti reali nella lotta per l'attuazione e dilatazione della legge, occorre un nostro impegno per il controllo sindacale sulla composizione delle liste e i momenti della formazione, per la gestione del Consiglio di fabbrica in una strategia più complessiva di controllo e intervento sul mercato del lavoro (turn-over, straordinario ecc.) ...
D'altra parte se è dalle lotte per l'occupazione che può costruirsi un livello di confronto non ideologico tra sindacato e movimento degli studenti, tale confronto deve però recuperare altri elementi, a cominciare dall'impegno del sindacato sui problemi della formazione e della scuola, sui contenuti dello studio e sulla lotta per una diversa qualità del lavoro (modo concreto per dare una risposta non schematica né moralistica al rifiuto del lavoro che pure esiste tra gli studenti).
Così perché abbia maggiore forza la nostra condanna della violenza come prassi e strategia presente in alcune frange del movimento, non possiamo sottrarci dalla denuncia ferma anche della violenza esplicita esercitar a dalla selezione e dall'autoritarismo di classe nella scuola, sul mercato del lavoro, nella società, ribadendo allo stesso tempo la nostra denuncia dei tentativi portati avanti dalle classi dominanti di ghettizzare tutto il movimento degli studenti in una sorta di opposizione sociale emarginata e congelata».
Parallelamente si deve ancora conquistare una seria politica industriale articolata per settori ed aree compresa quella delle costruzioni, su cui innestare in termini completamente nuovi e non coloniali l'industrializzazione del Mezzogiorno.
Sono chiari al movimento i criteri per definire questi interventi economici: .i1largamento dell'occupazione contro la pratica del lavoro nero e precario, "" 'ossatura economica nuova che rispetti le caratteristiche culturali ed ambientali del Mezzogiorno, una più solida interdipendenza del tessuto industriale agricolo e terziario del nostro paese,
Questo è anche il criterio a cui legare la ripresa di processi di accumulazione, che non debbono tornare, come nel passato, ad arricchire le zone del privilegio della speculazione parassitaria. Diventa però necessaria a questo punto ,,"'azione decisa sul sistema creditizio, che ridimensioni il monopolio nel sistema finanziario, modifichi canali di finanziamento e crei condizioni idonee al contenimento dei costi di finanziamento. Infine occorre rilanciare il ruolo dell'impresa pubblica (che in questi anni ha registrato un progressivo svuotamento) rivedendone le strutture fondamentali, gli orientamenti produttivi e le modalità di controllo.
E' principalmente per queste ragioni che la UIL ha espresso nell'insieme un parere critico sul testo di legge che è stato da poco approvato dal Parlamento.
N ella legge, il rischio di trasformate il preavviamento al la voto nella seconda area di parcheggio, così come è avvenuto per l'Univesità è molto ampio e si accompagna ad una filosofia implicita di istituzionalizzazione del lavoro provvisorio, che è in prospettiva assai preoccupante non tanto dal punto di vista sindacale, ma da quello strutturale. Una massa di occupazione erratica non accompagnata da una esplicita vocazione imprenditoriale, che pure esiste in altri tipi di società industriali, significa crescer le potenzialità destabilizzanti del sistema; non intuirlo ora, per cercare di correggerlo in sede attuativa, può essere piuttosto pericoloso.
Né ci sembra che questo tipo di approccio sia sufficiente a stimolare le vocazioni ad un tipo di occupazione più indipendente e rischiosa, visto tra l'altro la tendenza piuttosto generalizzata a ricercare invece una occupazione deresponsabilizzata e sicura al massimo.
Mentre non è qui il caso di avanzare ipotesi sulla appetibilità per le aziende delle agevolazioni prospettate di fronte alle giuste salvaguardie per la conservazione dei livelli occupazionali precedenti, previsti dalla legge, occorre sottolineare una preoccupazione ulteriore relativa alla capacità degli enti regionali di far fronte tempestivamente e contemporaneamente ai propri adempimenti.
La realtà è che questa legge è, o corre il rischio di essere, una pessima espressione della politica dei due tempi. E' tanto vera questa perplessità che alcuni settori del Parlamento (dopo che fortunatamente era stato stralciato il capitolo relativo all'assorbimento di occupazione giovanile da parte della Pubblica Amministrazione; unico sbocco certo previsto nel progetto di legge) si sono affrettati ad assicurate che l'idea di riservare una quota dei concorsi pubblici ai giovani al disotto di una certa età sarà comunque portata avanti.
Che significa incentivare l'occupazione nel primato se prima o contemporaneamente non si è proceduto ad una incisiva politica per l'agricoltura ed una televisione della struttura agricola?

5) LA CIRCOLARE DI AGOSTO

Un salto di qualità nell'impegno sindacale rispetto ai giovani disoccupati e alle Leghe è rappresentato dalla circolare della Federazione Unitaria Nazionale del 29/7/77, a firma di Trentin, Crea e Torda. E' questo un passaggio decisivo: da un lato esso rappresenta in parte l'effetto dei risultati impressionanti della prima fase di iscrizione alle liste speciali e dall'altro è un momento preparatorio della prima assemblea nazionale.

II documento è significativo da tre punti di vista:

1) La forte sottolineatura dei contenuti più qualificanti della 285 (la formazione professionale, i contratti di formazione lavoro, la cooperazione agricola).
2) La scelta di non fare sulla 285 una battaglia settoriale, bensì utilizzare la legge come leva di una più generale battaglia che attacchi le radici strutturali della disoccupazione.
Sul terzo punto, che è quello che qui più ci interessa riportiamo direttamente la parte conclusiva della circolare.
Queste prime indicazioni politiche e operative non intendono ovviamente la vasta e complessa problematica che una coerente gestione della pone all'iniziativa del sindacato.
Esse ci paiono tuttavia sufficienti a motivate la necessità di dare certezza .11 I( he organizzati va al rapporto politico tra il movimento sindacale e le masse .\('1 disoccupati e degli emarginati, superando una logica meramente solidarietà o di alleanza che nel caso specifico sarebbe carica di ambiguità.
Si tratta, in altri termini, di affermare la piena appartenenza al movimento sindacale di tutte le istanze aggregative attraverso cui i disoccupati esprimono 1., loro capacità di proposta e il loro impegno di lotta per l'occupazione e le trasformazioni sociali e produttive: una appartenenza che si concretizza sia in termini di partecipazione alle scelte generali e specifiche del sindacato sia nel riconoscimento della sua direzione politica.
A giudizio della Segreteria della Federazione una esigenza politica e strategica di questo tipo trova le condizioni per tradursi in fatti organizzativi concreti appunto con riferimento specifico ai giovani disoccupati iscritti nelle liste speciali, in quanto gli spazi di mobilitazione e di partecipazione offerti dalla legge definiscono un terreno concreto di impegno politico e la stessa scelta dell’iscrizione indica una disponibilità ad organizzarci collettivamente su questo terreno.
Di qui l'esigenza per il sindacato non solo di riassumere nelle sue strutture le leghe di giovani disoccupati che si sono costituire al di fuori della sua diretta iniziativa, ma soprattutto di farsi promotore di specifiche strutture organizzative che trasformino gli elenchi delle liste speciali in un fatto collettivo di partecipazione e di lotta.
E' da questa impostazione del rapporto con i giovani disoccupati delle liste speciali che discende il suo carattere di unitarietà e orizzontalità, un carattere che investe, ovviamente, gli iscritti nelle liste speciali in quanto tali e finché restano tali, destinati quindi a riconfluire nei normali meccanismi di adesione e di associazione nel momento in cui il giovane si inserisce stabilmente in una struttura produttiva.
Si tratta, quindi, di un rapporto di adesione collettivo e individuale al tempo stesso, che propone soluzioni specifiche di carattere tecnico-organizzativo, che saranno esaminate nel Convegno dei quadri del 15 settembre per l’adozione di misure che dovranno necessariamente ispirarsi a criteri di uniformità e generalità. Le formule che al riguardo si vanno sperimentando in alcune realtà potranno  costituire un utile contributo in questa direzione».

