venerdì 13 gennaio 2012

BEPPE DE SANTIS BIOGRAFIA 3





PCI REGIONE
Bimestrale del gruppo parlamentare comunista all’assemblea regionale siciliana
17-18 maggio-agosto 1990


SOMMARIO
Politica ed amministrazione: il caso siciliano, Salvatore Costantino 5

Nuovi meccanismi, nuove procedure e nuove certezze, Salvatore Lauricella 8

Riforma della politica: Cos'è e come farla, Gianni Parisi 10

La vicenda amministrativa siciliana e le condizioni per una nuova progettualità riformatrice, Alba Alessi 13

Le proposte per separate la politica dall'amministrazione, contrastare il clientelismo e la mafia, per la trasparenza e i diritti, Gaetano Silvestri 16

Modelli di pubblica amministrazione, Mario Dogliani 22

Regole, trasparenza e rapporti con i cittadini, Franco Cazzola 25

L'amministrazione delle grandi città siciliane, Paolo Berretta 27

Enti locali e sviluppo economico: dall'affarismo alla programmazione, Mario Centorrino 30

Trasparenza e appalti, Luigi Colombo 32

Riforma dei sistemi di controllo, Carmelo D’Urso, 37

Ruolo del sindacato e contrattazione decentrata, Giuseppe De Santis, 41

Tre nodi: appalti «chiavi in mano», preziario, perizie, Nino Messina 44

Governo delle riforme, Politica della speranza, Giuseppe Campione 47

La politica, il diritto e il soggetto delle riforme, Leo Urbani * 50

Un messaggio di Luigi Colajanni 51

Con quella Sicilia che vuole riforme e alternative, Pietro Folena* 52

La parabola dei consigli di direzione, Silvia Adorni 57

La politica degli incarichi e gli organi collegi ali nella Regione Siciliana, Giovanni Arnone 59

Per una piattaforma di regole e diritti dell'Amministrazione regionale, Poldo Ceraulo 62

I tecnici nell'amministrazione regionale ed il ricorso alle collaborazioni esterne. L'esperienza nell'amministrazione dei Beni Culturali, Giovanni Gentile e Gaetano Gullo 67

Il funzionario regionale quale garante della continuità nell!! pubblica amministrazione, Ugo Lombardo 69

Abuso e discrezionalità nella gestione del personale, Antonino Lumia 71

L'amministrazione sovrapposta: uffici di gabinetto e consulenti, Luigi Pintus 75

Ruolo dell'Ispettorato tecnico nella esecuzione delle opere pubbliche, Alessandro Tusa 78

Dieci cose da (ri)scrivere sull'economia siciliana con un post-scriptum, Mario Centorrino 80

-Il principio di responsabilità e i confini della politica e dell'amministrazione, Augusto Barbera* 85

L'ATTIVITÀ ISPETTIVA DEL PCI

Interrogazioni 91
Interpellanze 93
Mozioni 94

IL GRUPPO PARLAMENTARE DEL PCI 95

• Interventi non rivisti dall'autore

Ruolo del sindacato e contrattazione decentrata
Giuseppe De Santis

La Regione è l'unico ente pubblico in cui vige un fatto aberrante per cui il dirigente superiore è il consigliere del politico è cosa mostruosa. E poi ci meravigliamo che Lombardo dica che era solo una lite quella con Bonsignore oppure che si è creata una questione istituzionale. Ed io sì direi che si era creata una questione istituzionale a favore di Bonsignore. Ed era il rispetto dell'autonomia, della sfera amministrativa minima.
Voglio dire, anche, che quando le vicende si presentano in modo radicale e tragico e non se ne traggono le conclusioni, vuol dire che siamo un pò matti. La vicenda Bonsignore sia sotto il profilo sindacale, sia sotto il profilo politico è un paradigma generale della situazione, questo è il punto.
Secondo punto, diciamo attinente alla compressione radicale dei diritti, dei diritti sindacali. Non esiste in Sicilia la legge quadro. È ridicolo ormai! Non c'è soprattutto la contrattazione decentrata.
Il sindacalismo esistente, non sto parlando delle persone, è un sindacalismo assolutamente fantasma, larvale, inesistente.
E preferisco dirlo così, in modo da capirci. Quindi c'è un'espropriazione radicale dei diritti sindacali, quelli veri, quelli giusti, ben gestiti, sto parlando delle follie corporative brutali.
Terzo punto l'espropriazione dei diritti di 19 mila persone che sono un perno fondamentale di quello che può succedere in futuro in Siciilia. Se vogliamo parlare di corpi sociali e non in politichese.
Allora qual è l'immagine sociale offerta dai 19 mila dipendenti, l'immagine vera, quella che c'è nella testa magari di tutti noi? La palude? Il pezzo peggiore del pubblico impiego italiano? Vale a dire uno dei pezzi peggiori dei lavoratori dipendenti italiani? Ecco questa è una teoria che va battuta, questa è una cosa falsa. Però io sono convinto che la maggior parte dei siciliani, degli italiani, dei politici, magari anche sindacalisti, che dovrebbero avere l'intuizione opposta per mestiere, la pensano così.
È una visione falsa. Infatti la replica all'idea del movimento dei diritti e delle regole è: non illuderti ragazzo, perché son tutti banditi, corrotti, venduti: è falso, ridicolo. Questo è sociologismo da accatto. Tanto basta conoscerli sul serio i dirigenti e i funzionari regionali. Un'analisi non dinamica non politica, non vuol dire nulla se non cogli il punto di contraddizione. Il punto di contraddizione c'è. Lo diceva Cazzola nel corso di un'iniziativa di pochi giorni fa a Giurisprudenza. Per questo pezzo del lavoro, massima è la contraddizione (si diceva un tempo) tra rapporti di potere, rapporti di produzione e autovalorizzazione professionale e sviluppo delle forze produttive. Se non si capisce questa contraddizione, per dirla con questa formula antichissima, ma in qualche modo riciclabile ogni tanto, non si capisce nulla. Altra questione: qual è il centro di questa cosa, che si può chiamare movimento dei diritti e delle regole.
Il centro concreto, umano, quello per cui 19 mila persone poi ragionano e si impegnano: non le sole avanguardie. Allora bisogna riportare le regole, contrattare, controllare innanzitutto le condizioni immediate di lavoro: i collaudi, gli incarichi, lo straordinario, la formazione, i trasferimenti, le cose primordiali del sindacalismo.
L'esperienza Bonsignore dimostra: che i dipendenti regionali non hanno nessun diritto. Bene. Dopo di che bisogna affrontare sul serio la questione dell'ordinamento professionale. Sulla dirigenza sono state dette tante cose ottime, formidabili, qui, stamattina. Ma la questione fondamentale è quella di affrontare i problemi primordiali. Se non partiamo da qui è inutile discutere di assessorati, di riforma degli uffici. L'asse del movimento deve tendere a riconquistare una triplice autonomia: autonomia professionale, autonomia sindacale, autonomia civile. 19 mila persone vengono dominate col compromesso. Si dice: «Poiché vi diamo più soldi rispetto al resto del pubblico impiego, non dovete avere alcun diritto. Poiché siete stati assunti in modo clientelare non dovete avere alcun diritto ». È questo uno scambio classico tra salario contropotere e diritto. Noi dobbiamo dire invece: «Vogliamo soldi meglio distribuiti insieme ai diritti e alle regole».
Ecco perché il caso Bonsignore è paradigmatico. Occorre il protagonismo. Ma per rendere protagonisti gli impiegati regionali (ma lo stesso discorso vale per i 5 mila dipendenti del comune di Palermo, i 6 mila dell'Università, i 13 mila delle USL, i 2 mila del palazzo di Giustizia) è necessario riconquistare l'autonomia di base. Senza autonomia non è possibile alcun protagonismo.
Per quanto riguarda il movimento per i diritti e per le regole, occorre un metodo di lavoro e un'iniziativa che coinvolga tutti: i partiti, l'università, i giornali. È necessaria una sorta di guerriglia quotidiana sui diritti e le regole elementari. Ad es. per quanto riguarda i collaudi la legge 21 afferma: pubblicità, rotazione, professionalità. Vogliamo formare un movimento per applicare questa legge? È sufficiente questa legge stessa? Vogliamo capire perché non c'è pubblicità? Vogliamo mandare in galera qualcuno?
È necessario un progetto per riordinare una dirigenza di 200 persone.
Siamo rimasti fermi all'elaborazione della fine degli anni '70. Bisogna, ora, aprire un nuovo ciclo, andando avanti.
Bisogna avere una strategia precisa, dura, e poi il metodo può essere affrontare i casi uno per uno; c'è la questione dei collaudi al territorio e si fa la vertenza con l'appoggio di tutta la città; c'è la vertenza del trasferimento fuori-legge di Bonsignore e se ne fa un fatto che rimane alla storia; c'è la faccenda del come sono organizzati gli uffici di programmazione e si fa il dossier e magari si dimostra che, come gli uffici sono organizzati alla Regione allo stato attuale, la programmazione non sa da fare.
Se trovi alcuni banditi che dal primo giorno in cui sono stati assunti non si sono mai presentati al posto i lavoro, e sono i figli dei padrini, "anno cacciati, come abbiamo fatto on il figlio di Reina alle P.T.: altro che fare i carabinieri. Questo vuoi dire essere credibili e seri nelle cose, perché esiste anche il corporativismo di sinistra.
Altro elemento di metodo che riguarda la partecipazione diretta del gruppo delle persone interessate: non ci deve essere una vertenza senza averne discusso notte e giorno
con le persone interessate. Per esempio quel lavoro fatto alla programmazione che ci ha impegnato per vane nottate è stato esattamente il contrario di ciò che qualcuno ha

etto sui giornali: che era un'invenzione, quel dossier, quella conferenza sulla programmazione.

Altra questione rilevante: documentare scientificamente tutto. Il  Bonsignore ha avuto questa particolarità: il 19 dicembre abbiano fatto una conferenza stampa di 60 pagine dove c'è tutto (anche per la magistratura). Allora è inutile ;:2:le reinterpretano Giovanni dopo morto (è stato fatto ammazzare);  perché si è tentato di dimostrare altro.
Noi abbiamo pubblicato i suoi documenti. Una volta tanto il morto parla: però ci hanno provato lo stesso. Il giorno prima, appena da noi è arrivata la notizia dell’ assassinio si diceva: dell'acqua di Torretta che non c'entrava nulla, e non ho capito perché Natoli dice: «pubblichiamo gli atti degli ultimi cinque mesi», e perché non di 29 anni della vita di Giovanni Bonsignore. Perché solo gli ultimi cinque mesi di presenza all’assessorato agli enti locali! Questo è un depistaggio.
Non so se per ignavia o per cattiveria.
Altro elemento: pubblicità massima delle vertenze, dice Giando Maniscalco (il coordinatore del comparto nella mia organizzazione), la quotidiana informazione. Bisogna rendere tutto pubblico, alla stampa, ai mass-media; quindi creare punti di non ritorno perché le cose silenziose con i fonogrammi le trattative misteriose non servono più.
Infine al Partito Comunista, al governo ombra: dobbiamo conquistare per forza nelle prossime ore la legge quadro, perché se no siamo nei guai, noi dobbiamo realizzare tre passaggi, subito la legge quadro, annche non perfetta. Poi questo ci permette di provare meglio a costruire la contrattazione di assessorato, di posto di lavoro, di comprensorio di provincia . per poi riagganciarsi al processo di delegificazione contrattuale, perché qui noi dobbiamo chiedere la legge quadro mentre alltrove ci battiamo giustamente per superarla.
Finisco dicendo che sotto questo profilo noi possiamo essere provocatori, nel senso che nel pubblico impiego i contratti in tutti i comparti, la legge quadro, due accordi intercompartimentali e, perfino la legge n. 300 del '70 riguarda il sindacato o la tutela dei sindacalisti veri, non i porta-borse, che sono un'altra cosa.
Osserviamo il comune di Roma con 30 mila dipendenti: non pensate che sia meno complicato della Regione dal punto di vista organizzativo, eppure, li c'è un meccanismo di contrattazione esemplare da questo punto di vista, ma abbiamo 400 delegati e le tre sigle organizzative CGIL CISL UIL hanno 18 mila iscritti: una potenza. Signorello se lo ricorda quando siamo arrivati sotto il Palazzo un paio di anni fa, per una piattaforma per la città. Infine, movimento dei diritti delle reegole, significa per me in generale fatti che non posso trattare adesso. È il modo migliore per riformare e fare il sindacato dei diritti di cui parla Trentin. Metterli in atto vuol dire iniziare una nuova fase di lotta anti-mafia.
Allora lasciamo perdere la cronaca ultra narcisistica e distruttiva di questi giorni a Palermo. Questo ciclo di lotta anti-mafia deve vedere: il protagonismo di massa di molti, ed in particolare io dico, da sindacalista, e non vorrei apparire vetero o chi sa cosa, intanto del lavoro dipendente di Palermo, in particolare proprio il settore pubblico e gli edili.
Non parlo di un protagonismo astratto, per cui diamo l'adesione al PCI o ad Orlando, o agli antiOrlando. Un protagonismo ufficio per ufficio, assessorato per assessorato sulle cose reali, sui diritti elementari. Perché lavorando sui diritti elementari si crei comunque un blocco rispetto alla corruttela: l'asse cui si diceva prima e quindi anche contro la mafia; questo è il punto.
Il nuovo cielo di lotta antimafia, come ha capito anche il mio amico Orlando, vuoi dire mettere mano alla pubblica amministrazione, perché se no fai una bella ripulitina del palazzo della politica e sotto c'è Ciancimino che continua comodamente a comandare. È questo il punto.
Ciò non vuol dire che non è stato utile il lavoro che è stato fatto; è stato utile ed anche geniale con tutti i suoi limiti, ma adesso questo ciclo è finito. Infine dal punto di vista proprio della funzione sindacale, io dico che questa è un'impostazione che serve alla politica di questa città e alla Sicilia; per uscire in avanti parlando di Palermo oltre il ciclo orlandiano. Ciò vuol dire protagonismo di massa dal punto di vista del lavoro, del lavoro di questa città che è il pubblico impiego.
Può piacere o meno ma queste sono le cose importanti. Insisto, aggredire da dentro la pubblica amministrazione come corpo sociale. lo credo che da questo punto di vista questo convegno può essere utilissimo.







































PERDERSI A PALERMO-1991
Giuseppe De Santis


L'ESILIO

L'organizzazione lo confinò nell'isola remota. La colpa contro 1'Apparato meritava crudeli espiazioni. Superbo e difforme qual'era.

IL SOGNO

"Scendevano lacrime, ma la faccia era impassibile, sembrava che piangesse in sogno" (1). Studiò le categorie dell' impolitico, il narcisismo e le differenze, la violenza e i conflitti, la fine del millennio, il comando del mondo. Abbandonò gli amori, la casa, gli amici, i libri, la città. "Solitudine, antichità, mistero, meditazione, preghiera, chiostro e metropoli, delicatezza e brutalità. Quì c 'è tutta la storia di Roma" (2). Dirupò nel viaggio. Desolato.

LA LINEA D'OMBRA

"Soltanto i giovani hanno tali momenti. Non parlo dei giovanissimi. No. I giovanissimi, a dire il vero, non hanno momenti. È privilegio della prima giovinezza vivere oltre il presente, nella bella e ininterrotta speranza che non conosce pause o introspezione.

Ci si chiude alle spalle il cancelletto della pura fanciullezza e si entra in un giardino incantato. Persino le sue ombre brillano di speranza, ogni svolta del sentiero ha le sue seduzioni. E non perchè si tratta d'un paese inesplorato. Si sa bene che tutta l'umanità ha percorso quella strada. È ti fascino della esperienza universale, dalla quale ci si aspetta una sensazione personale o straordinaria - un pò di noi stessi.
Riconoscendo le orme dei predecessori si va avanti, eccitati, divertiti, facendo tutt 'uno della cattiva e della buona sorte - del buono e del cattivo tempo, come si dice - la pittoresca sorte comune che serba tante possibilità per chi ha qualità o, forse, fortuna. Già, si va avanti. E anche il tempo va avanti; finchè si scorge innanzi a noi una linea d'ombra che ci avverte che la regione della prima gioventù, anch 'ella, la dobbiamo lasciare addietro. Questo è ti periodo della vita in cui possono lenire i momenti di cui ho parlato ... Quali momenti? Di noia, di stanchezza, d'insoddisfazione. Momenti sconsiderati. Momenti, intendo, in cui chi è ancora giovane è disposto a commettere azioni sconsiderate, quali maritarsi d'improvviso oppure gettar via un impiego senza ragione.
Non è una storia di matrimonio, questa. Non mi andò così male. La mia azione, per avventata che fosse, ebbe l'aspetto d'un divorzio, quasi d'una diserzione. Senza ragioni comprensibili per il senso comune rinunciai al mio lavoro - abbandonai ti mio impiego lasciai la nave della quale, al peggio, si poteva dire eh 'era un battello a vapore e perciò, forse, non le era dovuta quella cieca fedeltà che ... Ma è inutile tentar di spiegare quel che allora io sospettai: quasi, che fosse un capriccio" (3).

"Eppure d'improvviso lasciai tutto. Lo lasciai nel modo, illogico per noi uomini, con cui un uccello vola via da un comodo ramo. Fu come se, proprio incosciamente, avessi udito un bisbiglio o visto qualcosa. Già, forse! Ero perfettamente a posto, quel giorno, e l'indomani tutto se n'era andato:fascino, sapore, interesse, soddisfazione, tutto, Fu uno di quei momenti, sapete. L'acerba malinconia della tarda giovinezza scese su di me e mi portò via. Mi portò via da quella nave, voglio dire" (4).

"Ma non appena mi fui convinto che questo mondo stantio, inutile, di cui ero scontento, alleva in sè una cosa, a portata di mano, come ti comando d'una nave, ritrovai le mie facoltà di movimento" (5).

"Avidamente aggrappato all'esaltazione del primo comando, che m'era caduto in grembo per mezzo del capitano Giles, provavo tuttavia un sentimento di inquietitudine, come se una simile fortuna dovesse essere scontata in qualche maniera" (6).

E allora rimasi solo al timone a dirigere la mia nave che correva col vento in poppa, beccheggiando lievemente di tanto in tanto persino ronfando un poco" (7).

"Ed io governavo la nave, troppo stanco per preoccuparmi, troppo stanco per collegare i pensieri. Avevo momenti di sfrenata esultanza, ma poi mi sentivo mancare il cuore terribilmente, al pensiero di quel castello di prua, all' altra estremità del ponte, oscuro, pieno di uomini colpiti dalla febbre; alcuni morenti. Per mia colpa. Ma non importava. Il rimorso doveva aspettare. Dovevo governare la nave" (8).

L'ARRIVO


L'aereo. Il taxi. Via della Libertà. Via Roma. Piazza San Domenico. Tra la Vucciria, il porro, i palazzi diroccati e appena bombardati: la sede periferica dell' Apparato. La luce scoppiò, quella mattina, da riscattare per sempre la città crudele. Per mille giorni.

INCERTI PREPARATIVI

Ebbe a disposizione non più di trenta giorni per prepararsi.
La testa, il corpo, i segni. Biblioteche, libri, dischi, films, sentenze, note e verbali. Per tante notti avanzò alla rinfusa. La Sicilia come metafora (9). Candido (1O). Porte aperte (11). Il giorno della civetta (12). La strega e il capitano (13). Dalle parti degli infedeli (14). A ciascuno il suo (15). Una storia semplice (16). Il cavaliere e la morte (17). Palermo palcoscenico d'Italia (18). Breve corso eli politica (19). Uscire dal tempio (20). Da 'questa nostra isola (21). Missioni a Palermo (22). Orlando (23). Della corruzione (24). Il peso dell'illecito (25). La palude e la città (26). Vi racconto qualche cosa sulla mafia (27).
La mafia imprenditrice (28). L'economia mafiosa (29). Il coraggio di sfidare la mafia (30). Droga e mafia (31). Antimafia occasione perduta (32). Arrivederci mafia (33). Il nuovo cinema paradiso. Cento giorni a Palermo. Il Siciliano. Pizza connection. Perchè si uccide un magistrato. Il pentito. Cadaveri eccellenti. Obiettivo Falcone (34). Piovra quattro. Antichi car1ti siciliani. L'identità debole (35). Volevo i pantaloni (36). Le buttane (37). La Regione Sicilia. L'industria del potere (38). Comandare è meglio (39). Meri per sempre (40). Il piacere e il potere, l'edonismo siciliano (41). Guida ai misteri e ai piaceri di Palermo (42). Delitto perfetto (43).

LA STAZIONE

A Palermo sono arrivato in tarda mattinata. Vicino alla stazione c'è un gran via Vai di nordamericani. La città ha un aspetto sporco, confuso. È come se la povertà e il disordine si fossero attaccati ai muri, all’asfalto, all'aria.
Gli immigrati gironzolano fra via Roma e ti piazzale antistante la stazione in gruppi di tre o quattro: galleggiano nello spazio privi di una direzione, di una meta. Sento un 'onda di desolazione attraversarmi" (44).

Verso le dieci di sera, la città ha subito una mutazione.
Le strade sono disabitate, le distanze paiono allungarsi. Adesso ci sono solo le macchine" (45).


"Dall'altra parte del/a strada, due nordafricani, vendono accendini vicino a un semaforo. Stanno lì da più di tre ore, dicono, e non hanno ancora venduto nulla. Uno dei due si allontanava, va a pulire i vetri di una macchina che si è appena fermata. Il giovane al volante gli sorride, in ricompensa gli dà una sigaretta. Quello non fuma, gli sorride a sua volta e allunga la sigaretta ad un amico" (46).

VIA RUGGERO SETTIMO

Lo mollarono all'hotel Mediterraneo, in Via Rosolino Pilo n. 43. Per oltre 40 giorni. Tra Piazza Politeama, Piazza Massimo e Piazza Ungheria, una traversa di Via Ruggero Settimo. In attesa dell' alloggio definitivo che l'Apparato avrebbe trovato immediatamente, e che neppure cercò, nonostante i salamelecchi inaugurali, appiccicosi e ipocriti.

LA STAZIONE

Distogliendo lo sguardo dal passato e forzandomi a pensarlo nel presente, cosa mi rimane da dire su via Ruggero Settimo?

Poche parole; e tristi.

Chiusi i cinema, i famosi caffè e quasi tutte le dolcerie (chi non ricorda la pasticceria Succherio che, forse con la complicità di un ventilatore, spandeva ai Quattro Canti di Campagna, a metà della strada, l'odore dei suoi biscotti alla vaniglia?), rinnovato il responsabilmente il negozio di Randazzo, sciolto il cenacolo di Flaccovio, il i 'salotto di Palermo" .è stato invaso da una miriade di boutiques, con tanto di moquettes e musica rock, seguendo il cupo destino di altre, nobili strade come il Corso di Roma o via  Toledo a Napoli (. . .). Come si vede ti degrado di via Ruggero Settimo progredisce inesorabilmente di pari passo con quel/o di Palermo tutta"(47).

“Il giorno della festa, nel pomeriggio, vado a piedi per via Ruggero Settimo, la via della ricchezza e del lusso. È piena di banche, di gioiellerie, di negozi di abbigliamento per uomini e donne.
I prezzi sono altissimi. Vi sono in vetrina sgargianti, volgari camicie di seta per uomo, di quelle che politici, professionisti, alti burocrati, imprenditori e mafiosi portano d'estate, aperte sui petti villosi adorni di pesanti catene d'oro, durante le feste nei giardini o sulle terrazze delle loro utile di Mondello o del,Addaura, camicie che costano più del salario che ricevono le bambinaie, i cuochi, t' camerieri, gli sguatteri e i filippini o arabi di cui Palermo è piena.
Nelle vie trasversali di via Ruggero Settimo vi sono poi gli studi di grandi avvocati, dei grandi commercialisti, dei grandi medici, degli architetti e degli arredatori alla moda, vi sono antiquari e gallerie d'arte che in questi anni si sono arricchiti in maniera smurata. In quasi trecento metri di strada, in quest 'area di non più di mille metri quadrati, affluisce, circola l'immensa ricchezza di Palermo, il fiume di denaro della droga, degli appalti, dei traffici di ogni sorta. Più su la piazza del teatro Massimo segue la linea di demarcazione, il confine tra la Palermo ricca e la Palermo povera. Oltre la piazza, comincia via Maqueda, la via e i quartieri dei negozi popolari, dei mercati, delle case e degli antichi palazzi cadenti e faticenti" (48).

GLI UOMINI BLINDATI

Imposero l'auto blindata e la scorta armata. Il 9 maggio avevano ucciso un altro povero cristo.
L'intera primavera fu piena di tensioni, e segnali.
Scortati e ostaggi, presenza vaga della Repubblica, ci si abituò. La blindata procedeva sicura e agile come NACA.

"Ma che eroi questa età vuole impiegati" (49).

IL SEGRETARIO INSICURO

La Sicilia è nazione. La Regione è governo, I consiglieri' deputati. Palermo è capitale. Invasore, straniero, altro: nessuno ha piegato il popolo. È immutato, com'era. Ospitale e impenetrabile. "La disponibilità? L'ostilità? Quanto risulta trasformismo? È perchè siamo radicalmente insicuri" , mi confessò il segretario regionale. Tutti i torti vanno riparati.

IL DIRETTORE

Era noto il suo genio: individuare i soldi, prenderli, spenderli. Vigoroso e rapido. Le pieghe più refrattarie del bilancio cedevano alla sua passione. Spendere, nell'immensa regione meridionale, è giusto. Comunque. "E l'acqua, dottore?", chiesi. "Dopo mezzo secolo di spese, tante, mobili e fluide, l'acqua non c'è. Le regole dottore". "Ve le dò io le regole", fece sapere, qualche giorno dopo. Non replicai. Frattanto, la mafia aveva ucciso Giovanni. C'era da organizzare la fiaccolata.

"Non hanno altra morale che ti malloppo" (50).

IL CAVALIERE

La vertenza sindacale era stata strana, primitiva. Il cavaliere aveva licenziato in tronco una giovane terapista. "Mi ha mancato di rispetto". "Occorre rispettare le regole. Chiediamo una formale trattativa sindacale", pretesero i focosi sindacalisti. Il cavaa1iere si guardò attorno smarrito, contorcendosi dietro la scrivania, vasta e nera. "Cos' è una trattativa sindacale?", chiese sinceramente disinformato all'avvocato che l'assisteva. Saggiamente contropropose una chiacchierata a quattro occhi e un caffè. "Si fa tra persone perbene".

 I BAGNANTI

Decidemmo di fare una passeggiata nella riviera dello Zingaro. Si sà, ed è giusto, d'estate vengono gli amici da fuori. Silvia veniva da Roma. Giunti allo Zingaro, per i tempi residui del poomeriggio inoltrato, andammo alla prima caletta marina, in fondo ad un cubo di scogli ripidi. Il sole declinò veloce. Il caldo trapassò in brezza quasi fredda. "Non fai il bagno?" , mi chiese Silvia, naturalmente già in acqua. È che stavo registrando, fuori campo, le sconcertate reazioni dei rari bagnanti, ancora presenti sul posto, che imbruniva, alla: scena: una ragazza che si butta incerta e sola in acqua; un giovane mingherlino che si posa immobile sopra una pietra; dieci giovanotti che provano a distribuirsi, a rarefarsi sugli scogli, improbabili ombre, con pistole e mitragliette nelle tasche dei pantaloni, nei giubbotti, sotto le ascelle, dentro domestiche borse da massaia.
Il mare diventò blu intenso, viola e di piombo.

L'AUTUNNO

Uccisero ancora giudici, imprenditori e adolescenti. Scesero a parlare presidenti e ministri, assessori e commissari. Summit e vertici, misure d'emergenza. Nell'autunno della resa dei conti.

L'IMPERATORE

Donchisciotti vaghi, testimoni della città, che declina, scrissero lettere a Roma. Il signor K scrisse all'imperatore.

UN MESSAGGIO DELL'IMPERATORE

"L'Imperatore - così si racconta - ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l'imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare ti messaggero a letto, sussurrandogli ti messaggio all'orecchio; e gli premeva tanto che se l'è fatto ripetere all'orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l'esattezza di quel che gli veniva detto: e innanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti e ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinnanzi a tutti loro ha congedato ti messaggero. Questi s 'è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l'uno or con l'altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno ji:ne. Se avesse via libera, all'aperto, come volerebbe! E presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non n'uscirà mai a superare; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c'è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro ti secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dall'ultima porta - ma questo mai e poi mai potrà avvenire - c'è tutta la città imperiale davanti a lui, ti centro del mondo, ripieno di tutti i suoi riji:uti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto.
Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera" (51).

L'ULTIMO GIUDICE

L'ultimo giudice ucciso sulla scarpata. "Dimettiamoci tutti", urlò il' magistrato. Giovane. Febbrile. Nero. Barbuto. Fecero lo sciopero generale. Prima dei cenoni natalizi.

LA CITTÀ

La pioggia sfalda sottosuoli occlusi.
Sozzure di cielo e di terra. Di uomini.
La città in fuga da se stessa.
Palermo implode.

l'EDICOLANTE

"Dov' è l'arena della Sirenetta di Mondello ?" , chiesi al giornalaio che armeggiava dentro il chiosco dell'edicola. "C'è un convegno del coordinamento antimafia" , precisai per eccesso di premura. "Non saprei, signore", mi rispose.
"Ma dov'è, Cristo, questa Sirenetta?", mi inalberai. Mi voltai. La Sirenetta era lì, di fronte all'edicola, il nome in bella evidenza. L'edicolante, quella sera, non la vedeva.

C'ERA UNA VOLTA IL FIUME

La strada rotola, inabissandosi dalla montagna al mare. Solitudini di campagne sconfitte. Masserie perdute. Di contadini ultimi e folli. Paesi, fantasmi su pietre remote. Del grande fiume strozzato, oscene tracce e smorte . Senza memorie. L'automobile plana, su un filo vago di sirtaki.

REATO COI FIOCCHI

Appunto sul linguaggio corrente attorno al massacri politico-mafiosi. Esempio "delitto eccellente".
Dal vocabolario.
ECCELLENTE: egregio, eletto, esimio, fine, impagabile, meraviglioso, ottimo, prezioso, solenne, sovrano, squisito, coi fiocchi.
DELITTO: crimine, reato, misfatto, scelleratezza, maleficio, colpa, peccato.
DELITTO ECCELLENTE: scelleratezza prelibata; crimine squisito; colpa meravigliosa; maleficio solenne; peccato sovrano. REATO COI FIOCCHI.

DALL'AEREO

Palermo è foschia cinerea. Luci dense rimbalzano sui fianchi delle rocce. Da nord-est a Monte Pellegrino. Costruendo traiettorie, come lame abbaglianti. Che si incrociano in giochi mobili e tortuosi. L'aereo tracolla su Punta Raisi.

PIAZZA MARINA

Il ficus secolare, ''l'albera'', della poetessa rimbalza luci e desideri nel salone delle carte e dei libri. Luci nel cielo, rami che tornano radici nella terra. Radici di streghe squartate e inquisitori beffati. Circolo regale c sanguigno del popolo segreto della piazza.

"Il centro storico è come la natura: è la tua origine, il tuo ambiente nativo. Sai non ho mai apprezzato ciò che non ha radiici. Non saprei vivere al di fuori del centro storico" (52).
“ lo penso che a Palermo si realizza talvolta uno strano, magico rapporto tra pensiero e affettività. È questo che penso" (53).

IL FUNZIONARIO

Ore 8: l'agenda, la mazzetta dei giornali, la borsa dei documenti, il caffè, le sigarette, l'auto blindata. "Ciao ragazzi, possiamo andare".
Ore 14: l'agenda, la mazzetta dei giornali, la borsa dei documenti,il caffè, le sigarette, l'auto blindata. "Ciao ragazzi, possiamo tornare .
Ore 16: l'agenda, i giornali, la borsa, il caffè, le sigarette, l'auto blindata. "Ciao ragazzi, possiamo andare".
Ore 20: l'agenda, i giornali, la borsa, il caffè, le sigarette, l’auto blindata. "Ciao ragazzi, possiamo tornare".
Ore 22: i giornali, il block notes, il caffè, le sigarette. "Ciao ragazzi, possiamo andare".
Ore 24: "Ciao ragazzi, possiamo tornare".

"Stavano parlando delle ragioni per cui lei è diventato funzionario di polizia" .
"Forse, poichè il delitto ci appartiene, per saperne un po' di più" .
Sì, è vero, il delitto ci appartiene; ma c'è chi appartiene al delitto" (54).

MORTE DI UN LEGULEIO

È soltanto una lite e volgare", sentenziò il Politico. "Mi ha mancato di rispetto, spigoloso com'è".
"Se ho i soldi, io spendo. Non c'è leguleio che tenga". Il leguleio fu ucciso. Noi siamo investigatori dilettanti.

IL SILENZIO

Trascorsero sette mesi dall'assassinio del funzionario. La vedova lamentò il silenzio. Il fratello criticò politici e magistrati. Il presidente promise una bella commemorazione.

"Evitiamo lo spargimento di sangue, meglio istituire la carica di eroe ordinario" (55).

Lo lapidarono con un monumento" (56).

IL POTERE SENZA NOME

"Nella nostra infanzia abbiamo sentito, più che propriamente conosciuto, un potere che si può ora dire di integrale criminalità, un potere che si può anche dire, paradossalmente sono, di buona salute:' si capisce, nel senso del crimine se confrontato a quello schizofrenico di oggi. La criminalità di quel potere si afferma soprattutto nel non ne ammettere altro al di fuori della propria vantata, ed esteticamente decorata ...
Inutile dire che preferisco la schizofrenia alla buona salute; e credo anche lei. Ma di questa schizofrenia bisogna tener conto, per spiegarci certe cose altrimenti inspiegabili. Come pure bisogna tener conto della stupidità, della pura stupidità, che a volte vi si insinua e prevale ... C'è un potere visibile, nominabile, enumerabile, e c'è n'è un altro, non enumerabile, senza nome, senza nomi, che nuota sott'acqua. Quello visibile combatte quello sotto acqua, e specialmente nei momenti in cui si permette di affiorare gagliardamente, e cioè violentemente e sanguinosamente: ma il fatto è che ne ha bisogno" (57).
"La legge. Una, legge, pensava, per quanto iniqua è pur sempre forma della ragione: per conseguirne il fine di estrema, definitiva iniquità, quelli stessi che l'hanno voluta e che l'hanno fatta, sono costretti a prevaricarla e violentarla" (58).

IL PALAZZO

Gli androni vasti e lividi. Colonne grigiastre, in ragnatele di fili di luce smorta. Passaggi sulle scalinate, come fughe.
Bunker ritagliati, incassati in anfratti laterali. Giudici, condannati, giornalisti; spie, scorte, bersagli, faccendieri, perdigiorno. Un immane popolo inquieto si inabissa nel palazzo.

"Non è bello sospettare qualcuno quando non c'è il minimo dubbio" (59).

"È caduta su di lui l'ombra del sospetto. E in quest 'ombra si nasconde" (60).

,Le leve dell'ingiustizia sono sempre nelle giuste mani" (61).

"Ci sono notti troppo buie per poterle vedere" (62).

"Ecco un custode della legge: la difende così bene perchè nessuno possa servirsene" (63).

"Quelli che hanno vinto, per salvarmii devono farsi passare per passeggeri ciechi" (64).

"Non pretendete che chi ha il bavaglio sulla bocca ve lo dica" (65).

IL SIGNORE DEL BUNKER

La banca dati dei misteri e dei delitti.

Accumulò notizie; ipotesi e sospetti; calunnie e terrori. Confessioni estorte e volontarie ammissioni. Tessitura di segni. Anonimi, conversazioni per caso,' oblique tensioni.
Il bunker osceno, letto, frigo-bare doccia compresi. L'istituzione multiforme; barriera di trame e ricatti; tentacolare interfaccia del potere omicida.
Ne riflesse talvolta il ghigno feroce. Il sorriso aleggiò, felpato, come ombra. L'uomo vi abitò dentro, signore e servo.

IL GIOVANE DEL NUOVO PALAZZO

Il nuovo Palazzo. La parola che spacca, il fascino della balena bianca. Le forme e i corpi. Le prime generazioni al crepuscolo dell'infinito medioevo. Confusero potere e libertà. Troppo cristiano per narrare l'orrore. Si sa, le forme di Apollo scisse dal genio terrestre, trapassano in retorica. Fu giusta retorica, e impotente.

IL MANAGER

Magro, olivastro, aquilino, il Presidente, sindacalista moderno, democratico, cristiano. Livido e deciso. "È il manager pii: audace", proclamarono in coro gli estimatori. "Andrò presto a Roma", informò, dopo l'assassinio del suo funzionario. A chi l'accusò di vigliaccheria, rispose: "Non c'è bisogno di spifferar" ai quattro venti le minacce ricevute".

LE OMELIE

"L'epoca delle rotture è finita". "Basta con l'emergenza".
"La città ha bisogno di concordia e serenità". "Soltanto l'unità degli sforzi è vincente". "Si dia vita alla stagione dei doveri". "Dopo le parole i fatti". Fu l'autunno della serenità e dell'unità, salvo 38 piccolissimi assassini. Fervide preghiere furono innalzate alla Santuzza. Qualcuno genuinamente' polisenso, interpretò: , 'Dalle rotture alle costruzioni" .

IL PRETE VIOLA

Il prete disse rare parole, a voce fioca, lenta. L'accento echeggiò lingue rudi e remote della grande provincia. Il volto arabo ,restò immoto. Gli occhi viola tradirono inavvertitamente bagliori implacabili. Preannunciò la spaccatura inesorabile della città,

CERCANPO PALERMO

Stralunato e infreddolito, acquistò i 4 pacchetti di "MS" c i giornali. Infilò un filone di pane nella borsa da lavoro, tra le carte. Pioveva a dirotto sui dedali della Vucciria, già viscida e grigia. 'Sbirciò "L'Ora":. "Il presunto boss 'Fidanzati arrestato a Milano" .'
"Ennesimo duro attacco all'autonomia siciliana: tagliati i fondi della finanziaria". "Dotto s'è scordato di mia. Mio figlio è tra i precari del i' ospedale. Deve lavorare, dottore" , gli rammentò il barista di Piazza Marina. Prima di decidersi a prendere la strada per l'ufficio, fu attirato dalla vetrina della libreria. Il titolo di un libro: "Cercando Palermo" (66).

"Spinto dall'urgenza di risolvere ti problema, Armando Berti si decise per un breve soggiorno nella città che avrebbe visto la sua nascita come luminare (.,.).
Si trattava di un viaggio da fare come una conquista, lui e i suoi colleghi erano partiti per un sopralluogo come secoli prima sarebbero andati per spiegare quelle città dell'impero che erano ai confini del mondo (.. ,). Una scelta difficile, una sfida, un 'avventura da creare, da immaginare giorno dopo giorno. Sciogliere gli enigmi che facevano diventare misteriosa la vecchia Europa, come dire che la mancanza di razionalità e di senso si avvicina, assedia già la soglia di casa" (67).

Sia come sia è una città ricca e i soldi circolano, la città dove più facilmente si vendono auto di grossa cilindrata. Il lusso dei negozi è più grande che a Milano" (68).

"Scese davanti al teatro Politeama e rimase perplesso a guardarsi attorno.
Chiosco del Bastle aggiornato con serrande colar topo in stile post-moderno, all'interno vetrine dalle cornici dorate, grande abbondanza di bigiotteria pacchiana. Empon'o Armani in mezzo a due bancarelle, una con caramelle, leccalecca, liquerizie sintetiche, orologi di plastica con dentro il quadrante pallini commestibili. L'altra che offre semi di zucca, ceci, noccioline americane. Seduti accanto, dei ragazzi nemmeno tredicenni. Negozi di fiori, un 'edicola, un bar, traffico lento e disordinato. l'aria piena di gas di scarico. Una città ostile, sporca e rumorosa, l'odore di zagare di cui scriveva Franchetti era svanito per sempre" (69).

"Perchè questa città è come sulla luna e tutto arriva dalla terra, da altrove ... Se la gente, e non solo i forestieri, andasse ad osservare i mercati generali o anche il porto, vedrebbe che tutto arriva da fuori, che lontano da qui c'è tutto un lavorio che serve a nutrirci, e sempre da lontano arrivano i soldi per pagare tutto quanto. Da dove vengono questi soldi? La gente lavora e spuntano le cose, si costruiscono macchine e si coltivano piante. Perch' una parte di tutto questo lo danno a noi? Perchè lo fanno? Lei sembra una persona istruita, lei forse lo sà? Ci temono e ci osservano, hanno paura di noi. Io lo so, mi creda che è così. Pure capisco che questo possa sembrare strano" (70).

"Armando si disse che doveva stare attento, in quella città le cose sembravano essere quasi come negli altri posti. Poi c'era un piccolo particolare che non quadrava e cambiava completamente il significato di tutta la faccenda. Il suo lavoro era cercare lo scollamento" (71).

"Di sicuro, per qualche verso nel progredire della civiltà c'entra la fiducia. Lì ne sentiva fisicamente l'assenza, come se nell'aria che respirava mancasse una componente essenziale. Il corpo sociale non poteva vivere e prosperare in simili condizioni, quelli erano i insultati. Ognuno era furbo per sè, troppo furbo. Chiaro che non calcolando niente oltre tf proprio personale tornaconto la civiltà non può andare avanti. Quella città rischiava di diventare un buco nero per tutto l'occidente, in Italia se ne vedevano già i primi effetti" (72).

"Con uno sforzo di astrazione percepiva che gli interrogativi erano all'interno di un insieme che tutti li conteneva: qual'era il significato delle città non-sense? E il loro futuro come si prospettava? Cominciava dalla domanda più immediatamente percepibile, apparentemente la più semplice, e già mancavano le risposte. Se lì non c'era una base produttiva in qualche altro posto doveva pur esserci, era inevitabile. Sì, ma dove?" (73).

 "Armando capì di essere vicino allo scollamento che andava cercando. '
Nella città il valore astratto del profitto e della razionalità dovrebbe crescere, liberarsi dagli impedimenti affettivi che servono solo a mantenere statico l'ordine sociale. Se questo processo non si fosse messo in moto, la comunità urbana non si sarebbe mai staccata dalla terra. Lì era diverso. Nella frazione di città nonsense in cui per caso era andato ad inciampare tutto questo non avveniva. In quello che ormai chiamava l' american bar society c'era il germe di qualcosa che contraddiceva l'evoluzione della storia, che impediva il libero espandersi delle personalità" (74).

Con uno sforzo per non perdere la pazienza pensò che se quelli erano gli usi e i costumi locali, tanto valeva cercare di adattarsi. Non sapevano che significava sbrigarsi e lavorare in silenzio. Passavano il tempo a spaccare il capello in quattro perché non avevano nient’altro da fare. Persi in un mare di sofismi eccessivi in un punto in cui l’incapacità quasi' coincideva con una sorta di' contorta genialità, entrambe lontane dal banale lavoro quotidiano "(75 ).

LA GRANDE RAGIONE

La RAGIONE. "Tutti i miei libri' in effetti ne fanno uno.

Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che viene ad articolarsi come la storia di' una continua sconfitta della ragione' ".
(Leonardo Sciascia)

La POLIS.," Non a caso immagino che il prossimo messaggio che bisognerà dare all'interno della città sia quello di costringere con tutti mezzi al buon; funzionamento della macchina comunale, rivoltandola, ristrutturandola, massacrandola, se necessario. La politica ha ormai vissuto la propria. stagione, adesso bisogna che diventi burocrazia, amministrazione, che diventi quotidianità" (76).

Il CORPO. "Quando godevi, un grido profondo, molto profondo, usciva dal tuo ventre. Tra una risata, un canto, un pianto " (77).

"Nietzsche che ha riassunto nel concetto di CORPO t/l!te. ciò che non è compreso negli istituti della ragione retta dall’imperialiasmo dell'Ego Cartesiano. Riattivare il CORPO significa dunque costruire, in luogo del cogito che si era fatto cogital getto totale ed esclusivo, una realtà più complessa, quella appunto del corpo e della sua GRANDE RAGIONE (. . .).
È l'uomo che porta in sè il più, super, della corporeità, che la ragione della scienza, della filosofia e anche della letteratura classica, ammettevano soltanto, in quanto oggetto 'di conoscenza, ma mai come  soggetto stesso di'un sapere" (78). ,

Lo scrittore fu aspro tutore della ragione, se pure refrattario alla polis e il corpo.
Il giovane. politico fu ardito messaggero della novella polis, indocile alla ragione e astratto dal corpo.
I CORPI" - singoli e comuni – trattenuti ai margini dell’astratta ragione e della polis superba.
Furono così in conflitto, lo scrittore, il politico e i corpi ..
Contro la ragione dei corpi politici. Politica: "fare comunità senza più presupposti nè condizioni di appartenenza" (79).

LA MORTE E IL POTERE

"Si muore troppo facilmente. Dovrebbe essere molto più difficile morire" (80).
"In ogni caso hanno vinto quelli che hanno ricacciato il mondo  nella struttura psichica della guerra. Possono benissimo . scomparire, tutti, fino all'ultimo: lasciano in eredità la guerra e le prossime guerre"(81).,
"Nella vita la cosa audace è odiare la morte; sono disprezzabili e disperate le religioni che ottundono quest 'odio" (82),

"Il mio odio per la morte presuppone un 'incessante consapevolezza della morte; mi meraviglia di riuscire a vivere così" (83).

"Sentire incessantemente' la morte senza condividere una delle religioni consolatrici, che temerarietà, che terribile temerarietà" (84).

"Ogni guerra contiene tutte le precedenti" (85).

"Lo sforzo più grande della vita è di non abituarsi alla morte" (86).

'Nello sforzo dei singoli per allontanare da sè la morte è sorta la mostruosa struttura del potere" (87).

VIDEO GAMES

Il Presidente della nazione lesse il discorso, preparato da settimane. Immacolati e garbati accesero fuochi d'artificio nel deserto. Scomparvero gli uomini e i morti. "L'operazione è stata stupenda" .

LA PAROLA

Il segno è vuoto. La parola vana. Felci di pietra nelle notti blu del deserto.

I PRETI

Troppi preti, soli, dall'Albergheria allo Zeno Travestiti e buttane a Piazza San Domenico. Il fromboliere del Cep, dell'Italia battuta.

LE OMBRE

Piovve a dirotto per tutta l'alta valle dell'Oreto. Il "Castellaccio" sul picco della montagna: un' ombra remota. Gli alberi di limone riflessero vaghi baluginii dell'alba. "Ombre, latitanti ho incontrato nei rifugi montani, per caso. "Il capomafia è vescovo", disse la ragazza all'ospite infreddolito, nella casa di lilliput, incassata nella roccia.

I VAMPIRI

"La lotta per ti potere va condotta contro di esso" (1).

RESISTENZE

Ci aiutarono i vini. Qualche canto. Libri aggrediti. Amanti per caso. Fantasmi.

'E mi rendo conto però che proprio quel mio immedesimarmi nella umanità altrui, lasciava sempre più spazio dentro di me al Grande Nemico, quel "chi me lo fa fare?' '. Che si presenta ciclicamente indisponente, sprezzante, nei momenti degli ostacoli e delle disillusioni (. . .).

Stasera quasi per caso, ho imparato che una strada ti dà la voglia di percorrerla se in ogni posto e in ogni momento ti regala qualcuno che non hai mai visto che ti fa sentire come lui.

Finchè lo incontri, o sai che c'è, vale la pena di continuare a camminare" (2).

VAMPIRI A PALERMO

I vampiri a Palermo vivevano, passeggiavano, lavoravano, dormivano tra i cittadini normali. Non erano riconoscibili a prima vista, a volte completamente irriconoscibili. Altri, se ne discostavano per alcuni impercettibili segni. I volti più pallidi. I segni di una fatica speciale. Nei corpi più magri, più curvi. La coscienza infelice di essere pochi, battuti in partenza. Erano in pochi i vampiri, una striminzita minoranza. Per di più dispersa nei labirinti della città. Non esisteva una comunità di vampiri. Ciascuno dei vampiri, per la gran parte" viveva isolato, per proprio conto, senza neppur poter ,conoscere altri vampiri, neppure un altro vampiro. Nonostante lo sforzo di fare adepti. Ma era più facile da vampiri omologarsi agli uomini normali che trasmutare in vampiro vero un uomo normale, o restare vampiro a vita cocciutamente.
A volte, tanta era la solitudine, e il dolore, che anche l'ultimo sparuto drappello di rari vampiri rischiò l'annientamento, l' autodistruzione; tanto valeva ridiventare tutti uomini normali. Sì, senza dolore, senza solitudine. Senza pallore sui volti. Finalmente eguali, omologhi, benvoluti da tutti.

"' Mettersi sulle tracce del vampiro è un gioco venatorio appassionante. Permette di scoprire pipistrelli vampireschi nelle pagine di autori più insospettabili. I grandi del sapere moderno hanno quasi tutti avuto commerci inconfessati con il vampiro.
Proust e Joyce, Musi! e Mann, tutti hanno nascosto almeno un piccolo pipistrello nei loro libri, hanno subìto il fascino contagioso del non-mostro, del defunto ribelle che torna a dissanguare i vivi (. .. )" (3).
Quella dei vampiri è una cultura rimossa, cancellata (. . .). Il vampiro è il "mostro" più metaforico, il più' 'intellettuale", pur essendo popolarissimo e riprodotto dall'industria culturale in quasi tutto il mondo (.,.)" (4).
"La cultura di fine secolo è la cultura del vampiro (. . .)" (5). "Come la cultura di fine secolo, il vampiro è inafferabile (. . .)" (6).
"Il vampiro è l'eterna transizione (. .. ). Il vampiro è ambiguo (. . .),
Il vampiro è polimorfo e protetforme" (7).

UNTORI

Nell' autunno della resa dei conti.
Cercarono di dipingerli umori e vigliacchi. Veline. Colpi bassi. Vociferazioni e veleni. Sotterfugi. Ricatti. Palermo esplode il suo genio suicida.

BUROCRATI

L'ignavia dei minuscoli burocrati, tenaci e ossessivi, è capace di violenze inaudite. Di titanici sadismi.

"Umberto U. '" si mise ad ascoltare quanto Alberto E., vero e proprio monumento di astuzia politica, aveva da consigliargli (. . .). Questo accadeva più o meno sempre alla vigilia di una questione importante, di un problema che l'Apparato avrebbe poi risolto in forma assembleare, con ampia e larga consultazione e che, dunque, richiedeva prima della messa in scena, i giochi dei rapporti di forza, la costruzione delle alleanze, la segretezza dei legami di subordinazione (. . .)" (8).
. 'Umberto U. riconosceva di essere legato ormai molto pericolosamente al doppio gioco tra immagini della tradizione e tecniche necessarie alla sopravvivenza della medesima (. .. )" (9).

"Conosceva ognuna delle forme puntuali del lessico dell'apparato (. . .). Sapeva infatti che la regola del gioco era innanzitutto nel conoscere la potenza di una falsificazione accumulatasi in anni di sofisticato esercizio politico (. .. )" (lO).

"Abituato alla simulazione quotidiana che il proprio lavoro gli imponeva, sapeva di potere comunicare con Marcella solo simulando amore (. .. )" (11).

'Umberto U. pensa a tutto ciò cercando di evitare gli addensamenti più importuni di plebaglia accaldata. Di quella gente non ha rispetto; non sente il fascino di quel sottoproletariato vociante ed opaco; intristisce sulle movenze dei ceti medi, che avanzano a grappoli di famigliole grasse; non comunica con quei pochi che riesce ad individuare come operai.
Per Umberto U. quei forti referenti del suo lavoro politico sono moneta, sono soltanto capitale, risorsa da scambiare (. . .)" (.12).
'Albero E. lo stava guardando diritto negli occhi e sembra avere capito gli interrogativi di Umberto U. - lo so che non mi deluderai - gli sibila come fosse un comando e quasi a voler spiegarsi aggiunge: - so bene che qualsiasi cosa ti accadesse o stesse accadendo, tu sei capace di farcela. Sei della nostra stessa pasta. Anche se sei giovane ... Sì dico, sembrate più strani, più volubili, più fiacchi ... Ma invece siete, forse, ancora più tosti di noi ... E quando noi saremo scomparsi voi sarete esattamente come noi ... è uno stesso sangue ... ci sono voluti anni e anni per diventare così. .. e così deve essere " (13).
"Meglio un politico narcisista che un politico annoiato o frustrato: non ti sembra? (. . .).
Io mi auguro che ci sia anche il piacere di una ambizione onesta. Qualche volta mi è sembrato che in certi politici del PC! ci sia una specie di frustrazione generale metodologica. E questa dà loro una piccola vertigine burocratica (. . .). A forza di negarsi l'ambizione personale, a forza di sentirsi piccoli sacerdoti della comunità, si può diventare lucubri sentinelle di congegni amministrativi astratti e immobilisti (. . .). Perchè molti comunisti in questi ultimi vent 'anni sembrano un po ' grigi, maledettamente preoccupati, tendenzialmente inespressivi? (. . .). Una specie di superio arcigno e asfissiante" (14).

"Sinistre statue
di politici con mobili labbra. Fatue
- come i fuochi mortuari -
le loro parole da modulari" (15).

.'Gli altri, gli errori coscienti,
- anzi nemmeno gli errori,
ma i colpi proibiti, le tetre invenzioni,
-le crude
violenze sull'uomo inferte con piena lucidità,
pesando l’utile e ti danno di ogni misfatto,
non riguardano la mia e la vostra sfera, ma il gelido
inferno del potere,
i macabri giochi, le tresche contorte della politica" (16).

Divelte così dal campo
- le stanche ragioni ideali
 la lotta si svolge nelle arse
- bassure del pragma.
Chi lotta per un mondo diverso,
- chi inalbera ancora bandiere,
avrà come pena di vivere ti sacrificio
 - di fecondare un deserto,
a meno che la realtà del deserto
non lo concili con ti compito ingrato
e lo induca a pregiare la sabbia
- invece del tufo ancestrale (17).

IL CAPO

L'autunno coprì di grigio e di gelo la città della Primavera.
Assassinarono giudici, imprenditori e adolescenti. Calarono, a frotte, gli uomini infidi della Repubblica, a recriminare. Rimossero preti, poliziotti, sindaci. Immense organizzazioni continuarono a discutere, perdute. In tivù piovre allettarono e alleviarono gli animi democratici nei salotti, solitari, di casa. I giudici fecero lo sciopero generale, prima dei cenoni natalizi. Fu la resa dei conti.
Dalla città lontana scrissero lettere, invano. Roma restò remota, l'imperatore scomparso.
Diritti, scritture in frammenti, lampi da rari libri remoti, in compagnia di vinti e adolescenti, inutili viaggi di strani messaggeri, fughe improvvise sui monti, desideri corsari, febbri, sigarette, a stento sbarcando il lunario. Rotolarono per l'autunno, così.
Il grande capo, seducente e austero nella stanza di luce, sulla villa Borghese, disse: "È soltanto una questione di metodo. Per il resto si proceda" .

L'ARCANGELO GABRIELE

"L'organizzazione è troppo debole nella lotta contro la mafia", denunciò il giovane ingenuo. Untore, destabilizzatore, sospetto, sete di potere, professionista dell'antimafia, antimafia da salotto, protagonismo, fumoso, velleitario, calunniatore, ignorante, cretino, investigatore dilettante, si crede L'ARCANGELO GABRIELE: così, sancirono i saggi dell'ORGANIZZAZIONE. Il giovanotto fu giustamente scacciato. L'ORGANIZZAZIONE potè continuare, gagliarda e serena, l'inesorabile combattimento.

NUDO

Quando la politica non gli accordò più alcun calore restò nudo. Solo. Come fu realmente.

COMPAGNI

Così, ci siamo perduti. L'altra città non esiste. La tragedia trapassa in farsa. La parola è il silenzio. La comunità dissolta. Procederemo senza compagni. Daccapo. Traverseremo stagioni di gelo. Soli.


Il CONGRESSO

Fu la fine del partito. Precipitato nel gorgo. Icaro schizzato e cambusto. I compagni votarono, ignavi, pragmatici, profetici, simboli e nomi nuovi. l'unica certezza: era finita. Il prossimo volo non sarà dritto nel sole, che brucia.

CENTO PARTITI IN VIALE DELLE MAGNOLIE
Chiamati a votare, per appello nominale, sul nome e simbolo, i compagni dissero: comunista, il mio partito, la quercia, il vecchio simbolo, il nuovo simbolo, l'alberto, democratico di sinistra, pidiesse, picci, democrazia e socialismo, comunista democratico, falce e martello, l'alberto con la radice del mio partito, più che la quercia l'albero. Sembrò che dovessero nascere cento partiti. Conclusero tuttavia tardissimo, nel lento pomeriggio domenicale, stravolti, stremati. In viale delle Magnolie.

GLI IMPOLITICI

Il giovane funzionario della Regione lo guardò, intenso, malinconico, socchiudendo gli occhi grigiocelesti e disse: "Sei stato per me un fratello. Più dell'amicizia. Una specie d'amore".

"Ho fondato fatiche e speranze sull'altra intelligenza, tua e dei compagni", interloquì il giovane politico. "lo, di più non posso fare. Tu hai tutto il possibile".
"Sono belve feroci. L'ignavia, il ricatto, il tenace sadismo dei minuscoli burocrati d'Apparato. Cercheranno di dissolverci", specificò il funzionario. "Siamo l'altro, assoluta minoranza. Gli impolitici della politica. Non c'è speranza di vittoria", disse il politico. "Resistere, magari inattuali", concluse il funzionario.

ICARO

Icaro è volato per sempre. La traiettoria è vertiginosa. Verso il sole. La fatica. Il sogno. La rabbia. Il pianto. L'ossessiva disciplina del decollo. La voglia del volo, nel corpo, come Dio. Il desiderio febbrile. Volontà di potenza. La proterva allegria della giovinezza. Il risucchio livido della palude. La zavorra della terra. Il ricatto inevitabile dei padri. Delle madri. I tentativi, violenti, delicati di giovani, uomini e donne. Di amici che si perdono per sempre. La solitudine: libera ed acre. Come morte. Il volo che sfida. Il volo che ride. Il volo che uccide. Il volo ... Il volo ... Schizza verso il sole. Il volo continua. Il volo si perde. Il volo ricade. Il volo resiste. Il sole brucia più dell'inferno. È finito. Icaro è morto o è già oltre il sole? !caro, il gabbiano JONATHAN, il marinaio della linea d'ombra. La sconfitta o oltre. È troppo tardi per fuggire indietro.

"Vivere nella nostra stagione storica senza rimpianti nè speranze,
usando la ragione, ma unita alla pietà.
Diversamente in  questi
tempi di fiele,
sola ragione diventa
un arido esercito
delle meningi, inutile e per virtù crudele" (18).

L'INCONTRO

"Tra gli amanti, restano occhi stranieri" , raccontò al cantore antico. "Siamo naufraghi del millennio finito". Mescolarono le melodie secolari e i ritmi della metropoli. Mescolarono memorie di dannati alla politica. Presenti, fantasmi, tenaci.

"Prigionieri delle sfere di cristallo, i metalmeccanici stanno zitti. Bisogna dunque, per vivere, soffocare lo sguardo triste dei primogeniti' (19).

"L'acqua scendeva a torrenti e per la strada non' circolava nessuno. Rimase quindici minuti fermo senza sapere che fare, poi si ritirò nella sua stanza in famiglia e si sentì svuotato. Giusi non c'era più. Telefonò ad un amico e non era in casa. Provò con un 'amica senza successo. Richiuse l'agendina e guadagnò la doccia. Non capiva cosa poteva desiderare di fare. Il pavimento era infangato. Cartacce traboccavano dagli scaffali. Avevo un pensiero fisso: la valigia, la pistola" (20).

"Mi chiamo Alfredo, non lavoro e non ho passatempi. Non leggo e passo le mie giornate come capita. Mi riciclo. Mi faccio mio per la casa che non ho. E quando mi stanco ritorno. Prendo l'autobus che mi lascia dove dico io. Comodo. Devo riposarmi bene. L'autobus deve essere quello. Non voglio fare ti pezzo a piedi. Non sò mai chi posso incontrare. Non sai mai come ti va a finire. E preso a calci negli stinchi bisogna stare zitti, perchè sennò è peggio. lo non saprei che fare. Li lascerei fare. Ecco, non sò cosa sia successo. Sono caduto male. Proprio un attimo. Quanto basta per non capire dove mettevo i piedi. E ti dolore, io e quanto desideravo: per terra. Senza rime dio" (21).

I CAPELLI DEL GIUDICE

Piccolo e nervoso, la barbetta satiresca, occhi come spilli dietro occhiali minuti e tondi, soliti jeans e giaccone da eterno ragazzo, il suo amico, docente universitario, gli narrò per 1'intera nottata di persone, accadimenti, tradimenti di Palermo, alimentando l' infuriata conversazione con generose bevute di Corvo bianco e rosso. Quel giudice, spocchioso, che non perde occasione per atteggiarsi a Vicario del numero uno, a vice-genio, insomma, avresti dovuto vederlo ai tempi della scuola, in pantaloni corti, i capelli crespi e ricci, furbo, ambiziosissimo. ipocrita, già allora", gli disse:
"Come? I capelli crespi é ricci?", domandò, meravigliato, l'ospite, "ma il giudice ha i capelli lisci, anzi levigati, spianati addirittura! " . " Appunto, se li è fatti levigare, spianare, piallare", informò il docente, "ad un giudice autorevole, quale il nostro vorrebbe essere, non si addicono capelli crespi e ricciuti, volgari capelli pop". Capelli pop e capelli piallati. Gli sembrò la chiave di lettura più appropriata per decifrare il Palazzo di giustizia. Ancora una volta, il suo amico, generoso e beffardo, vero Franti fra gli intellettuali veri o presunti della città, si riconfermò lo sguardo di Mefistofele di Palermo.

IL POPOLO

Il popolo si disperse nei supermercati e nelle sfere di cristallo.

BREVIARIO

"Affaticati di avere un 'intera notizia degli altri: non svelare ad alcuno i tuoi segreti: procura bensì indagar tu gli altrui' '(22).

"Il volgo dall'utile, .più che dall'onesto, vien tirato" (23).
"Non dar piglio mai a certe imprese, che han seco gran travaglio, poco lucro, pochissima gloria" (24).

"Non minacciar mai a chi degni di nuocere, poichè saprà guardarsi; ma figurati impotente, e diseguale di forze , ancorchè volessi. Internalo nella tua amicizia, invitalo a mensa, per così assicurarlo, e frattanto colloca dietro le portiere gente di buon udito, per cavar/o in campo, e farlo sparlar del Principe, o dell'altra materia gelosa, e così dinunzialo, come ribelle, o come contumace" (25).

Non si idò mai di qualcuno che ancor più non ne diffidasse: ecco - data anche l'abitudine di mettere vanamente alla prova l'animo dei suoi in modo che non riuscissero a nascondergli nulla `tI motivo di quel suo attento andar disseminando liti tra tutti" (26).

"Nello scegliere coloro che sono chiamati consiglieri segreti si dimostrò straordinariamente abile. Infatti andava in cerca di personaggi probi, illustri per competenza, dando loro come colleghi degli scellerati pieni di vizi: questo, perchè non si rafforzassero gli uni sulla probità, gli altri'sulla malvagità. Peni loro inevitabile, continuo dissenso, lui intanto veniva ad essere informato in precedenza di ogni cosa. Finivano col costituire, per così chiamarlo, un serraglio di bestie domestiche e selvatiche (. . .).

E tale norma prevedeva, giù, giù, fino alla scelta degli uomini della cancelleria: agli ottimi mescolava i pessimi, agli esperti

gli incapaci, mostrando di preferire questi e quelli senza nessuna considerazione di merito, bastandogli il fatto di riuscire a trarre fuori dal loro intimo grettezze e virtù e ad azzerare davanti come in una connessione che gli permetteva di conoscere di ciascuno non solo gli atti, ma addirittura i pensieri" (27).

'E alcuni li andava mettendo in prova con l'inusitato sistema di offrire ogni possibilità di piaceri a chi faceva mostra di moderazione, restando a vedere se era realmente capace di dominarsi" (28).
'Chi è veramente fedele rinuncia prima a un amico che a un nemico" (29).
"Non si vive neppure una volta" (30).
"Il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini" (31).
"È il colmo dell'ingratitudine se la salsiccia chiama porco un porco" (32).
"Spesso l'ingratitudine è del tutto sproporzionata al beneficio ricevuto" (33).

L ' ALTRA STORIA

Noi lo abbiamo cominciato ad amare nel momento in cui abbiamo capito la sua impotenza rifare il  mondo per noi, mentre intanto per amore di noi egli creava un sostituto simbolico di quel mondo nel quale a lui sarebbe piaciuto che noi potessimo vivere. Per via della sua impotenza, non per via della sua forza, noi abbiamo cominciato a capire e ad amare nostro padre" (34).

"I genitori non ci hanno affatto insegnato come è il mondo, hanno fatto tutto eccetto che farei conoscere il mondo com'è, invece ci hanno dato un via del loro sentimento di colpa e della loro pietà verso di noi, una rappresentazione del mondo, ci hanno dato un viatico, segni augurali, scambiando i loro conforti per una conoscenza del mondo" (35).

Trascorriamo nella vita, siamo capaci di trascorrere la vita senza in realtà essere esistiti; senza aver vissuto un attimo il presente, il presente lo si fuge perchè è l'arresto e nell'arresto ci sono la gioia e la sofferenza, ma noi trascuriamo la circostanza 'che è soltanto in quella sosta nella quale ci sono dolore e sofferenza che c'è anche l'opportunità di incontrare insieme al dolore anche un po' di gioia, se non la felicità" (36).

LA CITTA’ PLAUSIBILE

 Ma tu sottovaluti ciò che vi dò in cambio: la scomparsa, con me, di ciò che non ho mai saputo odiare: IL fine supremo. lo ne sono posseduto senza scampo. È a lui, a questa impossibile essenza, che io appartengo; a questa carcassa di fantasma, di cui sono ormai preda e inattuale messaggero. Nei mio sangue circola il seme ormai indigesto della città del sole" (37).

 E le palme? Beatrice, non ci sono più le palme a Palermo? - Ma come non lo sai?
- Che cosa?
- Abbiamo aderito alla Convenzione Internazionale della
Funzionalità. Abbiamo cancellato o trasferito nei musei tutte le architetture e le decorazioni urbane estetizzanti.
Abbiamo restituito agli arabi le loro tracce. Stiamo' sopprimendo la vegetazione afroasiatica: l'eterno tramonto la riduce a scheletri pacifici e angosciosi.
- Ma questa che Palermo è? lo non la conosco" (38).

 'Non ci crederai - dico - ma sai a che cosa sto lavorando?
Il vecchio progetto che chiamavano - La città plausibile" (39).

Ora so che dovrò chiamarlo "La città dei tramonto ". Del resto ragiona: qual è tf nostro problema ora? Come rendere plausibile e perfino godibile questo eterno tramonto" (40).

Ma è poi plausibile che si continui a chiamare tramonto questa luce costantemente flebile e rossa, da sole cadente? (. . .).
Ma ora come ora, perchè chiamare tramonto questa immobile luce rossastra?" (41).

Entro dopodomani devono essere pronti tutti i bozzetti dei mio piano urbanistico intitolato' 'Vivibilità del tramonto" e sono maledettamente in ritardo" (42),

"Voglio- disegnare serenamente una città contro la paura" (43).

"A proposito, ieri - dopo ti nostro successo del Madison Square Garden -- papy ed io siamo stati invitati al Vertice Mondiale della Salute Pubblica che si è celebrato ai Metropolitan. C'erano i presidenti degli USA, dell'URSS, del Giappone, della Cina, di Israele, della Nuova Lega Araba e - odi odi - della mafia. L'incontro' si è reso possibile - ha detto il portavoce del presidente americano -- in seguito al nuovo corso mafioso e alle riforme democratiche di cui l'attuale vertice mafioso si stà facendo promotore all'interno del suo sistema. Pare che tutte le can'che mafiose Stano ora regolarmente elettive, che da Palermo alla nuova Zelanda ogni consociato – di primo , di secondo o di terzo livello - abbia la sua regolare scheda personale e che la nuova "costituzione mafiosa" sia molto liberale.

Particolare balzano - tipico del vecchio esibizionismo di cosa nostra - è che il governo planetario mafioso ha ora sede a HollIywood ( .. .). Ormai ai più alti livelli politici si considera quello mafi'oso come l'unico potere effettivamente trasversale dell'intero globo terrestre" (44).

'La mafia si è ora democratizzata, ha scelto criteri che noi giovani rampanti chiamiamo civili, ha un prendente che si dichiara pacifista, uccide solo coloro che infangano una legge scn'tta e votata dalla maggioranza del parlamento mafioso" (45).

"A proposito, qualcuno ti ha detto che il tramonto a Palermo diventa sempre più violaceo? È proprio così: ogni giorno più violaceo" (46).

"Mi ha suggerito che la vita può essere sopportabile solo a condizione che le attribuiamo un valore assai più alto di quello che sembra ragionevolmente avere. E questo è tanto più vero quanto meno siamo "credenti' '. Solo un laico può capire quale fantasia occorre e quale rischio è necessario per dare all'esistenza terrena una dignità pari a quella che i veri credenti traggono dalla fede" (47).

SOLTANTO SE SI SMARRISCE

"Ora dopo aver lavorato seriamente sul "LEVIATANO ", so che includerò questo libro nella mia' 'Bibbia ideale", la mia raccolta di libri più importanti - e con questo intendo specialmente i libri dei nemici" (49).

"Dell'aldilà è rimasto il nulla, la sua più pericolosa eredità" (50).

"Ecco: la città ideale del tramonto (ciò che prima era la città del sole) può essere felicemente abitata solo da chi ha imparato a dormire moltissimo e sarà l'esito trionfale di un 'apica lotta fra l'eccesso di presenza oggi al potere o la vocazione all'assenza che lo contesta" (48). .

"Uno trova la strada per casa sua soltanto se si smarrisce. E ogni volta deve scovare una strada nuova" (51).

"Il primo effetto dell'adattarsi agli altri è che si diventa noiosi" (52).

"L'uomo più orgoglioso sarebbe quello che odia ogni capo, quello che avanza senza eùere seguito. L'uomo meschino proprio per il fatto di seguire, si crea un seguito" (53).

"Finchè nel mondo ci sono ancora uomini che non hanno alcun potere, posso non disperare del tutto" (54).

"Bisogna affrontare l'uomo così com 'è, duro e oppresso.

Ma non gli si può permettere di attentare alla speranza. Questa speranza dovrà sgorgare soltanto dalla conoscenza più nera, altrimenti diventerà beffarda superstizione accelererà la fine, che' minaccia sempre più da vicino" (55).

'Gli uomini più tremendi: quelli che .hanno tutto e ci credono" (56).

"Quando i bakairi sono insoddisfatti del loro capo, abbandonano il villaggio e lo pregano di governare, ma da solo" (57).

"Trovare il cammino attraverso il labirinto del proprio tempo, senza soccombergli, ma anche senza saltarne fuori" (58).

L’EROS FREDDO



SINDACALISTI

Nell'ora della noia, dopo il pranzo e il caffè.
Delle ciarle più vaghe. Dei minuscoli burocrati, che impiantano salotti triviali. Del seminario inutile dei sindacalisti inesistenti. Nel!' ora più torbida della noia, soltanto la fuga degli amanti sulla scogliera squarcia, ma di poco, l'orrore.

LA VERTENZA

La spingo, di colpo. Cade, distesa. Il desiderio e precipita il corpo. D'attacco, che assalta, che scava. La gonna strappata dal basso, sui fianchi. S'illuminano, in un lampo, le cosce bianche, tese aggredite. La mano scorre, in alto, sul seno, liberando barriere. La mano stringe il sesso che s'apre. l corpi s'avventano, colludono. Un attimo, si predano. Voglia e calore; carne rigonfia; slargo s'espande; linfe concentrate irrorate. Chi s'apre e ti stringe; chi scava e colpisce. Colpi sordi ossessivi, di bacini selvaggi. Rito e fatica, contro gesti normali. Sciabordio animale. Il piacere che esplode: è la fine.
Restano occhi stranieri.

RITI

Il maglione sospinto. In alto. Liberando seni. La mano rapina calori e vibrazioni dal basso. Inguine elastico e teso. Tensioni di carni, rigonfie e leggere. Tracce di emozioni remote. Così, i riti propizzatori degli amanti. Mescolando calore e gelo.

L'ARCO

Era slanciata e vaga. Il volto, sfuggente, serbava potenze. Si piegò, un arco, sul tavolo. Il dorso, rettile, vibrante. Uscì dagli jeans appena. Sotto: le carni alte oblique. Lo prese, così. Dal dorso alla gola, un solo corpo, un lampo.

IL BAROLO

Nevicò. Roma, quella sera, echeggiò memorie antiche, di inverni e di gelo. La trattoria di Prati fu calda e rossa di bagliori. L'attesa troppo lunga: si presero. Il barolo infiammò le lingue e le gole. Restò il calore sensuale del vino, nélle tenebre di colle Palatino. Si amarono, in piedi, sulla fiancata dell'auto. Pantaloni e gonna demoliti. L'altro, più intimo vestiario, dissolto.

IL RACCORDO ANULARE

Prima del viaggio all'inferno. Celebrarono, amici e amici, in pizzeria, l'evento. In un vicolo remoto di Centocelle. Il canto, il vino, gli amici, leniscono, a volte, i dolori più cupi.' Teste e corpi si confusero, quella notte, nella piccola auto. Sotto il raccordo anulare. Si scambiarono l'essenziale. Fu inutile rivedersi ancora.

IL PULLMANN

Il pullmann scivolò, agile, dai monti sulla città. "Perchè leggi tanti giornali?", chiese la ragazza sconosciuta. "Dipende dal lavoro", rispose. Il pullmann si fermò nella grande piazza. "Questo è il mio telefono", disse la ragazza. "Oggi sarò al lavoro fino a tarda sera", rispose, dandole l'indirizzo. La luce era già spenta. Lo raggiunse. Si divorarono, come furie, sulle sedie, sbucciandosi le ginocchia sui tavoli freddi di metallo. Si conobbero da sempre. Andò via senza dire il suo nome.

I CORSARI

lo sono degli amori corsari. La bellezza che cade. I lampi nel buio. La solitudine che s'accende, e, brucia. Di colpo. Se è ingegno o morbo, io non so. Ma è così. .

LE SICARIE

'Nei quartieri pop ce ne stanno altre con grandi occhioni luccicanti che escono in strada con le vestaglie per raggiungere la fontanella, chinandosi mostrano gambe chiare con qualche graffio sottile. La voce di queste col tempo si indurisce di dialetto. Molti le desiderano con carezze frettolose e autunnali, ma le palermitane dei quartieri pop sono difficili da raggiungere: bisognerebbe entrare dalle finestre per prender/e e poi volarsene ai nuovo sentendo ancora sulle labbra l'odore che là la saliva. Presto queste palermitane prendono l'accento stridulo che va adesso di moda dove ogni parola viene storpiata in inglese, perdono anche la meraviglia e dimenticano di essere le gioie dell'alto sotto proletariato. Guardano le foto dei loro battesimi e non si riconoscono. Alcune, le più crudeli, certi pomeriggi prendono l'elenco telefonico e cercano a casa qualcuno con cui parlare come gelide sicarie. Portano casi il terrore sensuale alla città, sino a veder/a inginocchiare". (1).

ILPLUSVALORE

"Monte Pellegrino quest 'oggi risalta limpidamente, ti bel tempo mette in rilievo persino l'ocra del castello Utveggio abbandonato.
Suca si legge interminabilmente sui muri del piazzale. È la scritta che a Palermo viene tracciata su ogni parete bene in vista. La scritta di benvenuto.
(. . .) Se chiedo a un palermitano di scrivere qualcosa senza pensarci troppo, poco importa come, può avere un gessetto o un cervello elettronico, lui non ha dubbi, perchè la prima cosa che gli viene in mente è soltanto suca. Ovviamente esiste la dialettica, quindi l'umanità che vive a Palermo si divide in due categorie: quelli che scrivono suca e gli altri che cancellano suca. Questi ultimi, come Si- si sono i palermitani più infelici, i vinti, perchè, com 'è evidente guardando i muri, suca vince sempre: su insegne e saracinesche, cassonetti dell'immondizia, porte e anche monumenti; ne appaiono a centinaia e di tutte le dimensioni, suca brevissimi a matita o di lammpostyl, e suca giganteschi immersi in un diluvio di vernice (. . .). Si sà che prima o poi qualcuno leggerà, soprattutto uomini perchè, questo sì, suca è un insulto maschile rivolto castamente al mondo degli uomini, nonostante esprime una cosa che si desidera quasi sempre venga fatta da una ragazza. Talvolta suca è accompagnato dalla raccomandazione FORTE, ma un suca FORTE non muta l'essenza dell'offesa, piuttosto fa comprendere senza fatica cos 'è plusvalore" (2).
'Tutto ciò che va al di là del bacio è un immenso buco nero" (3).

IL TORO

Turpe ti coito di Paszfae con il toro,
ma umane e dolcissime le parole d'amore che ella
sussurrò nel chiuso legno della finta giovenca" (4).


LA CASA

La casa al primo piano di Vicolo Paterna, nel ventre più viscido e decrepito della Vucciria. Vi accumulò carte, pensieri e polvere. Nell'unica stanza, assaltata da colonie di blatte e formiche. L'illuminò, qualche volta, la ragazza corvina. Incontrata il primo giorno, al congresso, distratta, alI' ultima fila. Tediata.

LA CAMERA MATRIMONIAlE

"Nell'erotismo c'è questa gerarchia: chi fa; chi osserva; chi sa" (5).

"Poichè la legge proibisce di tenere in casa animali selvaggi e gli animali domestici non mi danno alcuna soddisfazione, preferisco non sposarmi" (6).

"L'erotismo è superamento degli ostacoli. L'ostacolo più seducente e più popolare è la morale" (7).

"Sono brutti tempi, quando il pathos della sensualità raggrinsisce in galanteria" (8).

, "L 'erotismo stalla sessualità come ti guadagno alla perdita" (9).

"La camera matrimoniale è la convivenza di brutalità e martirio" (lO).

"Gli uomini sono felici quando sentono ti coraggio della propria infelicità, quando sono coraggiosi abbastanza per ritornare alla propria infelicità dalla quale si erano separati non per essere felici, ma per essere lasciati in pace, per rimanere tranquilli" (11).

'L'amore è la più grande proposta di sofferenza che una persona possa rivolgere ad un 'altra, in realtà quando due persone decidono di stare insieme è perchè è passato ormai il pericolo e ciascuno è ritornato dov’era, dove soffriva meglio o dove  preferiva soffrite. Due persone si. mettono insieme, si sposano quando il . pericolo di perdere la propria individuale irriducibile infelicità è superato" (12).

"Il matrimonio. La famiglia, precisamente il matrimonio, la famiglia, le relazioni di ogni tipo sono servite a questo e continuano a servire a cautelarsi contro il pericolo di rinunciare alla propria individuale infelicità.

Preferiamo rimanere infelici piuttosto che assumere un rapporto di lucidità scientifica con noi stessi, preferiamo barricarci in una prigione piuttosto che esporci ali 'attrito della vita" (13).

NON SI TORCA IL NASO

"Per anni ho arrembato donne di ogni età ed estrazione sociale, senza soste, con una smania più cerebrale che erotica, balzando su tassi sul punto di mettersi in moto, iniziando colloqui con bellezze sconosciute in tram, o affiancandole in strada, lasciando lacciuoli dovunque potesse incappare una caviglia ben modellata, seminando il mio numero di telefono ovunque, colmando il mio taccuino telefonico di numeri preceduti da semplici iniziali, pedinando ostinatamente anche se con garbo e in silenzio fanciulle solo fino a un certo segno renitenti, amando su prati, spiagge, sentieri di montagna, alcove, persino, con sommo rischio, in portoni bui, su poltrone di cinema, in scompartimenti di treni, nella ressa dei tram. Non si torca il naso, si possono avere anche lunghe storie d'amore, pur anonime e mute, con sottintesi appuntamenti e opportune dislocazioni, . lungo il consueto percorso d'un autobus. Solo i cuori aridi e le anime sudicie possono dare nomi triviali a queste vicende" (14). .
"Lei lo sposò per averlo sempre con sè. Lui la sposò per dimenticarla" (15).

LA VORAGINE E IL FUOCO

Il grande fuoco non esiste più. Però, ognuno di quei fram-menti, ognuno di quei tizzoni brucia ancora, lacrirnando soffiando nel buio. C'è più confidenza e luce, in ciascuno di questi piccoli fuochi che nella nostalgia perversa di quello grande, che non c'è più.

Non è vero che il moderno ascetismo mortifichi il corpo: in questo anzi, è la sua fondamentale differenza rispetto a quello antico. La concentrazione del pensiero su se stesso, il pensiero che pensa se stesso, produce un accumulo di energie.

L'intensità dell' atto sessuale è direttamente. proporzionale alla quantità di cervello, che ognuno è disposto a impiegarvi, e consumarvi. Con questo non voglio dire affatto che l'atto sessuale debba essere intellettualizzato, sottoposto al cervello: al contrario. Voglio dire che è necessario RISCHIARE di "perdervi il cervello"; e non nel senso banale, per quanto fondamentalmente giusto, che nel possedere e nell'essere posseduto attraverso il congiungimento carnale si può USCIRE DI SENNO: ma nel senso più profondo, che in quell'istante si deve essere disposti a SUPEERARE OGNI LIMITE AL CONTROLLO RECIPROCO DELLE VARIE PARTI DEL PROPRIO ESSERE: nulla, allora, controlla più nulla ..

È per me del tutto evidente che, in questo senso - assolutamente solo. in questo -, l'atto sessuale è una "rappresentazione della morte": anche la morte, infatti, non è nient'altro che la messa in crisi definitiva di un rapporto reciproco e solidale tra le parti di un "patto': dell'essere a "stare insieme". Userò la parola giusta: FONDERI!.

Tutto si scioglie, si fonde soltanto, non c'è una sola relazione che tenga, SI È TUTTO IN UN SOLO FULMINANTE ISTANTE.

Insomma, il piacere come la morte - quand'è pervenuto al suo più alto livello - mette di fronte al confine estremo dell'essere: oltre il qua!.: non c'è nulla (e infatti il sapore del nulla si . avverte, si sente, si odora nel momento supremo dell'atto sessuale). Per questo - che se ne dica - IL PIACERE È COSÌ RARO.
Il proprio nume siamo noi. I Greci hanno avuto questa intuizione straordinaria che consisteva nel concretizzare nella figura del NUME il terrore dell'uomo per la vita - per la parte profonda della vita.
IL PIACERE È MUTO: gli manca la parola. E viceversa bisogna saper varcare la soglia dei silenzio - più profondo e tenebroso - per entrare nel dominio del piacere. In quel momento ci viene a mancare la fitta rete di relazioni tra significati, che il mondo delle parole sempre evoca: bisogna fare a meno, si fa a meno dei significati - se si vuole VERAMENTE cono?cere il corpo, la carne ... L'unico momento in cui due destini arrivano sul serio a penetrarsi, è lo stesso in cui ogni comunicazione cade: LA GRANDE COMUNICAZIONE richiede che non vi sia NESSUUNA COMUNICAZIONE. Si era in due - e si diventa uno solo:
SEMBRA il massimo dell' identificazione, il massimo della COONOSCENZA, - ma non ci si può parlare ...
Quando è eccessivo, un piacere diventa sofferenza. Certo è chè, oltre una certa soglia, piacere e sofferenza tendono a confondersi. Questo può voler dire che ambedue hanno la stessa radice; e questa radice potrebbe essere il desiderio umano di SFORZARE CONTINUAMENTE oltre ogni limite le proprie capacità già aquisite. Di conseguenza, si spiega perchè sia impossibile' 'tenere" a lungo un piacere (o una sofferenza) fuori misura: perchè il piacere sia straordinario, è necessario che sia breve; se è troppo lungo, o si normalizza, perdendo il proprio carattere di eccezionalità, oppure diventa insostenibile, fino al punto di essere distruttivo.
Quando uno arriva a "quel punto", crede d'essere ad un passo da quella soglia estrema del piacere, che consiste nel sapere ciò che si è. Ma per quanto l'illusione sia molto forte, a varcare quella soglia non si arriva mai: si resta sempre al di qua, dove il piacere e la conoscenza richiedono fatica, sforzo, sofferenza, affanno per venire e arrivare ... questo è ciò che manca all'atto sessuale per diventare il "piacere degli angeli": un godimento che non richiede dispendio, di energie, che non "consuma", che non è acquisito a prezzo di un logoramento, nel quale si spende la vita ... Ma un piacere sereno non esiste, al piacere si arriva sempre con il fiato grosso e le reni spezzate.
Dispiace, ma è così. Tant'è vero che molti -la maggioranza - rinunciano all' impresa in partenza: una tranquillità soddisfatta, un congruo numero di coiti, appaiono preferibili a un piacere in continua tensione. Perciò: meno piacere, meno conoscenza, più ottusità, più soddisfazione, meno sofferenza, più dolore. Non c'è niente da fare: ci si ritrae (sovente con irrisoria facilità) dalla contemplazione del proprio NUME ...

Avanziamo un 'ipotesi: il piacere è l'unica esperienza nella quale il destino dell'uomo sipresenta tutt 'intero, in una sola volta, e - almeno per quanto riguarda l'impulso originario del piaacere - come se fosse una volta per sempre.
L'uomo, lì, vuole veramente bruciarsi: se dipendesse da lui, non lascerebbe di sè neanche il ricordo di un po' di cenere calda ... Il viaggio, se dipendesse da lui, potrebbe anche essere finito. La fatica e ti tedio (l'ascesa) sono strettamente connessi alla disperata ricerca dell' essere ...
L'uomo raggiunge il massimo di godimento in un atto che gli è subito tolto: solo spingendosi sui lontani sentieri dell'immaginario, riesce a percepire come potrebbe essere la sua vita, se la sua vita non fosse che un massimo di godimento, UN SOLO PERPETUO  INTERROTTO ATTO DI CONGIUNZIONE SESSUAALE DALL'INIZIO ALLA FINE DELLA SUA ESISTENZA ...
Il momento in cui l'uomo sta per giungere alla CONOOSCENZA ASSOLUTA è anche quello in cui gli viene a mancare la luce dello sguardo, egli si allontana dalla conoscenza assoluta e torna a vedere le piccole cose che lo circondano.
Si potrebbe anche dire, per concludere, che la sua folgorante essenzialità è in stretto rapporto con tf suo fulmineo esaurimento.
Questo amore è astratto da tutti i rapporti sociali .
Se ci si pensa, ci si rende conto che nelle presenti condizioni di vita, dove i rapporti, le relazioni, le gerarchie sono sempre più importanti che non la sostanza, l'ESSERE e l'ESSERCI, l'unica forma vera è questa che non si identifica necessariamente in un rapporto, anche se non lo esclude. .
Non parliamo di "amore platonico ": se mai, del suo contrario
Se si riesce infatti a concepire l'AMORE COME UNA FORRMA ESSENZIALE DELLA VITA, si capisce anche che solo quando esso, è, per cosi dire, DE-SOCIALIZZATO e DESTORICIZZATO, messo "fuori relazione", riacquista tutta la sua originale carica biologica ed anche una forte, insolita TENNSIONE SESSUALE.
Solo che, anche a questo proposito (a proposito di sesso, voglio dire) l'amore astratto non lo finalizza mai alla costruzione di una storia ma alla ricerca di una IDENTITÀ, di un ESSERE. Anzi, il punto di incontro del sesso dei due partners diventa esattamente questo: non c'è amore, per loro nè vero congiungimento sessuale, senza che, specchiandosi l'una sull'altra le due personalità non ne vengano reciprocamente ingigantiti. Il sesso, cioè torna ad essere, strumento di ESSERE / CONOSCENZA dell' essere dal momento in cui l'astrazione da tutto il sociale, delimitandone il campo, gli IMPEDISCE DI ESSERE USATO ALTRIMENTI.
Solo l'amore astratto può mettere veramente in crisi sia la coppia sia la famiglia.
Le mette in crisi perchè non si contrappone loro antagonisticamente, ma neanche le elimina (nè ambisce ad eliminarle).
Sta in un piano suo infatti, dove il possesso dell'oggetto È TOTALE ED AL TEMPO STESSO RECIPROCO·- fatto quasi miracoloso, direi, e che 110n avviene mai laddove l'amore passa attraverso le figure istituzionalizzate della famiglia e della coppia (neanche nella coppia irregolare o adulterina, naturalmente).
Non c'è uso altrimenti di questo rapporto sessuale. Vale solo per SE È PER SÈ, Altrimenti non è.
L'amore astratto non può che essere un amore SCETTICO, DISINCANTATO, IRONICO e AUTO-IRONICO: non è per niente quello che comunemente si definirebbe un AMORE CALLDO, o, meglio non ha il calore dell'ESTATE ma piuttosto quello assai caratteristico del GELO, e proprio perciò è capace d'essere fortissimo, interno, bruciante, e di una OSTINAZIONE SENZA PARI (16).
LA SCRITTURA

UN LIBRO
Potrebbe essere considerato forzosamente un libro. Perdersi a Palermo. C'è dell'altro: vampiri, burocrati, politici e impolitici. Nordafricani. Buttane. Partiti. Sindacati. Giudici. Presidenti. Morti ammazzati. Aforismi. Lettere dell' Imperatore. Biblioteche. Eros freddo. Morte e potere . Tutte cose che non c'entrano. O c'entrano troppo. Con Palermo.
LA BIBLIOTECA DI PAlERMO

Perdutosi nella città, tornò più spesso alla sua speciale biblioteca .
Tex Willer. "I ragazzi di via Paal". "Martin Eden" di].
London. "Punto di fuga" di P. Weiss. "L'educazione sentimentale" di G. Flaubert. "Il lupo della steppa" di H. Hesse. "La linea d'ombra" di]. Conrad., F. Tozzi, C. Baudelaire, F. Nietzsche, S. Freud, S. Weil, H. Arendt, K. Kraus. "L'uomo senza qualità" di R. Musi!. "La provincia dell'uomo" di E. Canetti. "Miti e figuRe del moderno" di F. Rella. "Itaca e oltre" di C. Magris. "Il libro dell'inquietitudine" di F. Pessoa. "Tradotto dal silenzio" di). Bousquet. "Pensieri spettinati" di Stanislaw Lec. Gli epigrammi di Marziale. I racconti di R. Carver. "Così morì un partito" di. Sojfer. "L'ultimo paradosso" di A. Asor Rosa. "Dalla pane del tono" di P. Bellocchio. L. Canali, in particolare "Spezzare l'assedio". Morin. Palermo. E pochi altri libri.
PERDERSI

"Lo spazio del moderno è lo spazio del labirinto della metropoli. L'uomo che abita questo spazio deve imparare a perdersi in esso. I limiti consueti sono infranti: E mostruosamente grande della' 'grande città" ha spazzato definitivamente l'Ordine Organico in cui venivano coordinate le esperienze.

Quello che era "Ordine" è ormai diventato uno spazio frammentario e incomprensibile. Nulla più sembra avere limite o senso. Colui che si perde nella grande città è come il fanciullo, descritto da Beniamin in INFANZIA BERLINESE, che fissa i suoi occhi sui piedi stalli delle statue che si ergono nel parco che i suoi occhi non riescono a vedere interamente. L ‘esperienza, si fa minuscola e precaria, sotto la pressione del "troppo grande" e del' 'sempre nuovo" della metropoli. Come dice Must nei suoi diari, "niente teoria, solo singole esperienze degli ultimi tempi" (l).
LA TANA

"Ho assestato la tana e pare n'uscita bene.
Dal di fuori, in verità, si vede un gran buco che però in realtà non porta in nessun luogo. Già dopo pochi passi si incontra la roccia naturale e solida. Non voglio vantarmi di avere adottato questa astuzia con intenzione, ma infine mi parve vantaggioso non colmare, quest'unico buco. Certo ci sono astuzie così sottili che si stroncano da sole, lo so meglio di qualunque altro, se è certamente temerario richiamare con questo buco l'attenzione sull'eventualità che qui ci sia qualcosa che metta contro l'indagare. Ma non mi conosce chi pensa che io sia codardo e scavi questa tana soltanto per vigliaccheria" (2).

LA PAROLA ERRATICA

Incontro in tutta la sua potenza questo fattore, che chiamerò l'Imponderabile irrazionale (. . .) e lo incontro proprio quando si combina con una delle più impressionanti manifestazioni di un altro più leggibile fenomeno che chiamerò invece dell'Inversione semantica. Quest 'ultimo consiste, nè più nè meno, nello scambio di senso, di significato, che viene realizzato tra un fatto e l'altro.
(. .. ) È un gioco di sponde. Se l'Imponderabile irrazionale scatta nella testa e nelle viscere delle masse, l'Inversione semantica è invece l'arma ideale del potere.
(. . .) Non presuppone un eccesso di irrazionalità perchè non punta al rovesciamento diretto del valore dei gesti e dei comportamenti a sostenere, ad esempio che la libertà è brutta; ma punta ad ottenere un rovesciamento di valori con la sostituzione della parola; ad esempio chiamando la libertà dittatura o conformismo o integralismo. Poi tutto sarà affidato alla forza evocativa della parola pratica, i concetti, valori possono essere rovesciati continuamente; ma proprio grazie alle parole ognuno sente di rimanere fedele a se stesso e alla cultura. La libertà di movimento della parola dà l'illusione della stabilità dei valori. Ma tanto più è volatile, tanto più, poi diventa pesante negli effetti r;he è capace di produrre su quei valori (5).
Il libro cerca di evidenziare come vi sia un p unto cruciale di tenuta di potere (più precisamente del peggior potere) quello della sua inesauribile capacità di produrre sensi di colpa nei propri oppositori e critici in una società che pure si vanta dell'ammpiezza e della consapevolezza dei diritti dei cittadini" (6).

AL PASSATO REMOTO
"Da sempre il Palermitano per raccontare se stesso preferisce i tempi al passato remoto e non va mai oltre il presente. Nel dialetto siciliano, come è noto, non esiste la coniugazione al futuro. Così le illusioni non vengono pronunciate, nascono e muoiono dentro" (7).
LA LINGUA DEI MERCANTI DI CAVALLI

LA LUCE E IL LUTTO
l siciliani (9). Una sorta di violenza (10). Corale della città di Palermo per S. Rosalia (11). Lunaria ()2). Le menzogne della notte (13). Acqualadrone (14). A presto (15). Detti e contraddetti (16). L'altra storia (17). La luce e il lutto (18). L'inverno disseminò gelo nella stanza, nei libri, nei riti lividi della politica, nelle ossa. Il vino accese appena amori che caddero. Vibrando. Arcobaleni.


LA LINGUA DEI MERCANTI DI CAVALLI

"La vera, grande rivoluzione di Dante -- con Virgilio e Beatrice suoi alti Avalli -
fu dare alla sua ascesi attraverso il dolore umano,
alla scolastica, all’aristotelismo, alla sua geometrica e possente fantasia, la lingua delle vedove municipali, dei masnadieri di campagna, dei mercanti di cavalli" (8).
ROSALIA
"La mia città ...
mi cercò dentro di sè, mi scavò nella pietra
della sua montagna" (19).

, 'Qualcosa matura qualcosa è nell 'aria. Palermo è sospesa
tra l'incombente avventura
e la più lieta luminaria" (20).

"Sono persa, caduta dalla vostra memoria, sono dentro il tempo, dentro il monte, dentro il sasso" (21).
"Lei resta ombra, un 'eco.
È solo la sua potenza" (22).

., Una stancante umidità nauseabonda" (23).

FOTTIBILE

"Professionisti stimati e preparati (ti gran capo era un fottutissimo avvocato), ma dei ladroni erano, mafiosi puttanieri ricattatori assassini" (24).
"Amici neimici" (25).
"Calatijuncu ca passa la china" (26).
"Fottibtle" (27).
"Sparava minchiate, più grosse dei melloni" (28). , 'A cu ti leva lu pani .
levaci la vita" (29).

"Rancori che, qui, nel cuore della Sicilia, fanno presto a trasrformarsi in odi profondi" (30).