L'ASSEMBLEA NAZIONALE DEL 21 SETTEMBRE: IL SINDACATO ORGANIZZA AL SUO INTERNO I DIISOCCUPATI

Il punto di svolta nel rapporto sindacato-disoccupati è l'assemblea nazionale delle strutture sindacali del 21 settembre. L'assemblea decide finalmente di organizzare, direttamente all'interno del sindacato, i disoccupati, a cominciare dai giovani iscritti alle liste speciali. Un fatto che senza retorica definiamo «storico». Una scelta coraggiosa che andava compiuta senza ambiguità e soprattutto senza ulteriori rinvii. 1650.000 iscritti di agosto, un fatto emblematico della drammaticità. della condizione giovanile e insieme di quanto di positivo c'è tra le nuove generazioni, hanno sciolto ogni riserva.
E nonostante tutti i limiti, dei quali abbiamo parlato e sui quali torneremo, la relazione di Eraldo Crea e il documento finale, per chiarezza e respiro politico, sono stati all'altezza del problema.
Qui sotto riportiamo ampi stralci della relazione e del documento.

"La segreteria della Federazione Cgil-Cisl-Uil ha convocato quest'assemblea delle strutture sindacati allo scopo:
a) di compiere una prima e ampia verifica degli orientamenti sinora unitariamente espressi sulla legge 285;
b) di raccogliere, valutare le esperienze, le iniziative ed i problemi sorti nella fase applicati va, appena avviata della legge stessa;
c) di discutere a fondo alcune questioni essenziali che, derivanti dall'impostazione e dai contenuti del provvedimento, condizionano direttamente le prospettive occupazionali di coloro che ad esso hanno largamente affidato le proprie speranze;