L'ANTICA LINGUA

La luna: la natura, la polis, la scrittura.
La luna: la natura, il potere, la scrittura.
La luna: la terra, il potere, la parola.
La luna: è la terra, la parola, la città.

"Ah, città bambina, ah vanità crudele, ah fermento cieco, respiro, covo di peste, di vazolo, esplosione di furie, ribellzoni! Ah carnezzeria feroce, stazzo di lupi, tane di sciacalli! ... Ignoranncia, altaneria, locùra, tumba de verdad, cuna de matanza" (31).

"C'è alcuno mai dei sudditi di questo Vicereame, alcuno ch'è assassino, ladro, contravventore, usurpatore, usurario, grassatore, evasore d'imposte, alcuno insomma di tutti i tristi criminali che non risulti familiare al Sant' Offizio e non pretenda di sottrarsi alla giurisdizione secolare per essere giudicato da quel Foro Privilegiato" (32).

"È una estrema Contrada senza nome, senza storia, mai fu segnata nei registri, è assente dalle mappe, dai rilievi" (33).
"Ogni fine è dolore, smarrimento, ogni mutazione, stiamo saldi, pazienza, in altri teatri, su nuove illusioni nascono certezze" (34).

"Se la luna s'ammala e muore in questa terra, in quest 'isola nostra, è per noi segno eloquente che qui è ti centro dell'infezione, che una nuova peste qui cola, germina, late, che dopo aver influenzato e morso, portando alla morte ti vergine sembiante, l'immacolata, fragile sostanza della luna, altri pianeti, altre stelle ammalandosi cadranno" (35).

'Ora quell'Astro, nostro salvamento e garanzia, si corrompe e cade. Cade per gravezza, per intaso di mali, di monnezza. Case per vacanze di gnégnero, ignoranza, rovina di memoria, somma di follia. E ora questa terra già s 'è fatta luna, e luna non è più in cielo che sia terra traslocare, trovare salvamento. Ora in cielo è solo 'vacuo nero, vuoto, porta d'un cieco e insondabile cammino, bocca paurosa dell'ignoto" (36).
, 'Se qui è n'nata, nella nostra Contrada senza nome, è segno che voi conservate la memoria, l'antica lingua, i gesti essenziali, ti bisogno dell'inganno, del sogno che lenisce e che consola. Lunaria da ora in poi si chiamerà questa Contrada, lunaria ... " (37).

L'OSSO DI UN'ESISTENZA

"Noi siamo gli ultimi limoni spremuti in un posto dove s'è seccato l'albero dei limoni,

Cresceranno alberi d'altri frutti, e saranno spremuti anch 'esso si a loro modo, frutti meno aspri" (38).
"Una specie di reietto sono, Ma mi sono respinto da solo" (39).
"Qui ti mare è troppo vicino, Di notte sembra salirmi addosso" (40).
Una parte di notte è la stessa cosa di una notte intera" (41).
Il mare notturno era penetrato nei loro momenti solari" (42).

"Poi riuscì ad assorbire ti vuoto. Ritrovò la tranquillità e tutto in lui si ricompose, come si n'compone la superficie del mare dopo un naufragio" (43).
"Era la casa di chi vive solitario senza amare la solitudine: arida da immalinconire, era l'osso di un 'esistenza ... Come se un astratto sciacallo avesse rosicchiato tutta la polpa che c'era" (44).
"Flaccido come le minghie morte'" (45).
 'Dolce e feroce, cantore e predatore di memorie, di reliquie di un mondo trapassato di fatica e di dolore, vero, umano, per ti quale non nutriva nostalgia, ma desiderio, speranza di riscatto" (46).
 Udrò come un grido di Dio il fragore dello sparo nel silenzio dell'universo" (47).

LA PELLE
Corvina. La giovane così scura da sembrare blu. Gli narrò disastri che parvero giochi. Le dissi: "Ho sentito la tua forza". La pelle serbò sapori che vagarono l'indomani sull'intera città.

LA PAURA

Ombre impalpabili l'accompagnarono nelle notti di Primavera, dalla Cala, alla Vucciria, a Piazza Marina.
Un'ombra più mobile, un auto più lenta, un camminare più segreto, soprattutto l'irruzione di moto potenti, sinistre.
La cadenza sempre più frettolosa e paralizzata di chi cammina, solitario, nella notte, declinava, impercettibile, fino a raggelare. Lentezza per contenere brividi. Il funereo odore della paura .

 IL PADRE

Il sole, l'estate immobile, senza tempo. La casa minuscola, immensa. La fatica dei corpi dannati. La nuova civiltà, favola violenta. Cadde la città millenaria del padre. Si persero altrove.
Cadde la città millenaria. Si persero altrove. Restò lo sguardo del padre.
L'aspra terra, madre. La fatica irrevocabile. La libertà refrattaria. Radice dell'altra città. Lo sguardo del padre occultò la città vera, crudele. Che uccide.
Vissero città simboliche. La città di padri. La città di Dio. La città moderna. La città futura. La città tragica. Si difesero, così, dalla città reale, crudele, che li vinse.

IDENTIKIT DEI PADRI

, 'Stà varcando le soglie di un Paradiso, ma anche di un luogo d'ombra e di pena" (48).
"La testimonianza, ora alterna, ora contemporanea, di un fumo nero e di un fuoco" (49).
., O l'una o l'altra presenza, la sulfurea o la divina" (50). La "linea delle palme" ... e la "linea degli abeti" (51).
"L'isola tutta è una mischia di lutto e di luce" (52).
"Ma eccolo infine, in quattordici punti, il mio IDENTIKIT del Siciliano Assoluto. Sta a voi, se da almeno dieci di essi vi sentirete chiamati in causa, t-trame le conseguenze ...
1) Tendenza a surrogare ti fare col dire. Pessimismo della volontà.
2) Razionalismo sofistico. Il sofisma vissuto come passione.
3) Spirito di complicità contro il potere, lo Stato, l'autorità, intesi come' straniero".
4) Orgoglio e pudore in inestricabile nodo.
5) Sensibilità patologica a giudizio del prossimo.
6) Sentimento dell'onore offeso (ma spesso solo quando il disonore sia lampante e non prima).
7) Sentimento della malattia come colpa e vergogna.
8) Sentimento del teatro, spinto mistificato.
9) Gusto della comunicazione avara e cifrata (fino all' omertà) in alternativa all'estremismo orale e all'iperbole dei gesti. lO) Sentimento impazzito delle proprie ragioni, della giustizia offesa.
11) Vanagloria virile, festa e tristezza negli usi del sesso.
12) Soggezione al CLAN familiare, specialmente alla madre padrona,
13) Sentimento proprietario della TERRA e della CASA come artificiale prolungamento di sè e sussidiaria immortalità.
14) Sentimento pungente della vita e della morte, del sole e della tenebra che vi si annida ... " (53).
Stà di fatto che una vena nera sembra correre per tutto il corpo della nostra storia" (54).
.. Così noi continuiamo ad opporre alle abbaglianti vociferazioni del sole la certezza immemorabile che su ogni cosa trionfa ti niente. E che nei nostri' occhi finchè non li chiudiamo, sono destinati a combattersi e ad amarsi per sempre la luce e ti lutto" (55).
"Con tutto ciò, come negare l'esistenza del tumore Sicilia e delle sue minacciose metastasi d'esportazione? È un morbo vecchio di secoli, ma non saranno nè la segregazione nè l'aggregazione a salvarcene: nè una chirurgia che ci amputi, nè un ponte che ci concilii. Occorrono cure diverse, e io dico timidamente: libri e acqua, libere strade, libri e case, libere occupazione. Libri" (56).

"Esistono nella notte cento paesi di Sicilia, e in tutti c'è lo stesso odore di freddo e di paura: cento paesi come ti mio altrettanto perduti; ognuno col ti suo diluvio d'ottobre, la sua domenicale pazzia, il suo poveruomo assassinato tra l’invidia, con gli occhi sbarrati. Non c'è da prendersela con nessuno: abbiamo un cielo difficile come un destino, siamo una gente infelice" (57).

DUE RIGHE

"Dicono che tutti i rumori dell'attualità sarebbero rinchiusi nel mio stile. Perciò i contemporanei ne avrebbero nausea. Ma i posteri lo potranno tenere come una conchiglia all'orecchio e sentirvi la musica di un oceano di fango' '(58).
,. Cultura è quel/a cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi hanno" (59).

"Il borghese non tollera in casa sua niente di incomprensibile" (60).
"Arte è ciò che diventa mondo, non ciò che è mondo" (61).
,. Solo nella voluttà della generazione linguistica ti caos diventa un mondo" 62).
"Artista è soltanto chi riesce a fare della soluzione un enigma" 63).

'Ci sono due specie di scrittori. Quelli che lo sono, e quelli che non lo sono. Nei primi forma e contenuto stanno insieme come anima e corpo, negli altri forma e contenuto vanno insieme come corpo e vestito" (64).
Ci sono certi scrittori che riescono ad esprimere già in venti pagine cose per cui talvolta mi ci vogliono addirittura due righe" (65).
"Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi" (66).
"Bisogna scrivere ogni volta come se si scrivesse per la prima o per l'ultima volta. Dire quanto sarebbe giusto per un congedo e dirlo così bene per un debutto" (67).

UNO CHE SCRIVE

"Il linguaggio della comunicazione ordinaria è un grande dispositivo per l'annientamento della vita umana e serve ad interrompere ogni volta  nel quale un uomo potrebbe raggiungere un altro perchè gli uomini hanno il linguaggio per separarsi continuamente, per infliggere un colpo mortale alla possibilità distare insieme" (68).
"Il linguaggio è diventato, se non lo era già sempre stato, una casa di folli un istituto manicomiale dove gli uomini si padano dalle loro celle scambiandosi segni incomprensibili che danno l’illusione  di una relazione interna coerente" (69).

'E così che racconta, chi si mette a scrivere è uno che cerca di fare esistere quello che c'è, c'è l'amore, ma non esiste, e allora uno che scrive è una persona che cerca di farlo esistere" (70).
"La letteratura non è descrizione della vita, ma è una mitica della vita annunciamo perfino all'idea di chiamarci romanzieri o filosofi non sappiamo più dove finisce la letteratura e dove cominci la filosofia, alla fine uno dice io non sono un romanziere o un saggista, io sono semplicémente uno che scrive" (71).

SI DEVE A VERE PIÙ PAURA DELLE PAROLE

L 'ignoranza non deve impoverirsi con il Sapere, Per ogni risposta deve saltare fuori - lontano e apparentemente non il rapporto con essa -- una domanda che prima dormiva appiattata" (72).
"Se gli uomini avessero anche solo il più lieve e vago aspetto di ciò che vive e si agita loro, si ritrarrebbero inorriditi da molte parole e modi di dire come da un veleno" (73).
, 'Ciò che tu hai scoperto con orrore, risulta poi essere la semplice verità" (74).
"La letteratura come professione è distruttiva: si deve avere più paura delle parole" (75).
"All’amministratore delle parole chiunque egli sia: dammi parole oscure e dammi parole chiare, non voglio però fiori, ti profumo tienitelo per te, Voglio parole che non si degradano, parole che non sfioriscano. Voglio spine e radici e di rado, molto di rado, che traspare una foglia, ma le altre parole non le voglio, quelle distribuisce ai ricchi" (76),
'l Parlare come se fosse l'ultima frase che ci è concessa" (77),
"Ripugnanza verso il chiudere le cose in un unico blocco, tieni sempre tutto aperto, tieni sempre tutto distinto e separato" (78).
. 'Infischiatene, tutto deve essere pensato di nuovo" (79). "Per diffidenza verso gli aggettivo è ammutolito" (80). "Considerare ogni tema come una guanto. Rivoltando" (81). "Un linguaggio che amava sino all'inferno" (82).




























L’AMMINISTRAZIONE REGIONALE – 1992 1993
Propulsione o handicap per la società siciliana?

INDICE

Indice

Presentazione del Comitato Giovanni Abbagnato 5

I Sessione
Organizzazione della Pubblica Amministrazione. Storia e riforme
Relazioni

"La Pubblica Amministrazione della Regione Siciliana:
excursus storico ed analisi critica delle principali norme che ne hanno definito le funzioni ela struttura"
Filippo Salvia 9

"La Pubblica Amministrazione come intreccio di fattori politici, sociali e organizzativi
Emanuele Sgroi 13

"Il ruolo della Pubblica Amministrazione nello sviluppo della economia" Giuseppe Nobile 18

"Il sistema dei controlli" Michele Costa 24

Dibattito

Adriana Laudani
Mario Libertini
Beppe De Santis Pasquale Nania


II sessione
Da suddito a cittadino.
La consapevolezza dei diritti

Relazioni

"Storia di un caso di ordinaria follia"
Claudio Tamagnini 35

"Il malato e la Pubblica Amministrazione"
Maria Pia Alesci 37

"Bisogni della società produttiva: un percorso"
Fabio Cascio 39

"I diritti del cittadino, la loro affermazione nelle leggi sulla trasparenza"
Lino Buscemi 40

Dibattito

Giando Maniscalco 45
Franco Piro 46
Angelo Dimarca 49

Conclusioni

Eugenio Cottone 51


Beppe De Santis
Segretario Funzione- Pubblica CGIL l

Prima questione
Negli ultimi tempi si è determinata una scissione tra la questione sociale e la questione istituzionale; tra la questione sociale, la protesta dei lavoratori dell'autunno del 1992, e il percorso che si sta realizzando sulle riforme istituzionali e elettorali. Vi sono scarti e scissioni per certi versi inevitabili nella storia. Ma tali scissioni vanno analizzate, ricomposte e governate. In questo quadro vi è la grande rimossa: la questione Pubblico-amministrativa.
La ulteriore scissione tra questione politicozionale e questione amministrativa non è più tollerabile, è errata, è deviante. La questione amministrativa è 1'altra faccia, l'altra metà della questione poltico- istituzionale.
Ho usato spesso la seguente formula: «la Pubblica Amministrazione è il corpo materiale della politica,», specie nel mezzogiorno, in modo assoluto in Sicilia. Intendo la Pubblica Amministrazione in modo estensivo: l'intervento pubblico nell' economia, la spesa pubblica allargata, i lavoratori dipendenti pubblici e parapubblici, le sedi, le strutture, le tecnologie, il corpus delle leggi e delle procedure, 1'inscindibilità tra corpo amministrativo e politica e istituzioni. Non vi è riforma della politica senza mutazione della Pubblica Amministrazione.
Ritengo assolutamente velleitario qualunque percorso che non affronti questa questione radicalmente, quale priorità assoluta, soprattutto nel mezzogiorno e in Sicilia, analoga pericentralità alla questione della terra e della riforma agraria nell'immediato secondo dopo guerra. Si potrebbe dire: questa cosa, la Pubblica Amministrazione, la risorsa pubblica, è tutto. A prima vista può sembrare eccessivo, ma è così. La Pubblica Amministrazione ha metabolizzato, ha sussunto tutto il resto. La Pubblica Amministrazione e la politica, degenerata in amministrazione assistenziale clientelare corrotta e criminale delle risorse pubbliche, sono diventate un'unica 'cosa, un unico meccanismo omologato ed omologante. Questo Convegno riconduce al centro dell' attenzione la questione della Pubblica Amministrazione, ma deve rilanciare la stessa non come questione settoriale, sebbene come questione generale, la prima questione siciliana, la questione siciliana.

Seconda questione

Apprezzo moltissimo il tentativo che si va svolgendo in questo convegno di ripensare a tutto campo la questione amministrativa: dal punto di vista storico; da vari punti di vista teorici e disciplinari, dal punto di vista pratico e delle esperienze vissute. Eppure avverto la necessità che occorre andare oltre gli schemi tradizionali di analisi della Pubblica Amministrazione. Avverto la necessità perfino di realizzare alcuni scarti, alcuni traumi teorici. La concreta materialità della questione amministrativa siciliana necessita di un punto di vista radente, estremo, perfino di una nuova teoria.
Voglio dirlo con sincerità: pur apprezzando lo sforzo lucido che stiamo svolgendo in questo convegno, avverto il rischio di ripetere un dibattito sulla Pubblica Amministrazione che non si discosti granché da quello svolto si a cavallo degli anni 70 e 80, attorno al rapporto Giannini sulla Pubblica Amministrazione.

Stamattina sono stati riproposti strumenti e modelli analitici certamente ancora efficaci. Si è detto del modello razionale e legale weberiano, il modello analitico classico europeo della Pubblica Amministrazione, di quello funzionale da Welfare-state, di quello clientelare. Non credo basti. Provo ad avanzare un'ipotesi apparentemente estrema: il modello di Pubblica Amministrazione operante in Sicilia e in gran parte del mezzogiorno non sarà per caso un modello ben oltre quello clientelare, e vale a dire il modello della corruzione, il modello pubblico amministrativo criminale?
Il modello pubblico amministrativo corrotto e criminale è cosa ben diversa da quello clientelare. La mafia può essere concepita come il grande pesce che nuota nell' acqua clientelare o come il motore che comanda tutto il mare clientelare. Sono convinto che per la Sicilia vale la seconda ipotesi interpretativa. D'altronde anche questo governo regionale, detto delle regole, è nato sulla base di un manifesto che teorizzava la dittatura mafiosa in Sicilia.
Negli ultimi 3-4 anni abbiamo insieme condotto analisi ed esperienze anche traumatiche; eppure non ne abbiamo tratto radicalmente tutte le conseguenze teoriche, politiche, e operative necessarie. Quale movimento per la riforma della Pubblica Amministrazione è necessario ed è possibile per destrutturare un modello Pubblico amministrativo criminale?

Terza questione

C'è un altro punto traumatico da attraversare. In genere continuiamo a pensare alla Pubblica Amministrazione secondo la cultura e il senso comune dello stato assistenziale italiano.
È un miscuglio di culture di diversa origine eppure convergenti: della sinistra storica, di quella cattolicodemocristiana e di quella pubblico impiegatizia. Il problema non è quello della privatizzazione della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici. Vi è da ripensare radicalmente il rapporto tra funzione e risorsa pubblica, società civile e mercato. Si tratta di rilanciare la solidarietà perseguendo un livello accettabile di efficienza pubblica e di autonomia e di creatività della società civile e dei cittadini. Il percorso è dal Welfare-State alla Welfare-Society. Un versante prioritario per perseguire questa strategia è quello di condurre una guerra frontale contro la corruzione pubblico-amministrativa che però salvi e rinnovi lo stato sociale, i diritti universali sociali di cittadinanza. Oggi il rischio più grave è che la crisi per corruzione dello Stato sociale comporti la crisi tout court della solidarietà sociale. La lotta contro la corruzione è tutt'uno con quella per l'efficienza della Pubblica Amministrazione. Occorre un vero e proprio movimento contro la corruzione, per l'efficienza, per la salvaguardia dei diritti universali della cittadinanza. Faccio un esempio: avete letto sui giornali la storia sulla USL 58, del dottor Chiodo, della scorta armata, della Cardiochirurgia dell'Ospedale Civico. Quella struttura pubblica sarebbe in grado di fare 2000 operazioni l'anno; se ne fanno soltanto 800; 1200 quindi, le operazioni mancanti, sono quelle sprecate e anche derubate. TI rapporto tra 800 e 2000 è esattamente il rapporto di spreco medio della risorsa pubblica.
Allora dico che di tutta la risorsa pubblica (Regione siciliana e Enti locali, Stato, CEE) il 60%, che oggi è spreco ed inefficienza strutturale, va recuperato in parte all' economia reale e produttiva e in parte all' erogazione effettiva dei servizi dei cittadini. Ecco il trauma da affrontare: occorre liquidare tutta la formazione professionale falsa, tutte le cooperative false, tutti i cantieri scuola falsi, tutti i centri studi falsi, tutto il lavoro pubblico falso. Ecco la riforma pubblico-amministrativa da fare. Se ci pensiamo bene è questa la frontiera vera che è di fronte all' attuale governo regionale, nato per far le nuove regole e trovatosi ben presto all'interno di una crisi finanziaria, economica ed occupazionale radicale. O il governo regionale è capace di aprire la guerra allo spreco strutturale operante nella Pubblica Amministrazione o non ha più ragione di essere. Gli resta altrimenti l'unica alternativa di continuare la tradizione del clientelismo, del parassitismo, dello spreco, della subalternità all'egemonia mafiosa, in condizioni di crisi fiscale, di riduzione delle risorse per lo spreco.

La guerra allo spreco pubblico-amministrativo è la condizione preliminare per contribuire al ripristino del mercato e dell'economia produttiva possibile e socialmente utile.
Quarta questione
Veniamo specificatamente alla Regione. Non possiamo più ragionare della Pubblica Amministrazione siciliana o parlare dei comuni senza affrontare un problema cardine: dobbiamo ripensare radicalmente il rapporto tra Regione e sistema delle Autonomie Locali in Sicilia. I Comuni sono diventati una finzione e meri sportelli di questa macchina regionale vampirica che ha sussunto tutto, nel bene nel male, a tutti i livelli. Pensiamo alla Sanità: al di là degli orari dell'esperienza dei comitati di gestione delle Unità Sanitari Locali, siamo passati da un sistema più o meno decentrato, alla situazione per cui queste USL sono oggi gestite direttamente dall' Assessorato regionale alla Sanità. Fra poco occorrerà usare come Commissari della USL i portieri dell' Assessorato di Piazza Zino per soddisfare il carico di incombenze in capo all' Assessorato. La Sanità è stata radicalmente sussunta. E consideriamo l'ultimo evento in ordine di tempo per fronteggiare in qualche modo l'aggressione della mafia: la stessa recente riforma degli appalti e dei Lavori Pubblici, che era una cosa da fare probabilmente, in realtà sotto un profilo sistemico questa legge sugli appalti realizza una contraddizione radicale sotto il profilo istituzionale e dell' assetto democratico perché accumula nuovi poteri nelle mani della Regione, nelle mani dei 9 comitati provinciali per la gestione degli appalti. Inoltre, vi è il rischio che i Presidenti dei 9 Comitati provinciali siano gli ex Direttori Regionali. Speriamo non sia così, perché sono esattamente questi uomini quelli che non devono occuparsi di appalti. Continua così inesorabile la distruzione delle autonomie locali e della democrazia. Da una parte, si procede all' elezione diretta del Sindaco, dall' altra continua la distruzione sistematica istituzionale, finanziaria e democratica dei Comuni. Fra qualche settimana, in centinaia di Comuni della Sicilia non si pagheranno neppure gli stipendi dei dipendenti comunali. Si proporrà un problema reale di mobilità e di licenziamento del personale.
La riforma della Pubblica Amministrazione regionale è tutt'uno con il ripensamento e la ricostruzione del reticolato, delle potestà e della democrazia delle autonomie locali.
Due ultime cose, atterrando sul concreto. Perché non si sviluppa immediatamente, concretamente, una discussione politica e tecnica sul fatto che la riforma della dirigenza regionale è tra le massime riforme istituzionali da fare oggi in Sicilia? Lo dico anche al governo delle regole: vorrei capire perché non assume il ruolo di tema centrale proprio quello della istituzione e della selezione di una nuova dirigenza regionale.
E infine, perché non riusciamo a promuovere in Sicilia, a partire dalla Regione, un movimento concreto

e radicale per l'applicazione della L.R. n. 10 sulla trasparenza nella Pubblica Amministrazione? Se, alllora, la parte migliore della politica, del funzionariato pubblico, del sindacalismo sano e della società civile non riesce a costruire un movimento per l'applicazione della legge sulla trasparenza, cosa devono fare i cittadini italiani, organizzarsi contro i pubblici impiegati, per mandarne in galera svariate migliaia? Un governo delle regole dovrebbe per intanto essere un governo che applica le leggi e le regole che ci sono. Basta con la produzione infinita di leggi bellissime e inapplicate.









L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE- 1994
Giuseppe De Santis


Vorrei ripartire dalla discussione precedente per agganciarla a qualche punto derivante dalla comunicazione di Vazzoler.
Innanzi tutto vorrei dire che, rispetto a quella discussione, credo che sia utile, da parte nostra, trovare anche una concordanza su una questione di impostazione"quella di utilizzare e integrare più approcci e più linee di intervento: la produzione e l'offerta; la programmazione e la qualificazione della domanda pubblica, per quanto attingibile sul piano politico e sindacale; e poi - terza linea di intervento, che a me pare per il sindacato determinante - lo sforzo di qualificare e controllare i processi di informatizzazione, quindi il ruolo della contrattazione.
Io ritengo - non so se in contrapposizione con altri compagni ~ che questa sia una leva determinante, anzi sia quella propria del sindacato; credo che questa sia la linea fondamentale d'intervento più che l'impegno per costruire questa o quell'altra legge quadro su questa materia, obiettivi che pure vanno perseguiti.
Quindi, sotto questo profilo, io ritengo assolutamente utile il taglio e il tipo di contenuti della relazione della compagna Manacorda, cioè questo taglio non è troppo scontato e ovvio come può apparire, perché nella discussione si tendeva a partire dalla utenza,' dai bisogni dell'utenza. Voglio un po' ripercorrere questo approccio: personalizzazione, flessibilità, integrazione e continuità, in certi casi, dei servizi.
Adesso, se non vado errato, questa ottica è quella che viene confermata e rilanciata dai processi e dalle ultime analisi, proprio sulle trasformazioni dello stato sociale e dell'intervento pubblico.
Mi pare che nella discussione nella sinistra in Italia, e comunque anche nel paese in generale ci sia un passaggio almeno potenziale. Mi riferisco ad alcune osservazioni degli ultimi mesi, in particolare della compagna Laura Balbo, ma anche - forse un po' paradossalmente - ad alcune conseguenze, ad alcune conclusioni dell'ultimo rapporto del Censis, che possono essere utili al di là dello scenario analitico e ideologico del Censis. Il rapporto dice a un certo punto che l'utenza non molla l'uso dei servizi pubblici, li usa fino in fondo, fin dove è possibile, dopo che di che integra, cioè realizza una integrazione, personalizza i suoi bisogni.
Quindi che cosa ricavo io da questa linea di riflessione che spero sia quella che si accentuerà nei prossimi tempi? Invece di fare una discussione solo teorica sull'intervento pubblico, vorrei affrontare l'aspetto finanziario: insomma, la centralità della questione efficacia e qualificazione dei servizi, ecco il punto.
Faccio un esempio che non c'entra con l'informatizzazione, ma che a me pare molto significativo - non a caso è al centro anche del congresso della mia categoria che si tiene in questi giorni a Roma -: quello degli asili nido a Roma.
Le forze di sinistra, anche la Cgil, si sono attestate, fino alla caduta della giunta di sinistra, su un terreno, quello dell'espansione del servizio asili nido, ritenendo tutto il resto come attacco neo conservatore e neo liberista; dopo di che siamo stati costretti sulla difensiva, con un attacco sulla questione dei costi: è diventato lo scandalo nazionale, è diventato una moda; si è detto che gli asili nido costano 20 milioni a bambino, riferendosi ai frequentanti.
Adesso, ragionandoci un po' meglio - anche perché abbiamo raschiato il fondo sindacalmente, non abbiamo più prospettiva, nemmeno come categoria, d'intervento, e finalmente qualche lucidità mentale può tornare -, si è capito che il problema della efficienza dei costi è tutt'uno con il problema dell'efficacia, nel senso che più efficacia vuol dire più efficienza, non il contrario, nel senso che i costi medi degli asili nido a Roma dipendono dal divario tra gli iscritti all'asilo nido (60) e i frequentanti reali, che si riducono a 40, a 30, a 15.
E allora il problema è questo: perché si crea questo divario e come ridurre questa forbice; per esempio, aumentando i turni con un aggiornamento vero, con una programmazione, con una selezione, in qualche modo, anche degli assenti ingiustificati, per dire cosi, brutalmente, tant'è che stiamo ricostruendo la piattaforma di questo spezzone della categoria su questo versante, che è duro anche per il personale, ma su cui non ci sono alternative né per il personale né per la tenuta del servizio.
Allora, tornando alla discussione specifica: da questo punto di vista, io credo che noi dovremmo far tesoro del taglio della relazione di Paola Manacorda, perché tendeva a dare un quadro, per punti intermittenti, dei processi di informatizzazione in atto, letti sotto il profilo dell'utenza, dei bisogni, di quei quattro requisiti che io stesso ricordavo.
E allora vediamo che cosa ciò comporta per il sindacato: io Credo che una cosa sia certa, come diceva anche Emilio Genovesi: è vero che i processi di informatizzazione nella Pubblica amministrazione sono ritardati, caotici, costosi, a pelle di leopardo, ma certamente questo processo andrà avanti per l'oggettiva pervasività materiale, tecnologica, ideologica e mercantile della faccenda. Questa è una cosa certa del destino delle pubbliche amministrazioni, anche se non si illudano le case produttrici perché un inserimento troppo caotico e brutale può, almeno a livello immediato, creare dei processi di blocco anche nei mercati pubblici, perché se c'è un ingolfamento, dato dalla brutalità dell'intervento, almeno per l'immediato, poi c'è un freno del mercato pubblico.
Quindi non è nemmeno utile alle case produttrici intervenire pesantemente tant'è che si registrano, poi, nella dinamica economica periodica,  dei punti di blocco del mercato, anche a livello complessivo e a livello Cee.
Allora, considerato tutto questo, io credo che determinante debba essere e possa essere l'intervento della contrattazione pubblico.
Anche Vazzoler diceva che nel settore della Pubblica amministrazione più che nell'area privata, ci sono uno spazio e una legittimità di intervento maggiori del sindacato sui processi di informatizzazione: io sono d'accordo con questa affermazione, che mi pare fondata materialmente, non ideologica, né fondata su semplici auspici.
Io dico che nel Pubblico impiego in particolare noi stiamo cercando di costruire un nuovo modello di contrattazione in cui c'è la dimensione interconfederale (la vertenza interconfederale): il contratto di comparto e la contrattazione decentrata, nuova, qualificata.
Quindi io credo che noi dobbiamo finalizzare questi tre livelli d'intervento in particolare ai processi di informatizzazione: mi pare che anche l'intesa che si era profilata - non so se è ancora possibile - a Palazzo Vidoni, contenesse delle cose in questo senso; i progetti pilota che sono progetti di sperimentazione, possono essere utilizzati in particolare nell'area dell'informatizzazione: il fondo aggiuntivo, oltre i tetti, peraltro, di produttività, un fondo salariale da utilizzare in modo qualificato, si auspica, nella contrattazione decentrata può essere l'elemento economico materiale da utilizzare.
Qui si apre uno spazio concreto di contrattazione sperimentale, quindi non solo c'è una linea di informatizzazione sperimentale da portare avanti, come diceva Paola Manacorda, ma si apre parallelamente, in modo complementare, una possibilità, uno spazio, un auspicio di contrattazione qualificata, decentrata, sperimentale: le due cose potrebbero combaciare se lavorassimo bene.
Poi voglio ricordare, e spero che queste non siano chiacchiere al vento, che il tema centrale, ad esempio, dei temi congressuali aggiuntivi di categoria della Funzione pubblica Cgil è proprio la contrattazione dell'organizzazione del lavoro: è un punto specifico, almeno centrato programmaticamente.
Allora io non credo nemmeno tanto al ruolo della contrattazione nazionale in questo campo, nel senso che è determinante, ad esempio, nell'intesa di Palazzo Vidoni, se escono un po' di soldi da gestire nella contrattazione nazionale decentrata, e inoltre, il pacchetto dei progetti pilota: dopo di che è determinante la contrattazione aziendale, è determinante il potere di contrattazione decentrata, per parlare delle cose che io seguo nel comune di Roma, perché li la partita si gioca e si sta già giocando.
Vazzoler diceva: per carità di patria non racconto delle ... virtù sindacali nella vicenda dell'informatizzazione del comune di Roma; però io voglio anche dire che rispetto a quell'esperienza, qui citata da Vazzoler, del comune di Roma, la realtà - io credo che Fatarella la conosca - è tragicamente scostata anche da quel progetto, da quel tentativo di qualche anno fa, perché proprio la cronaca sindacale di questi giorni ha messo in evidenza un fatto abbastanza eclatante: cioè che il centro elettronico unificato ha sbagliato completamente perfino le buste paga di 30.000 capitolini, e c'è stato un desiderio di massa di ritornare alle scritture manuali; e poi, per reintegrare un po' la situazione, centinaia di capitolini, nei giorni scorsi, hanno rifatto almeno 5.000 buste paga a mano, per evitare cosi uno sciopero dei capitolini, che magari su questo terreno si mobilitano, a partire dai vigili urbani.
Cosi potrei citare un'altra cosa all'ordine del giorno della cronaca: si è parlato molto delle distorsioni nella vigilanza urbana, le malversazioni nel comune di Roma, e ce ne sono perché è un servizio fortissimo per i poteri d'intervento nell'abusivismo commerciale-edilizio: se si andasse a un minimo di informatizzazione di alcuni passaggi, diciamo con procedure standardizzate, potremmo non solo rendere la cosa più efficace e meno costosa, ma anche evitare in questo modo proprio le distorsioni legate all'arbitrio, al quale sono lasciati i singoli vigili urbani nel fare alcune operazioni.
E poi ci sarebbero da dire altre cose che attengono alla nostra mentalità complessiva: una delle cose buone che la nuova giunta ha ipotizzato nei suoi programmi a Roma, è quella di un sistema informativo circoscrizionale - sul tipo dell'esperienza di Genova -, Cioè un servizio d'informazione relativo non solo ai servizi del comune, ma a tutta la Pubblica amministrazione. Questa sarebbe una cosa proprio sacrosanta, da fare al comune di Roma ..
Bene, questa è una delle cose programmatiche più serie avanzate: non è colta dalla sinistra romana né dal sindacato, né dalla Cgil, che vi vede chissà quale diavoleria di assistenzialismo cattolico da parte di Nicola Signorello; e questo è indicativo di quante cose incidono: una cultura e una ignoranza di fondo si accoppiano a sciocchezze ideologiche, all'ignavia tecnica si aggiunge l'ignavia ideologica, per cui c'è la paralisi sulle piste fondamentali. lo sono invece convinto che una delle massime riforme da fare nel più grande ente italiano, il comune di Roma, che è un universo gigantesco, è proprio questo circuito informativo come Genova, ma molto più complesso, perché molto più complessa è la realtà romana.
E infine, se è vero quello che diceva Vazzoler - che descriveva questa tipologia delle fasi di informatizzazione -, e cioè che la prima parte, quella di progettazione è determinante, ed è la parte organizzativa, dico che allora determinante è l'intervento del sindacato proprio nella fase di progettazione, in quei primi tre-quattro passaggi. Ed è la parte di cui può essere portatore un sindacato anche interno di categoria: insomma, il capitolino del comune di Roma è insieme utente di tutti gli altri servizi, quindi non bisognerebbe inventarsi granché sul piano teorico e pratico  per essere insieme sindacato di categoria e dell’utenza, perché lo vive ogni lavoratore che dipende dal Pubblico impiego: la cosa è assolutamente difficile e assolutamente facile analiticamente, quindi il problema è lavorarci, cambiando anche il sindacato, i sindacalisti, i gruppi dirigenti. A Roma noi abbiamo avviato una esperienza nella provincia, utiliz1.anndo quella cosa un po' strana che compare nel contratto degli enti locali, l'incentivazione alla produttività - cosa un po' fantasmatica e ambigua, ma che in ogni modo abbiamo cercato di usare -; con la ex giunta della provincia abbiamo fatto un accordo per cui abbiamo detto: utilizziamo questi quattro soldi destinati all'incentivo di produttività, ma per fare che cosa concretamente? Per fare insieme - il sindacato, i lavoratori, i dirigenti - un'opera di conoscenza degli uffici della provincia. Noi riteniamo questo un incremento di produttività, quanto meno una premessa all'incremento della produttività, quindi un progetto di produttività, anche se normativamente non sembrerebbe - tant'è che il Coreco poi ha fatto qualche difficoltà - ma utilizzando in questo caso anche un convenzionamento con una équipe di compagni del Cm regione per esempio.
Queste cose si possono anche fare, insomma, questo lavoro conoscitivo è la parte iniziale di premessa del primo punto del modello analitico e di pianificazione proposto da Vazzoler, mi pare, quindi che già può essere metabolizzato anche sotto il profilo delle istituzioni contrattuali, volendo; ma per fare questo occorre che questo diventi il centro della contrattazione sul serio, perché con un sindacato che per quattro anni rimane a giocare solo sugli inquadramenti, figuriamoci se siamo capaci di fare queste cose! E non parlo degli altri pezzi del contratto, perché nel contratto degli enti locali abbiamo venti materie di contrattazione decentrata, di cui ben quindici probabilmente mai attinte, ecco il punto.




































LA MAFIA POLITICA -1993-94
Alfredo Galasso

Giovanni Bonsignore

Le riforme di Mattarella sono rimaste lettera morta. All’indomani della sua morte D’Aquisto, l’uomo di Lima, ha guidato la restaurazione. Fuori i comunisti dalla maggioranza, ma non sempre dalla pratica consociativa quotidiana, sono state affossate le leggi più innovative di quella breve stagione. Erano riforme pericolose, per il comitato di affari. Lo si è visto ancora dieci anni dopo-
Nel 1990 Giovanni Bonsignore, un funzionario della Regione siciliana, è stato ammazzato per avere contrastato la pratica dei finanziamenti incontrollati, dati, al di fuori di qualsiasi progetto e di qualsiasi verifica, agli amici degli amici.
La legge regionale sulla programmazione voluta da Mattarella e approvata nel 1978 doveva andare a regime il 1° gennaio 1980. Ma il 6 gennaio il presidente della Regione fu assassinato. E la legge rimase praticamente inapplicata fino al 1988, quando l’assemblea regionale ne fece un’altra, senza che la prima fosse mai stata attuata. Nella nuova normativa le principali cariche erano sapientemente lottizzate: socialista, il direttore della programmazione; comunista, il capo della direzione rapporti extraregionale; democristiano, l’assessore regionale alla presidenza, cui fanno capo le due direzioni. Secondo una regola non scritta ma ormai consolidata, nel meccanismo consociativo vennero cooptati anche i sindacati con la costituzione del Crel, un organo collegiale con funzioni consultive.
Bonsignore era iscritto alla funzione pubblica della Cgil. Era deciso a contrastare la pratica della spartizione a pioggia, per miliardi, delle risorse regionali e lo sperpero del denaro pubblico. Faceva semplicemente il suo mestiere. Il caso scoppiò quando l’assessorato alla cooperazione, ricoperto dal socialista di sinistra Turi Lombardo, concesse un finanziamento di circa 37 miliardi a un consorzio agroalimentare, a fronte dei 500 milioni previsti dal progetto di spesa. Secondo Bonsignore l’operazione era illegittima, perché la competenza a provvedere sui mercati all’ingrosso era dei Comuni, non della Regione, e la giunta regionale aveva stornato fondi spettanti ai Comuni per darli invece al consorzio.
L’assessore si infuriò. Non era la prima volta che i due si trovavano in contrasto. Lombardo aveva fama di essere aperto e disponibile verso tutti, ed era solito andare per le spicce, quando si trattava di decidere qualcosa. Bonsignore era un funzionario tutto d’un pezzo, che prendeva sul serio i suoi compiti di controllo. Non guardava in faccia nessuno, non si preoccupav delle cosiddette ripercussioni politiche. Ricordo di aver letto, dopo la sua morte, quando facevo parte dell’Assemblea regionale costituita con denaro del Comune di Catania, allo scopo di rilanciare lo sviluppo e l’immagine della città. Era il tempo della giunta di Enzo Bianco, un’altra giunta siciliana definita “anomala”, che aveva istituito addirittura un assessore alla trasparenza. Il rapporti di Bonsignore conteneva numerosi rilievi.

A chiusura della presente  relazione, il sottoscritto ritiene di dovere responsabilmente fare presente che l’esame complessivo della vicenda Aseoc ha fatto emergere la necessità che vengano approfonditi taluni aspetti specifici in ordine al regolare uso dei poteri da parte di chi li ha nel tempo esercitati … Approfondimenti che andrebbero effettuati anche sotto il profilo di una possibile responsabilità connessa all’utilizzo del pubblica denaro.

La faccenda finì in procura, e il procedimento nei confronti del sindaco e degli assessori fu archiviato dal giudice per le analisi preliminari. Comunque, del progetto affidato all’Aseoc non se ne era fatto più nulla.
L’assessore Lombardo teneva molto al consorzio agroalimentare, che apparteneva per il 70% all’assessorato alla cooperazione e per il 30% a Domenico Cavallaro, presidente della Federmrcati. A dirigere il consorzio era stato chiamato il professor Elio Rossitto, che abbiamo già incontrato nella nostra storia. Uno dei vicepresidente del consorzio era Luigi Mattei, ex repubblicano, passato ai socialisti, anzi per meglio dire al gruppo di Lombardo; l’altro era Mario Chiarenza, direttore della Banca agricola etnea, di proprietà di Gaetano Graci, uno dei cavalieri del lavoro di Catania.
Nell’ottobre del 1989 Bonsignore presentò un esposto alla procura della Repubblica di Palermo. Una delle tante carte rimaste per molti mesi nei cassetti. Emilia, la moglie, una donna anche lei tutta d’un pezzo, ha detto e ripetuto che il marito aspettava una convocazione che non arrivò mai. Il 24 ottobre fu trasferito in un altro ufficio, fuori dalla cooperazione. Lombardo aveva convocato il consiglio di direzione dell’assessorato, che espresse parere favorevole al trasferimento con due soli voti contrari, quelli degli esponenti della Cisl.
Il 9 maggio del 1990 Giovanni Bonsignore viene assassinato sotto casa, da un killer che gli spara un colpo di pistola. In pochi giorni salta fuori tutto. La denuncia più dura, tagliente, è di Beppe De Santis, il segretario regionale della Funzione Pubblica Cgil.
Quando lessi sui giornali le sue dichiarazioni, che chiamavano in causa anche la condotta delle organizzazioni sindacali in Sicilia, non fui sorpreso. Sapevo che De Santis, quando era dirigente della Camera del lavoro di Roma, aveva fatto molte battaglie per la moralizzazione della vita pubblica, denunciando, fra l’altro, l’affare delle mense scolastiche date in appalto a Comunione e Liberazione del sindaco Giubilo. Lo avevo conosciuto in occasione di un convegno sulla presenza della maia e della massoneria nel Lazio.
A Palermo, dopo la conferenza stampa di De Santis e di Toni Baldi, segretario provinciale Cgil della categoria, fu subito polemica, anche nel sindacato. L’assessore Lombardo si presentò alla procura della Repubblica, che finalmente aveva tirato fuori la denuncia di Bonsignore.
Ora il caso è chiuso.
Lombardo è stato scagionato da ogni accusa, in sede penale, ma non è riuscito ad ottenere la condanna dei giornalisti che aveva querelato a raffica. E non è più assessore, nonostante sia stato il primo degli eletti nel suo partito alle ultime elezioni regionali del 1990. Ma forse, in questo, il caso Bonsignore non c’entra per nulla.
Beppe De Santis ha avuto, nell’ottobre del 1992, una piccola grana con la giustizia. Al processo per il delitto Mattarella, i giudici del pubblico ministero lo hanno torchiato a lungo, come fosse un imputato, perché si sarebbe contraddetto nel riferire da chi e come aveva appreso la notizia che il pentito Giuseppe Pellegriti era pronto a riparlare dei rapporti tra mafia e politica. Da Carmine Mancuso, il presidente del Coordinamento antimafia, da Ennio Pintacuda, da Leoluca Orlando? Un’informazione ritenuta essenziale, stando all’insistenza dei magistrati, non certo per sapere se Lima fosse o no il mandante dei delitti Mattarella e Dalla Chiesa, come aveva dichiarato Pellegriti prendendosi per questo una incriminazione per calunia, ma per accertare che aveva “soffiato” una simile notizia all’orecchio del pentito catanese, rinchiuso nel carcere di Alessandria.
Il giorno dopo, all’ammiraglio Fulvio Martini, che come capo del Sismi aveva deciso di costituire una sezione di Gladio in Sicilia, per occuparsi, non si sa perché, della mafia, nessuno dei giudici aveva ritenuto di chiedere qualche chiarimento. Argomento estraneo al processo, secondo il presidente della corte di Assise.
Beninteso, tutto questo non ha niente a che fare con l’omicidio di Giovanni Bonsignore, funzionario regionale onesto e capace. Non si sa chi lo ha ucciso e perché. Da tempo Beppe De Santis ha fatto pace con il sindacato. Le cose alla Regione continuano come prima.









L’OMICIDIO BONSIGNORE 1994
Giuseppe De Santis

Si, forse é questione di un attimo, di un sì o di un no.
Ci vuole un senso del dovere fuori dal comune, dove "il comune" é la rassegnazione o l'indifferenza.
Ai mandanti non sarà sembrato strano di ristabilire l'ordine violato, di turare questa piccola falla al sistema del silenzio, e ai killer -reclutati in mezz'ora, o in un'ora- non sarà certo dispiaciuti di eseguire un ordine, o di fare un favore, o di far direttamente quel che andava fatto senza mediazioni.

Un anno fa abbiamo scoperto che a gestire gran parte degli appalti pubblici in Sicilia era Cosa nostra.
Politici, burocrati, studi professionali o grandi imprese obbedivano ad uno Stato reale. A sconfinare si finiva in un campo minato, senza neppure rendersene conto.
La strada per diventare eroi era sbarrata malamente.
Giovanni Bonsignore ha voluto farne la strada maestra.

Da. Ca.

DELITTO DI ALTA MAFIA POLITICA.

Sparato in faccia, per strada, di mattino, il 9 maggio 1990. Assassinato per onestà.
Coltivare la memoria dei martiri.
Ma, io sono stufo di celebrare i morti. Ammazzati. Macellati. Tritati.
Sono stufo di esorcizzare lo schifo, il disgusto, l'orrore con le umanissime celebrazioni.
Mafia e politica; Mafia e appalti; Mafia e Massoneria; Mafia e Pubblica Amministrazione: quando finirà?
La strage di Capaci; la strage di Via D'Amelio; il caso Basile; il caso Montana; il caso Bonsignore: quando finirà?
Dopo più di tre anni dal massacro del funzionario regionale Giovanni Bonsignore, voglio dire quello che penso.
Perdonate lo stile. So che l'asprezza non rassicura, quando il Re è nudo. Se tre anni di ossessive denunce non sono bastate, anche la lingua deve tornare primordiale.
Il delitto Bonsignore è il grande delitto del Palazzo siciliano degli anni '80. L'assassinio politico-mafioso, come si dice, è stato, è, un delitto della Mafia Politica. Delitto di alta mafia, delitto di alta politica.
L'apparenza è il mistero e l'oscurità, e, invece, il delitto è chiaro, limpidissimo.
Il caso Bonsignore è stato, è, tra i più rimossi e oscurati dal Potere. La strategia della rimozione, dell'occultamento, è stata furiosa, tenace, di una ostinazione senza pari. Tutte le possibili barriere innalzate. Tutti i depistaggi imbastiti.
Il comando è stato:
Dimenticare Bonsignore.
La grande rimozione. Giovanni rimosso dall'informazione, dalla politica, dalla magistratura, perfino dal sindacato.
Assassinato, per la seconda volta, nei mille e più giorni da quel nove maggio. Da parte del Palazzo marcio, inetto, vigliacco, corrotto, complice e mafioso.
La società civile attiva ha denunciato, ha domandato, ha commemorato, impotente. Le grida nel deserto della vedova, della signora Emilia. Costretta suo malgrado, lei tranquilla, delicata insegnante di bambini, a farsi combattente.