d) di discutete, infine, un insieme di proposte per l'iniziativa politica ed organizzativa che consenta al movimento sindacale di assumere con pienezza di responsabilità e di autonomia la direzione del movimento di lotta per l'affermazione del diritto al lavoro per tutti, iniziando un cammino non del tutto esplorato, aprendo una pagina per molti aspetti nuova nella lunga storia della classe lavoratrice del nostro paese ...
Rifiutiamo di far nostre quelle posizioni che all'insegna di un malinteso realismo che maschera, talvolta, la ricerca di una legittimazione ad atteggiamenti di rinuncia e di rassegnata impotenza (quando non serve a coprire un vero e proprio disegno di inquinamento politico della legge) tendono a collocare l'efficacia della legge 285 in una prospettiva del tutto subalterna alle dinamiche della congiuntura economica e ai ritmi della ripresa produttiva.
E' significativo che posizioni di questo tipo siano emerse con particolare accentuazione all'indomani della pubblicazione dei dati sull'iscrizione dei giovani disoccupati nelle liste speciali ...
Ma questo è il punto: battersi perché i modi e i criteri di attuazione della legge concorrano a promuovere la messa in moto di meccanismi a valore più generale, per il governo, per gli enti pubblici territoriali, per il mondo imprenditoriale, in modo tale che essa possa funzionare come una delle leve attraverso cui agire per la "ripresa» più complessiva dell'occupazione. Se il senso del nostro impegno non fosse questo, questa legge sarebbe destinata a ridursi ad una sorta di legge di censimento dell' offerta di lavoro giovanile, un censimento che recherebbe con se l'intollerabile provocazione di una nuova promessa non mantenuta.
Nn risvolti più propriamente sociali e politici, ciò significa che diventerà sempre più difficilmente governabile la ricostruzione di un rapporto unitario fra occupati e disoccupati; che il problema di chi non ha mai avuto un lavoro , il problema di chi rischia di perdere quello che ha non saranno facilmente riconducibili dentro una linea omogenea di soluzione; che si accentuerà la collocazione «residuale» del Mezzogiorno nel quadro delle priorità imposte dalle esigenze di sopravvivenza e di ripresa del sistema economico, così come si configura suoi dati strutturali attuati.
E in questo senso che abbiamo dichiarato il rifiuto ad una gestione della legge sui giovani subalterna alle dinamiche «spontanee» della domanda, per farne l’occasione e lo strumento di una mobilitazione, che, a partire dalla esigenza di fondo di ricomposizione unitaria del mercato del lavoro e di un diverso qualitativo della forza lavoro, imponga momenti di interventi programmatici a livello territoriale e intersettoriale, tali da porre effettivamente il problema dell'occupazione al centro di ogni ipotesi di riconversione dell’economia.
Ricondurre l'impegno per l'occupazione dei giovani dentro una organica strategia di governo e di controllo del mercato del lavoro significa, anzitutto, rifiutare ogni ipotesi di gestione autonoma, separata, e concorrenziale della emarginazione giovanile rispetto al più ampio contesto della emarginazione di massa indotta dagli squilibri e dalle contraddizioni dello sviluppo spontaneo.
Il discorso dei giovani fa parte integrante di una partita complessiva che investe nel quadro della riconversione dell'economia, la condizione delle donne, degli anziani, degli handicappati, dei marginali del lavoro nero.
Non possiamo essere coinvolti in un penoso arbitraggio di una guerra fra poveri, stabilendo in termini garantisti se a quel posto di lavoro che si è reso disponibile deve andare un giovane di prima occupazione o il lavoratore posto in soprannumero da una operazione di ristrutturazione, l'handicappato o il disoccupato istituzionale. Non potremmo accettare che la nostra presenza nella pletora delle commissioni previste da una disciplina legislativa frantumata e disorganica (da quella sull'occupazione giovanile a quella sul lavoro a domicilio, dalla legge di riconversione industriale a quella generale e sul collocamento si traduca nella gestione notarile di questo incrocio di garanzie che non ha nulla a che vedere, anzi è l'esatto contrario di una politica organica e attiva del lavoro.
Senza indulgere ad affrettare interpretazioni ottimistiche, la propensione dell’84,66% dei giovani al contratto a tempo indeterminato e, cioè secondo le precisazioni della legge, ad una attività lavorativa nel settore privato, e di poco meno del 60% al contratto di formazione pongono sotto una luce nuova tutto un insieme di analisi e di giudizi, talvolta da noi stessi accreditati, sia per quanto riguarda la cosiddetta «fuga dal lavoro manuale», sia per quanto riguarda L, spinta a rifugiarsi nei ranghi dell'amministrazione pubblica ...
Se è vero che la scuola insegna poco e male, è anche vero che quello che chiede questa struttura produttiva in termini di livelli culturali e professionali è assai meno di quel poco che la scuola riesce ancora a dare.
AI di sorto di rutto il «battage» padronale sulla domanda qualificata inevasa da parte dei giovani, c'è la realtà concreta e tangibile di un sistema economico e produttivo incapace di accettare, non solo produttivamente, ma anche politicamente e culturalmente, una forza-lavoro dotata di capacità critica, di autonomia di pensiero e di iniziativa; sta la contraddizione tra la spinta dei lavoratori per una diversa qualità del lavoro, in termini culturali e professionali e la strategia del lavoro nero, del lavoro manuale come lavoro senza intelligenza, dequalificato e subalterno.
E' in ragione di queste potenzialità e di queste implicazioni che riteniamo che la figura del contratto di formazione non solo debba essere accreditata e valorizzata con riferimento specifico alla gestione della 285, ma debba essere istituzionalizzata come canale di accesso al lavoro nel quadro di un riassetto complessivo delle strutture del collocamento e della formazione professionale, individuando in essa, fra l'altro, la via più valida di superamento dell'apprendistato.
All'interno di una battaglia più complessiva rivolta ad eliminare gli ostacoli reali che condizionano l'accesso e la posizione della donna nel lavoro (e qui si pone un problema di un'analisi più puntuale ed aggiornata di certe dinamiche più recenti, come quella che ha visto un forte incremento di occupazione femminile nei servizi), è possibile individuare nell'uso del contratto di formazione uno degli strumenti con cui realizzare, su scala egualitaria, la collocazione professionale della donna nel lavoro, attraverso progetti formativi che, ad esempio, aprano l'ingresso delle donne in ruoli professionali tradizionalmente considerati maschili.
Per quanto riguarda specificamente il problema della formazione professionale, la utilizzazione dei nuovi spazi che la legge sui giovani offre, particolarmente con lo strumento del contatto di formazione, alla ricostruzione di un rapporto nuovo tra processi formativi e lavoro, deve essere colta come una occasione di importanza non secondaria per un ripensamento complessivo sull'assetto e cui criteri con cui la formazione professionale è stata gestita nel nostro Paese.
In materia di servizi socialmente utili la formula cooperativa appare in linea di massima da preferire a quella del contratto individuale a tempo indeterminato, sia perché apre spazi sperimentali - in settori di significativa rilevanza sociale a forme autogestite di organizzazione produttiva e del lavoro, arricchendo il patrimonio di professionalità dei giovani, sia per contrastare il rischio, particolarmente presente nel Mezzogiorno, di fenomeni distorsivi che aggraverebbero le contraddizioni strutturali del mercato del lavoro.
Mai con particolare riferimento all'agricoltura che il rapporto giovanicooperazione si pone come uno degli assi strategici su cui mobilitare la nostra capacità di iniziativa e di proposta. Non è immaginabile un futuro per l'agricoltura del nostro Paese senza restituire da subito a questo settore cruciale della nostra economia la disponibilità e l'impegno lavorativo e professionale delle giovani generazioni. E' questo un nodo politico di fondo che stronca di netto ogni disquisizione sul carico occupazionale, più o meno fisiologico, che una agricoltura moderna può sopportare in rapporto agli altri settori. Senza arrestare e invertire la fuga dei giovani dai campi non avremmo nel nostro Paese un'agricoltura moderna.
Ciò non significa l'assunzione generale indiscriminata di ogni iniziativa.
Anche in questo ambito, il nostro impegno è un impegno di intervento e di partecipazione alla costruzione di processi programmatori a livello territoriale, sulla base di obiettivi concretamente definiti e rapportati a bisogni reali e prioritari, e di una valutazione del rapporto costi-benefici che non sia esclusivamente riferita all'impresa agricola ma all'insieme dei parametri su cui va misurata la convenienza sociale e collettiva (dalla distruzione dell'ambiente ai costi di riadattamento sociale, dal depauperamento regionale al recupero, appunto, dei giovani alle attività agricole).

Siamo di fronte al banco di prova forse decisivo del valore politico e strategico di tutta una esperienza di elaborazione e di lotta che ha caratterizzato il ruolo e la presenza del sindacato nel nostro Paese in questi ultimi anni.
Se nel 1969 fu la nostra capacità di assumere e interpretare la condizione dell’operaio comune dell'industria come uno dei parametri decisivi su cui abb1>""110 ricostruito tutta una strategia e rinnovato profondamente metodi e strutture, non è retorico affermare che oggi il nostro ruolo e il nostro potere gioca sulle capacità di dare voce politica e rivendicativa alle crescenti masse degli emarginati questi, in modo specifico alle giovani generazioni.
Quello che dobbiamo aver chiaro è che se noi pensassimo di assumere questo impegno in nome e per conto dei giovani, sulla base di una sorta di delega fiduciaria, avremmo ben poche speranze di farcela.
Il rapporto che dobbiamo costruire coi giovani non può essere fondato su una sorta di patrocinio, di committenza da sollecitare, quali che siano i titoli che,diamo che non sono pochi, che a questo fine porremmo accampare,
La nostra non può che essere una chiamata: una chiamata alla mobilitazione alla lotta, una sollecitazione alla partecipazione collettiva, in unirà con tutti gli altri lavoratori occupati e disoccupati,
La nostra è, quindi, una proposta di partecipazione critica e creativa, è l’impegno di offrire ai giovani un punto di riferimento politico e organizzativo di iniziativa e di lotta, sempre disponibile a essere rimesso in discussione nelle sue scelte e nel suo modo di organizzarsi e di funzionare.
E' una proposta che non ha pregiudiziali; se non una: che ogni processo di rinnovamento, anche il più radicale, non può recidere il rapporto di continuità lo lega alla storia delle conquiste di democrazia, di autonomia e di disciplina del movimento operaio e al patrimonio di esperienze con cui ha selezionato i suoi metodi e strumenti di zona e le regole fondamentali attraverso cui li rinnova e li rimette in discussione,
Questi orientamenti si muovono fondamentalmente lungo tre direttrici: - l'area verso cui si rivolge la proposta di adesione politica e organizzativa riguarda i giovani che si iscrivono nelle liste speciali, come base primaria e concreta di riferimento per l'avvio di un rapporto più complessivo con la realtà della disoccupazione e della emarginazione;
- l'unitarietà del rapporto di adesione, nel senso che il soggetto di riferimento è la Federazione CGIL CISL UIL;
- il carattere orizzontale, e cioè intercategoriale, delle Leghe dei giovani disoccupati.
Vi sottoponiamo in questa sede una più precisa articolazione della proposta dei suoi aspetti tecnico-organizzativi che tiene conto della esigenza di adottare per quanto è possibile una linea di soluzione uniforme e impegnativa per tutte le strutture,
I punti che vi sottoponiamo sono i seguenti:
I) il lavoro di propaganda, proselitismo e costituzione delle Leghe dei giovani disoccupati iscritti nelle liste speciali va svolto unitariamente dalle strutture orizzontali della Federazione CGIL CISL UIL;
2) l'adesione della Federa.<ione CGIL CISL UIL per l'anno 1978 avviene l'('r mezzo di una «tessera speciale» nominativa del costo di L. 1,000, da destinare interamente alle strutture terriroriali interessate;
la tessera speciale recherà sul frontespzio il simbolo della Federazione CC IL CISL UIL, con la scrina «tessera speciale» e «giovane disoccupato iscritto nelle liste speciali», Sul retro verrà riprodotto il preambolo alla Costituzione della Federazione CGIL CISL UIL. Seguono tre cedole: la prima rimarrà in possesso dell'iscritto, la seconda è destinata alla Federazione provinciale CGIL (:ISL UIL, la terza alla Federazione regionale CGIL CISL UIL. Ciascuna cedola contiene l'indicazione dell'anno di iscrizione, il numero di ordine della tessera speciale, la Federazione CGIL CISL VIL provinciale di appartenenza, il nome del giovane a cui viene rilasciata, il domicilio e il recapito telefonico, la indicazione della Lega (comunale, zonale, di quartiere o provinciale) di appartenenza, il titolo di studio, o la qualifica professionale, l'età e il sesso del possessore della tessera speciale;
4) la distribuzione delle tessere speciali e tutti i rapporti con i giovani iscritti e le loro Leghe devono avvenire unitariamente;
5) le Leghe costituiscono organismi che, a pieno titolo, partecipano con propri rappresentanti, democraticamente eletti, alle decisioni degli organi orizzontali della Federazione e a tutte le iniziative sindacali tese alla concreta realizzazione della legge in ciascuna delle direzioni e istanze decise dagli organi stessi della Federazione CGIL CISL UI1. L'associazione nella forma della tessera speciale comporta l'accettazione delle regole di democrazia interna, dei principi fondamentali che governano i metodi e gli strumenti di lotta del movimento sindacale.
Non riteniamo produttivo di risultati un dibattito che si attardi su problemi di ordine formale.
Siamo perfettamente consapevoli che, da questo punto di vista è facile per chiunque cogliere le anomalie e anche talune ambiguità di questa formula di adesione. Ma l'esperienza che abbiamo alle spalle, in particolare quella dei Consigli di fabbrica, ci deve rendere tutti avvertiti che quella che alla lunga decide è la congruità della risposta politica ad una questione che è squisitamente politica.
Per noi, per il sindacato, si tratta d i sapere se il suo rapporto con le attese e le speranze di cambiamento dei giovani, con la dimensione di massa dei problemi posti dalla loro condizione debba ridursi a quello di un rapporto mediato, nella logica della strategia delle alleanze, in cui si riconosce che la rappresentanza di questi interessi appartiene comunque ad altri soggetti collettivi, o se non si ponga la questione di una investitura autonoma e diretta da parte del sindacato, che non esclude certo altre presenze, ma rispetto a queste si pone come termine dialettico di confronto sulIa base di una presenza reale, diretta e non mediata.
Se questo è il nodo politico, non lo sciogliamo meccanicamente (sappiamo anche questo) con la formula della adesione unitaria.
«L'Italia è I unga», vien da dire, e i livelli di avanzamento della gestione unitaria sono estremamente differenziati: in alcune realtà provinciali non esiste praticamente una vera struttura unitaria; in altre, in cui pare esistono veri rapporti unitari, essi si svolgono con modalità tali che, per assenza di quadri e di energie organizzative disponibili, difficilmente allo staro delle cose potranno costituire il referente organizzativo e politico per le Leghe di cui discutiamo. Là dove la loro costituzione è avvenuta, i Consigli unitari di zona presentano una distribuzione territoriale che può, ad esempio, non coincidere con l'ambito di iniziativa delle Leghe; inoltre, esiste un'ampia gamma di situazioni con riguardo al livello dei rapporti unitari all'interno di tali Consigli. Come possono poi testimoniare alcuni amici e compagni, specialmente quelli che operano nei grandi centri urbani del Sud, l'iniziativa sindacale verso i giovani disoccupati si presenta così complessa e assorbente da, richiedere una attenta valutazione delle energie di cui oggi disponiamo, dei quadri da formare e destinare a questo impegno unitario».

APPROVATO ALL'UNANIMITA.
Le Leghe e gli studenti per un nuovo tipo di movimento di tutta la gioventù

I) LE LEGHE DALLA PRIMA FASE DI N ASCIT A E DI LANCIO ALLA SECONDA D[ CONSOLIDAMENTO, DI ARTICOLAZIONE SETTORIALE E DI MOBILITAZIONE DI MASSA

A settembre si apre nelle Leghe un periodo nuovo, che ,di'interno del movimento abbiamo genericamente definito la «seconda fase». E il passaggio dalla fase di nascita e di lancio del movimento a quella del consolidamento organizzativo, della generalizzazione in tutto il Paese, dell'assestamento «istituzionale», dell'articolazione settori aie (Leghe territoriali, universitarie, nuova cooperazione, coordinamenti delle donne disoccupate, ecc.), delle lotte esemplari, delle prime realizzazioni di concrete e della mobilitazione di massa nel tardo autunno ’77.

Un campo vastissimo di elaborazione e di iniziativa che si snoderà per un lungo, difficile e affascinante quadrimestre in quello che abbiamo definito «l'autunno delle Leghe».