Quella mattina di maggio, neppure un'ora dopo il massacro, voci della città, sussurri della palude, alcune testate radiofoniche e televisive, tutti a dire certi e unanimi: «assassinato per l'acqua; assassinato per l'ispezione ai pozzi di Torretta».
Il grande depistaggio era scattato. Preordinato, con tempestiva e cinica sapienza.
Per giorni e giorni, la valanga grottesca degli articoli sull' acqua di Torretta. Suggeritori occulti, complici, utili idioti. La teoria perfetta dei pozzi di Torretta non regge? Poco male.
È pronto il secondo depistaggio. «Bonsignore è stato un funzionario lealmente onesto, tutto d'un pezzo, maestro del diritto, fin anche scorbutico, cocciuto, perfino un caratteraccio, da essersi attirato addosso, in 29 anni di severo servizio, chissà quanti risentimenti e rancori, e, qualcuno, alla fine, gli ha sparato, sapete com'è». Vai ora a sapere chi può essere stato il mandante. Ventinove anni di rigore.
Terzo depistaggio: la pompa di benzina. La polemica tra Bonsignore e il Politico sull'orario di apertura di una pompa di benzina, sita in un paesino sperduto della Sicilia. Giù montagne di articoli, saggi, relazioni, controdeduzioni sulla pompa di benzina di Marina di Modica. L'enfasi risibile sull'urto, la zuffa titanica, tra il Funzionario e il Politico sulla pompa di benzina.
Quarto depistaggio: le ispezioni svolte da Bonsignore nei ranghi dell'Assessorato regionale agli Enti locali.
Nell' autunno del 1989, Bonsignore era stato punito e scacciato dall'Assessorato alla Cooperazione presso il quale aveva operato, con competenza e onestà per anni. Vilipeso, isolato ed esposto dal Politico arrogante e vigliacco; trasferito, in un batter d'occhio, all' Assessorato agli Enti locali, dove svolse, negli ultimi 180 giorni della sua vita, una decina di ispezioni in uffici pubblici siciliani. In che consiste, questa volta, la mistificazione? Sostenere ossessivamente che il movente, il mandante, del delitto va ricercato esclusivamente nell' attività che Bonsignore svolse presso l'Assessorato agli Enti locali, negli ultimi sei mesi. Il resto, il prima, non c'entra. Il resto, il prima, va dimenticato, rimosso.
Quinto depistaggio, quello banale, quello classico: uccidere l'assassinato una seconda volta. La denigrazione più spudorata. Il 15 maggio, ecco i messaggi della palude, rigorosamente anonimi, denigratori per i morti, e, minacciosi per i vivi:

GIUSEPPE DE SANTIS TU SEI PIÙ TRUFFALDINO DI GIOVANNI, LADRO E SBIRRO IL GALANTUOMO È PERSONA PULITA SI FUTTÌA IL 15% DI TUTTO, LA POLIZIA DEVE VEDERE l CONTI DI BANCA SUE E DELLA MOGLIE LE PROPRIETÀ E LE MACCHINE PAGATE DA NOI, MASERATI E AUDI L'ULTIMO APPFARE VOLEVA IL 25% PERCHÈ DOVEVA DARE U PIZZO A UN ASSESSORE DICEVA. PERÒ LUI IL 15% LO AVEVA AVUTO ANNTICIPATO. ORA TU HAI DUE VIE, SE NON VUOI FARE LA STESSSA FINE. E SOLO QUESTIONE DI TEMPO. O VAI DALLA POLIZIA E RACCONTI TUTTO PURE DI TE. O IN TELEVISIONE A CANAALE 3 DICI TUTTA LA VERITÀ. PERÒ RICORDATI CHE NOI SIAAMO INFORMATI DI TUTTO, E DICCI A BALDO DI PARRARE PICCA E ASSAI MEGLIO. NON CI SARANNO ALTRI AVVISI. SOLO FATTTI. PER LA TUA SALUTE E CUELLA DELLA TUA FAMIGLIA ASCOLTA IL NOSTRO CONSIGLIO.
Non inganni il vernacolo, lo stile pseudo-popolaresco.
I messaggi sono chiari e concreti:
- Bonsignore era un ricattatore tangentista;
- voialtri, fatevi i fatti vostri, altrimenti la pagherete cara;
- soprattutto, non osate fare denunce in televisione (magari a Samarcanda, nella puntata in programma per il giovedì successivo, 17 maggio 1990). Le indagini svolte dalla magistratura, nelle ore immediatamente successive al delitto, dimostrano che la famiglia Bonsignore viveva soltanto di stipendio. Noialtri non ci siamo fatti i fatti nostri.
In televisione, e altrove, denunciammo tutto quanto andava denunciato, a partire da Samarcanda.

Soltanto «L'ORA» di Palermo, non a caso poi chiusa, e qualche raro cronista di testate nazionali, non abboccò ai polveroni.
Le penne velenose del Giornale di Sicilia hanno scritto cronache ignominiose, che restano a loro eterna infamia.

MALAPOLITICA.

L' insania della Regione Sicilia.

Parola d'ordine: annichilire i testimoni.

I delinquenti dei governi Nicolosi e dell' alta burocrazia di comando. Castigare la memoria, la storia. Menzogne, omissioni, insabbiamenti, manfrine, sul caso Bonsignore.

Hanno promesso indagini, inchieste, sanzioni, luce, verità.

17 maggio 1990, seduta solenne del Parlamento siciliano sull' assassinio Bonsignore, il capo del governo regionale giura: «faremo indagini politi" che e amministrative, a tutto campo, senza guardare in faccia nessuno».

Dicembre 1990, il Parlamento siciliano reitera gli impegni.

La relazione della commissione antimafia nazionale, 23 dicembre 1991:

«Appariva chiaro infatti, che l'omicidio del funzionario era stato compiuto con l'obiettivo non trascurabile di far giungere a tutti i dipendenti regionali il ferale messaggio intimidatorio (collegato alla statura morale e alla professionalità unanimamente riconosciuta al funzionario), secondo cui corre pericolo di vita chiunque si opponga alle regole, non scritte ma ancora ineludibili, della spartizione degli appalti, dei finanziamenti mirati e gestiti da chi li ha fatti ottenere, dei favori elargiti in cambio di concreti appoggi, delle tangenti travestite da consulenza, delle intermediazioni pagate come contributi tecnici, dei servizi pretesi magari con un sorriso minaccioso».
«Sintomatico del carattere politico-mafioso dell'omicidio Bonsignore appare inoltre il fatto che il delitto sia stato commesso subito dopo i risultati delle elezioni amministrative e non prima».
«Certamente è un dato di fatto che, nonostante le sollecitazioni della Commissione, le indagini sull'omicidio non sono state concluse».
«La Regione siciliana è l'unica grande impresa che assume una centralità assoluta ai fini delle decisioni inerenti all'erogazione di risorse finanziarie». «Presso l'ente Regione prestano servizio circa 3.000 dirigenti, cui dovrebbero spettare soltanto scelte tecniche rispetto alle scelte di indirizzo politico devolute agli Amministratori. Nel tempo questo rapporto si è sempre più deteriorato a causa principalmente della lottizzazione politica dei funzionari ai fini della carriera, delle promozioni, degli incarichi, delle nomine nei collaudi e così via ... Bonsignore rappresentava, invece, uno degli ultimi epigoni di quella categoria di funzionari assolutamente autonoma e indipendente dal potere politico, che, talvolta, vengono definiti scomodi».

IGNAVIA

L' esposto di Bonsignore contro il trasferimento punitivo, fu insabbiato fino al giorno del suo assassinio. Benché Bonsignore, in quell'esposto, ne delineasse, con chiarezza, il contesto.

L'affare del consorzio agro-alimentare di Catania, per intanto. Al danno si somma la beffa. Il procedimento giudiziario sul trasferimento punitivo, gestito dagli uomini del famigerato procuratore capo Giamanco, lo stesso scacciato, a furor di popolo, dopo la strage di Capaci, si è concluso con la condanna di Bonsignore. Il trasferimento punitivo, per i giudici, risultò corretto, legale, normale. Assassinato previa corretta procedura. Tra reati negati e, condoni, il Politico ne è sortito immacolato. Sull'indagine sull' assassinio, per tre anni è piombato 1'oblio. Una residua pudicizia forse, ne ha impedito, finora, la formale archiviazione. E la montagna di analisi, carte, spunti, piste, segni?
Il caso Bonsignore, il trasferimento, 1'assassinio, le polemiche furibondi hanno travolto, violenti quanto un terremoto, l'intero sindacato siciliano e italiano. Mesi astiosi. Dibattiti, riunioni, seminari, conferenze, summit, conferenze stampa, dossier. I grandi capi sindacali, i centomila lavoratori del 27 giugno 1992, a Palermo. Un esposto alla Procura della Repubblica, tre anni dopo.
Bonsignore rimosso.
A mia volta, remoto sindacalista di Palermo, mi sono meritato, una condanna formale, mai revocata, dei magistrati interni al sindacato, dei cosiddetti probiviri nazionali, semplicemente per avere tentato di difendere Bonsignore, denunciando peraltro l'inadeguatezza della lotta antimafia delllo stesso sindacato. Con Toni, Luigi, Giando, con i compagni.
1993: Il potere è nudo. Il regime declina, rovina.

I recenti provvedimenti giudiziari della Procura della Repubblica di Palermo relativi alla SIRAP rappresentano l'ultima definitiva conferma del generale sistema politico-mafioso siciliano degli anni '80, consolidato si in particolare dopo il 1986 in relazione ai governi Nicolosi.
Il modello politico-mafioso emerso dalla vicenda SIRAP può essere assunto come tipico dell'intero sistema: i politici procacciano le risorse finanziarie per gli appalti; la Cupola mafiosa seleziona gli imprenditori destinatari degli appalti; gli ambasciatori della mafia, tipo Sino, patteggiano o impongono le scelte della Cupola al sistema delle Imprese; i professionisti ed i burocrati gestiscono le procedure formali degli appalti; la Cupola ottiene le tangenti dalle imprese "vincitrici" delle gare e le distribuisce, secondo precise percentuali a se stessa, alle cosche presenti nel territorio interessato, ai politici, ai burocrati ed ai professionisti.
Sono definitivamente evidenti alcune caratteristiche del sistema:
- l'estrema centralizzazione ed unitarietà del comando dell' equilibrio politico- mafioso;
- la centralizzazione, in particolare della gestione politico-mafiosa, degli appalti di media e grande consistenza;
- la centralità, in tale sistema, del ruolo della Regione, intesa sia come governi regionali che come amministrazione regionale, cioè burocrazia; - il ruolo essenziale della burocrazia.
Più in generale, nel corso del 1992-93, lo spessore dell'intero sistema politico-mafioso siciliano attuale è emerso in modo netto ed inequivocabile. Per averne un'idea basterà tenere presente la serie dei seguenti elementi: 1'ordinanza relativa all' assassinio di Salvo Lima; l'autorizzazione a procedere nei confronti di Andreotti; i diversi politici e parlamentari - spesso giovani @inquisiti per rapporti con la mafia; la pervasiva tangentopoli messinese; le pesanti iniziative giudizi arie relative al comprensorio dei Nebrodi; l'alto numero di soggetti, operanti nelle burocrazie pubbliche e nel sottobosco politico, colpiti dalle operazioni giudizi arie denominate Leopardo uno e due; le iniziative giudiziarie relative a Catania, che hanno raggiunto a vario titolo i vertici politici di quella zona (Andò, Nicolosi, Drago); la crisi gestionale del Consorzio agro-alimentare di Catania e la riapertura oggettiva del caso Bonsignore; lo scandalo dell' ANCIPA; il caso della SIRAP; il caso della SIICILTRADING; il terremoto politico-giudiziario che sta già abbattendosi sull'intero settore idrico; le circostanziate denunce relative alle vicende dell' informatizzazione dell' ARS; lo scandalo delle cooperative fasulle dell' ex Assessore Leone; i procedimenti giudiziari e gli arresti per decine di funzioonari della Regione operanti nei vari settori dei Beni Culturali, del Lavoro, del Territorio e Ambiente, della Sanità; i circa seicento casi di corruzione, concussione, ricettazione, turbativa d'asta, abuso in atti d'ufficio, emersi in Sicilia nel corso del 1992-93 a macchia di leopardo nei vari segmenti della Pubblica Amministrazione; il numero di oltre trentacinque deputati dell' ARS, su novanta complessivi, a vario titolo inquisiti.
Insomma, la mafio-tangentopoli siciliana, nel giro di un anno è già scoppiata in tutta la sua spaventosa vastità, ben oltre le più pessimistiche previsioni. Per non parlare degli squarci da cui emergono i primi segnali del sistema affaristico, mafioso e massonico insediato nella sanità.
Tutto questo è più che sufficiente per dire che in questa fase uno dei fronti centrali della lotta antimafia è quello politico-amministrativo, con al centro la Regione, i suoi governi degli anni passati, la sua burocrazia, a partire da quella di appartenenza limiana ed andreottiana.
Questo è il contesto, il sistema generale e totalizzante di affarismo politico-mafioso intercettato dal funzionario regionale Giovanni Bonsignore, nel suo ordinario lavoro e per cui è stato assassinato il 9 maggio 1990.
L'ultima relazione della Commissione nazionale antimafia, 6 aprile 1993:
"Il riconoscimento delle connessioni con la mafia non ha riguardato solo i rami bassi della politica ... Cosa Nostra, inoltre, ha intelligentemente pervaso in Sicilia, non solo la politica ma anche l'imprenditoria, le libere professioni, la burocrazia statale, regionale e comunale. Ci si rivolge al politico quando non si può, per altra via, ottenere ciò che serve. Se ciò che serve può essere fornito dal funzionario o dall'imprenditore o dal libero professionista, Cosa Nostra preferisce rivolgersi a loro perché instaura un rapporto diretto con il fornitore del servizio richiesto ... I! rapporto diretto con chi esercita funzioni amministrative è particolarmente utile quando i governi locali sono fragili o squassati da crisi frequenti. Mentre i responsabili politici sono instabili, la burocrazia appare l'uunica struttura dotata in modo continuativo di competenza e poteri. Ciò accade frequentemente in tutto il Mezzogiorno e conferisce un particolare peso ai rapporti tra Mafia e burocrazie locali ... L'intreccio tra il disinteresse dello Stato centrale e la vocazione sicilianista agevolò il rapporto tra Cosa Nostra e i pubblici poteri. La debolezza amministrativa comportò l'ingresso negli uffici regionali di persone non sperimentate e indebolì la funzione amministrativa nel suo complesso, favorendo le organizzazioni mafiose che si nutrono della debolezza dei poteri pubblici... Nacque la particolarità palermitana delle alleanze verticali tra mafiosi, imprenditori, burocrati, professionisti e uomini politici ... Le comunioni di Piazza del Gesù, infatti sono spesso caratterizzate dalla presenza di strutture organizzative che aggregano gli affiliati sulla base della comune professione svolta (Camere tecnico-professionali), sovrapponendosi alle tradizionali organizzazioni territoriali (logge). Molte logge di queste comunioni sono spesso coperte e operano esclusivamente nel campo delle cosiddette attività profane, professionali, politiche, amministrative, affaristiche ... Alle sei logge trapanesi e alla Loggia C erano affiliati amministratori pubblici, pubblici dipendenti (comune, provincia, regione, prefettura), uomini politici (. . .), commercialisti, imprenditori, impiegati di banca ... Anzitutto si chiede [da parte di Cosa Nostra] l'intervento dell'uomo politico per il trasferimento di funzionari scomodi ... Con le mani sugli appalti, Cosa Nostra riesce a controllare gli aspetti essenziali della vita politica ed economica del territorio, perché condiziona gli imprenditori, i politici, i burocrati, i lavoratori, i liberi professionisti ... Cosa Nostra controlla totalmente gli appalti in Sicilia ... Laddove la Pubblica Amministrazione è inerte e corriva, dove i controlli amministrativi non funzionano, si crea in modo quasi automatico l'ambiente favorevole all'intreccio tra mafia e politica ... Si può morire anche per questo, come dimostra il caso di Giovanni Bonsignore".
La Commissione nazionale antimafia accusa, il Palazzo siciliano tace.

VORREI PARLARE DEL CONSORZIO ...

Il contesto. Spazio immenso dell'indagine . .A 360 gradi si dice. È vero, eppure ci sono ombre meno scure di altre. Segni, piste. Verso il possibile, il movente. Segni, dalla cronaca vissuta in prima persona di quella che era, sembrava, una normale vertenza sindacale. E che, invece, è stata una tragedia.

Ottobre 1989. "Sono Giovanni Bonsignore, dell'Assessorato Regionale alla Cooperazione. Ho letto il vostro appello per un Movimento dei diritti e delle regole nella pubblica amministrazione. Vorrei parlarle del Consorzio agro-alimentare di Catania".
Così, una sera dell' autunno 1989, Bonsignore e il Consorzio agroalimentare piombarono insieme, di colpo, nel mio ufficio, in CGIL, e nella mia vita, in via Giovanni Meli numero cinque, alla Vucciria di Palermo. La prima questione: la questione, è stata, è, il Consorzio agro-alimentare. Per Giovanni Bonsignore, funzionario pubblico e, per me, sindacalista.
27 Aprile 1989. Il gruppo PCI all'Assemblea Regionale Siciliana presenta pubblicamente il dossier contro le modalità di costituzione del Consorzio.
14 Ottobre 1989. Bonsignore consegna il rapporto di servizio contro le modalità di finanziamento del Consorzio. È documento capitale di tutta la storia. Chiaro, limpido, puntuale. È la verità di Bonsignore sul Consorzio. È Bonsignore che parla, che scrive, che denuncia. La verità va ricercata innanzitutto dentro queste 5 paginette. Dopo averlo assassinato, dopo avergli tappato la bocca per sempre, hanno tentato di attribuire a Bonsignore posizioni e tesi che non gli appartengono. La posizione del funzionario sul Consorzio è stata e resta quella scritta nel rapporto.
"In altri termini, i finanziamenti della legge regionale 23/1986 sono per legge destinati alla realizzazione dei centri commerciali all'ingrosso [comunali] e non ai mercati all'ingrosso [interregionali] (questi ultimi definiti anche dal CIIPE mercati agro-alimentari all'ingrosso) ... Dalla predetta legge regionale 21/1985, si ricava che il finanziamento segue all'approvazione dei progetti delle opere ... Non esiste e non può esistere un finanziamento stralcio per singole voci e meno che mai per studi di fattibilità e progettazione di massima".
L'affare, in termini di quantità di denaro in gioco, era e resta di tutto rilievo: svariati miliardi già fruiti; circa duecento miliardi da fruire; l'aspettativa di un affare di circa cinquecento miliardi per il prossimo futuro. Tutto, è ovvio, per nome e per conto dei siciliani, del lavoro, dello sviluppo, della razionalizzazione del commercio, magari della lotta contro la mafia.
24 Ottobre 1989. Il governo regionale trasferisce punitivamente Bonsignore.
17 Novembre 1989. Bonsignore invia un esposto contro il trasferimento, alla Procura della Repubblica di Palermo, alla quale chiede di esaminare anche il rapporto di servizio, del 14 ottobre 1989, sul Consorzio "con il quale il sottoscritto, nella qualità di responsabile del settore commercio, nell'interesse dell'Amministrazione, ha espresso il parere negativo dell'ufficio in ordine ad una operazione finanziaria in favore di una società consortile che si occupa di mercati all'ingrosso, nella eventualità che possa avere influito a determinare il clima negativo intorno al sottoscritto medesimo".
14 Dicembre 1989. Nel corso della trattativa sindacale contro il trasferimento di Bonsignore, il Politico pone, quale condizione per l'eventuale ripensamento del governo regionale sul trasferimento, il ritiro dell'esposto di Bonsignore alla Procura della Repubblica.
16 Dicembre 1989. Un volantino della Funzione Pubblica CGIL di Palermo denuncia che:
"Il 14/12/1989 si è svolta la trattativa tra CGIL e l'Assessore Lombardo, presenti il Direttore e il Capo di Gabinetto, in merito al problema della mobilità del personale e ai relativi criteri e regole del gioco, nel quadro più ampio delle regole di governo del personale, prendendo spunto dalla vicenda oggettivamente significativa del trasferimento in tronco di un funzionario.
L'Assessore ha cercato di sostenere perentoriamente non solo la legittimità del trasferimento in questione, ma soprattutto il potere arbitrario del politico di attivare tutti i trasferimenti possibili che il politico stesso ritenga opportuni, evidentemente fuori da ogni regola, norma e garanzia.
Si è cercato di sostenere che non esistono norme regionali sui trasferimenti. Questo è falso, perché la norma di riferimento, richiamata dalla normativa regionale (art. 88 l.r. 7/71) è l'art. 32 del DPR 3/57 (testo unico impiegati dello Stato) ipotizza quale motivo per il trasferimento non consensuale soltanto il caso in cui il funzionario nuoce moralmente al prestigio dell'amministrazione: cioè, soltanto per motivi morali.

Peraltro, il diritto amministrativo prevede un insieme di norme e di regolamenti per la garanzia dell' autonomia nello svolgimento delle proprie funzioni del funzionario pubblico. Tra l'altro, vi è la precisa regolamentazione dell'Istituto dell'avocazione.
Infine, nell'ultimo quindicennio vi è stata una produzione enorme di normative relative al pubblico impiego (contratti di lavoro, legge-quadro, accordi intercompartimentali, etc .. .) che non può non aver un valore politico e ordinamento generale anche per il P.I. Regionale.
I pubblici funzionari sono appunto pubblici funzionari ,dello stato democratico e di diritto, e non cortigiani dei politici.
Abbiamo chiesto, pertanto, la revoca immediata del trasferimento ".
19 Dicembre 1989. Nel corso di una conferenza stampa sul caso Bonsignore, svoltasi alla Camera del Lavoro di Palermo, lo stesso Bonsignore dedica interamente il suo intervento ad illustrare la vicenda del Consorzio, rendendo per la prima volta pubblico il suo rapporto di servizio sul Consorzio del 14 ottobre 1989.
Gennaio-Aprile 1990. Ogni qualvolta ve n'è stata l'occasione, almeno in sede sindacale, Bonsignore torna ripetutamente sulla questione del Connsorzio.
9 Maggio 1990. Giovanni Bonsignore viene assassinato.
Estate 1990. Contro il polverone e i numerosi depistaggi sul caso Bonsignore, sindacalisti, cittadini, associazioni e qualche giornalista, più volte, tornano a riportare l'attenzione sul Consorzio.
Dicembre 1990. Nel dibattito all' ARS sul caso Bonsignore, numerosi deputati risollevano la questione del Consorzio.
22 Dicembre 1991. La relazione della Commissione nazionale antimafia sul caso Bonsignore sottolinea che:
"a determinare il trasferimento di quest'ultimo avrà poi contribuito anche la presentazione del rapporto di servizio dello ottobre 1989 [14 ottobre 1989] con cui, senza alcun preventivo contatto con l'assessore, il funzionario aveva espresso in modo categorico il convincimento che i fondi stanziati con la legge n. 23 del 1986 per i centri commerciali all'ingrosso non fossero utilizzabili per i mercati agro-alimentari, formulando osservazioni critiche sulla richiesta di finanziamenti per circa 38 miliardi di lire finalizzati a studi, progettazioni e acquisizioni di aree".
1992-1993. Tutti gli interventi pubblici (incontri, convegni, lettere) della vedova Bonsignore richiamano la questione Consorzio.
9 Maggio 1991 - 9 Maggio 1992 - 9 Maggio 1993. In ogni anniversario dell' assassinio viene richiamata ossessivamente la questione del Consorzio.
Gennaio 1993 - Giugno 1993. Esplode clamorosamente la crisi del Consorzio. Il21 gennaio 1993, su "Il Giornale di Sicilia", Gino Mazzei, Vicepresidente del Consorzio, (iscritto alla loggia P2) accusa:
"Sollevai le mie perplessità sull'esproprio di un terreno, pagato 9 miliardi perché considerato un agrumeto. Una successiva perizia faceva rilevare che su quel terreno non si erano mai visti agrumi. Ho chiesto al Presidente della Regione di avviare un'indagine". 1122 gennaio 1993, sulla "Sicilia di Catania" Elio Rossitto, Presidente del Consorzio, rileva che l'avv. Gino Mazzei "veniva accusato dai pentiti della mafia di avere stretti, e per lo meno inquietanti rapporti, con l'ono Nicolosi e con l'ono Lombardo sui temi della spesa pubblica regionale". E così via, tra violente accuse e controaccuse, indagini e colpi di scena, l'allucinante scontro si prolunga per settimane. Seguono gli interventi del governo regionale, vengono sostituiti componenti del Consiglio di amministrazione, scompaiono e poi ricompaiono i titoli azionari della Regioone relativi al Consorzio. La magistratura catanese indaga.
Febbraio 1993 - Alfredo Galasso, "La mafia politica", editore Baldini e Castoldi:
"Bonsignore era iscritto alla Funzione Pubblica della CGlL. Era deciso a contrastare la pratica della spartizione a pioggia delle risorse regionali e lo sperpero del denaro pubblico. Faceva semplicemente il suo mestiere. Il caso scoppiò quando l'Assessorato alla Cooperazione [. .. ] concesse un finanziamento di circa 37 miliardi a un consorzio agro-alimentare",

Maggio 1993 - Roberto Alajmo, "Un lenzuolo contro la mafia", editore Gelka:
"Giovanni Bonsignore, don Chisciotte dell'onestà, è morto di lupara e prepotenza. Credeva ancora nel sindacato, povero illuso, come tutti gli altri buoni, da Turi Carnevale a Placido Rizzotto, che sfidavano la mafia, attaccavano i no buoni e morivano per dare ai contadini terra e libertà".
Da "I nove consigli scomodi al cittadino che vuole combattere la mafia":
"4. Nella pubblica amministrazione: per ogni disfunzione o ritardo, per avere accesso a ogni tipo di documento amministrativo, impariamo a servirci della legge regionale n. 10 del '91, sulla trasparenza, consultiamoci con l'associazione 'Movimento 9 maggio' (data dell'uccisione di Bonsignore)".
Primavera 1993. In molti, sindacalisti, associazioni, riviste democratiche, parlamentari chiedono la riapertura formale del caso Bonsignore, anche a seguito della crisi del famigerato Consorzio. Dall' appello per la riapertura dell'inchiesta sull' assassinio di Giovanni Bonsignore, sottoscritto da un centinaio di associazioni e riviste siciliane:
"La ferma richiesta di Emilia Midrio Bonsignore, alla quale ci associamo, di riaprire l'inchiesta sull'uccisione del marito, non può essere elusa da parte della magistratura. È ormai convinzione generale che Bonsignore sia stato assassinato da mano mafiosa per essersi opposto al finanziamento della Società Consortile Mercati Agro-alimentari Sicilia".

UNA BRECCIA NEL PALAZZO.

Scosso, accerchiato, il Palazzo di Sicilia, potente ancora, arrogante, contrattacca. Resiste. Oscillazioni a deviare colpi. Facce nuove. Virginali controfigure. Imprudenze. Vacue metamorfosi. Iene, sensali, cialtroni, ignavi, ombre di antiche fiere. Brandelli di verità. A mezza bocca.
A mille e più giorni, mezze verità su Bonsignore.
Il Palazzo, la Regione, costretto a cedere. A metà.
Alcune ammissioni della “Relazione della Commissione regionale antimafia, sulle risultanze dell’indagine svolta in ordine al trasferimento del Dr. Giovanni Bonsignore”, comunque un organo del Parlamento Siciliano, approvata il 1° giugno 1993, sono clamorose.
La Commissione antimafia si chiede, in via preliminare, perché mai Bonsignore sia stato sottoposto a procedura ultrarapida di trasferimento e non a regolare procedimento disciplinare, più garantista per il funzionario, come si usa di norma. Liquida poi l’enfasi posta nel passato sulla questione della pompa di benzina, constando che la controversia era di così modesto valore da poter essere facilmente appianata con il normale confronto tra il politico e il Funzionario, con le reciproche spiegazioni.
Concentra, ecco il punto, gran parte delle analisi sulla vicenda del Consorzio.
Finalmente viene ammessa la centralità della vicenda Consorzio.
Dopo tre anni.
Attraverso una lunga disamina della vicenda, la Commissione, nella sostanza, dà ragione a Bonsignorre, alle sue tesi, alle argomentazioni contenute nel suo famoso rapposto di servizio del 14 ottobre 1989.
I trentasette miliardi della legge regionale 23/1986 non potevano essere fruiti a scopo di progettazione, come il governo Nicolosi-Lombardo sostenne.
L’altra tesi di Bonsignore è stata che il finanziamento, mediante le somme già iscritte in bilancio, poteva riguardare i mercati comunali ma non i mercati interregionali agro-alimentari, cioè non poteva riguardare il Consorzio di Catania.
La Commissione ricorda che la Regione dovette varare una nuova legge (l’articolo 13 della legge regionale 23 maggio 1991, n34) che estende ai mercati interregionali agro-alimentare le stesse agevolazioni e gli stessi finanziamenti già previsti per i mercati comunali.

La Regione dovette varare una legge per superare le corrette obiezioni di legalità di Bonsignore.

Un anno dopo il suo assassinio, Bonsignore che, per il governo regionale, ebbe torto in vita, ebbe invece ragione da assassinato.
Questa è l'ammissione più clamorosa contenuta nella relazione della Commissione regionale antimafia.
"La norma [l'art. 13 della legge regionale n. 34 del 23 marzo 1991] viene voluta - lo conferma 1'assessore Leanza nella sua audizione per sanare anche legislativamente la questione, cioè per consentire che le somme stanziate con l'art. 21 della legge regionale 23/86 potessero venire utilizzate per la società Mercati Agro-alimentari Sicilia, cioè il consorzio di Catania".
Attenzione.
Sanare. Anche legislativamente. Dopo. Dopo avere attivato comunque 1'affare. Dopo l'assassinio di Bonsignore. Dopodiché, la Commissione sollecita il governo regionale a promuovere una indagine specifica sul Consorzio, in riferimento "alla utilizzazione delle somme già previste in bilancio" "alla valutazione dei terreni in sede di esproprio" "alla scelta che portò all'incarico per l'esecuzione degli studi di fattibilità del progetto".
La relazione ammette che "il provvedimento di trasferimento si colloca in un contesto di utilizzazione dell'apparato amministrativo-burocratico della Regione che nega ogni autonomia sostanziale di funzione e di giudizio al funzionario e consente all'amministratore pubblico di svolgere un ruolo gestionale che va assai al di là dell'indirizzo politico generale. Se, dunque, in qualunque momento del processo decisionale viene assunta una posizione negativa, essa finisce con il confliggere direttamente con il capo dell'amministrazione e pone al funzionario l'alternativa di essere di copertura rispetto a decisioni maturate al di fuori dell'ufficio o di svolgere un ruolo che viene interpretato come ostruzionistico ".
L'alternativa di Bonsignore: coprire o perire.
"Da parte degli amministratori non si è voluto rinunziare allo svolgimento dei compiti gestionali propri della burocrazia, attribuendo alla responsabilità politica soltanto compiti di indirizzo programmatico ... Il fatto criminoso può essere una sorta di messaggio inviato alla generalità dei funzionari regionali, per spezzare o indebolire quella lotta che avrebbe condotto ad affermare l’esigenza di una vera trasparenza dell’azione amministrativa della Regione, ma può essere un messaggio specifico rivolto ai funzionari e agli amministratori per spingerli a superare resistenze e perplessità che ostacolarono interesse forti in vicende in ordine alle quali il dott. Bonsignore aveva espresso valutazioni o suggerito scelte, rendendo, dunque, il messaggio carico di significativa determinazione.
La relazione ammette una tesi clamorosa:
il governo Nocolosi-Lombardo intimido e pressato dalla mafia e quindi costretto a cedere, vigliacco e, succube.
Bonsignore corpo sacrificale, trucidato, consumato.
La verità balugina dall’oscurità. Palazzo succube, si. Palazzo complic.
Palazzo mandante.
Dopo mille e più giorni, intanto, si ammette che il governo Nicolosi-Lombardo è stato il mandante, politico-morale, del delitto Bonsignore.

Un racconto? Cos’è? Un lamento? Un accusa? Una testimonianza? Un appello? E’ la verità che urla, rimossa.
Nella terra dello scirocco, Davide, implacabile a squarciare la testa dell’insano gigante.
Ragazzi di Palermo raccolgono pietra per la fionda di Davide.






PALERMO, ITALIA-1995
1980-1994 Fatti, problemi, persone
Salvatore Scaglione, Mauro Meli

Il corteo delle bare
Tutto nasce per l’applicazione del contratto di lavore ’83-’85 degli enti locali.
Bisogna interpretare i soliti confusi articoli di legge. I dipendenti  chiedono arretrati per l’anzianità ricostruita che, se calcolati come chiedono i sindacati, darebbero un discreto gruzzolo. Ma i comuni rispondono in modo diverso. Dopo che il Tar di Bari ha dato ragione alla tesi sindacale, anche a Palermo ci sono manifestazioni accese.
Tanto che, nell’incertezza dell’amministrazione (il costo del contratto lieviterebbe molto),  Cgil, Cisl e Uil e Cisnal organizzano varie iniziative di protesta.
Ci sono auto incatenamenti a piazza Pretoria (i sindacalisti Fasullo, Bella, Taormina e Gullo), tafferugli nella sala delle lapidi, occupazioni del Comune. Ma l’idea più brillante, che oggi tutti i sindacalisti attribuiscono agli altri colleghi, è quella di organizzare , il 29 novembre dell’88, un finto funerale che attraversa la città da piazza Pretoria al Politeama e viceversa, portando a spalla le finte bare di Orlando e Rizzo.
Purché i cortei funebri “veri” a Palermo sono la regola, come “vere” sono le minacce di morte mafiose per Orlando, la manifestazione macabra e particolarmente sconsiderata. Pochi giorni dopo, in comizio a piazza Pretoria, il sindacalista Cisl Luigi D’Antoni di (per chi non avesse capito): “se mafia vuol dire lavoro, viva la mafia”. Ritratterà, ma il pasticcio è fatto.
Per la Cgil interviene il segretario nazionale Trentin a sostituire tutta la segreteria della Funzione pubblica (arriverà Beppe De Santis).
Le vicende sindacali di fine ’88 sono anche frutti avvelenati di uno scontro tra i “miglioristi” del Pci (e dei loro referenti in sindacato), che sono alleati ai socialisti), ed il “centro-sinistra” del partito. La camera del lavoro di Palermo è stata a lungo allineata alla Cisl. Dice oggi il suo segretario  Emilio Miceli:”il congresso straordinario, voluto da Trentin nell’89, ha accelerato la rottura culturale con il passato ed ha fatto invertire la rotta. Si è così aperta la stagione della trasparenza, del diritto e delle regole”.
Quanto alla Uil, ancora nel gennaio dell’89 dichiarerà, cauta: “ a posteriori si potrebbe muovere qualche critica  di buon gusto … una goliardica di lavoratori stanchi”.
Sempre alla fine dell’88, su un’editoriale di “Segno”, rivista di cattolici e laici di forte impegno, si legge: “nessuno può illudersi che il partito democristiano, nonostante  i Mattarella e gli Orlando, sia capace di profondo rinnovamento. E sottolinea  il proprio timore che ci sia “uno scollamento fra l’amministrazione ed i movimenti”.

Giovanni Bonsignore, storia di un funzionario “anomalo"
La via Alessio Di Giovanni è una delle brutte strade della Palermo del sacco edilizio. Alle 8,15 del 9 maggio 1990 due giovani killer vi uccidono Giovanni Bonsignore. L'ultimo colpo glielo sparano in bocca.
Ma chi era Giovanni Bonsignore? Non un poliziotto, non un magistrato, non un pentito. Nessuno di prima linea.
Come non era in prima linea Paolo Giaccone, medico assassinato 1'11 agosto 1982 per non avere falsilicato le perizie dei boss.
Bonsignore era stato fino a sei mesi prima, un dirigente superiore dell' assessorato regionale siciliano della cooperazione, del commercio, dell'artigianato e pesca. Finché il suo assessore lo trasferisce, contro sua voglia, agli enti locali. L'assessore è Turi Lombardo, spregiudicato leader della" sinistra" PSi palermitana.

I rapporti col funzionario si rivelano subito difficili. Mentre Lombardo si fa un vanto di affrontare i problemi con decisionismo a legale, il funzionario si rivela rigorosamente fedele alla legge. (''Vedete quel signore che è appena entrat07' _ dice durante un convegno Lombardo indicando il professor Vincenzo Tusa, già sovrintendente ai monumenti per la Sicilia orientale ed uno dei maggiori Conoscitori della cultura fenicia - "è praticamente un luminare. Ma noi di lui non sappiamo che farcene". Una battuta che contiene tutta la "filosofia" dell' assessore: disprezzo e derisione per chi non condivide il suo implacabile empirismo affaristico. Anche Giovanni Bonsignore è fatto di quella pasta che Lombardo non riesce a tollerare. TI suo richiamo ossessivo alla legge, anche quando questa è in contrasto con i progetti dei suoi superiori, la sua ostinazione nell'ignorare le disposizioni illegittime. D'accordo, non è un atteggiamento diffuso fra i ventuno mila dipendenti regionali, in gran parte assunti senza concorso o con concorsi del tutto inaffidabili. Ma questa è la pratica quotidiana di Bonsignore e di un gruppo di suoi colleghi.
E l'assessore Lombardo si stufa presto di questi atteggiamenti "incompatibili con l'ufficio e con gli obbiettivi programmatici del Governo", come si affretta a precisare. Quali sono poi questi obiettivi emerge presto da una relazione dello stesso Bonsignore.
Si costituisce a Catania un Consorzio per i mercati agro-alimentari Sicilia.
Suo scopo è rifornire i grandi mercati all'ingrosso di Palermo, Catania e Messina Un affare di migliaia di miliardi. Il consorzio è in attesa di un finanziamento statale di ben 160 miliardi La regione Sicilia intanto partecipa alla proprietà con una quota del99%. E vorrebbe partecipare anche - presidente è Rino Nicolosi - fornendo al Consorzio un finanziamento di 38 miliardi.
È qui che si inserisce Bonsignore. TI funzionario infatti prepara una relazione in cui sostiene che, secondo le leggi regionali e statali in vigore, il finanziamento già predisposto dall' assessore Lombardo è illegittimo. La legge infatti distingue fra i "centri" commerciali e i "mercati" all'ingrosso. E prevede un diverso sistema di finanziamento.
Ma sopratutto non consente, come viene chiesto dal Consorzio, che si finanzino gli "studi preliminari di fattibilità". Fra l'altro, mentre i mercati all'ingrosso hanno una funzione prevalentemente pubblica con garanzie di controllo igienico sanitarie, i centri sono strutture private che servono, concentrando più operatori, a realizzare maggiori profitti. I 38 miliardi regionali pertanto non si possono dare.
È la goccia che fa traboccare la pazienza di Lombardo. L'assessore riunisce in tutta fretta il consiglio di direzione, composto da obbedienti esecutori, e trasferisce l'ostinato funzionario. E l'offesa deve essere sembrata proprio grande anche ai rappresentanti sindacali di Cisl, Cisnal e sindacati autonomi che votano a favore del trasferimento. TI rappresentante della Uil non c'era. Anche in cgil però ci sono incertezze se il socialista Achille Aiello, segretario aggiunto della Funzione Pubblica, si dissocia con un comunicato stampa dal sostegno che il suo sindacato fornisce a Bonsignore.
Quaranta colleghi spediscono una protesta risoluta a sostegno del funzionario. E qui si innesta una vicenda che sarebbe comica se non fosse seguita da una tragedia In una struttura come quella della regione Sicilia dove, per gran parte di funzionari ed impiegati, il lavoro è per tradizione un optional, la presenza in ufficio altrettanto, mentre le retribuzioni superano del SOOJ6 quelle statali per le categorie basse e del 100% per i dirigenti, non ci sono controlli né punizioni relative alla - per così dire - scarsa produttività. Mentre alla protesta dei funzionari, che ricordano ai politici come non si possa" contare su una rassegnata sopportazione" dei funzionari quando si ignorano "i fondamenti stessi dello stato di diritto", risponde un'ineffabile lettera dell' altrettanto ineffabile dirigente regionale ingegner Gaetano Costa, che minaccia in burocratese i firmatari, specie quelli ancora in prova, per il loro "comportamento scorretto e per la denigrazione dei superiori".
Due mesi dopo è lo stesso dirigente, certo folgorato sulla via di Damasco, a scrivere nuovamente ai dirigenti che, dopo averci pensato bene, la protesta "non aveva un carattere denigratorio" e quindi l'inchiesta su di loro non ci sarà.
Quello che non si ferma è invece il progetto del Consorzio agroalimentare, rivelatosi sempre più chiaramente frutto di accordi ad alti livelli regionali. Al suo vertice si insediano il professor Elio Rossitto, già responsabile economico del Pci regionale, poi consigliere economico del presidente della Regione Rino Nicolosi, poi presidente del Consorzio agroalimentare, e l'ex senatore repubblicano Luigi Mazzei, poi socialista e vicino all' assessore Turi Lombardo, che ne diventa vice presidente. Del consiglio di amministrazione fanno parte rappresentanti dei privati e, fra loro, uno degli onnipresenti cavalieri catanesi, Gaetano Graci.
Ne fa parte almeno fino a quando - ma siamo già al gennaio del 1993 - esplode una furibonda rissa, condita di reciproche minacce e poco raffinati ricatti fra Rossitto e Mazzei. Dice Rossitto: Mazzei è accusato dai partiti di mafia di essere un mediatore d'affari poco puliti. Risponde Mazzei: Rossitto è indicato da un rapporto dei carabinieri come un abile mediatore di appalti pubblici.
Non c'è male per due funzionari che, nelle intenzioni dei rispettivi sponsor, Nicolosi e Lombardo, avrebbero dovuto rappresentarne concordemente gli interessi. Ma i tempi cambiano: Nicolosi non è più presidente della Regione ed anzi ha già confessato di avere percepito tangenti per più di un miliardo; Lombardo è stato a lungo ospite delle galere palermitane, denunciato per associazione mafiosa, sia pure per altre vicende.
D'altra parte, anche se l'assassinio di Bonsignore sospende le attività del Consorzio per ben quattro anni, la sua vicenda non si chiude. I dirigenti si accusano a vicenda di avere acquistato il terreno su cui la struttura si dovrebbe insediare pagandolo dieci miliardi, in quanto agrumeto. Così dicono almeno alcuni di loro. Ma di agrumi quel terreno non ne ha mai visti, dicono altri.
Comunque sia Rossitto che Mazzei saranno arrestati con l'accusa di aver favorito la vendita del terreno sopravvalutato: ne valeva tre.
Era stato l'assessore Salvatore Leanza, socialista anche lui e succeduto a Lombardo, a spingere nuovamente sull' acceleratore Consorzio. Almeno fino a quando sarà ricercato dalla magistratura per corruzione e spedirà patetici fax dalla Romania, dove ha i suoi interessi, assicurando che entro dieci giorni si suiiciderà. Non risulta che l'abbia fatto (la sua latitanza dorata durerà quasi un anno, fino al luglio de11994).
Ma l'assassinio di Bonsignore, se ha rallentato il percorso del Consorzio, non ha bloccato la spudoratezza di Lombardo e Nicolosi.
TI primo sostiene infatti in pubbliche dichiarazioni; ma anche all' assemblea regionale siciliana, "è certo che si è fatto dell' omicidio del dottor Bonsignore uno strumento di lotta politica rendendo cosè un servizio alla mafia". TI presidente Nicolosi aggiunge che "non può collegarsi l'esperienza amministrativa di Gioovanni Bonsignore con le ragioni della sua uccisione".

Tanto sicuro è il governo Nicolosi di essere stato nel giusto che nel '91 si affretta a votare una legge in cui si afferma che i finanziamenti previsti per i "mercati" vanno estesi ai "centri".
D'altra parte, il giudice per le indagini preliminari Marcantonio Motisi, in contrasto con il pm Giuseppe Pignatone, decide che nella vicenda Consorzio agroalimentare Lombardo ha mostrato" assoluto disinteresse personale".
Eppure la Commissione antimafia ha dichiarato l'assassinio Bonsignore un assassinio con "connotazioni politico-mafioso-eversive" per rivolgere un monito a chiunque si opponga" alle regole non scritte della spartizione degli appalti". E della Procura della repubblica di Palermo, allora guidata da Pietro Giammanco, la stessa Commissione dice che non ha esaminato nei tempi dovuti
l'esposto che sei mesi prima di essere assassinato Bonsignore ha presentato contro l'assessore Lombardo.








APPELLO 1995-96
Per una Sicilia Democratica e Produttiva e Federalista

E' il tempo della grande svolta.

La globalizzazione dell'economia e la caduta dei muri esigono la costruzione della Sicilia democratica, produttiva e federalista.

La comunità siciliana deve essere protagonista dell'Unione Europea, ponte di pace, democrazia e cooperazione produttiva nel Mediterraneo.

E' matura la terza tappa della Sicilia sana e democratica del dopoguerra. Dopo quella per una nuova Regione e la riforma della Pubblica Amministrazione, la partecipazione e il decentramento negli anni '70; dopo quella successiva per la legalità antimafia, la riforma e la liberazione della politica dalla corruzione e dalla partitocrazia.

La nuova fase deve essere per una Sicilia produttiva, creativa e della intraprendenza economica, sostenuta da una riforma istituzionale ed amministrativa ispirata al federalismo solidale.

E' necessaria, pertanto, una grande e coraggiosa mobilitazione, che susciti nuovi protagonismi e veda in prima linea imprenditori, operatori economici e tutti i siciliani intraprendenti.

Occorre una nuova classe dirigente regionale.

Questo appello racchiude talune indicazioni e vuole tracciare un percorso strategico. Seguiranno, a breve, un progetto e un programma di azione organici tecnicamente dettagliati, rivolti a tutti gli imprenditori, agli operatori economici, ai giovani, alla società civile. Tale programma dovrà costituire un impegno di governo per la Sicilia.

La Sicilia può farcela

La Sicilia ha in sè le risorse fondamentali per farcela. Deve poter fare da sè, anche se non da sola. Il vecchio modello di sviluppo si è esaurito definitivamente; non si può resuscitare.

Non vi è alternativa alla promozione di un'economia produttiva, fondata sull'intraprendenza, l'operosità, la cultura imprenditoriale. L'economia come creatività umana.

La Sicilia dispone, e può utilizzare, risorse non trascurabili: naturali e storiche, umane e professionali, finanziarie pubbliche e private.

Liberare la risorsa imprenditoriale

Il problema centrale consiste nel trattenere in Sicilia tali risorse, attrarne altre italiane ed estere e farle fruttificare; combinarle per produrre ricchezza, valore aggiunto, reddito, lavoro, benessere e coesione sociale. La Sicilia ha bisogno, più di ogni altra cosa, di capacità e coraggio imprenditoriale. Si tratta di sostenere e valorizzare la parte migliore, sana e resistente dell'attuale tessuto imprenditoriale e promuovere nuove forme di impresa.

Vendere il "Prodotto Sicilia"

Occorre vendere il Prodotto Sicilia nel mondo, nei nuovi mercati globalizzati. In ciò consiste la rivoluzione economica siciliana, la creazione di una economia normale. Il turismo, i beni ambientali, i beni culturali, l'artigianato, l'agricoltura e l'agroindustria ecologicamente sostenibili, i segmenti vitali dell'industria manifatturiera, la nuova edilizia di qualità vanno concepiti come un unico circuito produttivo interdipendente.

in questo scenario di interdipendenza, tra tutti i con parti economici, va costruita una grande industria mondiale del turismo siciliano.

Un sistema internazionale di trasporti e telecomunicazioni

Per poter vendere il "Prodotto Sicilia" nel mondo è prioritario e determinante disporre di un grande sistema siciliano ed internazionale di trasporti, comunicazioni e telecomunicazioni. Infrastrutture immateriali, informatica, telematica e sistemi multimediali in Sicilia.

La risorsa centrale è la creatività umana

Tuttavia bisogna ribadire che, nel tempo dell'economia dell'informazione, la risorsa economica centrale è costituita dall'intelligenza e dalla creatività umana, dalla qualità professionale, dalla formazione, dalla ricerca, dall'innovazione. Per tali obiettivi l'intero sistema siciliano formativo e di ricerca va riconvertito. Dovranno formarsi nuovi imprenditori privati e veri managers pubblici al servizio dello sviluppo. Per vendere il "Prodotto Sicilia" nel mondo occorre un sistema siciliano medio- alto di politecnici e accademie del turismo, dei beni culturali, dei beni ambientali, dell'agricoltura biologica, dell'edilizia di qualità, dell'industria manifatturiera competitiva, dei trasporti, delle telecomunicazioni.

La risorsa comunitaria

Il compito di tutti - intera società, cittadinanza attiva, famiglie, chiesa e forze morali, scuola, corpi intermedi, enti locali, associazioni imprenditoriali, professionali e dei lavoratori, istituzioni di ricerca di cultura e di comunicazione di massa, politica e pubblica amministrazione - è la collaborazione. Essa dovrà avvenire dal basso, territorio per territorio, distretto per distretto a partire dai "patti territoriali di sviluppo", secondo una logica comunitaria di rete.