LE LEGHE REPARTO DI PUNTA DI UN NUOVO TIPO DI MOVIMENTO

Quali i terreni di elaborazione, dibattito e iniziativa della seconda fase delle Leghe già ai primi di settembre?
Quale l'ambito generale, nel quadro della questione giovanile, nel quale muoversi? E ancora, quale la dimensione strategica del movimento? .
Tra gli altri un problema politico si è posto con più marcata urgenza: la necessità di dare alla battaglia per l'occupazione giovanile una impostazione non settoriale e quindi riduttiva, limitandosi ad affiliare le Leghe al sindacato, e a delegare ad esse la battaglia per la 285; mettendosi l'anima in pace con un paio di Conferenze Nazionali e un ciclo di generiche assemblee regionali; affidando alla buona volontà di questa o quella struttura sindacale la possibilità di sviluppare vertenze concrete nei luoghi di lavoro.
No al settorialismo, comunque coperto da solenni petizioni di principio e affermazioni di buona volontà.
Al contrario, giacché dare lavoro stabile e qualificato a milioni di disoccupati, di lavoratrici a domicilio e di lavoratori precari significa allargamento eccezionale delle basi produttive e insieme nuova qualità del lavoro, la lotta per l'occupazione giovanile e quindi l'impegno dell'intera società, del sindacato e delle Leghe, devono essere adeguati all'altezza dell'impresa.
Si tratta di promuovere una complessa e lunga battaglia per attaccare i fondamenti reali stessi dell'attuale assetto economico-sociale.
In particolare, il respiro politico delle Leghe deve essere molto ampio e capace di investire l'intero complesso della questione giovanile, senza miopi settorialismi; per evitare di configurarsi come soggetto interessante ma tutto sommato settoriale all'interno degli altri movimenti della gioventù.
In altre parole, combattere la concezione e la pratica per cui esistono un movimento dei giovani disoccupati, un movimento degli studenti medi, un'altro degli universitari, un movimento delle ragazze disoccupate, un movimento degli emarginati, centri giovanili e centri culturali polivalenti; ciascuno per conto proprio e in generico rapporto, e addirittura in concorrenza, con gli altri; ciascuno, e tutti in complesso, scarsamente credibili e incisivi.
In conclusione, le Leghe possono avere reale e profonda incidenza soltanto se sono parte di un UNITARIO movimento di tutta la gioventù, che coinvolga i disoccupati delle borgate e dei quartieri popolari; quelli degli altri quartieri cittadini, in genere scolarizzati a livello medio; gli studenti medi e univerrsitari, le donne, i lavoratori precari e gli emarginati.

3) CENTRALITÀ E COMPLESSITÀ DEL RAPPORTO LEGHE E STUDENTI

Centrale e complesso appare, in base alle precedenti considerazioni, il rapporto disoccupati-studenti e Leghe-movimento degli studenti.
Un problema più complicato di quel che sembra se ci si abbandona ad inutili schematismi. Schematismi opposti ma sicuramente errati. Sia quelli di tipo «studenti sta» per cui, poiché il settore giovanile più accorpato, tra i più significativi quantitativamente, più suscettibile all'iniziativa politica e alla mobilitazione è quello degli studenti medi, il movimento giovanile si identificherebbe e si ridurrebbe ad esso. Sia quelli di segno  opposto per cui, data l'enorme massa dei giovani disoccupati espliciti, basta affermare la rozza equazione secondo la quale gli studenti sono tout-court dei disoccupati per concludere che il movimento giovanile oggi significativo si riduce esclusivamente a quello dei disoccupati.
Il tema è centrale e complesso: è stato punto fondamentale ,I, dibattito, anche teorico, di iniziativa e di forti polemiche .dl'interno dei singoli movimenti regionali delle Leghe; tra quelli delle diverse regioni; in modo particolare, tra quelli delle grandi città come Roma e quelli di zone di provincia del centro e del Mezzogiorno; tra sindacato e Leghe; e infine, tra leghe, studenti e movimenti giovanili.
Per non parlare del rapporto tra Leghe e studenti universitari: affrontarlo ha significato fare i conti col difficile nesso tra nuovo tipo di movimento - delineatosi attorno alle Leghe nell’autunno - ed eredità del movimento universitario del '77. ( I )

(l) Ne abbiamo parlato nel I Capitolo.

4) L'ATTIVO NAZIONALE DELLE LEGHE DEL 13 OTTOBRE

Per motivi di sintesi divideremo l'argomento in tre brevi punti.

a) Il dibattito nelle Leghe e tra Leghe e sindacato nelle sue tappe principali: l'Assemblea nazionale sindacale del 21/9, l'Attivo nazionale delle Leghe il 13/10 e la Conferenza nazionale sindacato-Leghe il 20-22/10.
b) L'esplicazione concreta del rapporto Leghe-studenti nelle mobilitazioni di massa, dalla manifestazione regionale delle Leghe del Lazio il9 novembre allo sciopero degli studenti di Napoli 1'11 novembre, allo sciopero nazionale dei metalmeccanici il 2 dicembre.
c) Una serie di esperienze settori ali significative, dalle leghe universitarie alle Leghe delle studentesse degli istituti femminili.
In sintesi, l'Assemblea del 21 settembre, sia nella relazione di Crea che nel dibattito, ha posto con molta precisione la necessità di instaurare un nesso profondo tra processi di rinnovamento dell'economia e del mercato del lavoro e riforma dell'intero sistema formativo; quindi, la necessità di allargare l'area di intervento delle Leghe sull'asse formazione-lavoro cercando di conseguenza di individuare un rapporto positivo cogli studenti.
L'Attivo nazionale delle Leghe ha consentito un non sempre lineare ma proficuo confronto interno sul tema Leghedenti precisando ed omogeneizzando sul piano nazionale - anche nei confronti del sindacato - un atteggiamento più consapevole e unitario da parte del movimento.
La Conferenza nazionale Leghe-sindacatO del 20-21 ottobre ha ratificato e acquisito al sindacato almeno una parte sostanziale delle esperienze e dell'impostazioni delle Leghe.

5) IL 9 NOVEMBRE: UN PUNTO DI SVOLTA CON LA MOBILITAZIONE UNITARIA DI MASSA - LEGHE E STUDENTI

Tutto il ciclo di dibattito sul tema Leghe-studenti, pur positivo e stimolante, sarebbe stato comunque insufficiente se le mobilitazioni di massa unitarie Leghe-studenti - qui faremo riferimento soprattutto all'esperienza romana - non avessero contribuito a sciogliere, nella prassi politica concreta, nodi complessi accumulatisi, in parti colar modo, nell'ultimo biennio. Sono state esperienze, magari disomogenee, che hanno dato un colpo di acceleratore alla delineazzazione attorno alle Leghe di un nuovo tipo di movimento di tutta la gioventù.
Una osservazione preliminare: il successo di alcune mobilitazioni esemplari - il9 novembre a Roma, 1'11 a Napoli (1) - non era affatto scontato: lo svolgimento di quelle giornate ha destato sorpresa tra i militanti delle Leghe come tra le avanguardie studentesche.
Dopo accese e difficili discussioni e qualche momento esemplare, ad esempio, la mobilitazione Leghe - studenti il 19 ottobre a Roma con picchettaggio sotto la sede della Confindustria, il punto di riferimento più illuminante rimane ancora oggi il 9 novembre, la manifestazione laziale Leghestudenti: oltre 1°.000 giovani in piazza insieme agli edili e ai metalmecccamC1.
Dopo mesi di rapporti difficili tra classe operaia e gioventù romana, durante i quali la capitale era stata epicentro della strategia della tensione, quella del 9 novembre non è stata soltanto una tappa positiva ed eccezionale, né semplicemente il segno di una inversione di tendenza. E' stata qualcosa di più ..

Probabilmente la prova indiscutibile dell'esistenza delle Leghe e, d'altra parte, la prima concreta e forte delineazione del nuovo tipo di movimento dopo il burrascoso 1977.
Col «20 dicembre '76» anche il «9 Novembre '77» va annoverata fra le date storiche per il movimento delle Leghe.
Il 9 novembre si è realizzato il primo incontro di massa e di lotta tra Leghe e studenti. La qualificata presenza di decine di migliaia di studenti medi ha riaperto un nuovo ciclo di iniziative degli studenti medi pressochè scomparsi dalla scena politica dal febbraio '77. Il rapporto che si è instaurato non poteva essere solidaristico ma di unità politica, se si considerano la specificità e l'autonomia della presenza studentesca nelle piattaforme, nella preparazione dello sciopero con un numero vastissimo di assemblee Leghe-studenti-sindacato _ 1'8 novembre soltanto a Roma si sono svolte oltre 60 assemblee _ e nella partecipazione al Corteo. Il 9 novembre ha inoltre in qualche modo «costretto» il movimento studentesco medio romano ad accelerare il dibattito e l'unità sulle sue nuove forme organizzative di fronte alla crisi palese e incontrovertibile di quelle tradizionali, dai comitati unitari ai collettivi politici.
Per quanto riguarda i contenuti dèlla manifestazione, ci rifacciamo alle fonti dirette.
(I) Torneremo su queste giornate nel IX Capitolo.

Proprio per dare respiro generale alla lotta delle Leghe laziali, la piattaforma del 9 novembre, a partire dalla centralità del lavoro, cerca di svilupparne tutte le conseguenze.
Centralissimo il rapporto tra scuola e lavoro: punto questo tra i più qualificanti e tra i più audaci della piattaforma. Innanzitutto i contratti di formazione e lavoro, che devono essere effettivamente di formazione, mediante precise garanzie e rigorosi meccanismi di controllo. Per aprire la strada, attraverso l'introduzione di esperienze di lavoro direttamente inserite nei cicli formativi, ad un nuovo rapporto col lavoro.
Al centro della nostra lotta vi è l'obiettivo di una nuova qualità del lavoro, quindi di una riforma e rifondazione profonda dell'intero sistema formativo e del suo rapporto col lavoro .
Vogliamo un appiattimento economicistico del movimento dei giovani? Al contrario, si tratta di rileggere complessivamente, con una nuova chiave di interpretazione - il lavoro, appunto - la questione scolastica per cogliere nell'attuale patologico rapporto scuola-lavoro uno dei motivi centrali della crisi della scuola e per avviare così un nuovo ciclo di lotte degli studenti. Il 9 novembre gli studenti scendono in piazza con le leghe e il sindacato. Questa volta vi è una differenza di fondo rispetto al passato: il rapporto non è solidaristico, nè basato su obiettivi minimalistici o generici. Questo capitolo lo consideriamo chiuso per sempre.
Il confronto ha intrecciato le proposte concrete delle leghe, come l'utilizzazione di un preciso monte ore all'interno della sperimentazione, per esperienze di loro da fiscalizzare della  scuola, anche mediante cooperative di giovani disoccupati e studenti, ai temi sui quali il movimento studentesco medio è impegnato: dalla lotta contro i doppi turni all'antifasciiSIl1().
L'obiettivo di fondo del 9 novembre, il più ambizioso, è lo sviluppo di un nuovo movimento di tutta la gioventù. Il lavoro chiave di interpretazione «strutturale» della questione giovanile, il nuovo terreno concreto unificante: delle Leghe dei disoccupati aderenti a CGIL-CISL-UIL, degli studenti medi, delle Leghe universitarie, delle donne delle Leghe, dei collettivi delle studentesse che individuano nel lavoro il punto nodale di quel «personale-concreto» che può diventare nesso tra I e emancipazione. Grande e delicata è la responsabilità delle Leghe dei giovani disoccupati cui spetta, almeno in questa fase, il compito di essere punto di intersezione dei molteplici comparti del nuovo movimento dei giovani: anche per ,I rapporto inequivoco con il movimento operaio che qui si pone come rapporto di internità al sindacato pur nella salvaguardia di un ampio spazio di autonomia organizzati va e politica. Un movimento unitario e di massa perché allarga l'area della democrazia e la rinnova, utilizzando settori giovanili finora emarginati quali appunto i disoccupati, gli studenti delle scuole professionali e tecniche, le donne.

6) GLI STUDENTI DI NAPOLI L'Il NOVEMBRE

Due scadenze meritano rilievo nella nostra cronistoria. La manifestazione degli studenti napoletani l'Il novembre e, per la qualità della presenza giovanile, quella del 2 dicembre a Roma con i metalmeccanici.
Il valore della scadenza napoletana consiste innanzi tutto nel fatto che si colloca nella città capitale della crisi del Mezzogiorno, due giorni dopo quella di Roma. Però questa volta ne sono protagonisti gli studenti: a Roma le Leghe hanno stimolato la mobilitazione degli studenti, a Napoli è successo il contrario. Sostanzialmente, tuttavia, la piattaforma (riforma della scuola, occupazione, nuova politica di sviluppo a Napoli e in Campania), i rapporti unitari con il movimento operaio, il carattere rigorosamente democratico della lotta provano in entrambe le città che si va delineando un nuovo tipo di movimento.