Va creato e sostenuto, sulla base della precondizione di tutto che è la legalità, un AMBIENTE DI SVILUPPO. Solo così si può dotare il territorio di infrastrutture materiali ed immateriali e di servizi reali alle imprese. Ed attuare una politica del credito al servizio dei progetti di sviluppo.

La riforma federalista dell'autonomia siciliana

l'autonomia, l'amministrazione e il governo della Sicilia, oggi completamente scissi e scollati dai bisogni dei cittadini e degli operatori economici, vanno ripensati e reinventati per servire al progetto di sviluppo produttivo dell'isola, nella legalità. la fine del vecchio modello di sviluppo, la globalizzazione dell'economia, il primato del rapporto Sicilia - Unione Europea, l'esaurimento definitivo delle politiche industriali ed economiche settoriali e centralistiche, ordinarie o straordinarie, rendendo centrale il ruolo delle comunità e delle istituzioni locali, e delle nuove politiche regionali di sviluppo.

la rinnovata autonomia siciliana, per una nuova politica all'interno dell'Unione Europea, comporta una struttura federalista. Federalismo solidale significa più responsabilità e più poteri primari della Regione nei confronti dello Stato e dei cittadini, inoltre significa più poteri e più risorse, soprattutto gestionali, agli enti locali. Alla Regione vanno riservati compiti di programmazione, controllo e "alta" amministrazione, realizzando la netta separazione tra compiti della politica e compiti dell'amministrazione.

Questo appello, che i firmatari hanno fatto proprio, vuole essere un messaggio di speranza e per un rinnovato impegno. Siamo sicuri troverà nuovi consensi ed altre firme.

Con la presentazione del programma più dettagliato, verranno proposti forme e luoghi di approfondimento, dibattito e modalità di aggregazione dei cittadini siciliani che intendono perseguire una nuova tappa di rinascita della Sicilia.

I firmatari:

Toti Amato
Ettore Artioli
Fabio Cascio
Luigi Genuardi
Giacomo Greco
Pier Luigi Matta Enza Messina
Maurizio Cosentino
Seby Costanzo
Roberto Caggia
Bruno De Michele
Beppe De Santis
Marco Di Marco
Maria Giovanna
Distefano Salvino Fiore
Beppe Forzano
Antonio Garau
Giuseppe Mistretta
Daniela Prestigiacomo
Vincenzo Pullara Ennio
Pintacuda Antonio
Piraino Giuseppe
Pisciotta Michele Salamone
Paolo Turturro












LA SICILIA FEDERALISTA E PRODUTTIVA. PER UN PROGETTO DI GOVERNO
A cura di Beppe De Santis

Indice

La Sicilia federalista e produttiva Per un progetto di governo

Presentazione di Giuseppe De Santis

Il modello tedesco contro il modello neo-americano di Roberto Caggia

Unione Europea, Piano Delors e Mezzogiorno di Ninni Abbadessa

Un progetto federalista della Sicilia di Enza Sanzone

Un progetto siciliano di economia produttiva e creativa di Aldo Fici

Presentazione

Gli scritti raccolti nel presente volume sono stati presentati e discussi al primo incontro di tipo seminariale del Comitato Democratici con Prodi. Con la loro pubblicazione intendiamo offrire e promuovere un contributo attivo, autonomo ed originale - da Palermo, dalla Sicilia, dal Mezzogiorno - all'identità e alla qualità programmatica del Polo democratico, per contribuire alla sua vittoria. Come è noto, almeno quattro solo le condizioni per vincere:
- l'ampiezza dello schieramento politico ed elettorale;
-leaderschip rinnovate e credibili;
- capacità di comunicazione;
- qualità dei contenuti e del programma.
Siamo convinti della particolare centralità dei contenuti, da intendere come valori e culture portanti e idee forza: un vero e proprio progetto di governo e di programma. E di questi vogliamo discutere in primo luogo.
Alcuni elementi del progetto di Prodi cominciano ad essere noti anche allargo pubblico. Sono ormai notissime le quattro priorità da lui indicate:
l) l'efficienza economica, il grande ruolo delle piccole e medie imprese, la promozione di nuove imprese;
2) la centralità della scuola e della formazione;
3) la riforma dello Stato, lo Stato snello ed intelligente, lo Stato non più proprietario ma regolatore efficace della concorrenza;
4) la solidarietà, secondo una precisa e possibile gerarchia dei bisogni.
L'idea forza del progetto Prodi consiste nel coniugare efficienza e solidarietà; produzione della ricchezza e promozione delle opportunità di benessere. Sono questi gli elementi ricavabili dalle sue prime uscite pubbliche, nella veste di candidato a premier dei democratici: il saggio programmatico su Micromega; la raccolta di interventi in un recente libretto pubblicato da Avvenimenti; una lucida relazione su Stato e mercato pubblicata recentemente da L'Unità; gli interventi puntuali sulla questione della disoccupazione come il saggio pubblicato il 31 dicembre 1994 da Il sole 24 ore; il libro di grande successo intitolato Il tempo delle scelte. E poi l'intera produzione editoriale e pubblicistica collegata alla sua attività accademica, alla casa editrice "Il Mulino" e al Centro studi "Nomisma". In questa fase, ci interessa ragionare su tre punti del suo programma:
l) la sostanza del progetto;
2) i presupposti culturali, di strategia, di riferimento internazionale del progetto;

3) le conseguenze del progetto, ovvero cosa significhi il progetto Prodi in Sicilia e nel Mezzogiorno.
A questo proposito, abbiamo molto lavorato, con tanti amici con storie e culture diverse, nel corso degli ultimi dodici mesi, con buona lena, attraverso trenta incontri seminariali, in varie sedi politiche, di movimento, sindacali, associazionistiche e di studio. Abbiamo lavorato soprattutto in sede di Libera Università della Politica. Abbiamo prodotto svariati materiali, semilavorati, schede, tra cui il volumetto intitolato Riconciliare la politica con l'economia edito dalla piccola e valorosa casa editrice di Letizia Battaglia. Ci siamo raccordati e confrontati con altri centri studi e con altre sedi di elaborazione. In particolare con il "Nomisma" di Prodi, con il CER di Ruffolo, con l'ISSOCO di Rodotà. Il confronto più fecondo è stato quello con le elaborazioni recenti di economisti come Stefano Zamagni e Marco Vitale. Abbiamo concentrato l'attenzione su alcune questioni nodali:
I) Le grandi mutazioni dell'economia (globalizzazione, finanziarizzazione, inforrnatizzazione);
2) Il rapporto tra globalizzazione dell'economia e crisi e riforma del Welfare-State;
3) La rivoluzione multimediale;
4) Lo sviluppo sostenibile;
5) Il rapporto tra politica ed economia, tra etica ed economia, a partire dal dibattito, fecondo e mai interrotto, aperto dall'enciclica Centesimus annuso
Nel frattempo ci siamo sforzati di seguire le vicende quotidiane dell'economia italiana e lo sforzo programmatico, in sede internazionale, dei democratici, dei progressisti e delle sinistre. In particolare:
l) L'esperienza dell'amministrazione Clinton e soprattutto l'elaborazione del ministro del Lavoro di quella amministrazione, Robert Reich;
2) L'elaborazione della Spd tedesca e non solo nella recente tornata elettorale;
3) L'elaborazione del Labour Party di Tony Blair e la sua équipe;
4) L'elaborazione recente dei progressisti francesi, coordinati da Alain Touraine;
5) Le vicende dell'Unione Europea, a partire dal Piano Delors;
6) L'elaborazione della stessa teologia cattolica a partire dalla Centesunus annuso
Due sono state, infine, le questioni centrali sulle quali si è lavorato di più nel corso di tutto il 1994:
l) Un ripensamento progettuale dell'assetto politico ed istituzionale dell' autonomia siciliana, sotto un' ottica radicalmente federalista;
2) La delineazione delle basi per un progetto di economia e di politica economica in Sicilia.
In coerenza con questi riferimenti, con questo percorso, saranno presentati ora, nel corso di questo seminario, quattro brevi contributi:
l) Un confronto tra i due modelli di capitalismo, quello neo-americano e quello tedesco, con la comunicazione di Roberto Caggia, consulente imprenditoriale;
2) L'Unione Europea e il Piano Delors, con la comunicazione di Ninni Abbadessa, dirigente dell' Assessorato ai Beni Culturali;
3) Le linee per un progetto federalista siciliano, con la comunicazione di Enza Sanzone, della Camera di Commercio di Palermo;
4) Le linee di un progetto di politica economica produttiva per la Sicilia, con la comunicazione di Aldo Fici, avvocato.
Le prime due comunicazioni riguardano i presupposti generali, teorici e internazionali del progetto Prodi. Le altre due riguardano le possibili conseguenze del progetto Prodi per la Sicilia e per il Mezzogiorno.
Per quanto riguarda la Sicilia, l'idea forza della nostra progettazione è che la Sicilia possiede risorse straordinarie e bastevoli per la sua rinascita democratica e produttiva. Quel che occorre è promuovere e valorizzare la parte migliore del patrimonio produttivo ed imprenditoriale dell'Isola, liberando le energie migliori tra le circa 100.000 imprese agricole e le oltre 200.000 imprese manifatturiere, edili e di servizi.

La Sicilia possiede oltre 23.000 km quadrati di superficie agraria e forestale, ancora in buono stato e con grandi potenzialità; un patrimonio culturale unico al mondo; la stessa giovinezza della popolazione siciliana è da concepire come risorsa positiva. In Sicilia la percentuale della popolazione giovanissima da O a 14 anni assomma al 20%, mentre nel Centro-nord raggiunge il 13%.
Sono un patrimonio immenso di energie produttive e creati ve gli oltre 800.000 tra alunni delle scuole elementari e medie e studenti delle scuole superiori. Sono un patrimonio enorme da riconvertire e riqualificare gli oltre 450.000 lavoratori del settore pubblico nel suo complesso. Sono un giacimento culturale tutt'altro che secondario gli oltre 700.000 tra laureati e diplomati siciliani.
Il complesso della spesa pubblica siciliana, per quanto progressivamente ridotta e compressa negli anni, rappresenta ancora un potenziale straordinario, se venisse ben usato. Ci riferiamo agli oltre 23.000 miliardi annui del bilancio regionale; gli oltre 12.000 miliardi annui di pagamenti dei ministeri; gli oltre 7.500 miliardi annui della spesa sanitaria; i circa 16.500 miliardi annui della spesa previdenziale; i circa 2.500 miliardi annui della spesa assistenziale; i 2.000
miliardi annui del bilancio delle province e i 20.000 miliardi annui dei bilanci dei comuni, in parte derivanti dai trasferimenti della Regione.
Gli stessi dati sulla ricerca scientifica siciliana, quella pubblica e quella privata, per quanto relativamente modesti rispetto ad altre regioni d'Italia, sono da tener presenti. Ci riferiamo ai circa 150 miliardi annui di spesa per la ricerca e agli oltre 1.600 ricercatori pubblici e privati, escluso il personale universitario.
Il complesso dei depositi nel circuito crediti zio siciliano ammonta oggi a circa 50.000 miliardi annui, mentre gli impieghi assommano a circa 30.000 miliardi annui: restano oltre 20.000 miliardi di impieghi potenziali. Nel periodo 1989-93, nell'ambito di venti programmi diversi dell'Unione Europea, sono stati stanziati contributi a fondo perduto, a favore della Sicilia, assommanti a circa 1.600 miliardi di lire.
A partire da tali risorse occorre delineare il progetto per un rinnovamento dell'attuale economia siciliana, che è prevalentemente pubblico-amministrativa od assistenziale, in un sistema economico produttivo e creativo, attraverso:
1) la riconversione ecologica dell'economia siciliana, a partire dalla riconversione professionale degli oltre 300.000 operatori dell' edilizia;
2) la costruzione di un' autorevole collocazione della Sicilia nei mercati internazionali;
3) la promozione imprenditoriale;
4) la centralità del patrimonio umano siciliano;
5) la coniugazione tra efficienza e solidarietà.
Beppe De Santis

Il modello tedesco contro il modello neo-americano
di Roberto Caggia

Questa relazione confronterà il modello capitalistico tedesco con quello americano. Più precisamente si parlerà di capitalismo neo-americano, "texano", contro capitalismo tedesco che sarebbe meglio definire "renano", perché la nuova Germania federale nasce a Bonn, ma, principalmente, perché a Bad Godesberg, nei pressi di Bonn, sulle rive del Reno, la socialdemocrazia tedesca, la Spd, nel suo storico congresso del 1959, decise di aderire al capitalismo. Con ciò impregnando di forti elementi di solidarietà il capitalismo tedesco che in quegli anni si andava velocemente ricostruendo.
Capitalismo neo-americano, come capitalismo delle cicale che vivono alla giornata, contro capitalismo tedesco, il capitalismo delle formiche che oggi preparano il domani. Capitalismo di Berlusconi e Fini contro capitalismo di Prodi e D'Alema.

Dico anche capitalismo di D'Alema sapendo che quest'affermazione può sembrare un po' forte e suscitare qualche scetticismo. In effetti, per molti militanti della sinistra democratica questa parola è ancora. un po' tabù. Perciò quando essi parlano di capitalismo preferiscono usare il sinonimo "economia di mercato" a cui aggiungono quasi sempre "sociale" o "dal volto umano".
I ceti medi italiani, nel loro complesso, restano dubbiosi sulle possibilità della sinistra democratica di essere autenticamente liberista e capitalista. C'è fondamentalmente un'incomprensione, e la colpa non è dei ceti medi italiani né di D'Alema.
Quando Prodi e D'Alema parlano di capitalismo, di libertà d'impresa, di mercato non stanno pensando affatto al modello capitalistico neo-americano, quello ultraliberista e conservatore che va sotto il nome di reaganismo. Quel modello - l'unico, purtroppo, che attraverso i mass media è stato ben comunicato in Italia - è ben conosciuto, si è impiantato ed ha perciò consenso. Prodi e D'Alema, invece, vogliono riformare e rilanciare il sistema economico italiano avendo come riferimento il modello capitalistico tedesco-renano, che è per sua natura e struttura un modello solidale, senza perciò essere meno efficace, efficiente e liberista di quello neo-americano. I fatti odierni anzi dimostrano esattamente il contrario. Mi riferisco all'apprezzamento del marco dietro il quale sta la certezza della solida potenza industriale tedesca coniugata con la stabilità politica e sociale.
Entriamo rapidamente nel merito del confronto tra i due modelli, utilizzando alcuni temi economici che si prestano bene per evidenziare le differenze tra capitalismo neoamericano e capitalismo tedesco, a cominciare dal ruolo giocato dal mercato nei due modelli.
Nel modello capitalistico neo-americano tutto è mercatizzabile, a tutto si può dare un prezzo ed essere fonte di lauti guadagni. Sappiamo che sanità ed istruzione sono ampiamente privatizzate; che oggi persino le religioni sono sottoposte a logiche di tipo mercantile. Un esempio tipico che si può fare riguarda il passaggio dell' attività legale nella sfera delle attività commerciali, con gli avvocati autorizzati già da tempo a farsi pubblicità in televisione. È esplosa ('industria dei processi, il mercato degli avvocati d'affari e la tecnica del contingency fee, che consente a questi avvocati affaristi di procurarsi dei processi il cui esito positivo produrrà al cliente un cospicuo indennizzo e a loro stessi una percentuale. L'effetto a catena nei comparti dei servizi sociali è stato devastante. Moltissimi medici, ad esempio, spendono cifre ingenti per pagarsi avvocati ed assicurazioni che li salvaguardino dai processi orchestrati a loro danno dai pazienti assistiti dagli avvocati del continngency fee. La deontologia professionale rischia di non significare più nulla.
Per questo stato di cose è evidente come negli Stati Uniti le regole ed i funzionari preposti a l'arie rispettare siano visti un po' da tutti come un insopportabile impedimento alla libertà di fare business nei modi più spregiudicati. Un impedimento da rimuovere in qualunque modo. Negli ultimi tempi moltissimi giudici sono stati condannati per corruzione e frode fiscale.
Invece nel modello capitalistico tedesco, oltre ai numeerosi beni assoggettati esclusivamente alle leggi di mercato, vi sono molti beni cosiddetti misti. Bene misto vuol dire che in parte è regolato dalle logiche di mercato ed in parte dalle iniziative pubbliche. In Germania sono beni misti i trasporti, la sanità, l'istruzione, lo stesso sistema delle imprese per alcuni aspetti. Il sistema della giustizia resta invece più sul versante delle attività "liberali" disinteressate rispetto alle logiche di guadagno, con un proprio "onore", cui corrisponde l'onorario e non il prezzo alle prestazioni professionali. I tedeschi sanno bene che il capitalismo è un grande creatore di ricchezza nel breve periodo, che tuttavia sul lungo periodo può distruggere i valori sociali su cui si fonda una nazione se non è sufficientemente regolato dai pubblici poteri. I tedeschi hanno in odio il dirigismo e lo statalismo che gli ricordano tanto il nazionalsocialismo di Hitler. Il loro stato è ultraleggero, minimo e federalista. Tuttavia in due casi essi ritengono che lo stato abbia il diritto dovere di intervenire nell'economia.
Il primo caso è quello in cui si debbono ristabilire le corrette condizioni di concorrenza. Niente monopoli. Così come è diritto-dovere dello stato tutelare le piccole e medie imprese dall'invadenza delle grandi. Tutto ciò si coniuga con una politica del territorio mirata e specifica, lander per lander, regione per regione, puntando a perequare le spese ed intervenendo direttamente con imponenti e rapide opere infrastrutturali nelle regioni meno sviluppate.

Il secondo caso in cui lo stato federale tedesco interviene è quando a seguito di importanti trasformazioni produttive si siano create crisi di adattamento; suo specifico compito è quello di rendere il più accettabile possibile il ritmo di questi adattamenti. La pace sociale è per lo stato tedesco un valore assoluto.
Altro tema economico chiave per il confronto tra i due modelli è la finanza. Nel modello neo-americano l'econoomia è nella sostanza, ma ancora di più nella cultura "finanziarizzata". Tutto è Borsa e la Borsa è tutto. Ormai per descrivere la totale finanziarizzazione dell'economia neo-americana si parla di delirio finanziario, di economia a casinò. Molti termini della finanza di Wall Street sono entrati nel linguaggio comune: raiders-scalatori, o.p.a. ostili, futures, derivates, leverage by out, ecc., complessi meccanismi finanziari che in pratica significano che chiunque abbia l'attitudine alla scommessa rischiosa, poca voglia di lavorare seriamente, ma buone conoscenze, può, giocando in questa specie di borsa-casinò, vincere fortune e perderne altrettante.
Nell'un caso e nell'altro il risultato è la rovina di intere aziende spesso sane e la strada per migliaia di lavoratori. È tipico infatti di queste speculazioni borsistiche, conosciute come asset-stripping, provocare il fallimento finanziario di una società per acquisirla, scorporarla e venderla pezzo per pezzo, realizzando lauti guadagni. Sono stati fatti dei films per denunziare queste piraterie finanziarie. A causa dell'economia-casinò e delle sue distorsioni, l'industria americana è perdente, in termini di competitività, su molti versanti nel confronto con quella tedesca e giapponese. Sono stati anche introdotti elementi psicologici di instabilità e precarizzazione pericolosi per la tenuta democratica del paese.
Invece nel sistema tedesco il peso della Borsa e delle relative speculazioni finanziarie è ridottissimo. Il capitalismo tedesco è nelle mani delle banche, che ovviamente non sono le nostre banche né quelle degli Stati Uniti. La loro attività non è limitata da regolamentazioni rigide. Esse hanno vocazione universale: operano sul fronte del credito ordinario, ma intervengono anche sul mercato azionario e delle obbligazioni, gestiscono la tesoreria delle imprese con cui sono strettamente connesse. Sono anche banche d'affari e d'investimento., consigliano ed operano fusioni ed acquisizioni. Tengano. in piedi una rete di informazioni economiche, finanziarie, industriali, commerciali che mettano. a disposizione delle imprese cui sana legate. Per cui, mentre in America il management è impegnata a pagarsi avvocati per prevenire scalate ed altri colpi bassi, il management tedesca è serena e libero di occuparsi della produzione, delle vendite e della competitività.
I banchieri tedeschi scommettono, ma limitatamente alla durata e alla stabilità dell'impresa can la quale cooperano. E ciò rende difficile le penetrazioni dall'esterna. Le aziende tedesche in questa serena clima finanziaria funzionano benissimo.. Ma funzionano benissimo anche per il modo in cui è strutturata il patere aziendale, basata sul principia della corresponsabilità tra il direttiva ed il consiglio di sorveglianza eletta dall'assemblea degli azionisti, in cui siedano anche i rappresentanti dei lavoratori in numera pari ai rappresentanti degli azionisti nel casa di aziende che superino. le 2.000 unità. È un sistema di pesi e contrappesi che rende equilibrata la gestione, favorisce il dialogo sociale e l'affezionamento di tutti alla propria impresa.
Finora si è detta delle differenze che sussistano tra il modello capitalistica neo-americano e quella tedesca per ciò che riguarda il mercato. e la finanza. Ma in un punta è ancora più evidente come i due modelli si pongono in alternativa. È il punta che riguarda la formazione e la fedeltà.
Nel sistema capitalistica neo-americana il ruolo dell'impresa in materia di formazione professionale è "il minar passibile". Viene infatti ritenuta un casta immediata da tagliare per fare il massima del profitta subita. D'altronde per questa sistema, tutta basata sulla mobilità nel mercato del lavora, sulla mano. d'opera a bassa casta, specie quella immigrata, sull'infedeltà considerata persino un valore professionale, la qualificazione del propria personale è un controsenso.
Invece, per quanta detta precedentemente, si capisce che per il capitalismo. tedesca le case stanno. nel modo esattamente contraria. Tutta il sistema imprenditoriale tedesca di concerto con lo stato e le università si impegna moltissimo nella formazione di tutte le figure professionali. Essa sa, non soltanto a parole ma anche nei fatti, che la vera ricchezza delle imprese di una nazione non sana i suoi capitali a i suoi immobili ma la qualificazione e le capacità del sua personale. La società tedesca è una società solidale, dove si cresce tutti insieme. Ma dove la Germania è veramente leader è nella formazione dei livelli intermedi, nella formazione e nella specializzazione dei suoi ceti medi.
In ogni moderna società industriale i ceti medi sana numericamente consistenti, esprimano. alta qualificazione professionale e sana fattore determinante di stabilizzazione. È nella grande attenzione che il sistema economica tedesca riserva ai suoi ceti medi che sta il segreta del sua grande dinamismo. industriale, della sua grande competitività, della sua stabilità sociale.
Al contrario, in America si assiste ad un progressivo impoverimento economico e culturale dei ceti medi dell'industria e del terziario indotto.
Concludiamo facendo. alcune considerazioni che attualizzino un po’ discorso fatto fin qui. È evidente come entrambi i capitalismi siano modelli teorici, peraltro in evoluzione. C'è, tuttavia, una specificità italiana di cui bisogna tener conto. È importante che si sappia, però, che i modelli capitalistici di riferimento per i nostri politici sono due, e che quello tedesco è più solidale e funziona meglio di quello neo-americano. Per questo motivo la proposta politica del Prodi formica è migliore di quella del Berlusconi cicala. Ognuno dei due modelli, infatti, per quanto essi si possano tentare di adattare alla realtà italiana, ha tuttavia un sistema interno di coerenze economiche che non si possono stravolgere, altrimenti ognuno dei modelli non potrà funzionare, e le confusioni politiche saranno terribili e genereranno ingovernabilità.
È quanto è successo nelle elezioni politiche del marzo scorso. La Lega di Miglio, Bossi e Speroni (lo ricordate vestito da texano) con la sua polemica forte contro lo stato centrali sta, contro le tasse, contro le spese sociali ed assistenziali, con il suo ultraliberismo - fino al separatismo - era pienamente dentro il modello neo-americano, del tipo texano reaganiano, ultraconservatore di destra. Berlusconi e Previti condividevano lo stesso modello, rappresentandone interessi e ceti sotto l'aspetto commerciale, finanziario e televisivo. Ricordiamo l'odio viscerale, non casuale, per le regole, i funzionari statali e i giudici. E, di contro, l'amore ricambiato per gli avvocati d'affari e i commercialisti.
Fini e Tatarella non c'entravano niente col modello capitalistico neo-americano. Avevano una concezione dello stato come "proprietario", era una destra corporativa, assistenzialista, moralista. Stando così le cose, era inevitabile la confusione politica, l'ingovernabilità della stessa coalizione partitica e di conseguenza del paese. Se, infatti, Bossi e Berlusconi - seguendo il modello economico reaganiano e tatcheriano - pensavano di rilanciare lo sviluppo industriale italiano ed il terziario indotto, nonché di risanare il debito pubblico con la riduzione delle tasse ai ricchi, col taglio delle spese sociali, fregandosene dell'inevitabile conflitto sociale, diversamente la pensavano Fini e Tatarella. Lo spostamento di Berlusconi verso le posizioni di Fini ha complicato ulteriormente la situazione, e rende anche oggi la posizione politica della destra estremamente confusa.
Anche a sinistra, dopo le confusioni programmatiche del 27 e 28 marzo, c'è la necessità di una maggiore chiarezza rispetto al progetto economico da proporre per lo sviluppo dell'Italia. Il Pds e la sinistra democratica nel suo complesso devono rendersi conto che non può sussistere alcuna possibile compatibilità tra un modello capitalistico seppur solidale alla tedesca e il neo-comunismo propugnato da Rifondazione comunista.
Così come una maggiore attenzione deve essere prestata a quanto si diceva precedentemente circa le interne coerenze economiche proprie di ciascun modello. Un esempio tipico che si può fare a riguardo è l'atteggiamento politico da tenere nei confronti dell'immigrazione. È giusto moralmente, ma compatibile anche economicamente, - se il modello prescelto è il capitalismo tedesco renano, - programmare la cittadinanza sociale agli immigrati già residenti stabilmente ed occupati. È, invece, contraddittorio sostenere un'immigrazione ampia e spesso clandestina, la cui immediata conseguenza dal punto di vista economico è quella di fornire mano d'opera a basso costo, utile soltanto ai capitalisti del modello ultraliberistico americano di destra. Gli esempi di questa contraddittorietà potrebbero essere molti.

Comunque, l'entrata in politica di Prodi come candidato premier di centro-sinistra è certamente un fattore di chiarificazione decisivo. Buon lavoro dunque a Prodi e a noi che lavoreremo per sostenerlo.

Unione Europea, Piano Delors e Mezzogiorno
di Ninni Abbadessa

Quel che noi conosciamo come Libro Bianco o Piano Delors ha un titolo: Crescita, competitività, occupazione. L'Europa deve riprendere unitamente la sua crescita, aumentare la sua competitività, come sistema, se vuole fornire risposte al dramma dell'occupazione. Ha anche un sottotitolo: La sfida del XXI secolo. Lo ha sottolineato Roberto Caggia nella sua comunicazione: si tratta di una sfida, tra due sistemi, e se l'Europa vuole sopravvivere non può sfuggire alla necessità di crescere e di restare competitiva.
Non dobbiamo pensare che la sfida tra due sistemi sia un affare cavalleresco: si tratta di uno scontro che può essere drammatico. Per capire quanto possa esserlo debbo ricordare che le due guerre mondiali, con il loro carico di dolore e di sangue, non sono state scontri tra il sistema capitalistico e quello socialista, ma tra sistemi capitalistici.
In questo quadro intendo parlarvi del Piano Delors perché rappresenta la dimensione della riflessione teorica sull'Europa Unita, il quadro di riferimento che dobbiamo aver presente sapendo che, nelle sfide che ci attendono, le nostre uniche possibilità sono legate all'Europa. Abbiamo chiaro che la dimensione delle sfide è tale che esse non possono essere affrontate dalle singole nazioni. Al di fuori dell'Europa, l'Italia è destinata ad un irreversibile declino.
In questi anni l'Europa è cambiata, soprattutto tra il 1985 e il 1990, proprio in coincidenza con l'idea della politica dell'Europa Unita. È cresciuto il PIL, è cresciuta l'occupazione, ma il mondo è cambiato più in fretta. L'Europa ha oggi un'economia relativamente meno competitiva, con una elevata disoccupazione ed un uso eccessivo di risorse naturali. Dall'inizio degli anni '70 al 1985 la ricchezza prodotta è aumentata dell' 80%, ma l'occupazione solo del 9%. Siamo in presenza di una disoccupazione strutturale:
- abbiamo trascurato i mercati del futuro;
_ abbiamo un alto costo relativo del lavoro che incoraggia gli investimenti di razionalizzazione;
- le strutture occupazionali sono superate.
Il Piano Delors (1992) indica una strategia con un doppio movimento:
- uscire rapidamente dalla recessione;
_ riprendere la crescita dalla metà degli anni '90. Per fare questo indica i seguenti strumenti:
- ridurre i disavanzi pubblici;
- ottenere stabilità monetaria;
- ridurre i tassi d'interesse;
- aumentare gli investimenti.
La. drammaticità, e l'attualità, di questa riflessione sta nel fatto che siamo oggi a metà degli anni '90, la ripresa è arrivata, ma gli obiettivi indicati sono stati mancati, mentre l'Europa Unita si è allontanata invece di avvicinarsi. Noi vogliamo riprendere rapidamente il cammino verso l'Europa Unita secondo le indicazioni fornite da Delors. Ci serve:
_ un'economia sana, eliminando gli squilibri di bilancio;
- una crescita dei salari compatibile con la stabilità e la competitività, riducendo il disavanzo pubblico per permettere tassi di investimento più elevati, e riducendo i tassi di interesse con l'unione monetaria.
Per fare tutto questo ci occorre un'economia aperta.
Ad ogni grande movimento di crescita è sempre corrisposto un salto negli scambi internazionali. Oggi, con l'inserimento nel pieno degli scambi internazionali dell'Europa dell'Est, e dei paesi in via di sviluppo, siamo agli alboori di un simile balzo negli scambi. Tra gli stati membri dell'U.E. gli scambi interessano il 70% delle esportazioni e importazioni comunitarie. In un'economia così interdipendente la convergenza dei singoli sistemi, cioè un'economia sana e aperta, è la garanzia più sicura per uno sviluppo durevole. È necessario però, vincendo l'esclusione sociale, avere un'economia solidale attraverso la coesione tra:
- quanti hanno un lavoro e quanti non lo hanno;
- tra uomini e donne;
- tra le generazioni e le regioni.
Il Libro Bianco afferma la necessità di un patto sociale europeo senza il quale non può consolidarsi un mercato europeo. A tal uopo urge:
- un'economia competitiva, attraverso la cooperazione tra le amministrazioni;
- la coerenza dei quadri legislativi nazionali;
- la cooperazione tra le politiche di ricerca (la spesa europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico è il 2% del PIL; negli Usa è 1'8%; nel Giappone il 3%. Nella U.E. ci sono 4 ricercatori su 1000 persone attive, in America 8, in Giappone 9).
Il Libro Bianco sottolinea come la crescita economica non sia stata accompagnata da una corrispondente crescita dell'occupazione e come solo una vasta gamma di politiche può accrescere l'occupazione. Questo richiamo è fondamentale per il nostro dibattito: l'occupazione è ancora il grande assente.
Responsabile della disoccupazione strutturale è in gran parte la rigidità dei sistemi occupazionali, cioè di quel complesso di istituti che vanno dalla scuola alla legislazione, ai contratti, alla protezione sociale, alla gestione delle imprese. Per sviluppare l'occupazione è necessario:
- puntare sull' istruzione;
- accrescere l'elasticità;
- decentrare le iniziative;
- ridurre i costi non salariali soprattutto della manodopera non qualificata;
- andare incontro alle nuove esigenze.
Esiste una relazione tra la qualità del sistema educativo e il numero dei giovani disoccupati. L'apprendimento lungo tutto il corso della vita può consentire una seconda o una terza possibilità a chi è riuscito ad utilizzare la prima. Bisogna accrescere l'elasticità del lavoro:
- all'esterno delle imprese, con la mobilità geografica, la formazione permanente, la razionalizzazione delle aree urbane;
- all'interno delle imprese, attraverso la polivalenza professionale, l'organizzazione integrata del lavoro, la flessibilità degli orari;
- potenziare gli Enti di collocamento.
È stato calcolato che si possono triplicare le spese per quest'ultimo tipo di Enti, ammortizzandole in tre anni con un calo di disoccupazione di un milione e mezzo di persone. E bisogna decentrare gli interventi a livello dei bacini di impiego. Le autorità pubbliche debbono concentrarsi sulla qualità della formazione, le parti sociali partecipare attivamente alla gestione dei bacini di impiego. Bisogna andare incontro alle nuove esigenze perché la possibilità di creare nuovi posti di lavoro dipende, in larga misura, dalla struttura dei servizi esistenti in ogni paese. Qualcuno pensa che se le esigenze esistono esse creano da sole il loro mercato. Il Libro Bianco, più realisticamente, propone di stimolare contemporaneamente la domanda e l'offerta:
- attraverso i servizi di assistenza locale, domiciliare per gli anziani, la custodia dei bambini, l'assistenza ai giovani;
- attraverso il miglioramento dell' ambiente quotidiano, il rinnovamento dell'edilizia degradata, lo sviluppo dei trasporti pubblici;
- attraverso la protezione dell'ambiente.

Nuovo modello di sviluppo

Il lavoro non qualificato è quello dove si verificano i fenomeni di disoccupazione di più lunga durata. Occorre ridurne i costi non salariali per favorirne il reimpiego.
Il Libro Bianco rileva che il modello di sviluppo dell'D.E. è caratterizzato da un utilizzo insufficiente di manodopera a fronte di un impiego eccessivo di risorse naturali. Ne risulta, da ambedue i punti di vista, un deterioramento delle condizioni di vita o un insostenibile gravare sui bilanci pubblici in un momento in cui è, invece, indispensabile ridurre i disavanzi. Si possono ridurre i costi non salariali del lavoro poco qualificato e finanziari i con un'imposta sull'inquinamento. Si possono rendere interni all'impresa i costi sociali dell'inquinamento senza gravare sulla finanza pubblica, e restituirli all' impresa sotto forma di riduzione del costo del lavoro poco qualificato. Una proposta di neutralità fiscale che ha un doppio beneficio, sotto forma di occupazione e di sviluppo ambientalmente sostenibile.
Il Libro Bianco orienta la U.E. verso un modello di sviluppo sostenibile che sappia coniugare crescita, competitività ed occupazione con un miglioramento della qualità della vita. Le direttrici verso le quali è necessario concentrare gli sforzi sono:
- consolidare il mercato interno;
- sostenere le piccole e medie imprese con il decentramento;
- rafforzare il dialogo sociale e la solidarietà;
- creare grandi reti;
- preparare la società dell'informazione.
- le condizioni di lavoro muteranno con la possibilità di introdurre sistemi più duttili per l'orario e i luoghi di lavoro; - vi sarà una minore necessità di mobilità fisica;
- i servizi potranno combinare i vantaggi della produzione di massa con le esigenze individuali;
- i servizi potranno essere più rapidi, selettivi e personalizzati;
- l'enorme potenziale esistente creerà nuove produzioni, culture, tempo libero.
È sterile arenarsi in una polemica rinnovata sul macchinismo come al tempo della prima rivoluzione industriale. Le economie che per prime riusciranno a realizzare il mutamento beneficieranno dei vantaggi conseguenti.

Società dell'informazione

Il mondo multimediale è una trasformazione paragonabile alla prima rivoluzione industriale, la posta in gioco del XXI secolo attraverso cui passa la sopravvivenza dell'Europa. Solo l'insieme dei paesi europei può affrontare questa sfida. Ci saranno ripercussioni sull' organizzazione delle imprese e sul mondo del lavoro:

Un progetto federalista per la Sicilia
di Enza Sanzone

Prendere sul serio il federalismo
È ora di prendere sul serio il federalismo, come finora non è accaduto.
Il dibattito, la ricerca, la progettazione, la decisione devono essere improntati a spirito di sincerità, concretezza, audacia e responsabilità. Fuoriuscendo, al più presto, da un certo clima di moda, di tattica, di pressapochismo, di accademia, di retorica, di inerzia e di trasformismo. Non c'è giorno in cui non si ripresenta un grave paradosso. Da una parte si inseguono a catena le sollecitazioni, le più autorevoli, per radicali riforme istituzionali, nuove regole, riforme costituzionali, assemblee costituenti, fasi costituenti. Dall'altra parte progetti veri, seri e puntuali di riforma federalista non se ne vedono.
Aumentano i convegni e diminuiscono le idee. All'enfasi retorica sul federalismo si accompagna la separazione, la scarsa comunicazione tra gli specialisti delle varie discipline, il reciproco ritrarsi nel proprio alveo di erudizione. Ciascuno per conto proprio: i giuristi, gli economisti, gli antropologi, i politici e così via.

Il federalismo come metodo

È ormai sterminata la mole di definizioni del federalismo sotto molteplici profili e nessi, e le proposte contenutisticamente più esatte che di esso sono state date: federalismo e confederalismo, sussidiari età, neo-autonomismo, neo-regionalismo e federalismo, modello americano, modello tedesco, modello elvetico, federalismo istituzionale, federalismo economico ed etnico, europeismo e federalismo. Questo dibattito, in buona parte, si contraddice da sé, confermando che una prima definizione di federalismo rigorosa, utile e semplice è quella di "federalismo come metodo", piuttosto che come specifico contenuto.
Il federalismo è da intendersi come ricerca, sempre aperta, dell'equilibrio volta per volta più efficace e consensuale tra i livelli istituzionali e politici. Da quello sovranazionale a quello comunale, a partire dalla realtà, dai bisogni, dai diritti dei cittadini, delle comunità, dei popoli. Per non commettere subito il massimo errore di strategia occorre definire il campo, l'orizzonte di riferimento. Il criterio teorico di partenza non può essere né la mera crisi dello stato-nazione - perché debole, autoritario, accentratore, burocratizzato, corrotto, inefficiente - né la facile soluzione mediana cosiddetta neo-regionalista, magari al "limite del federalismo". Al contrario, occorre un doppio ed estremo movimento, verso l'alto sovranazionale e mondiale e verso il basso territoriale e cittadino.
I due veri punti di partenza per un moderno ragionamento federalistico sono, da una parte, la dimensione sovrana zio naie e mondiale e, dall'altra parte, quella territoriale e delle città. 

L'asse città-mondo

Nell'asse stato-nazione e regioni l'errore più grave e letale è quello di muovere per l'equivoca pista neolistica, intesa a sé stante. Federalismo come metodo piuttosto che come specifico contenuto, dunque.
Una seconda ottica utile è quella comparativa internazionale, e cioè studiare, capire, riclassificare in modo originale le varie esperienze che vanno sotto il nome di federalismo, secondo un percorso che va dai modelli unanimemente considerati classici a quelli ibridi, e ad altre esperienze di riequilibrio dei vari livelli istituzionali e politici:
- Usa, Svizzera;
- Germania;
- recente esperienza spagnola di decentramento regionale, ecc.
Un terzo approccio necessario, onde evitare eccessive confusioni e contorsioni circa l'annosa diatriba tra con federalismo e federalismo, consiste nel prendere atto che sia sotto il profilo storico che accademico, con il concetto di federalismo si è alluso a un doppio opposto movimento: da una parte, unire, coordinare, interrelare, armonizzare ciò che è troppo diviso; dall'altra parte, dividere, articolare, autonomizzare ciò che è troppo unito, accentrato.
Questo punto di vista fecondo è il primato della progettazione e della sintesi politica in tema di federalismo. In altre parole, occorre una visione assolutamente interdisciplinare e pluridimensionale se si vuole approdare a risultati utili. Insomma, non può esistere un federalismo prevalentemente ed esclusivamente istituzionale politico, o economico sociale, o storico culturale ed etnico.
Le tre dimensioni - istituzionale, economica, culturale devono interrelarsi strutturalmente. Sotto un altro profilo, i criteri del!' efficienza - geo-economica, pubblicostrativa di scala - e i criteri della democrazia e della partecipazione, i criteri della identità e della coesione debbono avere eguale peso e rilevanza.

Un approccio federalista per l'Italia
Il metodo federalista va calibrato in modo sapiente e chiaro per ciascun specifico contesto. Non esistono né modelli, né ricette. Può esistere un metodo, un percorso, un processo.

L'Italia è uno di quei contesti in cui massima deve essere sia l'audacia che la prudenza. La prima operazione consiste nello sgomberare il campo dalla massa di remore, equivoci, sospetti, trappole e tatticismi, inerzie politicotiche e culturali disciplinari. Esemplifichiamo alcune delle remore da liquidare in partenza.
l. Federalismo e leghismo: la genesi o la rinascita leghista della tematica federalista, con il cumulo di torsioni nordiste, separatiste, egoiste e antimeridionalistiche di tale versione del federalismo. Che la Lega Nord abbia rilanciato la tematica federalista, con le relative virtù e i molti vizi, non significa che il metodo federalista sia di per sé leghista, separati sta, nordista, egoista. Il tema c'è, e se è storicamente maturo, va assunto e gestito con slancio, generosità, tempismo.
2. Federalismo e autonomismo: la sostanziale equazione tra federalismo e autonomismo-regionalismo, appartenente alla tradizione democratica e di sinistra. Insomma, il federalismo come mero neo-autonomismo e neo-regionalismo. No. Il metodo federalista, se è tale, consiste in uno scarto, introduce una rottura, una netta discontinuità. Altrimenti è giusto ed onesto continuare a parlare di autonomismo e di regionalismo.
3. Economia e diritto: di contro la noiosa retorica del presunto primato dell'homo economicus, che in tema di federalismo propone l'ottusa equazione "federalismo eguale federalismo economico" e basta, vi è il simmetrico atteggiamento - diffusissimo in Italia, specie nelle file dei democratici, dei progressisti e della sinistra - a-economico o addirittura antieconomico sull' argomento federalista.
All'ottuso paradigma esclusivista di tipo economicista, si contrappone un parimenti ottuso e vacuo paradigma esclusivamente o politico istituzionale, o socioculturale, o democratico partecipativo, o astrattamente e retoricamente solidaristico. Insomma, l'economia dissociata dalla politica e viceversa, gli interessi economici dissociati dai diritti civili, politici e sociali, gli interessi economici scissi dai diritti generali di cittadinanza. L'efficienza economica, l'efficienza geo-economica, l'efficienza pubblico-amministrativa di scala rappresentano certo un criterio centrale del federalismo,ma soltanto uno dei criteri, da non regalare ad alcuno, tantomeno agli ultrà del liberismo e del falso liberalismo italiano.
I giuristi guardino anche all'economia e all'antropologia, gli economisti al diritto e all' antropologia, gli antropologi al diritto e all' economia, i politici all'economia, al diritto e all'antropologia. È grottesco continuare ad assistere al teatrino per cui tanti giuristi sbeffeggiano, con iattanza ed ignavia, studi seri, seppure parziali, come quelli della Fondazione Agnelli sul federalismo, improntati ad un'ottica prevalentemente economica.
E dall' altra parte, economisti che sbeffeggiano, con pari iattanza ed ignavia, studi seri, seppure parziali, come quelli scaturiti dall'incontro di studio di Villa Vigoni, nel novembre 1991, impostati sulla base delle elaborazioni del valoroso costituzionalista tedesco Peter Haberle, e pubblicati nel volume Il federalismo e la democrazia europea a cura di G. Zagrebelsky dalla NIS, improntati ad un'ottica prevalentemente giuridica e costituzionalista.

Modelli federalisti e processi federalisti

Un altro pesante blocco di remore consiste nel confondere il federalismo con un modello precostituito, o con una gamma di modelli, con un ricettario bello e pronto. Il federalismo è da intendere soprattutto come metodo, processo, percorso, sperimentazione aperta, frontiera aperta e mobile di riequilibrio dei poteri.
Al contrario, un percorso federalista in Italia presuppone la liberazione delle migliori energie, competenze e tradizioni giuridiche, economiche, culturali e politiche. Per elaborare, avviare, sperimentare, governare un originale percorso federalista italiano. 

Federalismo tra storia e futuro

Un'altra difficoltà consiste nello squilibrato rapporto che viene instaurato tra storia dello stato unitario italiano e rottura della continuità storica. Si oscilla dal continuismo più conservatore al rivoluzionarismo più vacuo, tipo "tabula rasa". Insomma si oscilla dal cosiddetto neo-regionalismo il mobilista e trasformista di tanta parte del ceto politico burocratico italiano alla teoria dei tre cantoni di Miglio.
Il punto vero è che una feconda e praticabile riforma federalista dell 'Italia richiede un ripensamento e una riclassificazione dell'intera storia dello stato unitario italiano, delle autonomie locali e delle regioni. Questo è il modo per individuare il nuovo punto di equilibrio strutturale tra poteri sovranazionali ed europei, poteri statali e poteri autonomistici territoriali. Questa linea comporta il superamento dell'intera struttura attuale, sia dell'Unione Europea, sia dello stato, sia delle regioni, sia soprattutto dei comuni. Questa linea tende contemporaneamente a valorizzare il meglio del patrimonio sia unitario che autonomistico della storia politico-istituzionale d'Italia, compresa la ridefinizione, lo snellimento radicale e la rilegittimazione dello stato-nazione. Ciò significa anche la necessaria riforma della forma-stato, della forma-governo, del sistema elettorale, del sistema delle garanzie e dei contrappesi se da una parte assume il federalismo come criterio e metodo fondante non si esaurisce completamente in esso.
Riassumendo, per procedere oltre, occorre superare alcuni difetti gravi finora presenti nel dibattito sul federalismo:
- l'ottica difensiva, o diplomatica e tattica, rispetto all' offensiva leghi sta;
- il riciclaggio del tradizionale, seppure glorioso, patrimonio autonomistico e regionalistico;
- il settorialismo disciplinare giuridicistico, economicistico, culturalistico e politicistico;
- il sospetto per cui il federalismo è di per sé antimeridionalistico;
- la moda del federalismo retorico e senza contenuti;
- il federalismo inteso come vacua ideologia partecipazionistica e democraticistica.
E così via.

Il federalismo per fronteggiare le grandi mutazioni

Il metodo federalista può contribuire a fronteggiare efficacemente almeno una parte delle grandi mutazioni in corso in questo fine millennio.
1. Da una parte, le grandi mutazioni politiche, geopolitiche, politico-militari del mondo: l'esaurimento dell'assetto bipolare; il crollo dei regimi politici dell'Est; l'attuale squilibrio, la disgregazione e la polverizzazione multipolare; la riesplosione dei nazionalismi e degli integralismi nazional-religiosi.
2. Dall'altra parte, le grandi mutazioni economiche, sociali e culturali, con la rapida globalizzazione, la finanziarizzazione e l'informatizzazione dell'economia, di cui è sostanza e metafora Internet, la grande autostrada multimediale e globale, nel quadro sconvolgente del villaggio mediatico veramente globale.
Ecco, il metodo federali sta va posto a questa altezza, per trarne intere tutte le grandi potenzialità.

Il federalismo quale criterio di democrazia e di efficienza nell'economia globale

Le mutazioni strutturali dell'economia (globalizzazione, finanziarizzazione, centralità nell' economia dell'informazione), secondo gli studi e i progetti più prestigiosi in proposito - tra gli altri, il Piano Delors - richiedono una riforma altrettanto globale della politica e delle istituzioni politiche.
Come è noto, la massima contraddizione odierna consiste nel fatto che mentre l'economia si è mondializzata 0svuotando progressivamente il ruolo egemone dei mercati nazionali e dello stato-nazione -, la politica è ancora oggi sostanzialmente nazionale, cioè all'interno della forma tradizionale dello stato-nazione. Ne scaturiscono due necessità improrogabili, sia ai fini della competitività economica globalizzata, sia ai fini della democrazia:

a) la costruzione di una nuova rete di poteri democratici sovranazionali e mondiali;
b) il rilancio dei poteri democratici territoriali delle città e delle regioni.
Per ben competere nel mercato mondializzato, occorre potenziare sia i poteri politici sovranazionali, sia soprattutto i poteri politici delle città e dei territori. Ancora più precisamente: per sostenere un livello adeguato di democrazia, nel tempo del mercato globale, occorrono nuove istituzioni democratiche sovranazionali e nuove istituzioni delle città.
Per l'Italia, ciò significa procedere ad un doppio spostamento straordinario di poteri democratici verso l'Unione Europea e verso le città e i territori, secondo un metodo e un' ottica federalista. In particolare, tutti gli studi più prestigiosi e le esperienze più avanzate convergono su un punto capitale: la centralità delle città e dei territori per competere nell'economia globale, per riformare il welfare-state, per la democrazia possibile e necessaria oggi.
Occorre coniugare in modo nuovo economia e cittadinanza, ridare cittadinanza alla democrazia nel mercato globale e all'economia nelle città e nei territori. Questa è la lezione inequivocabile derivante dal successo economico, ma anche democratico, dei distretti economici ed industriali d'Italia, in particolare nel Nord-est, nell'area toscana, sulla dorsale adriatica. È questa l'indicazione prepotente che emerge dalla recentissima ricerca sul rapporto comuni ed economia della Rete urbana delle rappresentanze del Censis, presentata nel corso del convegno intitolato "Municipio", svoltosi a Milano il 28 novembre 1994.
A livello europeo, è questa un'architrave dello stesso Piano Delors. È anche questa la lezione di metodo, depurata da una - per altro inevitabile - ottica torinocentrica, più che economicocentrica, degli studi della Fondazione Agnelli sul federalismo.

Il federalismo per la solidarietà europea, nazionale e autonomistica

Sul fronte della redistribuzione delle opportunità e delle ricchezze, della solidarietà, del benessere sociale fondamentale, della crisi e della riforma dello stato sociale, egualmente il metodo federali sta può contribuire ad un efficace adattamento alle mutazioni sopravvenute. La situazione può essere così sintetizzata:
1) La globalizzazione dell'economia, e le nuove esigenze oggettive di brutale competitività mondiale a tempo reale, ha prodotto una crisi irrimediabile degli assetti tradizionali del welfare-state.
2) Paradossalmente, la stessa globalizzazione, finanziarizzazione e informatizzazione dell'economia - con il crollo definitivo dell'equazione "più crescita eguale più occupazione", con l'aumento incoercibile della disoccupazione strutturale e tecnologica, con i conseguenti lavori precari e i sottosalari; con l'imporsi della necessità di una più alta qualificazione e di una riqualificazione ricorrente del capitale umano; con i mutamenti demografici strutturali quale l'aumento massiccio della popolazione anziana - produce una domanda forte e nuova, qualitativamente diversa, di sicurezza sociale e di stato sociale.
Il problema che si è imposto è il seguente: sopravviverà il welfare-state nella globalizzazione dell'economia? È noto anche come i vari modelli di capitalismo - in particolare quello neo-americano-anglosassone e quello tedesco-renano - stanno rispondendo: il primo, procedendo ad una violenta destrutturazione del welfare-state; il secondo con una difficile riforma del welfare-state per ricostruire una sicurezza sociale fondamentale.
Per il capitalismo neo-americano il welfare-state è prevalentemente concepito come un ostacolo alla competitività. Per il capitalismo renano è concepito prevalentemente come una risorsa per la competitività, se fiscalmente sostenibile. Il Piano Delors tende a proporre - sia pure differenziato secondo le storie nazionali e territoriali peculiari Hall'intera Unione Europea, il modello renano.
Tra gli studiosi, vi sono idee discordi sul destino del welfare-state in occidente. C'è chi propende per una omogeneizzazione, soprattutto verso il basso, dei livelli di sicurezza sociale. C'è qualcuno che propende, o forse generosamente auspica, per un avvicinamento del modello neoamericano a quello europeo.

Il Piano Delors propende per un doppio livello di sicurezza sociale e di cittadinanza sociale: una cittadinanza sociale nazionale per ciascun stato membro. È senz'altro questo, insieme il più realistico e il pill auspicabile. Ma, ecco il punto, anche sul fronte della riforma del welfareestate, s'impone un percorso genuinamente federalista: la redistribuzione di competenze primarie, risorse e doveri tra l'Unione Europea, lo stato nazionale e le autonomie locali in tema di sicurezza sociale fondamentale. È questo il miglior metodo per coniugare efficienza e coesione sociale, competitività e livelli dignitosi e qualitativi di tutela sociale.

Il federalismo delle città

Il dibattito più qualificato e maturo sul federalismo in Europa e in Italia - che muove dalle grandi mutazioni globali politiche ed economiche; che concepisce il federalismo soprattutto come metodo; che assume pienamente il criterio dell'efficienza economica senza renderlo per questo esaustivo ed esclusivo; che si è raffinato nell'ambito della più qualificata ricerca costituzionale europea; che articola la tutela e la cittadinanza fondamentale secondo una molteplice e coordinata dimensione europea, nazionale e territoriale; che ritiene il federalismo un passaggio di vera e propria discontinuità nella storia politico-istituzionale italiana in grado di salvaguardare il necessario patrimonio unitario ed esaltarne la creatività autonomistica cittadina; e che non confonde il federalismo con un piatto, trasformistico e generico neo-regionalismo - non può che approdare ad una proposta capitale e fondante: l'assoluta centralità delle città e dei comuni per la riforma federalista dell'Italia e dell'Europa. Il federalismo italiano se può e deve nascere sarà il federalismo delle città.
A questo punto non possono più esservi confusioni, per insipienza o per malizia trasformistica: il federalismo delle città è quasi l'esatto contrario del federalismo detto neoregionalista. Il massimo delle potestà e delle competenze definitivamente delegabili dallo stato va perciò alle città e ai territori cittadini, a partire da quelli metropolitani.
In primo luogo va così concepita anche la riscrittura al contrario dell' articolo 117 della Costituzione. Cioè l' inversione dei criteri di ripartizione della potestà legislativa primaria. Si tratta dell'elencazione tassativa delle materie di competenza dello stato (esteri, difesa, moneta e giustizia) e l'attribuzione di tutte le restanti competenze alle regioni e alle autonomie locali.
Il federalismo, sin qui delineato, si pone, per metodo e risultato, agli antipodi della revisione della parte seconda della Costituzione, elaborata nella undicesima legislatura (1992-94), dalla Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, cosiddetta Bicamerale, presentata l' l [ gennaio 1994, e ripresentata, tale e quale all'inizio della dodicesima legislatura (20 maggio 1994), come proposta di legge costituzionale (Camera, n. 575).
Il documento, com' è noto, consta d i due articolati, rispettivamente sulla forma dello stato e sulla forma di governo. Ebbene, tale proposta - che si autopresenta come "riforma regionalistica ai limiti del federalismo" - intanto realizza un falso neo-regionalismo a presunta impronta federalista, in quanto, oltre a mantenere sulla legge regionale un controllo di merito desueto, ha previsto per le regioni ordinarie sia una potestà legislativa primaria, ma vincolata dai principi posti dalle leggi statali di riforma economicosociali (con cui finora si è fatto passare di tutto), sia una potestà legislativa concorrente, ma presto limitata con i principi fondamentali posti nelle cosiddette leggi statali "organiche" nelle singole materie di competenza regionale. Per di più, ha battezzato le competenze statali così vagamente da consentire qualsiasi successiva estensione:
- carattere nazionale o sovranazionale dell'intervento (distribuzione nazionale dell' energia; trasporti e comunicazioni nazionali; beni culturali e naturali di interesse nazionale; statistica nazionale; ordinamenti positivi di interesse nazionale; attività finanziarie e credito sovranazionali);
- essenzialità dell'interesse in gioco (condizioni essenziali dell'igiene pubblica),
- entità dell' intervento (grandi calamità pubbliche);

- accessori età rispetto a competenze statali (opere pubbliche strettamente funzionai i alle competenze riservate allo stato);
- o infine carattere generale della normativa da dettare (disciplina generale dell'organizzazione e del procedimento amministrativo, programmi economici generali, disciplina generale della circolazione, ordinamento generale di tutela c sicurezza del lavoro, ordinamenti e programmazione generale dell' istruzione).
La Bicamerale poi, anziché rendere "speciali" tutte le regioni, ha mantenuto la distinzione tra le regioni "ordinarie" e le cinque già "speciali". Del pari, la Bicamerale non ha avuto dubbi nel conservare le venti regioni così come sono. Ma il punto che mi interessa sottolineare è che il fulcro di ogni vero federalismo, il comune, è la vittima predestinata della Bicamerale, la quale, infatti, procede perfino alla demolizione dell'unico baluardo costituzionale, oggi intatto, dell'autonomia comunale e provinciale.
Infatti, assoggetta la legge regionale, non solo la determinazione delle funzioni di comuni e province, con annessa finanza locale da trasferimento, ma persino la loro autonomia statutaria, sostituendo a tale duplice scopo l'attuale articolo 128 della Costituzione (e, coerentemente, il 138), che, letto, come di dovere, ai sensi dell' articolo 5 della Costituzione, vorrebbe invece i comuni e le province nella parità costituzionale con la regioni (articolo 115 della Costituzione) giacché recita: "Le province e i comuni sono Enti autonomi nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della Repubblica, che ne determina le funzioni". In conclusione si avrebbero: neo-centralismo statale, neotralismo regionale e liquidazione dell'autonomia dei comuni. Il tutto spacciato come "rivoluzione copernicana di taglio federalista".

Quale federalismo in Sicilia

Una linea di falso federalismo o di cosiddetto neoregionalismo, simile a quella finalizzata dalla Bicamerale, avrebbe in Sicilia effetti assolutamente negativi e del eteri. Si ridurrebbe, nella sostanza, alla rilegittimazione e al rilancio di una regione accentratissima, iperburocratizzata e vampirica simile, e forse peggio, a quella che abbiamo conosciuto in questi anni, con la letterale demolizione di quella parziale autonomia ancora detenuta da parte dei comuni siciliani.
La Sicilia è invece esattamente il luogo dove è necessario conquistare ed avviare il vero federalismo: quello delle città. Il federalismo dei quattrocento rinnovati comuni siciliani; dei quattrocento nuovi sindaci; delle quattrocento nuove amministrazioni comunali siciliane. Sono queste le istituzioni, le autonomie, le risorse umane e materiali dalle quali procedere per la rinascita democratica ed economica della Sicilia.
Il nodo centrale per la Sicilia è oggi, in una fase possibile di trapasso al federalismo delle città, il decentramento radicale della maggior parte delle potestà, dei poteri, delle risorse, del personale della regione ai quattrocento comuni. Dalle attuali risorse della L.R. 22/86 sui servizi sociali, da trasferire definitivamente e immediatamente ai comuni, secondo la regola della quota capitaria, ai poteri e alle risorse e agli uomini dei nove Geni civili, alla gestione, alle risorse e al personale dei musei e di altri beni culturali. E così via dicendo.
Le speranze suscitate dai nuovi sindaci e dalle nuove amministrazioni locali, questi primi mesi di fatica e di seminagione, il conflitto inevitabile aspro e generalizzato in atto tra i comuni siciliani e la Regione Sicilia, il movimento dei sindaci siciliani, la stessa convenzione dei sindaci democratici, il possibile rilancio dell' Anci Sicilia, la vitalità di associazioni gloriose come la Lega delle Autonomie Locali della Sicilia: tutte queste risorse vanno messe in campo, per ottenere risultati immediati, per darsi un progetto preciso di federalismo delle città e dei paesi di Sicilia, per conquistarlo al più presto.

Il federalismo per la democrazia dell'alternanza

A tal fine occorre, sotto il profilo generale:

1. un forte progetto federalista delle città, incardinato in un progetto di politica economica all'altezza dell'economia globalizzata;
2. la liberazione, salvaguardia e valorizzazione di leadership diffuse nascenti dai processi reali a partire dai comuni;
3. il consolidamento del modulo di alleanze democratiche e progressiste ampie ed originali;
4. la ricostruzione di un'adeguata capacità di messaggio e di condizioni di parità nella comunicazione sociale e mediatica all'altezza dei tempi.
Sono queste le cinque condizioni essenziali per battere le destre, costruire, consolidare e portare alla vittoria e al governo il polo dei democratici. Lanciare un grande progetto e un grande movimento, dalla Sicilia, per il federalismo delle città è veramente una carta vincente.


Un progetto siciliano di economia produttiva e creativa
di Aldo Fici

Perché "dobbiamo" parlare di economia? Perché un banchiere di fama internazionale diviene Presidente del Consiglio, e un economista scende in politica per diventare il candidato alternativo a Berlusconi? Vi sono almeno quattro buone ragioni perché l'economia sia diventata oggi il centro del dibattito politico.
Di fronte alla crisi economica mondiale e al problema della disoccupazione europea in particolare, c'è la necessità che la sinistra italiana ex marxista, dopo la perdita di riferimenti politico-economici, si attrezzi culturalmente per partecipare al governo di un paese "capitalista", che vuole ed è destinato a rimanere tale, schiacciato com'è dalla spaventosa situazione del debito pubblico e dalla drammatica accelerazione del distacco del Mezzogiorno dal Centronord d'Italia. Su tali questioni le differenze tra le proposte di politica economica della destra e quelle del centro e della sinistra non sono di natura contingente, ma strutturale.
La Costituzione italiana del 1947 ha disegnato un paese ad economia fortemente dirigi sta: un' anomalia tra i paesi occidentali. In questo senso si può parlare di "modello italiano", che tutto sommato non ha funzionato poi tanto male, se è vero che l'Italia, tra i paesi industrializzati, dal dopoguerra ad oggi ha avuto il più alto tasso di sviluppo dopo il Giappone.
La destra oggi propone un nuovo modello economico, un capitalismo iperliberista, supercompetitivo, ispirato al neo-americanesimo di tipo texano, cioè ispirato alle dottrine dell'ultradestra repubblicana che aveva espresso Reagan negli Usa e la signora Tatcher in Inghilterra. Per fare approdare il paese a tale modello, la destra doveva necessariamente abbattere alcuni vincoli di carattere costituzionale, radicalizzando quindi la lotta politica.
Prodi, invece, propone un modello di capitalismo che si ispira al sistema renano, o nippo-renano, fondato su uno sviluppo più stabile e ordinato e basato sull'accumulazione progressi va, un modello, cioè, che può essere accettato anche da una parte della sinistra ex marxista. I criteri di tale modello sono uno stato snello, non produttore, ma autorevole regolatore dei fatti economici:
- una politica riconciliata con l'economia;
- una solidarietà efficiente;
- l'impegno alla diminuzione delle disuguaglianze;
- un sistema fondato sulla coesione e sulla stabilità sociali;
- investimenti concentrati nei settori più innovativi, ad alto contenuto tecnologico e a basso contenuto di energie e materie prime "pesanti": il lavoro umano e la persona come centro dello sviluppo.
Gli strumenti su cui fondare lo sviluppo divengono così: - l'informazione;
- la formazione permanente;
- le produzioni leggere basate sulle innovazioni tecnologiche;

- il lavoro e la produzione come strumenti per migliorare la qualità complessiva della vita.
I problemi economici dell'economia capitalista sono quindi reali, ineludibili; chi si rifiuta di riconoscerli come reali, si pone automaticamente fuori da una prospettiva di governo. Si tratta ora di affrontarli da un'ottica democratica, progressista e di sinistra, se non si vuole lasciare ancora una volta il monopolio della concreta gestione del potere e dell' economia alla destra, che parte da posizioni ben più radicali ed efficientiste ed è disponibile anche ad affrontare un drammatico scontro sociale con strumenti antidemocratici e illiberali.
La sinistra deve porsi in prima persona il problema della produzione della ricchezza, e non solo della sua redistribuzione più o meno equa. Se non capisce questa necessità, non solo si vota alla sconfitta, ma si assume la responsabilità storica e morale di consegnare il paese ad una destra illiberale e plebiscitaria, il cui scopo dichiarato è quello di introdurre in Italia un sistema economico che non ha nulla a che vedere con le tradizioni e la situazione del nostro paese, e che non tiene in alcun conto la giustizia sociale, i problemi delle categorie più svantaggiate, il disagio dei singoli e di interi strati della popolazione, e che vede nell'aumento delle disuguaglianze un fattore positivo, una molla di sviluppo e di dinamismo, invece che un'accentuazione di iniquità sociale che alla lunga farà scivolare il sistema nell'autoritarismo.
Al progetto illiberale della destra va contrapposto un diverso modello di capitalismo - alla lunga il vincente - che sappia coniugare il progresso e lo sviluppo con l'indispensabile coesione ed equità sociale. A tale sistema, che è poi quello dell' opulenta società renana, si ispira appunto Prodi, esattamente come Berlusconi fa mostra d'ispirarsi all'efficientissima ma spietata società neo-americana. La contrapposizione non potrebbe essere più radicale. La scelta di campo è obbligatoria, e per noi è doveroso schierarci con Prodi, al di là di ogni appartenenza personale.
Lo scopo per cui vogliamo lavorare non è però solo quello di aiutare il modello di capitalismo di Prodi a vincere su quello di Berlusconi, ma anche quello di fare vincere le ragioni dei siciliani e dei meridionali, di dare loro cittadinanza e spazio nel progetto di governo di Prodi, nei suoi obiettivi programmatici, nei suoi impegni elettorali.
Oggi, nel Mezzogiorno, la limitatezza delle risorse finanziarie impone delle scelte rigorose. Con l'eliminazione dell' Agenzia per il Mezzogiorno, le sue competenze sono state distribuite tra ben sei ministeri, i cui bilanci non consentono una distinzione territoriale degli impieghi; inoltre, nell'aiuto statale sono state ammesse in situazione di parità, accanto alle regioni meridionali in ritardo strutturale, anche le aree di crisi situate nel Centro-nord, che competeranno per l'attribuzione degli interventi. Si tratta di aree che hanno una popolazione complessiva pari a quasi la metà di quella dell'intero Mezzogiorno, e non è difficile immaginare che il migliore contesto socio-politico-amministrativo di tali aree sarà certamente più competitivo nell'ottenere i finanziamenti, tanto più che tutte le somme non utilizzate dalle farraginose e lentissime macchine amministrative meridionali saranno dirottate verso chi dimostrerà di saperle spendere.
La fine dell'intervento straordinario in Italia si accompagna, a livello europeo, con l'aumento delle regioni ammesse a fruire del sostegno comunitario. Fino a qualche anno fa, il Mezzogiorno italiano era l'unica area in ritardo strutturale della Cee; con l'ingresso nella Comunità europea di Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda ed ex Ddr, il Mezzogiorno italiano non è più una priorità assoluta nell'agenda europea.
Esiste dunque un problema di scelta nell'utilizzazione delle risorse, e persino la sinistra ex marxista deve cominciare a prendere atto che più si spende in assistenzialismo, minori risorse restano per gli investimenti produttivi; che più si investe in solidarietà meno si sostiene lo sviluppo; più si sostengono settori economici superati, più si accentua il distacco dalle regioni più avanzate del mondo; più ci si batte per evitare lo sfruttamento meno si recupera produttività.
All'interno dello "specifico europeo" e di quello del Mezzogiorno italiano, esiste poi uno "specifico siciliano", da tempo grave, ma che rischia di divenire drammatico. Le caratteristiche dell' economia siciliana sono:
- un'economia fortemente pubblico-amministrativa;

- assistenzialismo e clientelismo;
- una distribuzione della proprietà fondiaria inadeguata ad un sistema moderno;
- servizi pubblici e privati di basso o bassissimo livello;
- un sistema di commercio polverizzato e arcaico;
- un'industria concentrata nei settori pesanti (soprattutto raffinazione, prodotti energetici e petrolchimica, che rappresentano il 95% della produzione industriale isolana), destinata essenzialmente a servire il mercato interno, con quasi inesistente propensione alla esportazione e alla internazionalizzazione, non orientata alla soddisfazione dei bisogni, gravemente sotto-dimensionata nel settore manifatturiero e quasi inesistente nei settori moderni.
Oggi la nuova divisione internazionale del lavoro rende le produzioni "pesanti" europee non competitive a livello mondiale; i tagli alla spesa pubblica e i trasferimenti agli enti locali rendono sempre più buie le prospettive dell'economia siciliana, prevalentemente assistita; l'industria pubblica è (finalmente!) in via di smantellamento; lo sgravio degli oneri sociali sta per essere eliminato, pur in presenza di una produttività complessiva del lavoro siciliano che è tra le più basse d'Europa e neppure lontanamente comparabile a quella del Centro-nord.
In questa situazione, nessuno si può illudere che la Sicilia possa continuare, magari con qualche aggiustamento e miglioramento, a percorrere le strade del passato. Dobbiamo invece concepire un cambiamento radicale. La Sicilia può farcela solo se prevale la sua parte sana, democratica, intraprendente, produttiva ed operosa, in grado di coniugare legalità ed efficienza, merito e solidarietà, mercato e coesione sociale, imprenditorialità e benessere civile, diritti di cittadinanza ed economia produttiva. La Sicilia può contare su due grandi risorse:
- umane, se saprà valorizzare la sua popolazione giovane e volenterosa, poiché dispone ancora di un trend demografico posi ti vo, che entro quindici anni la porterà ad immettere sul mercato del lavoro 350.000 persone in più, mentre alla stessa data nel Centro-nord vi sarà una carenza di circa due milioni di lavoratori rispetto ad oggi; questa grande forza, in prospettiva, può essere una molla di sviluppo gigantesco, ma dobbiamo riuscire a trattenere in Sicilia i siciliani;
- ambientali, per il suo stupendo clima e ambiente naturale, il suo immenso patrimonio di beni storico-culturali, la sua fondamentale e strategica posizione geografica al centro del Mediterraneo.
La sfida mondiale si può vincere solo rifondando il patto sociale, modificando un sistema di valori culturali fondato sull'individualismo invidioso, valorizzando la necessità di cooperare e di aiutarsi reciprocamente, ricordando la grande lezione di Adam Smith, secondo la quale ciò che muove i fatti economici non sono i buoni propositi, ma l'interesse. La possibilità di guadagnare e arricchirsi deve dunque essere socialmente accettata e apprezzata, ma va coniugata con le regole della legalità, della solidarietà sociale, delle pari opportunità. Ad un vecchio sistema di convenzioni sociali ne va sostituito uno moderno e attivo.
Sul piano progettuale, dobbiamo rapidamente procedere a privatizzare e industrializzare l'economia siciliana; ma contemporaneamente dobbiamo saper guardare oltre: occorrono entrambe le cose. Lo sviluppo della società industriale, con le sue regole, i suoi rapporti e interconnessioni, la capacità di sviluppare imprese, di autosostenere lo sviluppo, di dare significato produttivo ai rapporti sociali, di dirimere i conflitti, è un punto di partenza obbligato, che noi dobbiamo ancora conquistare. L'esistenza di un libero ed efficiente mercato, organicamente regolato - perché senza la modulazione delle regole non vi è mercato - è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per lo sviluppo di un moderno sistema economico.
Il mercato va aiutato a svilupparsi e a crescere attraverso un insieme di iniziative di supporto, di impulso e di sostegno; va sviluppato, dimensionato e allargato secondo le esigenze reali, ma non va diretto. Dobbiamo creare una vera "cultura d'impresa", l'abitudine all'investimento produttivo, al rischio, all'innovazione, al sapersi aiutare da soli; favorire la creazione di un vero mercato dei capitali, dove l'intervento pubblico sia di sostegno e non sostitutivo di quello privato. Ciò può avvenire in primo luogo attraverso:

- la radicale riforma di un sistema bancario colluso e suubordinato alla politica e straordinariamente inefficiente, che riesce a impiegare solo poco più della metà di quanto raccoglie (64% contro 86% del Centro-nord, che pure è sui minimi livelli europei);
- la perequazione degli impieghi pubblici (nel Centronord la cassa Depositi e prestiti impiega oltre quattro volte la somma del risparmio postale, in Sicilia il rapporto è poco più che I ad l; il disavanzo dello stato finanzia in primo luogo gli investimenti del nord e in piccola parte i consumi del sud);
- l'incentivazione e lo sviluppo delle Borse locali, dove anche imprenditori non grandi possano reperire capitali di rischio a costi accettabili: l'economia siciliana va infatti fondata sulle medie, piccole e piccolissime imprese, sui distretti industriali, sulla valorizzazione delle risorse locali;
- un uso sapiente della leva fiscale, per spostare gli impieghi del risparmio dalla rendita agli investimenti;
- la creazione di condizioni accettabili nei servizi e nelle infrastrutture pubbliche e private, che vanno concepite non altrettanto ma più efficienti di quelle medie nazionali;
- il concepimento di una legalità positiva ed efficiente, che riduca l'insostenibile rischio mafia e mobiliti in Sicilia il risparmio dei siciliani e attiri investimenti dall'esterno;
- la realizzazione di una giustizia che sia rapida e giusta, perché l'impossibilità di attuare in tempi ragionevoli i propri diritti equivale alla negazione stessa di quei diritti;
- la costruzione di una scuola moderna che sappia interagire con la società reale, elevando l'istruzione obbligatoria sino ai 18 anni, come in Germania e in Danimarca.
In secondo luogo, dobbiamo anche creare un vero e moderno mercato del lavoro, nel quale un riequilibrio tra le ragioni della domanda e quelle dell'offerta possa stemperare le attuali insopportabili tensioni. Occorre, pertanto, riportare in Sicilia la "cultura del lavoro" , la voglia di impegnarsi, la coscienza di poter progredire con le proprie forze, di intendere il lavoro non come un semplice mezzo di procurarsi reddito, ma come strumento vero di trasformazione, integrazione e avanzamento sociale; ma anche sviluppare moderni sistemi di collocamento, dosando sapientemente flessibilità e dinamismo con sistemi di protezione sociale, indirizzando gli interventi verso chi lavora e vuole lavorare e disincentivando chi cerca solo assistenzialismo a buon mercato e fa della disoccupazione e del ricorso all'assistenza un vero e proprio "mestiere". Ma dobbiamo anche saper guardare oltre le sviluppo industriale tradizionale e interagire con un mondo ormai consapevole dell'esistenza di limiti alla possibilità di sfruttare quel "capitale naturale" che ha consentito lo straordinario sviluppo delle democrazie occidentali, ma che è oggi in via di rapido esaurimento e va diviso nel mondo tra un numero sempre crescente di soggetti.
La Sicilia deve sapere pensare ad un proprio specifico modello di sviluppo e, se vuole inserirsi nel circuito dell'economia mondiale, deve avere un grande colpo d'ala, saper fare un gigantesco balzo in avanti, soprattutto in termini culturali.

L'economia come creatività

L'impresa deve essere intesa come capacità sapiente di valorizzare e migliorare, e non di sfruttare, le proprie risorse, mentre lo sviluppo va autocentrato e reso ambientalmente compatibile e sostenibile. Il progresso va considerato non come arricchimento per pochi, ma come miglioramento diffuso della qualità complessiva della vita e come diminuzione delle diseguaglianze. Queste sono lo strade maestre che dovranno necessariamente essere percorse da:
- un'industria della riconversione ecologica, delle coste, dell'ambiente collinare e montano, dei boschi, delle acque;
- un'industria delle energie rinnovabili, della produzione idrica - l'acqua dolce è una risorsa sempre più scarsa nel bacino del Mediterraneo - delle culture biologiche, delle biotecnologie, dell'acquacultura: insomma, sviluppo del settore produttivo primario nei termini più moderni e avanzati a livello mondiale;

- un'industria dello scambio, perché la Sicilia è il centro geografico del Mediterraneo e deve diventarne anche il centro commerciale, il luogo dove si formano i prezzi di tutte le merci mediterranee;
- un' industria dell' informazione, della formazione, delle tecnologie d'avanguardia;
- un'industria dei beni culturali d'altissimo livello, avviando la conservazione e la valorizzazione economica dell'immenso patrimonio storico-artistico siciliano;
- un'industria del turismo di livello mondiale;
- una riconversione culturale, professionale e tecnologica della gigantesca industria edilizia siciliana, trasformandola in sapiente artigianato per il recupero dei centri urbani e delle grandi risorse monumentali;
- industrie manifatturiere "leggere", centrate sulla soddisfazione dei bisogni reali, che richiedano meno investimenti massicci e spreco di materie prime ed energia, e più lavoro delle persone, sapere tecnologico e scientifico.
La ricerca, l'università, la scuola, la formazione professionale, l'imprenditoria media e piccola, ma capillare e diffusa, i lavoratori edili, il sindacato, i professionisti, le pubbliche amministrazioni e la politica: questi sono i soggetti protagonisti e insieme destinatari della necessaria mutazione genetica dell'intera economia siciliana, che passa attraverso mutamenti sociali e culturali di portata enorme. Ma poiché oggi l'economia siciliana è sostanzialmente pubblico-amministrativa e dipende in modo abnorme dalla politica, dalle amministrazioni, dall'economia e dalla spesa pubblica, dai trasferimenti a sostegno dei consumi, dall'industria assistita, dal lavoro impiegatizio e dal piccolo commercio, è proprio da una grande riforma della pubblica amministrazione che si deve partire.
La pubblica amministrazione regionale deve diventare protagonista di un grande rinnovamento. È necessario pertanto concludere immediatamente la fallimentare e inquinante esperienza della Regione imprenditrice; riqualificare, formare e motivare l'intero ceto impiegatizio, attuandone la formazione permanente, perequando gli incentivi economici e rapportandoli alla produttività, applicando in modo rigoroso il D.L. 29/93 sul pubblico impiego; destrutturare tutti gli apparati burocratici ed elefantiaci; snellire radicalmente le procedure che impediscono il corretto e veloce funzionamento della macchina amministrativa. La certa diminuzione della quantità delle risorse richiede la capacità di dare risposte in termini di qualità e velocità degli impieghi.
Dobbiamo concepire una pubblica amministrazione forte, autoreferenziata, non più succube della fedeltà ai padrini politici, in grado di lavorare e far lavorare; avere uno sforzo di fantasia, applicando per quanto possibile anche alla macchina amministrativa i principi della "fabbrica snella" che ha determinato la grande rivoluzione industriale degli ultimi decenni. Dobbiamo riformare e riequilibrare l'intera spesa pubblica regionale con:
- il riequilibrio delle quote destinate ad investimenti rispetto alle spese correnti;
- la riforma del bilancio regionale, riconvertendo le spese dagli attuali capitoli di spesa storica e clientelari alla realizzazione di grandi obiettivi programmatici;
- la radicale semplificazione delle procedure di spesa, per renderne la velocità compatibile alle esigenze reali e ai piani finanziari europei (la Cee resta oggi la principale e quasi unica fonte di risorse finanziarie esterne);
- il dare effettiva esistenza e operatività alla programmazione regionale: flessibilità, agilità, velocità, capacità d'autocorrezione e adattamento;
- il massiccio spostamento di risorse spendibili agli enti locali, in un'ottica autenticamente federalista;
- la riduzione e se possibile la eliminazione delle diffuse quote di economia improduttiva sostenute dal denaro pubblico, investendo nei settori produttivi veri, nelle imprese vere e vitali, e non in quelle finte.
Questo passaggio può essere doloroso e forse traumatico. Richiede innanzi tutto la revisione di quel patto sociale fondato su rapporti di protezione-dipendenza tra classe politica e apparato pubblico-amministrativo, tra sicurezza di impiego e deresponsabilizzazione, tra basso reddito garantito e poco lavoro.

Insomma, vogliamo impegnarci in un compito giganteesco, per il quale non basta l'impegno di alcuni, ma occorre un'ampia e motivata coesione sociale nell'interesse di tutti i siciliani.


















































LEGALITA’ , SVILUPPO, AUTONOMIA -1996
Idee per un programma di governo della Sicilia
Federazione “Noi siciliani – FNS” e Movimento comunitario per le autonomie

INDICE

1) La legalità

2) L' autonomia

3) Il mercato

4) Il capitale umano

5) L'internazionalizzazione

6) Il prodotto Sicilia

7) L'ambiente

8) I trasporti

9) La rivoluzione multimediale

10) La pubblica amministrazione

LA LEGALITA’

La legalità è un valore in sè.
Rappresenta la precondizione per lo sviluppo siciliano. Senza legalità non vi è nè Stato di diritto nè mercato. Senza legalità non vi è ricchezza diffusa.
Ma la legalità, da sola non basta a produrre sviluppo e benessere.
C'è bisogno, pertanto di un nuovo progetto di sviluppo; della liberazione e mobilitazione di tutte le risorse disponibili; di un nuovo patto tra i siciliani, e, tra la Sicilia e L'Italia, la Sicilia e la Europa, la Sicilia e il Mediterraneo.
Per la Sicilia, è il tempo di una nuova frontiera.


2) L’AUTONOMIA E IL FEDERALISMO SOLIDALE

L'Autonomia siciliana, garantita dalla Costituzione, è un valore, è una risorsa straordinaria.

Finora è stata gravemente mortificata, dissipata, anche deligittimata dalle classi dominanti succedutesi al potere.

L'Autonomia va tutelata, rilanciata, potenziata, rinnovata, in una prospettiva di federalismo cooperativo e solidale. Un federalismo europeo, l'Europa delle Regioni, di cui l'esperienza tedesca dei lander è l'espressione più pregiata e stimolante.

Il rilascio dell’autonomia è tutt' uno con l'affermazione di una nuova classe dirigente siciliana, democratica, produttiva e manageriale, federalista.

La rinnovata autonomia siciliana postula il ripristino integrale delle potestà statutarie. In particolare, in materia FISCALE e FINANZIARIA, CREDITIZIA, del LAVORO, della SICUREZZA e della TUTELA COSTITUZIONALE, con la conseguente assunzione di piena RESPONSABILITA' dei siciliani, di fronte al Paese, all' Europa, al mondo.

3) IL PRIVATO, LE IMPRESE, IL MERCATO

In uno scenario di drastica riduzione delle risorse pubbliche, di globalizzazione dell' economia e di competizione a tutto campo, imprescindibile e determinante è il ruolo delle società civile organizzata, delle autonomie sociali professionali e locali, dei capitali privati, delle imprese, in primo luogo le piccole medie imprese, del mercato, dei territori intesi contestualmente quali comunità civili è COMUNITA' ECONOOMICHE rese coese dalla risorsa comunitaria di base, quella della FIDUCIA, della reciprocità e della collaborazione secondo il sistema a rete.
Una forte politica creditizia siciliana corroborata dal ripristino delle potestà statutarie, il metodo dei projet financing, la promozione di rapporti attivi fiduciari collaborativi organizzati su base associazionistica e l'affermazione di "banche d'affari", la capacità di attrarre capitali e imprese esterne italiane ed estere sono tra le linee d'azione quelle più feconde da perseguire.
Una AUTHORITY REGIONALE DI MARKETING TERRITO RIALE, con una duplice funzione di promozione dei prodotti siciliani all'estero e di promozione ed assistenza ai capitali e alle imprese esterne che vengono in Sicilia, è uno degli strumenti più preziosi adatto agli scopi prefissi.

4) IL CAPITALE UMANO, LA FORMAZIONE LA RICERCA E L'INNOVAZIONE

Il capitale umano è la risorsa economica più pregiata, in questo tempo dell' economia dell' informazione.
E' l'economia concepita come creatività umana, secondo la "Centesimus annus". Per le regioni in ritardo di sviluppo, per la Sicilia, è il capitale dei capitali. Pertanto, la partita del rilancio dell'autonomia siciliana si gioca, oggi, sul capitale umano. A partire dalla scuola di base, dalla formazione dalla riconversione della formazione professionale, dalla ricerca e dall'innovazione. La nuova frontiera è quella di UN SISTEMA SICILIANO FORMATIVO, DI RICERCA E DI INNOVAZIONE, DI TAGLIO FEDERALISTA, originale e specifico, corrispondente ai bisogni e alle vocazioni di Sicilia. La costruzione di un sistema formativo medio-alto di POLIITECNICI, specializzati nei settori dei beni culturali, dei beni ambientali, del turismo, del multimediale, compresa una vera e propria UNIVERSITA' MEDITERRANEA DEL TURISSMO, è la leva fondamentale per il nuovo sviluppo siciliano. L'autonomia siciliana dovrà esercitarsi su un nuovo fronte, quello della RICERCA.
La Regione dovrà dotarsi di una vera e propria AUTONOOMA, politica della ricerca e dell'innovazione, investendovi tra il 2 e il 3% del Prodotto interno lordo, istituendo una AUTHORITY o un ASSESSORATO ALLA RICERCA E ALLA INNOVAZIONE. Tra gli obiettivi, riordinare l'intero odierno dispersivo sistema di ricerca costituito da ben 370 centri di ricerca, tenendo presente che la Sicilia andrebbe concepita un UNICO PARCO TECNOLOGICO DIFFUSO basato però sui propri bisogni e sulle proprie vocazioni; promuovere, riordinando l'esistente, una INDAGINE GLOBALE SULLA RISORSA AMBIENTE SICILIA, in particolare sulle coste e sul mare, quale base per UN PROGETTO GLOBALE DI MAANUTENZIONE E DI RESTAURO.
Promuovere una diffusione intelligente delle TECNOLOGIE , DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE, in grado di generare lavori; promuovere l'alfabetizzazione e la riprofessionalizzazione multimediale dei PUBBLICI FUNZIONARI con effetti di rimotivazione, e introducendo dosi massicce di cultura organizzativa; la formazione manageriale congiunta della DIRIGENNZA DELLE IMPRESE E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIOONE, riunificando le attuali dispersive sedi e risorse di alta formazione in un'UNICA STRUTTURA DI ECCELLENZA, ricomprendente anche l'articolazione locale della SCUOLA della PA, con la regia un'UNICA TECNOSTRUTTURA.

5) L 'INTERNAZIONALIZZAZIONE

Il rapporto diretto tra la Sicilia e l'Unione europea, valorizzando intanto le sedi istituzionali ed associazionistiche esistenti a livello europeo (Comitato delle Regioni, Consiglio. delle regioni periferiche e marittime, Consiglio dei comuni e delle regioni); l'internazionalizzazione della Sicilia come ponte tra l'Europa, il mediterraneo e il Maghereb; l'orientamento all'export di quote sempre più significative dell'economia siciliana; una politica tenace è aggressiva volta ad attirare capitali ed imprese esterne, facendo leva sulle RISORSE COMPETITIVE SICILIANE; le politiche interne ed esterne di RETE (tra imprese in specie piccole e medie tra istituzioni tra tutti gli attori istituzionali e sociali; il recupero di una storica tradizione e cultura di MERCANTI: sono queste le coordinate dell'internazionalizzazione attiva della Sicilia. Percorso che non ha alternative, se non quella della deriva e del degrado. L' internazionalizzazione attiva ed originale della Sicilia, unitamente alla FORMAZIONE, è l'altro grande versante del rilancio dell'autonomia siciliana. Nasce da qui la necessità di istituire una tecnostruttura altamente specializzata, peraltro già delineata nella bozza del Piano regionale di sviluppo 1992-94, una EUROAGENNZIA SICILIANA, per ben gestire il RAPPORTO DIRETTO E QUOTIDIANO con l'Unione europea. Si tratta di un'agenzia che svolga le funzioni multiple di AGENZIA DI INFORRMAZIONE FORMAZIONE E SVILUPPO, al servizio delle imprese, degli enti locali e dei cittadini. Per cogliere tutte le opportunità finanziarie, progettuali, informative e formative ed istituzionali offerte dall'UE alla Sicilia. A partire dalle opportunità presenti nel Quadro comunitario di sostegno 1994-99 (circa 3000 miliardi più altrettanti scaturenti dal confinanziamento statale e regionale).


6) VENDERE IL PRODOTTO SICILIA

La Sicilia ha in sè le risorse fondamentali per farcela.
Deve poter fare da sè, anche se non da sola. Il vecchio modello di sviluppo si è esaurito definitivamente; non si può resuscitare. Non vi è alternativa alla promozione di una economia produttiva, fondata sull'intelligenza, l'operosità, la cultura imprenditoriale, la cultura del lavoro.
La Sicilia dispone, è può utilizzare, risorse non trascurabili: naturali e storiche, umane e professionali finanziarie pubbliche e private.
Occorre vendere il "Prodotto Sicilia" nel mondo, nei nuovi mercati globalizzati. In ciò consiste la rivoluzione economica siciliana la creazione di un' economia normale.
Il turismo, i beni ambientali, i beni culturali, l'artigianato l'agricoltura e l'agroindustria ecologicamente sostenibile, i segmenti vitali dell'industria manufatturiere, la nuova edilizia del riuso e di qualità, vanno concepiti come un unico circuito produttivo interdipendente.
In questo scenario di interdipendenza, tra tutti i comparti economici, si può e si deve costruire una GRANDE INDUSSTRIA MONDIALE DEL TURISMO SICILIANO.
E' necessario, pertanto istituire una AUTHORITY REGIONAALE PER IL TURISMO, NELLA QUALE SI CONCENTRINO LE SCELTE DI FONDO, oggi disperse tra Assessorato turismo, Assessorato trasporti, Assessorato beni culturali, Assessorato territorio e ambiente.
L'Università del turismo, di cui si è detto, destinata a formare veri manager del turismo competitivi nel mondo, va accompagnata da un nuovo Sistema DI AVVIAMENTO PROOFESSIONALE, in grado di fornire, in modo percentualmente eguale, sia l'istruzione teorica che quella pratica sul campo.

Inoltre, il varo di una NUOVA LEGGE-QUADRO PER IL TUURISMO, da anni vanamente attesa, è fondamentale, anche per promuovere un mercato di CONCORRENZA, trasparente e regolato, contro il rischio di un regime oligopolistico, chiuso e ottuso, nel settore.
Non si tratta di una "terziarizzazione" velleitaria, giustapposta alla POLITICA INDUSTRIALE necessaria. Tutt'altro. Infatti, due sono i presupposti di uno SVILUPPO INTEGRAATO della Sicilia. Il primo consiste nella valorizzazione dei prodotti dell'INTERA FILIERA AGRICOLA SICILIANA, a condizione che diventino innovative mediante la tipicità e la qualità, e a condizione che la relativa COMPETITIVIT A' sia fondata sulla risorsa lavoro abbondantemente disponibile, TRASFORMANDO IL PRECARIATO OCCUPAZIONAALE IN UNA GRANDE OPPORTUNITA' DI SVILUPPO, gestendolo, in modo elastico e realistico, quale RISORSA COMPETITIVA. Il secondo presupposto consiste nel formulare una STRATEGIA DI POLITICA INDUSTRIALE SICILIAANA, selettiva qualificata, "personalizzata".
Una sostenuta e stabile crescita economica necessita del contributo del settore industriale. La presenza di un diffuso tessuto d'imprese industriali è una precondizione per lo sviluppo di un settore terziario che produca ricchezza, giacchè sono i servizi avanzati alle imprese industriali che partecipano maggiormente alla creazione di ricchezza del terziario avanzato contemporaneo.
A partire dalle RISORSE DI BASE dei settori minerario, ittico e agricolo: mentre oggi la Sicilia esporta alcune materie prime SENZA TRASFORMARLE, per il prossimo futuro DOVRA' TRASFORMAR LE IN LOCO PER VENDERE ALL'ESTERO a maggiore valore aggiunto.


7) LA RISORSA AMBIENTE

(Il territorio, l'ambiente, l'acqua, le coste, il mare, la pesca)
Insieme a quella umana, l'ambiente è la massima risorsa siciliana. L'ambiente inteso anche come contenitore di valori e beni culturali e storici, e come prima base, materiale, del progetto turismo e di una economia ecosostenibile.
In primo luogo, si tratta di concepire e gestire in MODO UNITARIO le politiche del territorio e dell'ambiente, in particolare le politiche dell' acqua e del suolo anche RICONDUUCENDO TALI MATERIE IN UN SOLO ASSESSORATO DELL'AMBIENTE E DEL TERRIORIO COMPRESO IL COORDINAMENTO CON LE POLITICHE COMUNITARIE, attivando un valente UFFICIO PIANO.
L'accorpamento delle competenze dell'intero ciclo della acqua e del suolo deve essere accompagnato da alcune misure urgenti:
- recepimento della legge 183/89 sulla "Difesa del suolo" e della legge 36/94 su "Nuove disposizioni in materia di risorse idriche";
- adozione del "Piano di risanamento delle acque";
- programmi di risparmio idrico;
- riassetto delle attività di irrigazione;
- adozione di una politica di assistenza finanziaria agli investimenti nel settore idrico per usi civili e strumenti per la integrazione fra sistema bancario,sistema delle aziende del settore e sistema industriale. Le altre coordinate per uno sviluppo sostenibile sono:
- priorità della MANUTENZIONE superando gli interventi di EMERGENZA e riconquistando la ordinarietà NORMATIVA E GESTIONALE,
- separare il governo politico (programmazione e controllo) dalla gestione tecnico-amministrativa, da realizzare, il più possibile, con moduli aziendalistici sia pubblici che privati; - riqualificare radicalmente la PA e la dirigenza pubblica;
- superare l'identificazione delle politiche ambientali con la spesa pubblica;

- superare l'assetto gerarchico-burocratico" a favore di un metodo di governo COOPERATIVO tra diversi livelli di governo, secondo il principio della SUSSIDIARIETA', tipico del federalismo cooperativo e solidale, liquidando sia i centralismi statali che quelli regionali.
Il territorio e le risorse naturali abbisognano di un PIANO GLOBALE DI MANUTENZIONE E DI RESTAURO IN PARTIICOLARE LE AREE INTERNE, LE COSTE E IL MARE, da fondare su un'INDAGINE GLOBALE, indagine più volte avviata, poi dispersa e sprecata, e su un sistema integrato e continuo di MONITORAGGIO.
TUTTO CIO' PRESUPPONE UNA NUOVA POLITICA DI FINANZIAMENTO DELLE REGIONI AGLI ISTITUTI DI RICERCA PUBBLICI E PRIVATI e la fruzione piena deifinannzia menti statali e comunitari.
LE COSTE, IL MARE E LA PESCA FORMANO UN'UNICA PRIORIT A' ASSOLUTA, un 'unico circuito di intervento.
In particolare, la PESCA va riconcepita e riformata integralmente, mediante un progetto integrato (diminuzione dello sforzo pesca; protezione dell'ambiente e ripopolamento; valorizzazione della piccola pesca; maricoltura; ripristino e ammodernamento dell'intera filiera pesca-mercati ittici-catene di freddo-trasporti celeri per la commercializzazione-banche dati e cumputerizzazione degli ordinizazione dello stoccaggio; riconversione dei piccoli pescatori -in operatori polivalenti del mare, formazione professionale per il mare e la pesca; nuovo progetto di legge regionale sulla pesca; potenziamento e riqualificazione della Direzione regionale pesca).

8) VIABILITA ' E TRASPORTI

Lo stato attuale del settore registra la massima divaricazione tra la sua centralità per la vita civile ed economica della isola (fattore primario dello sviluppo; occasione occupazionale; integrazione tra poli e settori economici; miglioramento della qualità della vita; avvicinare la Sicilia all' Italia, alla Europa e al mondo) e la sua grave inadeguatezza (elevata vulnerabilità idrogeologica delle infrastrutture; manutenzionedeficitaria e dequalificata; mancati completamenti; assenza di integrazione insostenibilità economica ed ambientale del sistema di traghettamento sullo stretto). Massima è l'urgenza di governare, programmare, progettare soprattutto selezionare le PRIORITA', a fronte dell'Unioone europea che pretende, per la finanziabilità delle opere, PROGETTI FINALIZZATI AD OBIETTIVI SPECIFICI E COMPPLETI SOTTO L'ASPETTO DELLA VALUTAZIONE ECONOMIICA.
LE PROPOSTE PRIORITARIE SONO:
- riprendere ed attuare gli obiettivi della bozza di (Aggiornaamento del piano regionale dei trasporti);
- attivazione di un' UNICA AUTHORITY REGIONALE, di natura tecnicopolitica ad alta professionalità incardinata presso un nuovo Assessorato regionale alla viabilità e ai trasporti, con competenze esclusive sull'intero settore, compresa la materia relativa ai Piani urbani del traffico (PUT) e ai Piani dei trasporti provinciali. (PTP);
- attivazione di un sistema intermodale unitario;
- i costi per finanziare il pacchetto base degli interventi si aggirano attorno ai 10.000 miliardi, per cui necessariamente richiedono la partecipazione dei PRIVATI, a fronte di una ricaduta occupazionale diretta ed indiretta calcolabile attorno a 300.000 unità.