7) 70.000 GIOVANI CON I METALMECCANICI IL 2 DIICEMBRE

L'importanza del 2 dicembre sta innanzitutto nella riaffermata e inequivocabile centralità della classe operaia per ogni strategia reale di cambiamento. Conseguentemente, nella necessità da parte dei giovani, disoccupati e studenti, di proiettarsi e inserirsi organicamente - senza per questo rinunciare al proprio originale contributo nelle lotte aperte dal movimento operaio in autunno, di cui lo sciopero nazionale dei metalmeccanici è stato un passaggio centrale.
Lo sciopero dei metalmeccanici ha messo i giovani di fronte alla necessità di operare scelte più nette rispetto al passato. In definitiva, il movimento giovanile o si colloca - autonomamente, con una pluralità di orientamenti, nella prospettiva aperta dal movimento operaio, operando una netta scelta di campo sul terreno della difesa e dello sviluppo della democrazia; oppure, pur tra mille tatticismi ed opportunismi, esso sarà contr0 la lotta dei lavoratori.
Il 2 dicembre non si è trattato soltanto di sviluppare la piattaforma e allargare l'area del 9 novembre; per le Leghe si è imposta la necessità di un salto di qualità su diversi punti. Qui ci interessa sottolineare la questione del rapporto con gli studenti. Già la piattaforma della FLM che ha convocato la manifestazione e il comunicato congiunto FLM nazionale - Leghe romane indicano un terreno più chiaro e più concreto circa la presenza degli studenti, rispetto al quale forzature e stiracchiamenti volgari hanno avuto vita breve.
«L'unità tra la classe operaia occupata e i disoccupati non può più essere unità solidaristica e generica - afferma il comunicato - Vogliamo realizzare l'unità politica su precisi obiettivi comuni: innanzitutto l'allargamento delle basi produttive contro la disoccupazione, il problema più drammatico dei nostri tempi che è di fronte a centinaia di migliaia di giovani e di disoccupati.
L'allargamento delle basi produttive mediante una profonda trasformazione dell'assetto economico, attraverso un nuovo 1 nodo di produrre e di consumare, è l'unica via per condurre una seria e credibile battaglia per l'occupazione, giovanile e non.
L'altro grande obiettivo unitario è una nuova qualità del lavoro, e una nuova organizzazione del lavoro, mediante una profonda rifondazione e riforma del sistema formativo, dalla formazione professionale alla scuola media superiore e all’università, la cui crisi trova nel distorto rapporto col lavoro uno dei motivi centrali. Per un lavoro che non discrimini e oppriill1a le donne e i giovani, per un lavoro che non mortifichi, anzi esalti i più alti livelli culturali e professionali e le nuove competenze ed esigenze maturate nelle lotte dalle masse popolari l giovanili negli ultimi anni.
Proprio perché l'unità non è solidaristica ma politica, ciascun settore di questo movimento deve caratterizzarsi specificamente: dagli studenti medi alle donne, dagli universitari ai lavoratori precari e agli emarginati.
In questo ,ambito l'assemblea cittadina degli studenti medi di Roma, promossa dal Coordinamento unitario delle Leghe dei disoccupati, per sabato 26 novembre, con la partecipazione della FLM Nazionale e Provinciale e della Federazione Unitaria romana, è un momento decisivo e significativo di confronto tra i protagonisti della giornata del 2 dicembre, affinché la partecipazione studentesca si qualifichi con precisi obiettivi propri.
Questa impostazione è stata coerentemente applicata nella fase di preparazione dello sciopero.
Gli studenti medi romani, insieme alle Leghe e alla FLM, hanno svolto oltre 100 assemblee, fino ad un incontro cittadino al Cinema Planetario dal quale è scaturita - contrariamente a quanto era accaduto per il 9 novembre: gli studenti medi si erano limitati ad integrare la piattaforma delle Leghe - una piattaforma comune studenti e Leghe.

Articolazione settoriale delle Leghe, carattere peculiare del nuovo movimento

l) UN MOVIMENTO POLITICO PROPOSITIVO ED AUTONOMO, NÉ SUBALTERNO NÉ PROTESTATAARIO

La tesi centrale contenuta nel capitolo precedente è che lavoriamo per un movimento di massa. Ma volerlo essere non basta. Infatti, non pensiamo a un movimento generico e confuso, al polverone. Vogliamo un movimento lucido politicamente. Politico e positivo. Con una strategia di vasto respiro e di solida tenuta; con piattaforme ben definite contenenti obiettivi immediati e intermedi effettivamente realizzabili rispetto ai quali individuare e incalzare molteplici alleati, interlocutori e controparti; agile ma con una struttura organizzativa permanente, che apra e concluda vertenze.
In pratica, un soggetto politico sindacale e sociale, una potenza sociale organizzata che incide, rinnova, conquista e così fuisce posti di lavoro, contribuisce a realizzare una nuova qualità del lavoro e della vita, realizzando nuove forme di più alto livello di potere politico e di autogoverno da parte dei disoccupati e dei giovani.
Un movimento né di semplice pressione, quindi inevitabilmente subalterno rispetto ai movimenti giovanili e di partiti, alle istituzioni, al quadro politico e allo stesso movimento operaio e sindacale; né confusamente e velleitariamente protestatario, perciò egualmente e ancor più subalterno, minoritario e addirittura strumentalizzabile.
L'esperienza dei movimenti autonomi e di massa della gioventù dal 1968 in poi, la riflessione critica e autocritica sui loro ;siti molto scarsi o totalmente negativi dal punto di vista realizzativo ci insegnano che la semplice pressione e la protesta non pagano.
Quindi l'autonomia delle Leghe. Autonomia anche all'interno del sindacato. Perché su un punto la chiarezza è d'obbligo: il soggetto «specifico», nuovo e inscindibile della battaglia per l'occupazione è il movimento delle Leghe. E l'attenzione va concentrata sul movimento: sulla sua natura, il suo spazio specifico, cioè sulla questione della sua autonomia. Innanzitutto nella fase di costruzione delle Leghe.
Quale autonomia per quale movimento? Quale equilibrio tra affiliazione al sindacato e autonomia? Nella realtà si verifica una oscillazione tra gretta subordinazione del movimento al sindacato e autonomia globale, quanto dire il «girare a vuoto», una sorta di movimento giovanile sindacale. Ci torneremo nei prossimi capitoli. Qui intendiamo ricordare soltanto un punto centrale.
I disoccupati entrano nel sindacato non solo perché diventano genericamente più forti e perché possono utilizzare un grande patrimonio di lotte, ma anche perché essi non possono trovare né lavoro più qualificato e creativo né nuova dignità sociale e politica da soli o contro la classe operaia occupata e organizzata. D'altra parte, entrare nel sindacato non può significare delegargli tutto, prendere la tessera e basta; accollare al sindacato un ruolo di patrocinio e di garanzia Ce attendere da esso i posti di lavoro). Questa scelta sarebbe ben presto perdente e suicida per i disoccupati e per il sindacato.
La battaglia per l'occupazione è impresa ardua: non si tratta, tanto e soltanto, di applicare la 285, ma di promuovere una battaglia generale di lunga lena per uscire dalla crisi cambiando nel profondo le basi economico-sociali del paese.

I disoccupati senza e contro il sindacato perderebbero. Il sindacato senza e contro i disoccupati sarebbe a sua volta ridimensionato e sconfitto. Di qui le esigenze di unità e di autonomia.