9) LE TECNOLOGIE DELL 'INFORMAZIONE E DELLA COMINICAZIONE

La Sicilia, regione d'Europa, può e deve essere protagonista della società dell'informazione globale, delle tecnologie multimediali, capaci di unificare le potenzialità del telefono della televisione e del computer.
La rivoluzione tecnologica è in pieno corso: occorre cogliere tutte le potenzialità operative:

- dagli investimenti del Progetto Socrate della STET per la cablatura in fibra ottica delle grandi città tra le quali Palermo e Catania, a quello dell'iniziativa "Cento progetti al servizio del cittadino";
- parte delle risorse della Regione, oggi malamente impegnate nella "Formazione professionale" di tipo tradizionale può essere riconvertita per i SERVIZI INFORMATIVI TELEMATICI;
- alla STET può essere sollecitato un sostegno a progetti pilota di servizi multimediali per rivitalizzare i CENTRI STORICI delle città in via di cablaggio;
- campagne di alfabetizzazione multimediale;
- attorno ai complessivi 6.000 miliardi di investimenti co-munitari per le tecnologie multimediali, previsti nel Quadro comunitario di sostegno 1994-99, possono essere mobilitati centri di ricerca, il CNR e le università siciliane in un percorso che potrebbe coinvolgere anche una quota degli" articolisti 23" per uno sbocco qualificato dei settori culturali e del turismo;
- vi è da sottoporre a riconversione informatica e multimediale l'intera PA regionale in particolare, per le nuove tecnologie possono svolgere il ruolo di nuova risorsa di efficienza e di straordinaria opportunità per riprofessionalizzare soprattutto RIMOTIVARE ampie fasce di pubblici funzionari.
In particolare, l'intera strategia "Vendere il prodotto Sicilia "trova nelle tecnologie multimediale il nuovo motori.
Ciò in generale ma soprattutto nelle aree dei BENI CUL TUURALI E AMBIENTALI DEL TURISMO.
INTEGRAZIONE DELL'OFFERTA TURISTICAI che è l'idea forza della nuova industria turistica siciliana le, l'INTEGRAZIONE DEL CIRCUITO BENI CULTURALI/BENI AMBIENTAAL1/TURISMO/ ARTIG IANATO/TRASPORTI/COMMERCIO passa per le nuove tecnologie.
Tempestivamente va costruito "IL SISTEMA INFORMATIIVO MUL TIMEDIALE SICILIANO" al servizio del turismo.
Il costo di impianto non supererebbe i 3 miliardi di lire.
Il turismo registra oggi in Sicilia circa 9 MILIONI di presennze/anno di cui il 30% rappresentato da stranieri I con una disponibilità di posti letto di 65.000 unità che potrebbero accogliere ben 24 MILIONI di presenze giornaliere/anno.
Su tale base si può innescare un moltiplicatore economico autofinanziato.
Infatti attribuendo ad ogni presenza turistica in Sicilia il valore di lire 250.0001 basterebbe recuperare per ogni unità un gettito del 10% I pari a lire 25.0001 per realizzare un investimento di lire 225 miliardi in grado di realizzare un incremento di occupazione pari a 4.500 unità.
Il conseguente prevedibile incremento di domanda turistica, almeno pari al 30%, potrebbe determinare un raddoppio dell'investimento aggiuntivo iniziale con un ulteriore incremento di occupazione pari ad altre 4.500 unità che sommate alle prime darebbe ben 9.000 unità.

10) REINVENTARE LA PA REGIONALE

L'attuale assetto del PA, in particolare quella regionale,
E' UN OSTACOLO STRUTTURALE ALLO SVILUPPO DEMOOCRATICO, PRODUTTIVO, AUTONOMISTICO E FEDERALlSTA DELLA SICILIA.
L'attuale sistema amministrativo va DESTRUTTURATO, va ripensato e rivoluzionato, va letteralmente RENVENT ATO, sotto tutti i profili (funzioni, strutture-procedure-tecnologie, status giuridico, piante organiche reclutamento, controlli).
La legalità come presupposto dello sviluppo, l'internazionalizzazione e il rapporto diretto UE-Regione, il rilancio federalista dell'autonomia, la svolta produttiva e la vendita del "prodotto Sicilia", il ripristino del ruolo proprio dei privati dell'impresa e del mercato, la centralità del capitale umano e la rivoluzione multimediale, la tutela e la valorizzazione delle risorse ambientali, la priorità dei ras o i e della comunicazione: sono i valori-obiettivi cui analizzare la nuova PA. La destrutturazione-riforma si realizza attraverso tre percorsi interdipendenti:

a) primato delle funzioni di PROGRAM AZIO E E CONTROLLO, cioè di governo, per gli apparati a ministrativi regionali, e, spostamento radicale delle FUNZIONI DI GESTIONE, comprese le relative risorse finanziarie e umane, presso gli enti locali;
b) NUOVA MAPPA DEGLI ASSESSORATI REGIONALI, redistribuendo e accorpando le competenze
- ASSESSORATO ALLA RICERCA SCIENTIFICA E ALLA INNOVAZIONE,
- ASSESSORATO AI TRASPORTI E ALLA VIABILITA' CON COMPETENZE ESCLUSIVE SUL SETTORE,
- ASSESSORATO AL TURISMO,
- RIUNIFICAZIONE DELLE COMPETENZE DEL SUOLO E DELL'ACQUA PRESSO L'ASSESSORATO AMBIENTE CON CONTESTUALE SPOSTAMENTO DI COMPETENZE TECNICHE, DI PROGETTAZIONE, di assistenza di promozione, a favore di una rete di TECNOSTRUTTURE REGIONALI (authority,agenzie, dipartimenti, uffici piano, società miste), strutture aziendalistiche e manageriali di natura pubblicistica, pubblicistica e privatistica;
- EUROAGENZIA SICILIANA dell'informazione, della formazione e dello sviluppo per il rapporto diretto UE-Regione;
- AUTHORITY PER L'ALTA FORMAZIONE di manager pubblici e privati;
- AUTHORITY regionale di MARKETING territoriale;
- UNIVERSITA' DEL TURISMO;
- TECNOSTRUTTURA PER I TRASPORTI E LA VIABILITA'
- SISTEMA INFORMATIVO MULTIMEDIALE regionale;
- AGENZIA REGIONALE PER L'AMBIENTE e tecnostruttura per le coste e il mare;
c) PIENA PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGO REEGIONALE, quale presupposto per una drastica delegificazione e per il varo dei testi unici delle leggi, introduzione massiccia di dosi di cultura e di comportamento ORGANIZZATIVO E MANAGERIALE e della cultura dei risultati;
- riqualificazione e rimotivazione del personale anche mediante le tecnologie multimediali;
- snellimento drastico degli organici, redistribuzione e mobilità del personale, riconversione dei profili obsoleti, formazione e selezione manageriale della dirigenza;
- rilegittimazione morale e sociale dei pubblici funzionari.























PROPOSTA PER UN NUOVO GOVERNO DELLA REGIONE SICILIANA
Gruppo Sicilia – 3 aprile 1996

Lettera aperta agli Elettori siciliani 

Insieme ai Sindaci dei Comuni della Sicilia, più volte riuniti a Palermo, cinquanta amici di estrazione e formazione politica diverse, ma fortemente motivati dalle sempre più drammatiche condizioni
economiche e sociali in cui versa ormai la Sicilia, hanno dato forma ad un ambizioso disegno: offrire al prossimo Governo regionale un  Programma di sviluppo completo e strutturato, finalizzato a produrre  nuova occupazione e fiducia nel futuro attraverso la valorizzazione delle risorse umane e dei beni artistici, monumentali, archeologici e naturali dell'Isola.
Elementi cardine sono la creazione di una grande industria mondiale del turismo siciliano e la intelligente fruizione dei beni culturali ed ambientali, di cui in gran copia la Sicilia è dotata e che vanno finalmente rilanciati con una organizzazione efficiente e di qualità. Ma alla riuscita del Programma sono chiamati a partecipare tutti gli altri settori produttivi: industria, sanità e sport, agricoltura, pesca, maricoltura ed acquacoltura, energia e ambiente, industria conserviera alimentare e manifatturiera, commercio e artigianato; tutti riuniti in un unico circuito produttivo interdipendente, in grado di produrre mollissimi posti di lavoro e fiducia nell'avvenire.
Oltre ad individuare gli interventi indispensabili il Gruppo - formato da medici, imprenditori, sindacalisti, professionisti, dirigenti d'azienda e funzionari pubblici e privati, docenti universitari e della scuola, bancari ed economisti, operatori turistici e commerciali, esperti in volontariato ed in tanti altri settori - indica altresì nel Programma le modifiche, suggerite dal Coordinamento dei Sindaci siciliani, agli apparati, ai bilanci ed alle stesse strutture e competenze della Regione e  degli Enti Locali periferici, necessarie per realizzare, in tempi brevissimi e con modi assolutamente manageriali, un tale Programma.
Questi uomini offrono infine, sin d’ora, la propria piena e totale disponibilità al Governo che verrà eletto e che, impegnandosi, lo avrà adottato, per eo1Jaborare a realizzarlo al pi ù presto, nel modo migliore e nel più completo interesse della Sicilia e dei suoi figli.

Il Coordinamento del "Gruppo Sicilia"

INDICE

-APPELLO

1.1 - La giustizia, la legalità 1.2 - L'Autonomia
1.2 – l’Autonomia

2. IL NUOVO MODELLO SICILIA

2.1 - Gli obiettivi

2.2 - Il capitale umano

2.3 - L'internazionalizzazione

2.4 - Il credito

2.5 - La pubblica amministrazione 2.6 - La rivoluzione multimediale

2.6 – La rivoluzione multimediale

3. I SETIORI PRODUTTIVI

3.1 - Industria

3.2 - Energia ed ambiente

3.3 - Agricoltura e pesca

3.4 - Trasporti

3.5 - Sanità' e Sport 3.6 - Il prodotto Sicilia

4. CONCLUSIONI

4.1 - Riepilogo

4.2 - La riforma dei bilanci regionali

Per uscire dal tremendo tunnel che attanaglia la Sicilia occorre qualcosa di diverso, di veramente forte, che possa rispondere al grido di disperazione che viene da tutte le parti, alla prepotente richiesta di nuovo che alta si leva da tutta la società isolana.
In Sicilia vivono ben più di cinque milioni di abitanti e, attualmente, solo un milione e trecentomila di essi hanno una occupazione, con prospettive per il domani assolutamente preoccupanti.
Elevando il tasso di occupazione agli attuali livelli europei, potrebbero lavorare ben due milioni e trecentomila siciliani, con fiducia nell'avvenire.
Questo deve-essere l'obiettivo.
Si deve assolutamente intervenire, con fatti nuovi, diversi, con idee e uomini nuovi, ma, soprattutto, con metodi nuovi e con grande determinazione.
E con estrema urgenza, perché il tempo dei giochi è finito.
Questo programma di sviluppo della Sicilia per il nuovo Governo Regionale, preparato da un gruppo di amici di estrazione diversa, non "politici", ma fortemente impegnati in Politica, spera e ritiene di poter costituire elemento di aggregazione per riunire - nella più vasta formazione politica e per una sorta di ultima spiaggia - quanti siano veramente convinti che qualcosa bisogna assolutamente fare.
Subito.
Al di fuori di vecchie, ed ormai prive di significato, ideologie insegne politiche; al di fuori di vecchi, ed ormai privi di significati, schieramenti politico-affaristici.
Perché ritorni, forte, la speranza nel futuro e l'orgoglio di essere siciliani, in Italia ed in Europa.

1. - PREMESSA

1.1 - La giustizia, la legalità

La legalità è un valore in sé; rappresenta la pre-condizione per lo sviluppo della Sicilia.

Senza legalità non vi è Stato di diritto né mercato; senza legalità non vi è ricchezza diffusa, non vi è fiducia dei Cittadini nelle Istituzioni e nello Stato.
Ma la legalità, da sola, non basta a produrre sviluppo e benessere; essa deve riaffermarsi insieme ai grandi valori della morale e della religione, riponendo al centro della Società civile la sacralità della persona umana.
C'è bisogno, pertanto, di un nuovo progetto di sviluppo, della liberazione e mobilitazione di tutte le risorse disponibili; di un nuovo patto tra i siciliani e tra la Sicilia e l'Italia, la Sicilia e l'Europa, la Sicilia ed il Mediterraneo.
Nella legalità, nella moralità, nella fiducia.
Per la Sicilia, è il tempo di una nuova frontiera.

1.2 – L’Autonomia  ed il federalismo solidale

L'Autonomia siciliana, garantita dalla Costituzione, è un valori una risorsa straordinaria; finora è stata gravemente mortificata, dissipata, stravolta e delegittimata dalle classi dominanti succedutesi.
E' necessario pertanto ritornare alla Statuto siciliano per riscoprire la vera essenza dell' Autonomia voluta dal legislatore costituente e ricostruire un Ente Regione che interpretri fino in fondo la sua funzione di servizio, rinunci alla posizione di dominio assunto nei confronti delle Provincie e dei Comuni e restituisca loro potere, peraltro nel rispetto della Costituzione italiana e delle leggi nazionali inerenti.
Un grande Ente di servizio, quindi, che ponga Comuni e Provincie nelle migliori condizioni per gestire i propri bilanci, con entrate certe e tempestive e disponibilità diretta dei fondi assegnati, rispettando le loro scelte amministrative e cooperando per una buona e facile esecuzione.

Per ricostruire questa funzione è necessario sia eliminare una gran quantità di leggi a carattere vessatorio che destruttura l'apparato burocratico, per rifondare un Ente Regione - con  una organizzazione agile e capace di un grande dialogo sociopolitico - gestito da una nuova classe dirigente siciliana manageriale, produttiva e democratica che abbandoni per sempre l'assistenzialismo per adottare - e pretendere che vengano adottati - criteri di efficienza e managerialità.

Una nuova Autonomia siciliana quindi, rinnovata in una prospettiva di federalismo cooperativo e solidale rivolto all'Europa; un federalismo Costituzionale ispirato alla esperienza dei Lander, che riacquisti i propri poteri in materia di tutela costituzionale, fiscale e finanziaria, creditizia, del governo dell'energia e dei trasporti, del commercio, del lavoro e della sicurezza con assunzione di piena responsabilità da parte dei siciliani e consenta un rapport9 diretto con l'Unione Europea senza più intermediari, da regione autenticamente federalista.

2. - IL NUOVO "MODELLO SICILIA" GLI OBIETTIVI - I MEZZI

2.1 - Gli obiettivi

Con le premesse già poste, i nuovi fattori strategici che si intendono affermare sono fondamentalmente indirizzati al turismo, settore che va inteso come elemento trainante soprattutto - della agricoltura e dell'industria; la filiera agricola, da una parte, e l'industria manifatturiera dall'altra, formate da tante medie e piccole aziende, devono costituire il supporto ad un turismo amplificato e diffuso.

Ogni altro settore - industria, energia e ambiente, agricoltura e pesca, edilizia, trasporti, sanità e sport, credito e commercio deve essere rivisto e rivalorizzato nel nuovo indirizzo.

La Sicilia, culla della mitologia e della storia; la Sicilia artistica e monumentale, che concentra in se il venti per cento del patrimonio artistico di tutta la Terra; la Sicilia, dove a pochi metri di distanza, l'uno a fianco dell'altro, convivono monumenti distanti tra loro secoli, millenni, con il suo incomparabile clima e le sue bellezze naturali uniche al mondo .

La Sicilia, terra ideale per il turismo residenziale; la Sicilia, terra del benessere e della salute; la Sicilia, sede permanente di impianti sportivi particolarmente attrezzati, per i lunghi stage invernali degli atleti del nord e dei Paesi nordici.

Un programma di Governo ispirato al turismo, che abbia come obiettivo primario la creazione di lavoro, per avvicinare la Sicilia agli standard europei più avanzati dove due persone su quattro lavorano, mentre in Sicilia trova occupazione appena una persona su quattro!

Un programma forte, al centro del quale si ponga la prioritaria costruzione di un nuovo, grande Aeroporto Intercontinentale, capace di attirare in Sicilia i grandi flussi turistici direttamente dal Giappone, dall' Australia; dal mondo, posto in posizione baricentrica ed in prossimità di una rete autostradale completata ed efficientissima. Un programma che deve comprendere la realizzazione di un nuovo grande porto turistico - opportunamente posizionato e strategicamente proposto per alimentare una cantieristica specializzata, efficiente e completa – non chè di un efficace sistema di collegamento marittimo ed aereo con tutte le isole minori.

Un programma che non può assolutamente prescindere da servizi rinnovati, efficienti ed ecologici (trasporto e distribuzione della energia elettrica, piano delle acque, piano dei rifiuti etc.)

Un programma che deve prevedere, per la sua realizzazione, tempi brevissimi e modi assolutamente manageriali.

2.2 - Il capitale umano; formazione, ricerca e innovazione

Il capitale umano è la risorsa economica più pregiata, in questo tempo della economia e della informazione.

E' l'economia concepita come creatività umana, secondo la "Centesimus annus".

Per le regioni in ritardo di sviluppo, per la Sicilia, è il capitale dei capitali, reso ancora più imponente dalla giovane età media dei siciliani.

Pertanto, la partita del rilancio dell'Autonomia siciliana si gioca, oggi, sul capitale umano, troppo spesso depauperato da una tragica emigrazione senza ritorno. Bisognerà puntare quindi ad incrementare una sana e costruttiva mobilità, senza però continuare a perdere sistematicamente le forze-lavoro più qualificate, soprattutto quelle di eccellenza.

La nuova frontiera è quella di un originale e specifico sistema siciliano formativo, di ricerca e di innovazione, corrispondente ai bisogni ed alle vocazioni della Sicilia.

A partire dalla scuola di base, dalla formazione, dalla riconversione della formazione professionale, dalla ricerca e dalla innovazione.

• II ben fare viene dal sapere; l'operare deve seguire il pensare, e non viceversa.

La scuola deve fornire ai futuri cittadini le conoscenze necessarie all'inserimento nel mondo del lavoro, contribuire alla formazione dell'uomo, svilupparne le doti critiche e intellettive.

Saper realizzare questo determina il grado di civiltà di un paese.

In Italia, in questo ultimo trentennio, si è assistito alla progressiva demolizione del ruolo della scuola di Stato - che è la scuola di tutti - irresponsabilmente flagellata dalle scelte politiche dei Governi, dei partiti, dei sindacati; la degradazione della scuola è andata di pari passo con la caduta del livello della società italiana, sconvolta da macroscopici fenomeni di criminalità organizzata,

corruzione, ottundimento delle coscienze, crollo di quei valori morali e sociali che sono il fondamento della civiltà stessa. Urge quindi che il problema scuola venga assunto quale problema a principe della vita politica e civile del Paese e, in primis, della Sicilia, consapevoli che non si può insegnare la verità dogmaticamente, perché la verità è soltanto nella ricerca e, cessata la ricerca, finisce ogni forma di verità.

Occorre rifare la scuola, fonte e origine di ogni ricchezza. Scuola dunque come metodo e come ricerca, con la valorizzazione dei metodi di quella scuola attiva che già fecero grande la scuola elementare italiana, estendendoli anche alla scuola media, inferiore e superiore ed aumentando l'età dell'obbligo fino al livello europeo; su queste frontiere si deciderà il futuro della Sicilia e dell'intero Paese.

Obiettivo: una scuola svincolata dall'oppressione di particolari secondi fini, capace di formare all'amore della cultura ed al pensiero critico le nuove generazioni, oggi disarmate e facilmente plagiabili dalla propaganda irradiata dai mezzi di persuasione di massa e dai relativi "divertimenti" che colpiscono fin dentro le mura domestiche e solo se in possesso di una robusta coscienza storica, fornita dalla scuola, i giovani potranno essere in grado di operare scelte ragionate in politica o nell'impegno civile; solo con un profondo studio della lingua italiana - e di quella latina, nella quale è contenuta per tre quarti - i giovani potenzieranno le loro facoltà espressive e linguistiche, sia orali che sopratutto scritte, riappropriandosi di un patrimonio incommensurabile di cui pochissimi altri. popoli possono disporre.

Scuola quindi non soltanto frettolosa creatrice di tecnici specializzati, docili alle esigenze di una produzione spesso contingente (la scuola del primitivo), ma riaffermata palestra di quel pensiero creativo che potrebbe definirsi "il sapere di sapere", o "il sapere come sapere"; la cultura non come servitù, ma la cultura e la scuola come coscienza, come libertà. Tra le cose da fare:

o potenziare, nella scuola media, un serio studio del latino come scienza delle origini della nostra capacità espressiva, fonte di chiarezza e di logica contro i dogmatismi e ]' oscurantismo, invito alla chiarezza e alla distinzione contro ogni retorica, contro la faciloneria del pedantismo moralistico, contro il pressapochismo dell'odierno linguaggio politico, giornalistico e televisivo. La lingua latina è la scienza dei concetti e sulla chiarezza dei concetti si fondano la libertà ed il progresso dell'uomo;

O ridurre il numero degli alunni a non oltre 20/21 alunni per classe; sarebbe una enorme conquista per la scuola e la società italiana tutta.

• La costruzione di un sistema formativo medio-alto di tecnici polivalenti, specializzati nei settori dei beni culturali, dei beni ambientali, della agricoltura e della pesca, del turismo, del multimediale, compresa una Università mediterranea del turismo, potrà essere la leva fondamentale per il nuovo sviluppo siciliano.

L'Autonomia siciliana dovrà impegnarsi su un fronte troppo spesso trascurato e sottovalutato: quello della ricerca. La Regione dovrà dotarsi di una vera e propria, autonoma, politica della ricerca e della innovazione, investendovi almeno il 2-3 % del prodotto interno lordo regionale ed istituendo un apposito Assessorato alla Ricerca ed alla Innovazione. Tra le cose da fare:

O riordinare interamente l'odierno, dispersivo, sistema di ricerca costituito da ben 370 Istituti, laboratori universitari e centri di ricerca, tenendo come obiettivo finale la confluenza in un unico parco scientifico e tecnologico diffuso, tagliato però sulle esigenze e sulle vocazioni dell'Isola;

O attorno ai 6.000 miliardi complessivi di investimenti comunitari per le tecnologie della informazione e della comunicazione, previsti nel Quadro Comunitario di Sostegno 1994-1999, possono essere mobilitati e rilanciati i Centri di Ricerca - specie quelli a partecipazione regionale quali CEOM, CONPHOEBUS, CTM, PARCO SCIENTIFICO e TECNOLOGICO etc -  Centri e gli Istituti di ricerca nazionali impegnati per lo sviluppo regionale øquali ENEA e CNR - e le Università siciliane, in un percorso capace di creare nuovo lavoro coinvolgendo anche parte degli "articolisti 23" in uno sbocco qualificato.

O promuovere, riordinando l'esistente, una indagine globale sulla risorsa ambiente Sicilia, in particolare sulle coste e sul mare, quale base per un progetto globale di manutenzione e restauro economicamente produttivo ed ecocompatibile;

O promuovere l'alfabetizzazione e la riprofessionalizzazione multimediale dei pubblici funzionari, con effetti di rimotivazione ed introducendo dosi massicce di cultura organizzati va;

O intervenire a livello dei valori, innescando una profonda rimessa in discussione dei comportamenti e favorendo una presa di coscienza delle proprie potenzialità, come risorse, e contemporaneamente dei propri limiti, intesi come vincoli;

O creare delle task-force miste pubblico-private che operino nel campo della progettualità, con l'obiettivo prioritario di avvicinare domanda ed offerta di formazione;

O riunificare in una unica struttura di Eccellenza e con la regia di una adeguata tecnostruttura, la formazione manageriale di quadri dirigenti, sia per la pubblica amministrazione sia per le banche, che debbono assumere un ruolo determinante per il risanamento economico della imprenditoria.

2.3 - L'internazionalizzazione

• Il rapporto diretto tra la Sicilia e l'Unione Europea, che valorizzi le sedi istituzionali ed associazionistiche già esistenti a livello europeo (Comitato delle Regioni, Consiglio delle Regioni periferiche e marittime, Consiglio dei Comuni e delle Regioni);

• l'internazionalizzazione della Sicilia come ponte tra l'Europa, il Mediterraneo ed il Maghreb;

• l'orientamento all'export di quote sempre più importanti e significative del prodotto siciliano;

• una politica tenace ed aggressiva volta ad attirare capitali ed imprese esterne, fornendo infrastrutture e garanzie e facendo leva sulle risorse competi ti ve siciliane (giovinezza della popolazione e precariato occupazionale, beni storici e naturalistici etc.);

• le politiche interne ed esterne di rete (tra imprese, specie mediopiccole, tra istituzioni, tra tutti gli attori istituzionali e sociali);

• il recupero di storiche tradizioni e della cultura dei mercanti.

A riguardo di questo ultimo punto, diventa necessaria anche la revisione in chiave regionale della intera problematica del commercio, dal riesame dello stato di legalità del settore (esame e rilascio delle "licenze" ambulanti, che potrebbero essere riservate alle sole Camere di Commercio) alla riqualificazione degli operatori ed alla formazione dei nuovi addetti; dalla rideterminazione dei ruoli complessivi degli Enti preposti allo studio di nuovi incentivi fiscali e creditizi, ai problemi del traffico, dei trasporti e dei parcheggi nonché alla promozione del settore distributivo, già in parte affrontato dall'art. 12 della L.R. 34/91 in ordine ad una programmazione urbanistico-commerciale.

In ogni caso le nuove forme di vendita e distribuzione, rivolte ormai a territori sempre più estesi ed a bacini di utenza spesso vastissimi, comportano che rapporti oggi prevalentemente mantenuti con le Amministrazioni Comunali divengano quanto meno di livello Provinciale.

Sono queste le coordinate della internazionalizzazione attiva della Sicilia.

Percorso che non ha alternative, se non quella della deriva e del degrado.

L'internazionalizzazione attiva ed originale della Sicilia, unitamente alla formazione, è l'altro grande versante della rinnovata Autonomia siciliana.

Nasce qui la necessità di istituire una tecnostruttura altamente specializzata (peraltro già delineata nella bozza del Piano Regionale di Sviluppo 1992-94), una Euroagenzia siciliana per gestire al meglio il rapporto diretto e quotidiano con l'Unione Europea, che svolga le funzioni multiple di agenzia di informazione, formazione e sviluppo al servizio delle imprese, degli enti locali e dei cittadini.

Per cogliere tutte le opportunità finanziarie, progettuali, informative, formati ve ed istituzionali offerte dalla UE alla Sicilia, per non continuare a perderle, come finora troppo spesso è avvenuto.

A partire dalle già citate opportunità presenti nel Quadro Comunitario di Sostegno 1994-1999 e dai possibili finanziamenti statali connessi.

2.4 - Il credito

L'attuale crisi congiunturale ha fatto emergere, in Sicilia più che altrove, le gravi deficienze strutturali dell'apparato produttivo siciliano, frutto tra l'altro di una disorganica politica d'intervento, attuata dalla Regione con riconosciuta incoerenza funzionale rispetto ai mutati assetti del mercato creditizio locale. Si è resa pertanto indifferibile la ridefinizione della politica del credito in Sicilia - sul piano istituzionale e normativo, come su quello degli strumenti creditizi di intervento sull'economia - capace di riportare a valori accettabili le sofferenze; riequilibrare il rapporto tra credito accordato ed utilizzato; limitare la presenza di oneri finanziari "a breve", che denotano la eccessiva dipendenza dal sistema bancario ordinario.


Bisognerà quindi colmare il grande vuoto, di proposta e di capacità realizzativa, con una equilibrata e sana politica ereditizia siciliana rivolta essenzialmente alla imprenditoria intelligente • elemento fondamentale della economia siciliana è corroborata e sostenuta dal ripristino delle potestà statutarie. Una politica crediti zia nuova, che possa rivitalizzare il vecchio sistema bancario locale • meglio aduso alle dimensioni del credito isolano e più esperto nella integrazione con il territorio - per farlo tornare a crescere a fianco dei molti grandi istituti di credito del Nord Italia spediti in Sicilia alla metà degli anni '80, troppo impegnati finora sul versante della raccolta e troppo poco sul mercato complessivo degli affidamenti, dove hanno operato soltanto nella inderogabile ottica della minimizzazione del rischio.

Per determinare un effettivo e globale miglioramento delle condizioni competitive del sistema è indispensabile creare la stretta interdipendenza tra sistema economico e sistema finanziario regionale, adeguando l'intermediario alle esigenze della clientela ed equilibrando, soprattutto, i rapporti tra banca e piccola impresa in una nuova visione organica della struttura produttiva.

La capacità di rivitalizzare le imprese siciliane e di attrarre capitali e imprese esterne, italiane ed estere, sono pur esse, tra le linee d'azione, quelle più feconde da perseguire e che possono portare ad una maggiore concorrenza e quindi a migliori servizi: infatti, per abbassare il costo dei denaro è necessario rafforzare il sistema produttivo in modo da far diminuire le sofferenze; per conseguire tali obiettivi, occorrerà affiancare nuovi strumenti finanziari a quelli già inseriti nei circuiti bancari tradizionali, quali il "project financing", la promozione di consorzi fidi organizzati su base associazionistica ed il rilancio di "banche d'affari", i prestiti partecipativi, i fondi di garanzia.

Una capillare formazione, rivolta soprattutto alla creazione di quadri aziendali con notevoli conoscenze finanziarie presso le aziende della regione. Una forte funzione di authority regionale di marketing territoriale, nella duplice veste di assistenza ai capitali ed alle imprese che operano in Sicilia e di promozione dei prodotti siciliani all'estero, sono tra gli strumenti più preziosi, adatti agli scopi prefissi.

2.5 - Reinventare la pubblica amministrazione regionale

L'attuale assetto della pubblica amministrazione, in particolare quella regionale, è un autentico ostacolo strutturale allo sviluppo della Sicilia.

In particolare, per una vera svolta democratica, produttiva, autonomistica e federali sta, l'attuale sistema amministrativo va destrutturato, ripensato, rivoluzionato, va letteralmente reinventato, sotto tutti i profili (funzioni, strutture-procedure-tecnologie, status giuridico, piante organiche-dirigenza-formazione, reclutamento, controlli), procedendo ad una totale riconversione informatica e multimediale dell'intera amministrazione regionale, dove le nuove tecnologie possano svolgere il ruolo di una nuova risorsa di trasparenza, di efficienza e di straordinaria opportunità per riprofessionalizzare e - soprattutto - rimotivare ampie fasce di pubblici funzionari.

La legalità come presupposto dello sviluppo, l'internazionalizzazione ed il rapporto diretto Unione Europea-Regione, il rilancio federalista dell' Autonomia, la svolta produttiva e la vendita del prodotto-Sicilia, il ripristino dei ruoli (in particolare quello proprio dei privati, dell'impresa e del mercato), la centralità del capitale umano e la rivoluzione multimediale, la tutela e la valorizzazione delle risorse ambientali, la priorità dei trasporti, della comunicazione, dell'ambiente e della energia: sono questi i valori-obiettivo cui finalizzare la nuova Pubblica Amministrazione

Le tre vie indipendenti da percorrere sono:

• riservare e rafforzare le funzioni di programmazione e controllo - cioè di governo - per gli apparati amministrativi regionali e spostare radicalmente le funzioni di gestione presso gli enti locali finalmente dotati - secondo l'Art. 15, ZO comma dello Statuto regionale - " .... della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria •... ", ai quali sarà pertanto devoluta piena responsabilità, diretta o derivata, in aderenza ed attuazione - peraltro - anche dell' Art. 118, 3° comma della Costituzione Italiana.

• disegnare una nuova mappa degli assessorati regionali, che ridistribuisca ed accorpi le competenze. Si cita solo a titolo di esempio l'Assessorato alla energia ed a l'ambiente, con competenze esclusive anche sul suolo e dell'acqua.

Per raggiungere tali obiettivi verrà messa a punto una efficiente rete di tecnostrutture regionali, creata contestualmente, con funzioni di authority: agenzie, dipartimenti, uffici-piano, società miste, nonché strutture aziendalistiche e manageriali, di natura pubblicistica, pubblico-privatistica, privatistica. Ad esempio:

O Euroagenzia siciliana dell'informazione, della formazione e dello sviluppo diretto UE-Regione;

O funzione di authority per l'alta formazione di manager pubblici e privati;

O funzione di authority regionale di marketing territoriale; O Università del turismo;

O tecnostruttura per i trasporti e la viabilità;

O sistema informativo multimediale regionale;

O Agenzia regionale per l'energia e per l'ambiente;

O Agenzia regionale e tecnostrutture per l'agricoltura, le coste ed il mare.

• recuperare una autentica efficienza privatistica nel pubblico impiego regionale, operando insieme una drastica delegificazione e procedendo al varo di testi unici di legge, con:

O introduzione di forti dosi di cultura e comportamento organizzativo e manageriale e della cultura dei risultati;

O forte snellimento degli organici, redistribuzione e mobilità del personale, riconversione dei profili obsoleti e selezione manageriale della dirigenza;

O rilegittimazione morale e sociale dei pubblici funzionari.

2.6 - Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione

La Sicilia, regione d'Europa, può e deve essere protagonista nella società della informazione globale, delle tecnologie multimediali capaci di unificare le potenzialità del telefono, della televisione e del computer. L'intera strategia per la vendita del prodotto Sicilia troverà nelle tecnologie multimediali il nuovo motore.

In generale, ma soprattutto nelle aree dei beni culturali ed ambientali e del turismo.

L'integrazione dell'offerta turistica, che è l'idea-forza della strategia da adottare per realizzare il nuovo "Modello Sicilia", e l'integrazione del circuito beni ambientali trasporti-commercio, passano per le nuove tecnologie ed il sistema informativo multimediale siciliano va costruito tempestivamente, al servizio del turismo.

L'incremento delle presenze turistiche in Sicilia - oggi di circa 9 milioni di giornate all'anno, in una realtà che potrebbe accoglierne, già adesso, ben 24 milioni - potrebbe facilmente autofinanziare non solo il già detto proprio sistema informativo, ma anche un incremento occupazionale del settore valutabile in diverse migliaia di unità (almeno 4.500 + 4.500).

Occorre cogliere tutte le potenzialità operative disponibili:

O gli investimenti del progetto Socrate della Stet per la cablatura in fibra ottica delle grandi città, tra le quali Palermo e Catania, e della iniziativa "Cento progetti al servizio del cittadino";

O la riconversione a favore dei servizi informativi-telematici di parte delle risorse della Regione, oggi malamente impegnate nella "Formazione professionale" tradizionale;

O alla Stet può essere sollecitato un sostegno a progetti-pilota di servizi multimediali per rivitalizzare i centri storici delle città in via di cablaggio;

O campagne di alfabetizzazione multimediale;

• Il nuovo sviluppo della Sicilia potrebbe trovare grande ausilio da una forte collaborazione tra la Regione e la RAI il cui intento, nella più recente riforma dei programmi, era quello di destinare la Terza Rete proprio ai problemi delle regioni; la crisi dell' Azienda di Stato - che ha portato a drastici ridimensionamenti di personale e di mezzi - e le mutate filosofie aziendali sulla Terza Rete, solo all'inizio davvero votata al decentramento produttivo ed operativo, rendono necessario un intervento del Governo Regionale per far sÌ che il servizio pubblico realizzi o potenzi:

O servizi di informazione e cronaca da tutte le nove Provincie dell'Isola;

O trasmissioni in collegamento con il Parlamento Europeo per quanto riguarda le politiche regionali, le possibilità di attingimento a fondi comunitari, le occasioni di lavoro offerte dalla UE etc';

O maggiori, più frequenti e più mirati servizi culturali, che esaltino le bellezze artistiche e naturali, rivolti sopratutto ad incrementare il turismo;

O rubriche destinate alle minoranze linguistiche presenti.

La Sede Regionale della RAI già oggi produce quattro Giornali Radio nazionali e tre Telegiornali regionali, oltre alla rubrica "Mediterraneo" irradiata sulla Seconda rete nazionale, sulla TV di Malta, su France 3, Euronews ed altre emittenti del Mediterraneo, tra poco anche di alcuni Paesi del Nord Africa; in un momento in cui partono progetti di rinuncia ad una rete nazionale, appare di estrema importanza che la Sede Rai della Sicilia potenzi invece la sua attività, assumendo pienamente le caratteristiche di Centro di Produzione e divenendo - con il sostegno della Regione - parte di una rete federata interegionale, nella quale svolga compiti di Centro Culturale rivolto al Mediterraneo ed al mondo Arabo tutto, Sede strategica rivolta - in modo particolare - al Nord Africa ed al Medio Oriente.

Preziosa pertanto, assolutamente da non perdere, l'occasione fornita dalla decisione presa dalla "Conferenza del Mediterraneo per la cooperazione sulla Comunicazione", tenutasi al Cairo nel Gennaio scorso, di istituire a Palermo l'Associazione degli Operatori dell'audiovisivo del Mediterraneo, occasione capace insieme con le accennate nuove iniziative - di mettere in movimento attività atte a creare posti di lavoro, e non solo per i più giovani.

Per informare e fare cultura e per riaffermare la grande imporrtanza della Sicilia come piattaforma fra l'Europa e l'Africa.


• Particolare attenzione anche al mondo del Cinema, oltre ovviamente che a quello della musica, del teatro e di tutte le splendide Arti popolari siciliane; a parte la grande figura di Giuseppe Tornatore, infatti, ormai da annoverare tra le più belle realtà del Cinema a livello mondiale, in Sicilia fiorisce da tempo una scuola di registi e video-makers che ha prodotto un folto gruppo di addetti ai lavori di notevole livello.

Tenuto conto che dopo la abrogazione del Ministero dello Spettacolo, voluta dal referendum del 1993, le relative competenze passano alle Regioni, l'interesse del comparto è tale da motivarne la regolamentazione attraverso una apposita legge regionale, il cui obiettivo sia quello di dare respiro ad un settore tanto importante attraverso la creazione di centri di produzione e distribuzione regionali.

Funzione della Regione potrebbe essere, oltre a quella di regolamentare e controllare l'intero com parto, di favorire anche in questo settore la partecipazione privata e di garantire, attraverso appositi piani triennali, un consistente finanziamento delle opere di qualità proposte, da rimborsare successivamente, in toto o in parte, con gli incassi.

A fianco della Regione opererebbe un apposito Comitato tecnicoscientifico composto da rappresentanti degli autori, dei produttori, dei critici, degli esercenti i locali di proiezione e della stessa Regione, cui potrebbe essere devoluta la responsabilità delle scelte e la gestione delle varie provvidenze.

3. - I SETTORI PRODUTTIVI

3.1 - L'industria

Il grande sviluppo occupazionale - che rappresenta il forte, prioritario obiettivo di questo programma - non potrà mai essere conseguito senza il comparto industriale, perché una sostenuta e stabile crescita economica non può fare a meno del forte contributo del settore manifatturiero; la presenza ed il consolidamento di un diffuso e consistente tessuto di imprese industriali è una precondizione per lo sviluppo di un terziario che produca ricchezza ed i servizi avanzati alle imprese mediopiccole contribuiranno, in modo determinante, al successo dell'intero comparto.

Grande attenzione, quindi, nella formulazione di una nuova strategia di politica industriale siciliana, che punti fortemente alla crescita di un settore di trasformazione selettivo, qualificato, "personalizzato" sulle tradizioni, sulle grandi potenzialità, sui reali fabbisogni dei mercati locali e di quelli internazionali cui la Sicilia è rivolta e che sviluppi tutta una serie di medio-piccole industrie a partire dalle risorse di base dei settori estratti viticolo ed agricolo: mentre oggi la Sicilia esporta alcuni prodotti o materie prime senza trasformarli, per il prossimo futuro le trasformerà in loco per venderle a maggiore valore aggiunto.

Grande attenzione però anche ad alcune grandi realtà esistenti in Sicilia, che bisognerà rivedere e rinnovare - ma non certo, distruggere - in questa nuova ottica di sviluppo dell'Isola come, ad esempio, l'industria chimica, allocata a Siracusa e Gela, e l'industria cantieristica, per esempio gli Aliscafi a Messina - la cui originale tecnologia è stata esportata in tutto il mondo - ed i Cantieri Navali di Palermo. Questi ultimi hanno caratterizzato durante un intero secolo, seguendone le trasformazioni, la vita del Porto di Palermo, sino a diventare la prima industria cittadina; una azienda dalla grande importanza occupazionale diretta ed indotta, che ha acquisito professionalità, qualità e sicurezza sul lavoro a livelli mondiali, oggi insignita, tra le prime in Italia, della Certificazione europea di qualità "ISO 9001".

Profittando della crisi mondiale del settore si dovrà - sia pure ridimensionando e ristrutturando l'azienda centrale - rivedere ed accrescere le potenzialità dell'intero compatto migliorando l'indotto, in modo da rilanciare un complesso che per la qualità del lavoro, per la potenzialità delle strutture esistenti e, naturalmente, per la posizione geografica, ha tutti i numeri per confermarsi nell'ambito sia delle nuove costruzioni specializzate che delle riparazioni, così come oggi richiesto dal mercato mondiale.

3.2 - L'energia, l'acqua, l'ambiente

Anche la sicurezza, la pulizia, la disponibilità energetica e la elevata qualità dei servizi debbono essere viste come mezzo per conseguire e sviluppare il nuovo "Modello Sicilia", proteso allo sfruttamento delle doti naturali e storiche dell'Isola in un Ambiente restituito a grande vivibilità.

Insieme a quella umana, infatti, l'Ambiente è la massima risorsa siciliana.

L'ambiente, inteso anche come contenitore di valori e beni culturali e storici, elemento di base del progetto turismo e di una economia ecosostenibile.

In primo luogo, si tratta quindi di concepire e gestire in modo unitario ed interdipendente le politiche dell'energia, del territorio e dell'ambiente - con attenzione particolare anche all'acqua ed al suolo - riconducendo tali materie in un unico Assessorato per l'Energia, l'Ambiente ed il Territorio. Un particolare Ufficio Piano si occuperà, all' interno dell' Assessorato, del coordinamento con le politiche comunitarie di area.

La Sicilia possiede il petrolio e lo trasforma, in grandi quantità.

• Un modello di sviluppo della Sicilia, anche se indirizzato alla prevalente utilizzazione delle immense ed incomparabili risorse naturali, archeologiche e storiche dell'Isola, non può prescindere da un attento governo del settore energia il cui assetto e, soprattutto, il cui sviluppo - oltre alla ben nota ricaduta derivante dall'enorme volume di investimenti che vi sono connessi - incide sicuramente, in modo determinante, sul territorio e sull'ambiente.

Per far si che non continuino a rimanere in Sicilia altro che lo scempio del territorio, lo sfruttamento ed il depauperamento delle risorse, un Programma di Governo Regionale deve quindi prevedere forti prese di posizione nei confronti del Governo nazionale per quanto riguarda - in particolare - le imposte di fabbricazione di quanto prodotto o generato nell'Isola, mentre sarà incentivata la ricerca - specie in un settore di grande interesse come l'uso degli alcool nella trazione automobilistica - e, con gli Enti energetici operanti in Sicilia, andranno ritrattati e rinegoziati:

O l'estrazione delle materie prime e le loro trasformazioni;

O il transito del metano algerino ed il suo impiego in Sicilia.

La Sicilia, inoltre, ospita sul suo territorio numerose centrali di produzione di energia elettrica, dell'ENEL o di altri produttori, per una potenza superiore ai propri fabbisogni, e con una produzione di energia elettrica tale da mantenere costantemente positivo lo scambio attraverso lo Stretto di Messina.

A parte reali condizioni di sicurezza strategica per la alimentazione elettrica dell'Isola che da un tale assetto di rete - sempre voluto dai Dirigenti siciliani dell'ENEL - deriva, un programma di Governo Regionale non può non prevedere un accordo generale con i produttori e distributori di energia elettrica, in particolare l'ENEL. Da tali accordi si dovranno ottenere (tenuto anche conto delle leggi 9 e lO del 1991 sulla attuazione del Piano Energetico Nazionale, sull'uso razionale della energia e sullo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili ed in cambio di fattiva e reale collaborazione, se occorre anche economica) concreti vantaggi per la Sicilia quali, ad esempio:

O un grande, radicale e stabile miglioramento della qualità del servizio elettrico - con un nuovo assetto generale della produzione, del trasporto e della distribuzione della energia elettrica - proiettato nel futuro, che assicuri e garantisca anche il massimo rispetto dell'ambiente;

O il drastico miglioramento delle condizioni ambientai i e di impatto con il territorio, sia per quanto riguarda gli impianti termoelettrici, che per gli altri impianti di produzione, trasporto e distribuzione in zone di particolare interesse paesaggistico, archeologico e monumentale;

O il forte sviluppo delle fonti rinnovabili - segnatamente fotovoltaica ed eolica di piccola e media taglia - con la realizzazione di vasti piani di diffusione anche in agricoltura di impianti stand-alone o collegati alla rete di distribuzione;

O il forte rilancio della elettrificazione rurale, con il completamento degli ultimi interventi di tipo "estensivo" (L.R. 25/85) e con il lancio di nuovi piani per il potenziamento degli impianti già realizzati, da attuare in una seconda fase "intensiva" di elettrificazione;

O la realizzazione di programmi di intervento di arredo urbano e di illuminazione artistica monumentale;

O la collaborazione e l'assistenza tecnica - alla Regione ed agli altri soggetti interessati - per l'uso razionale dei bacini idrici ed il riuso delle acque turbinate, per interventi normativi nei parchi e nelle riserve, per rimboschimenti e ripopolamenti, per lo sviluppo di programmi regionali di acquacoltura, di maricoltura, di sericolltura etc.

• L'accorpamento delle competenze dell'intero ciclo dell'acqua e del suolo deve essere accompagnato da alcune inderogabili esigenze:

O recepimento della legge 183/89 sulla "Difesa del suolo" e della legge 36/94 su "Nuove disposizioni in materia di risorse idriche";

O completamento della rete dei grandi bacini per la raccolta e la diistribuzione delle acque ed adozione del "Piano di risanamento delle acque";

o programmi di risparmio, di uso razionale e di riuso delle acque;

O riassetto delle attività di estrazione e di irrigazione, con impiego diffuso di energie alternative nel settore;

O adozione di una politica di intervento finanziario negli investimenti del settore idrico per usi civili e strumenti per integrare tra loro sistema bancario, sistema delle aziende e sistema industriale (primo esempio di project financing).

3.3 - L'agricoltura e la pesca

Il necessario rilancio dell'agroalimentare in Sicilia deve mirare a tre obiettivi fondamentali: economico, sociale ed ambientale, tenendo ben presente che attualmente il comparto, pur nel suo forte disagio, conta 400.000 addetti tra imprenditori, dipendenti ed indotto. La nuova politica del settore mira quindi non solo a garantire, ma ad incrementare significativamente l'occupazione in agricoltura, migliorandone le condizioni ed accrescendone l'interesse. Essa però non è certo da contrapporre alla politica industriale, pur essa necessaria; tutt'altro, perché la crescita armonica di entrambi i comparti è il fondamentale presupposto di uno sviluppo integrato della Sicilia.

Appare pertanto necessario:

O l'istituzione di un Albo delle Imprese Agricole, che conferisca forza alla categoria anche nei confronti della 00;

O l'incentivazione della competitività dei prodotti siciliani percorrendo, tra le altre, la via del riaccorpamento fondiario, per riportare le dimensioni delle aziende siciliane ai valori medi europei certamente più economicamente validi;

O la creazione di una vasta ed efficiente rete di assistenza tecnica, ricerca e sperimentazione agricola, che serva da sicuro supporto agli addetti; 

O il sostegno alla crescita dell'industria conserviera in agricoltura e la valorizzazione dei prodotti dell' intera filiera agricola siciliana, a condizione che diventino innovativi la tipicità dei prodotti stessi e che la necessaria competitività derivi da un utilizzo delle professionalità e mai più dall'elemosina dell'assistenzialismo, trasformando il precariato occupazionale in una grande opportunità di sviluppo e gestendo il passaggio, in modo elastico e realistico, quale risorsa competitiva.

O il sostegno alle grandi occasioni di sviluppo che deriveranno dal rapporto diretto con la DE, estendendo il "Marchio di Qualità" sui prodotti siciliani per la difesa delle proprie peculiarità (agrumi, prodotti caseari, grano duro, carciofi, fichidindia, olive ed uva da tavola, caffè, oli e vini etc.)

• Il settore della pesca e dei suoi collegati (acquacoltura, maricoltura) debbono essere fortemente sostenuti ed incrementati in una ottica, comune anche alla agricoltura, non solo di valorizzazione del patrimonio naturale della Sicilia, ma anche di sviluppo e di tutela della salute dei consumatori.

Si dovrà quindi:

O rivedere le impostazioni generali della figura giuridica del pescatore, del fermo biologico, della difesa delle coste, dei divieti di certi tipi di pesca in mare etc.

O impostare vasti programmi di acquacoltura e maricoltura integrati, per sfruttare al meglio le grandi possibilità offerte dalle coste della Sicilia e sviluppare così un settore di grande attualità e prospettive;

O favorire lo sviluppo ed il Marchio DOC anche in questo settore, per i prodotti di una industria conserviera di grande tradizione, ma ancora sostanzialmente limitati al tonno ed al pesce azzurro.

3.4 - La viabilità ed i trasporti

Lo stato attuale del settore registra la massima divaricazione tra la sua centralità per la vita civile ed economica dell'Isola (fattore primario dello sviluppo, occasione occupazionale, integrazione poli e settori economici, miglioramento della qualità della vita, possibilità di avvicinare la Sicilia all'Italia, all'Europa, al mondo) e la sua grave inadeguatezza, soprattutto se proiettato nel futuro (elevata vulnerabilità idro-geologica delle infrastrutture, manutenzione deficitaria e dequalificata, mancati completamenti, assenza di integrazione, totale insufficienza dell'attuale sistema di traghettamento sullo Stretto e di collegamenti con tutte le isole minori).

Massima è l'urgenza di governare, programmare, progettare, soprattutto selezionare le priorità, di fronte all'UE che ovviamente pretende, per la finanziabilità delle opere, progetti finalizzati ad obiettivi specifici e completi sotto l'aspetto della valutazione economica.

Le proposte prioritarie, che riprendono anche gli obiettivi esposti nella bozza di "Aggiornamento del piano regionale dei trasporti", sono:

• attivare la funzione di una unica authority regionale, di natura tecnico-politica ad elevata professionalità, incardinata presso il nuovo Assessorato regionale alla viabilità ed ai trasporti, con competenze esclusive sull'intero settore - compresa la materia relativa ai Piani Urbani del Traffico (PUT) ed ai Piani dei Trasporti Provinciali (PTP);

• realizzare in tempi brevi un nuovo, grande aeroporto intercontinentale, collegato con la rete autostradale dell'Isola e quanto più possibile baricentrico, con lo scopo di ricevere direttamente il grande traffico turistico extraeuropeo lasciando agli aeroporti esiistenti di Palermo, Catania e Trapani (opportunamente ammodernati e completati con una capillare rete di eliporti) fimzioni nazionali ed intermediterranee;

• attivare un sistema intermodale unitario, pervenendo al più presto al raddoppio del binario ferroviario ed alla introduzione dell'alta velocità anche in Sicilia;

• ripensare interamente il sistema delle vie del mare per i collegamenti della Sicilia con il resto d'Italia e con Mediterraneo;

• realizzare in tempi brevi un sistema di collegamenti sicuri con tutte le isole minori, che comprenda anche tutti i porti e gli di porti che saranno necessari;

• realizzare un nuovo grande porto turistico, ubicato in modo opportuno e collegato alla rinnovata e completata rete autostradale, mediante il quale - da una parte - si attragga il grande flusso del turismo nautico, invogliando i nordici a "svernare" con la barca in Sicilia e - dall'altra - si rinnovi, potenziandola, una cantieristica di settore da sempre presente nell'Isola e già dotata di grandi professionalità;

• ammodernare e completare la rete di porticcioli turistici già esistenti, per invogliare la visita turistica della Sicilia anche via mare, oltre che via terra.

I costi stimati del pacchetto base degli interventi sono ovviamente assai elevati, a fronte però di una ricaduta occupazionale, diretta ed indiretta, valutabile in molte centinaia di migliaia di unità; la partecipazione dei privati - anche stranieri, nel caso di grandi opere - appare pertanto particolarmente opportuna ed interessante (altro esempio di project financing).

3.5 - La sanità, lo sport

C'è una grande, crescente, domanda internazionale di insediamenti tecnici, al servizio dell'Unità Europea e dell'intera area mediterranea, in una Sicilia non solo forte candidata al ruolo di "Isola per lo sport d'Europa", ma anche a quello di "Isola per la salute d'Europa".

Coniugando le due vocazioni, Sanità e Sport vanno quindi inquadrati nella nuova ottica di rilancio, a sostegno si del turismo, ma procedendo, prima di ogni cosa, al totale riordino della sanità. La nuova organizzazione regionale deve essère tale da:

• realizzare una struttura equilibrata tra pubblico e privato, per continuare a garantire - con la presenza del sociale - i ceti più deboli, ma migliorare fortemente l'intero comparto, grazie alla sana competitività tra le due aree. Il cittadino continuerà ad esercitare la facoltà di libera scelta e lo Stato acquisterà così i servizi, a parità di qualità e di costi, sia dalle strutture pubbliche che da quelle private presenti sul territorio;

• evitare tagli negli investimenti, ma razionalizzare e controllare le spese nel settore, attraverso un Piano Sanitario Regionale da tenere perennemente sotto controllo da parte dell' Assessorato, per evitare abusi spropositati da parte dell'utenza, sprechi negli acquisti non coordinati di costosissime apparecchiature, sviluppo disomogeneo dell'intero comparto;

• ridurre le spese di ricovero, attraverso una forte prevenzione, l'efficienza degli ambulatori, la creazione di strutture alternative agli ospedali e molto meno costose (centri per malati oncologici terminali, residenze per anziani etc.), la incentivazione della assistenza domiciliare;

• realizzare una struttura davvero federalista, perché il livello di qualità dei servizi offerti in Sicilia sia equivalente a quello di tutte le altre regioni;

• disporre di una struttura ben collegata con le Università ed efficacemente informatizzata, che attraverso un numero verde smisti immediatamente il paziente nella struttura più vicina e più adeguata alle sua necessità, fornendogli anche, se necessario, i mezzi di trasporto più adatti (ambulanze, elicotteri etc.).

L'ottimizzazione ed il completamento delle strutture esistenti deve essere una occasione per dotare aree, particolarmente votate al turismo residenziale a lunga durata, di adeguati complessi muniti di tutte le strutture ed attrezzature mediche in grado di rassicurare ed invogliare il turista, specie di terza età. Particolare attenzione al comparto delle cure termali, che ogni anno attirano in Italia oltre 3.000.000 di pazienti, pochissimi dei quali arrivano però in Sicilia; una forte valorizzazione del settore, con l'intervento dei privati, creerebbe certamente parecchie migliaia di nuovi posti di lavoro.

• I diversi aspetti della attività sportiva costituiscono tutti potenziali poli di sviluppo di una Regione, come la Sicilia, protesa verso il potenziamento e l'affermazione della sua grande vocazione turistica. Nella forma non agonistica, per esempio, l'attività sportiva possiede indubbiamente una enorme valenza nei riguardi della salute e del benessere; pertanto, va curata e potenziata l'attività sportiva nelle scuole, con la diffusione di impianti idonei e con la presenza assicurata di insegnanti specializzati, al fine di garantire a tutti i giovani una adeguata preparazione fisica.

Nella sua forma agonistica, va ricordato che lo sport possiede enormi capacità di movimentare grandi folle, specialmente in occasione di eventi di portata mondiale; bisogna pertanto:


• sostenere ed incentivare adeguatamente la crescita dello sport agonistico di vertice per essere presenti ai massimi livelli in tutte le discipline più importanti e, di conseguenza, l'intera attività giovanile di base e preparatoria a supporto di quella agostica al massimo livello;

• rivedere, a tal fine, l'attuale specializzazione troppo frazionata delle Unità Sanitarie Locali, per favorire la crescita di strutture polifunzionali specialistiche atte ad eseguire interventi di elevata complessità quali i trapianti d'organo;

• creare le condizioni affinché la Sicilia diventi sede ideale di organizzazioni centrali per l'allenamento e la preparazione invernali delle Rappresentative Nazionali, non solo italiana, ma anche di quelle Nazioni dal clima nordico, dove l'attività sportiva rimane paralizzata durante il lungo inverno.

3.6 - Il prodotto-Sicilia

Per un suo grande rilancio, la Sicilia dispone, e può utilizzare, risorse non trascurabili: naturali e storiche, umane e professionali, tecniche e finanziarie, pubbliche e private. La Sicilia possiede in se le risorse fondamentali per rompere la spirale che la soffoca e tornare ai ruoli che le competono.

Pur se non da sola, essa deve poter fare da se e può farcela, ponendo prima di ogni cosa al bando qualsiasi forma di assistenzialismo caratteristica del vecchio modello di sviluppo, ormai definitivamente esaurito.

Non vi è alcuna alternativa alla promozione di una economia produttiva, fondata sulla competitività, sulla intelligenza; l'operosità, la cultura imprenditoriale, la cultura del lavoro saranno gli strumenti indispensabili per utilizzare le non trascurabili risorse di cui dispone, naturali e storiche, umane e professionali, tecniche e finanziarie, pubbliche e private.

Occorre un prodotto-Sicilia da poter vendere nel mondo, nei nuovi mercati internazionali ormai caratterizzati da Internet e dalla intermodalità.

In ciò consiste la rivoluzione economica siciliana: la creazione di un'economia normale. Il turismo, i beni ambientali, i beni culturali, l'artigianato, l'agricoltura e l'agroindustria economicamente sostenibile, la pesca, la maricoltura e la trasformazione dei prodotti ittici, i segmenti vitali dell'industria manifatturiera, la nuova edilizia del riuso e di qualità, vanno concepiti come un unico grande circuito produttivo.

In un simile scenario di interdipendenza tra tutti i comparti economici, va costruita la grande industria mondiale del turismo siciliano.

E' necessario, pertanto, pensare ad una funzione di authority regionale per il turismo, nella quale si concentrino le scelte di fondo oggi disperse tra gli Assessorati al Turismo e Trasporti, ai Beni Culturali, al Territorio ed Ambiente. L'Università del Turismo di cui si è detto, destinata a formare veri manager del turismo competitivi nel mondo, va accompagnata da un nuovo sistema di avviamento professionale in grado di fornire, in modo sostanzialmente eguale, sia l'istruzione teorica che quella sul campo.

Inoltre, il varo di una nuova legge-quadro per il turismo, da anni vanamente attesa, è fondamentale, anche per promuovere un mercato di concorrenza, trasparente e regolato, contro il rischio di un regime oligopolistico, chiuso e ottuso, nel settore.

4. - CONCLUSIONI
4.1 - Riepilogo

In uno scenario in cui l'intero Paese si dibatte in tremende difficoltà, con un debito pubblico addirittura ed incontenibile e con ancora grandi, obiettive difficoltà di ingresso in Europa, la situazione particolare della Sicilia è indubbiamente ancora più grave, alle prese con una disoccupazione - soprattutto giovanile - superiore al 20%, ben oltre la media nazionale ed in continua crescita. Pur riservando la massima attenzione agli eventi politici nazionali, dai quali dipendono in gran parte i destini dell'Isola, c'è bisogno quindi di un progetto di sviluppo della Regione del tutto nuovo, con obiettivo primario la creazione di lavoro, per avvicinare la Sicilia agli standard europei dove due persone su quattro hanno un'occupazione, mentre in Sicilia lavora solo una persona su quattro e con grandi preoccupazioni per l'avvenire!

Questa meravigliosa terra artistica e monumentale, che in sé concentra oltre il 20% del patrimonio d'arte del mondo intero, esponendo, l'uno a fianco dell'altro a pochi metri di distanza, monumenti distanti nel tempo secoli, millenni, deve puntare per la sua rinascita sulla valorizzazione dei propri incomparabili ed unici beni storici e naturali; i nuovi fattori strategici sono quindi fondamentalmente indirizzati al turismo - settore che va inteso come elemento trainante, soprattutto, della agricoltura e dell'industria ai beni culturali ed ambientali.

La filiera agricola, da una parte, e l'industria manifatturiera dall' altra, formate da tante medie e piccole aziende, devono costituire il supporto ad un turismo amplificato e diffuso mentre ogni altro settore - industria, energia e ambiente, agricoltura e pesca, edilizia, trasporti, sanità e sport, credito e commercio - deve essere rivisto e rivalorizzato nel nuovo indirizzo.

Un Programma in grado di arrestare quella tragica emigrazione senza ritorno che depaupera il più grande dei beni della Sicilia, il capitale umano e che deve prevedere - per la sua realizzazione èsempi brevissimi e modi assolutamente manageriali.

Una Regione Siciliana che deve quindi rinnovarsi profondamente, conservando per sé il primato delle funzioni di Programmazione e di Controllo - ossia di Governo - e devolvendo le responsabilità gestionali agli Enti locali; ponendo cioè Comuni e Provincie nelle migliori condizioni per gestire i propri bilanci - con entrate certe e tempestive e disponibilità diretta dei fondi assegnati, sia per la realizzazione di Progetti Strategici che non - cooperando attivamente con loro e rispettandone le scelte amministrative.

Una gestione quindi basata in gran parte sui Progetti Strategici derivati dal Programma di Governo e riversati in un nuovo Piano Regionale di Sviluppo raccordato con nuovi bilanci annuali e pluriennali della Regione - e tale da rilanciare prepotentemente la spesa produttiva ricreando lavoro, benessere.

Tra le cose da fare: istituire una grande struttura altamente specializzata, formata da funzionari fortemente rimotivati moralmente e socialmente nonché da tecnici di alta specializzazione per creare - tra l'altro - una Euroagenzia siciliana per gestire al meglio il rapporto diretto e quotidiano con J'UE, una Authority per la selezione e l'alta formazione di manager pubblici e privati ed una di marketing territoriale, l'Università del turismo, il sistema informativo multimediale regionale, Agenzie regionali e tecnostrutture per l'energia e l'ambiente, i trasporti e la viabilità, l'agricoltura, le coste ed il mare, etc.

In un simile scenario di interdipendenza tra tutti i compiti economici, va costruita la grande industria mondiale del turismo siciliano, candidando la Sicilia non solo come "Isola per il Turismo", ma anche "Isola per la salute e lo Sport" d'Europa e del mondo.

4.2 - I bilanci regionali

La riforma dei bilanci - annuale e pluriennale - della Regione è tra le più urgenti e complesse cose da fare. La realizzazione di un siffatto programma, infatti, articolato sostanzialmente per Progetti Strategici, impone una sostanziale riforma dei bilanci nel senso già indicato da una apposita proposta, elaborata da una Commissione regionale e presentata nel Dicembre 1992.

Una volta elaborati i diversi Progetti Strategici che compongono il Programma, essi dovrebbero essere valutati ed inseriti negli aggiornamenti del Piano Regionale di Sviluppo triennale, secondo le priorità che saranno state stabilite; i nuovi bilanci - annuale e pluriennale, resi omologhi tra loro e presentati in unico documento _ fermo restando che rimarranno atti distinti con conseguenze diverse, dovrebbero entrambi riportare le previsioni di entrata e di spesa in termini di competenza, per ciascun anno del triennio e nel complesso.

Sarebbe inoltre auspicabile che le previsioni del Bilancio Annuale venissero formulate anche in termini di cassa; si darebbe così finalmente attuazione sia alla L.R. 256/79 ("Integrazioni e modifiche alla L.R. 8/7/77 n° 47") che alla L.R. 6/88 in base alla quale il Piano Triennale della Regione deve "trovare riscontro nei bilanci."

Sul piano operativo, i nuovi bilanci così strutturati dovrebbero esporre, separatamente, gli impegni derivanti da Progetti di Attuazione (Programmi, Sottoprogrammi, Progetti o misure), da altri Atti vari di Programmazione Regionale e da Spese di Supporto, ossia le voci relative al funzionamento della Amministrazione regionale e le altre spese non ripartibili.

In tale nuova ottica, il Bilancio assume il carattere e diviene vero elemento di programmazione, consentendo di disporre di uno strumento adeguato per la determinazione di una griglia di obiettivi, annuali e pluriennali, con cui esercitare gli opportuni controlli della finanza regionale.

Si sottolinea infine l'opportunità di anticipare al massimo la realizzazione di un adeguato "Sistema Informativo Regionale", attraverso il quale sia possibile seguire "on line" l'andamento dei vari Progetti, autentico strumento manageriale da porre a disposizione dei vertici dell'Amministrazione, centrali e periferici sul territorio.








OLTRE IL RECINTO _Fine anni 90
E’ancora attuale la professione di funzionario politico e sindacale?
Luciano Piccolo

Giacobinismo
Ottavia fu colpita da un doloroso mal di schiena. Consultammo diversi ortopedici, in ospedali e cliniche private, ma nessuno seppe diagnosticare con esattezza la causa del male, che veniva genericamente definito discopatia. Anche le terapie indicate erano diverse, discordi perfino sulla convenienza ad applicare sulla parte dolorante la borsa con il ghiaccio o con l’acqua calda. Tutti erano però concordi nell’escludere un intervento chirurgico, almeno fino a quando non fossero stati verificati gli effetti delle cure. Ottavia, figlia di medico e dirigente dell’assessorato alla sanità della Regione, era scettica sulle capacità in generale dei medici, particolarmente degli ortopedici siciliani. Poiché man mano che passavano le settimane, il dolore le diventava insopportabile, voleva essere operata il più presto possibile. Avendo perso ogni residua fiducia nei medici che la curavano, m’indusse a contattare i miei colleghi sindacalisti dell’Emilia Romagna per cercare di ottenere una prenotazione presso il Rizzoli. Si occupò della faccenda Gianni Nigro, responsabile della CGIL-sanità della regione emiliana. Il mondo è davvero piccolo: Gianni è un carlentinese, che conosco fin dall’infanzia, che allora viveva a Bologna. Fu molto premuroso e ancora oggi gli sono grato dell’aiuto. Il medico del Rizzoli che la visitò, diagnosticò subito un’ernia del disco; ma, pur essendo disponibile ad operare, consigliò di rivolgerci a un neurochirurgo, perché alla tecnica ortopedica, che è distruttiva, era preferibile la più moderna tecnica neurochirurgica. Disse che egli stesso avrebbe preferito farsi operare da un neurochirurgo, piuttosto che da un suo collega. Gianni conosceva bene il primario di neurochirurgia dell’ospedale di Cesena, il dottor Arista, che nel recente passato era stato il responsabile dei medici-CGIL dell’Emilia. Ci prestò la macchina e potemmo raggiungere Cesena nello stesso giorno. Arista si rivelò un “mago” nel suo campo. Diagnosticò con prontezza e precisione l’ernia, dispose una TAC e la mattina successiva operò. Dopo un giorno , Ottavia si era rimessa in piedi e potemmo rientrare subito a Palermo. L’unico segno di quella dolorosa vicenda è una minuscola cicatrice, quasi invisibile ad occhio nudo. Ottavia a tutt’oggi va in barca o a cavallo, solleva pesi e si muove con assoluta libertà.
Nelle ore di attesa feci un giro della città. Comprai i giornali e cominciai a scorrerli, seduto in un bar di fronte a un caffè. Sobbalzai alla lettura della notizia dell’ennesimo delitto di mafia a Palermo. Era stato assassinato Bonsignore, un funzionario della Regione Siciliana. La cronaca segnalava che c’era stato un forte contrasto tra il funzionario assassinato, che personalmente non conoscevo, e il suo assessore; contrasto che aveva portato quest’ultimo a disporre un trasferimento per “incompatibilità ambientale”. Erano anche riportate le dichiarazioni del segretario della Funzione pubblica-CGIL di Palermo, De Santis. Lamentava che nella battaglia per difendere Bonsignore era stato lasciato solo. Quelle strane dichiarazioni mi colpirono, perché De Santis non mi aveva mai fatto cenno della questione. Il giorno successivo rincarò la dose, facendo allusioni ancora più pesanti su un presunto disimpegno del sindacato siciliano. De Santis era stato eletto a capo della Funzione pubblica-CGIL di Palermo in occasione del congresso straordinario della Camera di lavoro per interessamento e suggerimento del leader nazionale della Funzione pubblica Alfiero Grandi. Venendo da un’esperienza diversa, vissuta nella realtà del pubblico impiego romano, aveva voluto subito caratterizzarsi come uomo di rottura, accreditando l’idea  che era stato mandato a Palermo dal nazionale per rompere equilibri stagnanti e favorire un radicale processo di rinnovamento. Con queste premesse, il feeling tra lui e lo staff di Orlando era stato immediato.  Anche per questi collegamenti politici, la stampa a tiratura nazionale aveva riportato con molto risalto le sue dichiarazioni polemiche.
Personalmente ritenni opportuno evitare di soffiare sul fuoco, perché era necessario mantenere in primo piano il sacrificio di Bonsignore. Il delitto assumeva un significato emblematico, perché conteneva un messaggio di violenza e di morte contro la parte più sana della pubblica amministrazione. A distanza  di pochi giorni, organizzammo una manifestazione unitaria, con la partecipazione di Trentin, per denunciare pubblicamente il sinistro significato del delitto. A partire da allora sviluppammo una campagna sindacale per i “diritti e le regole nella pubblica amministrazione”, della quale, a onor del vero, De Santis fu il principale protagonista.
Nel corso della manifestazione si era verificato un fatto curioso, che aveva lasciato perplesso anche Trentin. De Santis, nel discorso che pronunciò, citò Pellegriti, il pentito che aveva accusato Lima di essere il mandante di uno dei grandi delitti politici di mafia. Fece intendere che era stato un errore da parte della magistratura averlo incriminato per falsità e affermò che nei giorni successivi il pentito avrebbe ripreso a parlare. In effetti, la previsione di De Santis aveva criticato di averlo incriminato per falsità, le accuse a Lima. Queste accuse, però, benché palesi contraddizioni ed incongruenze nella versione dei fatti. La premonizione di De Santis, inoltre, gli fece nascere il sospetto che spiegazioni e sembra che questi gli abbia detto di essere stato un confronto tra De Santis e Mancuso, il primo avrebbe ritrattato l’accusa e il secondo avrebbe dichiarato di essere estraneo alla vicenda.
Il giudice, rimasto molto perplesso, mi chiese un incontro, tramite l’avvocato Caleca, che era un comune amico. Era molto irritato del comportamento di De Santis, ma soprattutto di Mancuso, perché gli risultava che si fosse recato nel carcere dove era custodito Pellegriti. Ritenendo, erroneamente, che Mancuso fosse collegato alla CGIL, mi chiese se potevo spiegare a quale titolo questi poteva  avere libero accesso nelle carceri. Essendo privo di elementi di conoscenza che lo potessero aiutare, lo invitai ad informare direttamente Trentin. Non ho avuto riscontri precisi in questo senso, ma credo che Falcone ascoltò il mio suggerimento, perché Trentin in diverse circostanze, mi invitò a vigilare sulle intemperanze di De Santis.
Nel corso del colloquio, Falcone mi aveva spiegato il morivo che lo aveva indotto a incriminare Pellegriti. Il caso Tortora ed altri casi analoghi erano stati costruiti dalla camorra napoletana per delegittimare i pentiti. Segnali dello stesso tipo si avvertivano anche da parte della mafia siciliana: il caso Pellegriti poteva costituire il primo passo di una strategia mirante a screditare le collaborazioni per privare la magistratura di una fonte di informazione, dimostratasi preziosa. Docet il ruolo di Buscetta e Contorno al maxiprocesso. Per cercare di arginare l’offensiva della mafia contro il pentitismo, Falcone, dunque, non aveva esitato a smascherare la falsa collaborazione. Orlando, che avrebbe voluto candidarsi alle elezioni europee al posto di Lima, sembrava molto indispettito dell’esito del “caso Pellegriti”. Temeva, a ragione, che la Dc avrebbe preferito candidare il suo rivale. Alle elezioni, infatti, la DC si presentò con il volto di Lima, suscitando contestazioni e malcontento anche al proprio interno. Non si poteva da torto a Orlando se, a seguito di questa provocazione, meditasse la rottura con il Partito. Di lì a poco nascerà, infatti, il nuovo movimento politico “La Rete”.
Il “caso Pellegriti” aveva altresì  prodotto un evidente raffreddamento dei rapporti tra Orlando e Falcone. Ho già ricordato l’accusa a Falcone e colleghi di tenere nel cassetto le prove dei grandi delitti di mafia. Incontrando all’aeroporto di Roma Mancuso, gli sentii dire che, secondo lui, non si poteva escludere che Falcone stesso avrebbe potuto confezionare l’attentato all’Addaura. Ricordo che alcuni miei colleghi, che erano presenti, restarono molto colpiti da tanta disinvoltura. In verità, la passione che animava persone come Mancuso e De Santis aveva aspetti di fanatismo, propri di un clima prerivoluzionario. Lo stesso padre Pintacuda, tempo dopo, in un saggio su Micromega, evidenzierà l’ispirazione rivoluzionaria del movimento di Orlando.
E’ ancora presto per dare valutazioni definitive su aspetti positivi e negativi di questo fenomeno; ma una ricostruzione obiettiva dei fatti non può evidenziare comportamenti giacobini in almeno una parte dei seguaci di Orlando.
Anch’io, come tanti altri, fui oggetto di una macchinazione. Il pretesto fu offerto da una lettera anonima, intestata a De Santis, pervenuta presso la CGIL regionale. Essendo la sede di lavoro di De Santis presso la Camera del Lavoro di Palermo, la mia segretaria, ignorando il contenuto della missiva, gli telefonò per invitarlo a ritirarla. Circa una settimana dopo, questi venne presso la sede della CGIL regionale per partecipare ad una riunione, alla quale presenziava il segretario confederale Paolo Brutti. A margine della riunione, si fece consegnare la lettera, ovviamente ancora chiusa; dopo averla letta, ci informò che conteneva esplicite minacce di morte nei suoi confronti. La situazione venne immediatamente valutata e si decise di chiedere a Trentin di fare un passo preso il ministero degli interni, perché fossero garantite a De Santis adeguate misura di protezione. Il giorno successivo la notizia fu riportata con grande rilievo dal quotidiano L’Ora . In un passaggio dell’articolo, quasi per caso, si riferiva che la lettera era stata trattenuta sul tavolo del segretario regionale della CGIL per una settimana. Il giorno ancora dopo, Il Manifesto scriveva che il segretario regionale Piccolo aveva trattenuto presso di sé la lettera anonima per una settimana, fatto che “aveva mandato Trentin su tutte le furie”.
Allibito e sconcertato, telefonai a Trentin per chiedergli di rilasciar una pubblica smentita. Questi, che aveva un diavolo per capello contro Il Manifesto, non ricordo per quale specifico motivo, mi risposte che si rifiutava perfino di prendere in considerazione quel giornale. Mi consigliò di scrivere un articolo su Rassegna Sindacale, riportando, su sua espressa autorizzazione, il suo sdegno per la puerile, quanto subdola, manipolazione. Dopo la pubblicazione dell’articolo sulla rivista della CGIL, nei termini che mi erano stati suggeriti, speravo che gli autori della bravata giornalistica chiarissero l’episodio. Mi toccò, al contrario, di leggere, qualche tempo dopo, un articolo di Paolo Flores D’Arcais si la Repubblica, che, richiamando la versione de L’Ora e de Il Manifesto, mi accusava di aver tenuto un comportamento “inquietante”; facendo con ciò chiaramente intendere che esposto De Santis al rischio di ritorsioni mafiose.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Telefonai ancora a Trentin, chiedendo una presa di posizione ufficiale della confederazione. Stavolta, la risposta non si fece attendere. Un comunicato-stampa della segreteria confederale, emanato lo stesso giorno, condannava apertamente la manipolazione giornalistica, che era stata tentata per colpire la mia persona e la dignità di tutta la CGIL. Il comunicato fu riportato da diversi giornali, ma completamente ignorato da L’Ora, Il Manifesto e la Repubblica.
Questa storia mi aveva fatto molto infuriare; ma, quando si concluse, mi lasciò una traccia di profonda amarezza. Da quel momento cominciai a pensare seriamente di abbandonare il sindacato e la politica. Ripensavo spesso alle emozioni provate nei passaggi più drammatici della vicenda politica che avevo vissuto. All’angoscia e alla rabbia per l’assassinio di La Torre, che avevo imparato ad apprezzare e stimare profondamente. Alla grande commozione per la morte improvvisa di Enrico Berlinguer. Mi rivedevo con gli occhi gonfi, mentre per pochi minuti partecipavo, a Botteghe Oscure, al picchetto d’onore accanto alla sua bara; mentre sfilavo con il corteo funebre, leggendo negli occhi del popolo comunista disperazione e immensa tristezza; mentre interrompevo il comizio a Grammichele, sopraffatto dalla emozione collettiva.
Avevo creduto, assieme a milioni di uomini, all’avvento di una società più giusta e solidale. Mi chiedeva ora se non avessi sbagliato tutta la mia vita. Come era possibile costruire una società migliore, se coloro che avrebbero dovuto essere i miei compagni di strada e di lotta attentavano alla mia dignità?
           













IL KILLER DELL’UFFICIO ACCANTO-anni 2000
Lucio Luca

8

“A me mi hanno rovinato i comunisti. Senza chiacchiere. Quei due del Kgb che bazzicano in assessorato, i bastardi con la falce e il martello che vogliono colpirmi per distruggere la Democrazia Cristiana. E’ tutta una cosa politica, ma voi che minchia ne dovete capire?”.
Alla terza  o quarta birra, mentre i picciotti martoriavano il flipper e qualcuno si giocava lo stipendio a briscola in cinque, il “dottore” raccontava fino allo sfinimento la triste storia della sua vita. La “disgrazia” che lo aveva portato in carcere a metà degli anni Ottanta, le prime inchieste amministrative condotte all’assessorato Agricoltura. E poi il trasferimento in un altro ufficio fino alla decisione di metterlo “a mezzo stipendio”. Tutto per colpa di un paio di colleghi, i comunisti appunto, i capi di quella cellula del Kgb che ci godevano a fottere i cristiani e puntavano a fare la rivoluzione.
“Il più stronzo di tutti si chiama Pintus, dev’essere sardo – diceva Sprio ai “suoi uomini – e poi c’è quell’altro, Pecoraino. Pure questo, te lo raccomando. Ma quello che mi preoccupa di più è il loro capo, uno che va in giro a sparlare di me. Non avrà pace fino a quando non mi farà licenziare dalla Regione. Ma io gli rompo le corna a questo, fosse l’ultima cosa che faccio nella vita, gli mangio il cuore. Segnatevi ‘sto nome, picciotti: si chiama Bonsignore, Giovanni Bonsignore. E’ solo questione di tempo”.
Quando Salvatore Giliberti gli aveva annunciato che avrebbe parlato anche di quel delitto, il magistrato fiorentino si era messo a spulciare nei suoi archivi. Era certo di aver conservato un paio di vecchi articoli di giornale, ricordava una squallida storia di litigi fra quel dirigente siciliano e il suo assessore, polemiche e querele, interviste e carte bollate, conclusa con il trasferimento di Bonsignore che non aveva mai voluto calare la testa al suo superiore. Qualche settimana dopo ci avevano pensato i killer a spegnere l’impiegato rompicoglioni e il politico era finito nel tritacarne, subito additato come il mandante – quantomeno morale – di quell’omicidio che aveva fatto rumore.
Ormai erano passati più di nove anni, il caso era stato archiviato, l’assessore non c’entrava ma i veri colpevoli non erano mai stati trovati. Non fosse stato per la vedova, che non si era mai voluta arrendere, anche questo fascicolo sarebbe finito per marcire negli scantinati del palazzo di giustizia. Adesso stava pure per nascere una fondazione dedicata a Bonsignore: amici, colleghi, qualche esponente della società civile che voleva raccogliere le firme per riaprire l’indagine. Avrebbero preparato un convegno, si sarebbero guadagnati mezza pagina nelle cronache locali, e anche questa “camurria” sarebbe scivolata via senza cavare un ragno dal buco.
All’improvviso, quando tutte le speranze di giustizia sembravano perse, ecco un malacarne palermitano, così cialtrone da farsi arrestare mezzora dopo un delitto, pronto a fare luce anche su questo mistero. Si, va bene, ma c’era da fidarsi? Un conto era ammazzare un pregiudicato, un pesce piccolo, uno di poco conto. Ben diverso eliminare un super burocrate della Regione, uno che già da mesi era finito in prima pagina sui giornali, uno di quei morti che fanno scruscio, tanto scriscio, pure troppo.
Possibile che la mafia avesse dato il nulla osta a un omicidio di questo livello? Oppure che i boss ne fossero all’oscuro? Certo, in tutti quegli anni nessun pentito era stato in grado di chiarire il giallo. Persino uno come Giovanni Brusca, quello che aveva premuto il pulsante a Capaci, il mafioso che prima di “cantare” era stato nella cupola e aveva fatto da autista a Totò Riina, non aveva saputo dare indicazioni utili agli investigatori: “Noi non siamo stati e non abbiamo mai capito chi fu. Perché altrimenti, a quest’ora, avremmo già fatto giustizia. A modo nostro”.

La busta con le carte del delitto Bonsignore era arrivata in ufficio nel primo pomeriggio. Si era ripromesso di aprirla prima di andare a dormire per prepararsi al meglio all’interrogatorio del giorno successivo. Solo che tra una parola e l’altra con Gilberti aveva tirato fino a notte e il mix fra sigarette, pizza e birra annaquata aveva fatto il resto. Si sdraiò sul divano del soggiorno, ebbe solo il tempo di togliere gli occhiali e piombò in un sonno profondo. All’alba preparò il caffè e si mise subito a studiare. Saltò le pagine della dinamica e dei primi rilievi sul luogo del delitto, non volle nemmeno leggere i racconti dei testimoni e le dichiarazioni dei familiari della vittima. Cercava solo un nome, quel nome, sapeva che prima o poi sarebbe saltato fuori. Lo vide in fondo a un verbale e rimase senza parole: due ore dopo l’uccisione di Giovanni Bonsignore, un testimone aveva già indicato ai poliziotti la pista giusta.
Luigi Pintus, il “comunista”, aveva raccontato a un investigatore della Mobile che diffidava di un collega, uno di quelli sui quali lui e la vittima avevano indagato per una truffa finita male. Quel funzionario, già sospeso e trasferito ad altro incarico, rischiava adesso il licenziamento e, per questo, si sarebbe potuto vendicare.
Il “capo della cellula del KBG”, il dottor Pintus, fece anche il nome del sospettato: “Si chiama Sprio, Antonio Velio Sprio. E’ il primo che mi viene in mente, anche perché il procedimento che lo riguarda sta per passare al vaglio dell’assessore. E se arriva la firma, per il collega il posto di lavoro è perso definitivamente”.
Il poliziotto aveva trascritto tutto nel rapporto, ma Pintus aveva anche insistito sulla vicenda del Consorzio agroalimentare, quella che aveva fatto scontrare Bonsignore con l’assessore, la storia che “occupava la mente di tutti in quel momento” per le note polemiche che avevano seguito il trasferimento della vittima in un altro ufficio. Insomma, pur essendo stato proprio Sprio il suo primo pensiero, anche a Pintus la pista più probabile sembrò quella politica.
“Pazzesco – pensò il pm di Firenze – ancora una volta la soluzione era stata servita in un piatto d’argento. Ma qualcuno è riuscito a non accorgersene”.
Decise di leggersi tutta la deposizione e scoprì che Pintus e Bonsignore avevano lavorato fianco a fianco per undici anni all’assessorato alla Cooperazione. Per molto tempo i due, avevano occupato il ruolo di ispettori della Regione e, nel corso della loro lunga attività, avevano eseguito una serie di sopralluoghi anche alla cooperativa Sicilia di Palma di Montechiaro, un brutto paese senza piano regolatore dalle parti di Agrigento. Nel 1981 l’assemblea Regionale aveva  approvato una legge che concedeva provvidenze e aiuti economici alle aziende agricole che avessero effettuato investimenti. La Cooperativa Sicilia si era vista piovere da Palermo una settimana di milioni di lire per una serie di macchinari e la pratica era stata firmata da Nino Sprio che aveva anche attestato  l’acquisto degli impianti. Peccato che di trattori e camioncini non ce ne fosse nemmeno l’ombra e che Sprio risultava anche nel consiglio di amministrazione di quella società. Insomma, quei soldi pubblici non erano mai stati spesi ed erano finiti nelle tasche di qualcuno. Probabilmente, anzi sicuramente, anche in quelle del funzionario regionale corrotto. Che in cambio di quei favori si era anche fatto nominare ai vertici della cooperativa.
Ce ne abbastanza per avviare un procedimento per truffa e qualche anno dopo un processo aveva dato ragione a Pintus e Bonsignore. L’azienda aveva dovuto restituire il denaro alla Regione, Sprio era stato condannato a un paio di anni di carcere e all’interdizione per altri cinque dai pubblici uffici.
L’ispettore, sentito a caldo dopo il delitto Bonsignore, si era anche  ricordato di certe frasi che all’epoca l’amico ucciso gli aveva riferito. Parole durissime nei confronti di Nino Sprio: “Mi disse che era un uomo disonesto, che non era degno di ricoprire certi incarichi, che bisognava fare di tutto per cacciarlo via”. Pintus era certo di non essere il solo ad avere sentito quelle parole: “Giovanni era un istintivo, assolutamente incapace di trattenersi davanti all’illegalità. Cioè, i suoi convincimenti sulle persone li manifestava apertamente, come si dice, senza peli sulla lingua”.
Il magistrato fiorentino trovò anche l’iter di quella pratica che aveva segnato l’inizio dei guai di Sprio. L’azione penale, cominciata dopo l’ispezione di Pintus e Bonsignore, aveva portato alla fine dell’85 all’emissione di due ordini di cattura nei confronti del funzionario regionale e del presidente della Cooperativa Sicilia Francesco Mangiavillano. Sprio, dopo un breve periodo di latitanza, era stato arrestato il 10 marzo dell’anno successivo ed era rimasto in carcere fino al 18 dicembre. Proprio in quei nove mesi aveva diviso la cella con Ignazio Gilberti, così come il pentito gli aveva sempre raccontato. Nel fascicolo i colleghi di Palermo avevano anche allegato la copia di un articolo, pubblicato con grande evidenza dal “Giornale di Sicilia”, nel quale si accennava a quella storia, si faceva riferimento ad altri 440 milioni sospetti elargiti a un paio di aziende catanesi e si dava conto della sospensione dal servizio di Nino Sprio. Che da quel momento aveva avuto diritto soltanto a un assegno alimentare, pari alla metà dello stipendio.
“E’ pure questo combacia alla perfezione”, pensò il pm.

Ma c’era di più. Nel mese di maggio del 1990, proprio negli stessi giorni in cui Govanni Bonsignore era stato assassinato, la Cassazione avrebbe dovuto scrivere l’ultima parola su quella truffa. E’ un ulteriore condanna avrebbe fatto scattare sicuramente l’espulsione di Sprio dai ranghi della Regione. Il 31 del mese la Corte aveva puntualmente confermato tutti i sospetti, cancellando alcuni reati che si erano estinti per amnistia ma riconoscendo a Nino Sprio le accuse di interesse privato e abuso d’ufficio. Bonsignore, però, era già morto da 22 giorni.
Gli investigatori palermitani avevano sentito il funzionario subito dopo il delitto ma, evidentemente, si erano fidati delle sue parole: “Io lo chiamavo Gianni, ci conoscevamo da una vita. Era un dirigente grandioso per la sua competenza professionale, certo un po’ spigoloso, ma una gran brava persona. E infatti in ufficio lo odiavo tutti. Solo io – fece mettere a verbale – lo capivo e per questo spesso si sfogava con me. Anzi, tentai una volta di raccomandarlo con un assessore affinchè gli fosse ripristinato l’incarico di coordinatore che un altro politico gli aveva revocato. Però non ci riuscii. Piuttosto quel Pintus ….”
Sprio non nascose ai poliziotti che il “comunista” era un suo nemico. Che, fosse stato per lui, sarebbe già stato licenziato da tempo, che gli aveva fatto male procurandogli ben otto mandati di cattura e che solo la simpatia di Bonsignore lo aveva salvato dal fallimento. E che siccome Pintus era vivo, la pista della vendetta era assolutamente falsa e lui con quel delitto non c’entrava in nessun modo.
Magari sarebbe bastato spulciare gli archivi giudiziari, domandarsi perché il nome di Nino Spiro era già comparso tra i conoscenti di Salvatoe Piscitello e tra i clienti di Giuseppe Ramirez, altri due morti ammazzati. Forse sarebbe servito accertare che in calce a tutti i procedimenti disciplinari nei suoi confronti c’era la firma di Giovanni Bonsignore e che,  conoscendo il carattere della vittima, era difficile pensare a un rapporto di amicizia tra lui e un indagato per truffa. C’erano poi le dichiarazioni della vedova di Bonsignore che tante volte aveva raccolto le confidenze del marito: “ Una volta mi disse che un certo dottore Sprio aveva commesso tante di quelle irregolarità da restare sbalorditi”, raccontò la signore Emilia Midrio ai magistrati. Insomma, si poteva di certo fare qualcosa di più ed evitare anni di indagini a vuoto e almeno un’altra morte violenta. Però gli sbirri si fidarono e Nino Sprio riuscì a sfuggire ancora una volta alla giustizia.

Il “dottore”, naturalmente, non fu l’unico collega Bonsignore a essere sentito dagli inquirenti. Tutti i dipendenti della Cooperazione descrissero la vittima come un funzionario di altre capacità, una persona molto onesta, seria, ligia al dovere e scrupolosa nel suo lavoro che svolgeva con decisione, fino in fondo, un punto di riferimento per tutti, un uomo legato alle regole e non assogettabile ad alcuna pressione. Insomma, in una parole, cristallino.
Certo, “Gianni” era un po’ spigoloso, a volte anche duro e abbastanza emotivo e collerico. Se c’era da scontrarsi con qualcuno non si tirava indietro, nemmeno se questi fosse stato l’assessore in persona. E infatti da qualche tempo era in rotta con quel politico socialista e siccome la frattura era ormai diventata insanabile l’assessore l’aveva rimosso e trasferito ad altro incarico. Ecco perché, quando il suo corpo martoriato venne segnalato in una traversa di via Libertà, il pensiero di tutti era subito andato a quel politico. Tanto che qualcuno, nemmeno mezz’ora più tardi, ne aveva chiesto a gran voce le dimissioni.
“Chissà, forse Sprio aveva previsto anche questo – riflettè il pubblico ministero toscano – Bonsignore era già sotto i riflettori, sarebbe esplosa una polemica politica e a lui nessuno abrebbe più pensato”.
Del resto, solo una persona, forse, avrebbe potuto leggere correttamente l’episodio, ricondurre l’uccisione del dirigente regionale a Sprio, capire le ragioni di risentimento che maceravano dentro il “dottore” ormai da tempo. Un uomo che aveva raccolto le sue confidenze, che conosceva in modo approfondito tutti i passaggi burocratici, che intuiva quale odio Nino avesse maturato. Il suo avvocato, certo, l’amico “Peppino” che lo aveva difeso in tutti i procedimenti giudiziari. Solo che lui ormai non c’era più. Giuseooe Ramirez era morto, sgozzato nel suo studio per una questione di debiti, un altro tassello del mosaico di vendette costruito negli anni da Nino Sprio.
Il piano aveva funzionato perfettamente. Già il 10 maggio del ’90, all’indomani del delitto Bonsignore, tutti i giornali dedicavano ampio spazio all’allontanamento della vittima dall’assessorato alla Cooperazione. E alle liti furibonde con l’assessore per colpa di certi finanziamenti a un Consorzio agroalimentare, un grande affare che coinvolgeva grossi interessi economici e che al dirigente regionale puzzava tanto di imbroglio.
Il primo “scazzo” risaliva già all’ottobre del 1989 quando Bonsignore si era rifiutato di concedere una deroga agli orari di apertura di un distributore di benzina a Marina di Modica. Una vicenda insignificante che, però, aveva già messo di cattivo umore il politico, probabilmente non abituato a trovarsi di fronte a dipendenti regionali così solerti e attaccati al particolare. Ma i problemi veri sorsero quando Bonsignore presentò una relazione nella quale esprimeva parere negativo alla creazione di una società consortile che si sarebbe dovuta occupare di mercati all’ingrosso. La Mercato Agro-Alimentari Sicilia, fondata nel mese di marzo di quell’anno, era costituita da capitale misto: il 70 per cento ce l’avrebbe messo la Regione, il resto la Federcommercio. Il Consorzio era destinato ad accedere a finanziamenti miliardari da parte dello Stato, e tanto l’assessore a finanziamenti miliardari da parte dello Stato, e tanto l’assessore ci teneva che aveva chiamato a guidarlo alcuni suoi amici. Tutti di provata fede socialista, ovviamente. Craxi, all’epoca, era il padrone del paese e lo tsunami Tangentopoli era ancora nella mente di pochi “esaltati” magistrati di Milano.
Per mettere in piedi la struttura, l’assessore e i suoi avevano pensato alla possibilità di allungare le mani su 35 miliardi che una legge regionale destinava ai centri commerciali. Bonsignore fece correttamente notare al suo superiore che una cosa erano i centri commerciali, ben altra i mercati all’ingrosso. Insomma, poteva togliersi dalla testa di usare quei fondi perché lui la pratica non l’avrebbe mai firmata. Di più, sarebbe stato pronto a inviare tutto l’incartamento alla Procura.
Un ostacolo insormontabile, un’autentica sciagura per l’assessore e gli altri papaveri – o garofani – della politica isolana che già contavano di fare soldi a palate con quel progetto. Cosa c’era di meglio che allontanare il dipendente rompicoglioni e magari sostituirlo con uno più malleabile? Ecco, era il caso di trasferirlo in un altro ufficio, magari con un incarico superiore, così non avrebbe potuto nemmeno lamentarsi. E invece Bonsginore armò un casino di proporzioni spaventose. Avevo vissuto la vicenda come una autentica ingiustizia, raccontò la storia ai giornali, convinse diversi colleghi a scrivere una lettera di solidarietà e non si fermò nemmeno quando tanti gli chiesero di ritirare le firme: “Perché lo sai, questi sono vendicativi. Temiamo le famiglie, ma chi ce lo fa fare? E poi pensaci, ti mandano agli Enti Locali, ti promuovono, ti viene pure più vicino a casa. Dai lasciamo perdere”. 

Giovanni no, non lasciò perdere affatto. Presentò un esposto contro l’assessore costrinse la Commissione regionale antimafia a occuparsi del caso. Anche se l’esito era scontato: “Trasferimento regolare, applicazione ad altro ramo dell’Amministrazione con incarico di prestigio, episodio che va inserito nel più ampio contesto di un rapporto dirigente-politico che appare deteriorato”, scrissero i coraggiosi commissari nella loro relazione finale.
Il governo regionale, ovviamente, diede ragione all’assessore e decise pure che i soldi per i centri commerciali potevano tranquillamente essere destinati anche a un mercato all’ingrosso. Spalleggiati, tra l’altro, dall’autorevole parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa, l’organo di appello al Tas. Insomma, Bonsignore aveva torto, il politico stava dalla parte dei giusti, il Consorzio si poteva fare e il dirigente era stato finalmente allontanato. Qualche tempo dopo una inchiesta della Procura di Catania avrebbe portato all’incriminazione degli amministratori dell’Agroalimentare per un giro vorticoso di tangenti e il Consorzio, travolto dagli scandali, non avrebbe mai visto la luce. Ma questa è un’altra storia che forse la lungimiranza di qualcuno avrebbe potuto prevedere.
Il caso Bonsignore era insomma destinato a finire nel dimenticatoio. E del resto Giovanni, dopo il primo periodo di comprensibile amarezza, era tornato a lavorare nel suo ufficio con lo scrupolo e la competenza di sempre. Era stato trasferito anche l’ex assessore, quello che lo aveva rimosso dalla Cooperazione, ma lui almeno aveva continuato ad esercitare un grande potere nel governo della Regione. I giornali, nel frattempo, si occupavano di altro. Fino a quella terribile mattina di maggio quando alle otto e un quarto al centralino della questura arrivò una telefonata anonima: “Correte in via Alessia di Giovanni, c’è un uomo a terra. Ho sentito colpi di pistola, è stato un omicidio”.






















































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