2) UNITÀ E DEMOCRAZIA INTERNA

Un movimento non può definirsi di massa, politico e autonomo senza essere unitario e democratico al suo interno e ovviamente all'esterno.
Le impostazioni settarie e integralistiche, le pratiche antidemocratiche nelle forme dell'assemblearismo prevaricante o del burocratismo chiuso e soffocante, come l'esperienza ha più
volte dimostrato logorano, distruggono le dimensioni di massa, l'incidenza politica e l'autonomia dei movimenti.
Il nostro obiettivo è organizzare nel sindacato unitario la grande maggioranza dei disoccupati. La possibilità di crescita delle Leghe dipende anche dalla loro apertura a giovani disoccupati di orientamenti diversi, uniti dalla comune volontà di lotta per conquistare un lavoro produttivo. La quantità delle adesioni è legata alla qualità della partecipazione che le Leghe sapranno sviluppare.
E' necessario cioè che nelle Leghe i giovani disoccupati trovino la effettiva, e non solo proclamata, possibilità di partecipare costantemente e in tutte le fasi all'elaborazione collettiva delle piattaforme, al rapporto con gli altri lavoratori, alla organizzazione pratica delle lotte; che possano essere quindi soggetti protagonisti delle lotte, non massa di manovra.
E' quindi essenziale che all'interno delle Leghe viga la massi ma democrazia, una democrazia dei giovani disoccupati. Deve essere l'assemblea a decidere a tutti i livelli in cui decisioni vengano prese.
Possono nascere problemi, anche complessi, per ciò che riguarda l'inserimento dei rappresentanti eletti dalle Leghe negli organismi dirigenti del sindacato. Bisognerà risolverli in positivo, rifiutando soluzioni burocratiche, patteggiamenti e cooptazioni.
Già in questa fase costituente può presentarsi il rischio di soffocare il dibattito interno diminuendo perciò l' «attrazione» verso le Leghe di grandi masse di giovani disoccupati. Ciò accadrebbe se si precostituissero le decisioni di lotta e le piattaforme, attraverso accordi tra alcune componenti del movimento o addirittura tra ristrette avanguardie; se si attribuisse il peso fisso e cristallizzato ai diversi orientamenti politici presenti nelle Leghe anziché aumentare il peso reale di tutti i giovani disoccupati nel movimento, sviluppando particolarmente l'iniziativa verso quei settori finora rimasti ai margini della costruzione delle Leghe. ,
Il metodo democratico, e la piena sovranità dell'assemblea devono prevalere sempre.
Per costruire un movimento vasto, davvero unitario, è necessario acquisire e praticare un costume a volte arduo: la ricerca tenace di una linea unitaria. Evitando di prefigurare esiti e soluzioni, occorre, al contrario, far valere le proprie convinzioni e le proprie elaborazioni, con il confronto di massa e attraverso la battaglia politica democratica.

5) IL COORDINAMENTO DELLE DONNE

della struttura produttiva della società; che risponda ai bisogno reali della gente quali la gestione della salute, l'uso diverso del territorio, un diverso modo ti i studiare e di fare cultura, la socializzazione dei servizi legati alla famiglia. In pratica una qualità nuova del lavoro per una qualità nuova della vita delle donne e di rutti.
Le donne delle Leghe rivolgono perciò un appello unitario alle lavoratrici, ai collettivi delle studentesse, alle disoccupate e alle casalinghe per scendere unitariamente in piazza il 9 Novembre e portare avanti questi contenuti di lotta.
La disoccupazione femminile e più in generale la questione femminile costituiscono un tema eccezionalmente esemplificativo ai fini del nostro discorso. Il riferimento concreto è l'esperienza del coordinamento delle donne disoccupate di Roma.

Rispetto all'impostazione generale, alla collocazione della questione femminile nel movimento e al ruolo del coordinamento donne, il documento più significativo ci pare essere la piattaforma della manifestazione regionale del 9 novembre che citiamo direttamente.
A ottobre il coordinamento risultava composto da tre elementi: un gruppo centrale con funzioni di segreteria operante nel coordinamento provinciale delle Leghe, il gruppo delle studentesse universitarie e le delegate femminili delle Leghe territoriali. Terza tappa nella creazione del coordinamento donne è il ciclo di dibattito che va dall'attivo nazionale delle Leghe del 13 ottobre alla Conferenza nazionale sindacato che del 20-22 ottobre. Vi è stato un'ulteriore passo in avanti nello scambio delle esperienze e delle elaborazioni tra le varie realtà regionali, che ha permesso il rafforzamento del coordinamento locale e la crescita di esperienze simili in altre provincie.
Infine, l'ultimo passaggio importante è la fase della mobilitazione di massa (dal 9 novembre al2 dicembre) con il rilancio, in modo particolare nel sindacato e nella scuola, del dibattito e della lotta per l'occupazione femminile. Nelle mobilitazioni più importanti, le donne disoccupate hanno organizzato insieme alle studentesse spezzoni autonomi estremamente combattivi e significativi all'interno dei cortei.
Tutto bene? Tutto fila liscio per le donne disoccupate nelle Leghe? In effetti, tutto continua ad andare male anche per le donne. Si sono fatte stimolanti esperienze, puntuali elaborazioni; si sono aperte breccie e sollevate speranze. Ma tutto è destinato a rifiuire, anche subito, se il movimento per il lavoro e il sindacato non supereranno rapidamente almeno una parte degli errori, dei limiti e dei ritardi enormi su tutta la questione femminile.
Ancora troppo limitata per accontentarsi è la presenza della questione femminile, dimensione generale di lotta nelle piattaforme, nelle vertenze reali, nella mentalità dei gruppi dirigenti delle Leghe.

6) LE LEG HE UNIVERSITARIE

Un secondo esempio efficace di articolazione settori aie del movimento sono le Leghe universitarie.
Certamente l'identità delle Leghe universitarie è discutibile per una qualche ambiguità che le caratterizza. Ma è indubbio che la positività di questo nuovo soggetto democratico presente oggi negli atenei emerge dall'esperienza concreta delle Leghe universitarie in realtà come Roma o Perugia e dalla sua collocazione, forse un pò ambigua ma per questo ricca di potenzialità. Le Leghe universitarie si trovano infatti, da una parte, a cavallo tra scuola e lavoro; Università e movimento sindacale.
Per capire alcuni orientamenti essenziali, che sono alla base ,I i una prima delineazione dell'identità teorica politica e organizzativa delle Leghe, citiamo direttamente tre punti della "Bozza di documento politico delle Leghe universitarie romane» presentata alla prima assemblea costitutiva il 14 luglio 77.

7) ATTUALE SITUAZIONE ORGANIZZATI VA DELLE LEGHE UNIVERSITARIE

A Roma, le Leghe universitarie contano 600 adesioni cui vengono sommati i 100 studenti e laureati raccolti intorno alle cooperative socio-sanitarie della facoltà di Medicina. Dispongono di un Centro di informazione che ha sede presso l'aula IV di giurisprudenza. Si articolano in:
I) gruppo di lavoro per le cooperative 2) coordinamento delle donne
2) polo organizzativo della facoltà di giurisprudenza, statistica e scienze politiche
3) polo di aggregazione presso la Casa dello studente dei fuori sede
4) Leghe di statistica, scienze politiche, giurisprudenza, architettura, lettere e magistero. 





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