giovedì 12 gennaio 2012

stiglitz europa euro

CRISI
Stiglitz, euro alla deriva

Il Nobel: «Non solo rigore ma più stimoli alla crescita».

di Barbara Ciolli
Un'Europa incapace e inconcludente, ostinata a «dispensare omelie su ciò che i governi passati avrebbero dovuto fare», invece di «trovare una formula per la crescita».
Quel che è fatto è fatto, ha scritto il premio Nobel Joseph Stiglitz in un duro commento contro i leader politici del Vecchio continente, «privi, nonostante tutto il loro impegno, della buona padronanza di ciò che è necessario predisporre per far funzionare la moneta unica».
Continuare a incolpare gli Stati Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) per la loro «sregolatezza fiscale è un bene, ma», ha spronato l'economista premio Nobel, «non servirà a risolvere il problema odierno».
Di conseguenza, l'agire di Bruxelles deve essere tempestivo e pragmatico, non punitivo. Altrimenti, ha stigmatizzato Stiglitz caustico, «saranno soddisfatti gli elargitori di prediche ma non si scioglieranno i nodi dell'Europa». Né, tantomeno, «sarà salvato l'euro».

I limiti del rigore fiscale e dell'equazione deficit-crisi


Le parole del luminare della Columbia University sono piovute pesanti come pietre sull'apertura del vertice salva-euro di Bruxelles. Di fronte a un Nicolas Sarkozy sempre più soggiogato dalla cancelliera Angela Merkel, decisa a imporre la sua ferrea disciplina fiscale all'intera Eurozona, Stiglitz ha richiamato gli Stati europei alla stella polare della crescita.
I massicci tagli al settore pubblico, disposti dai governi per colmare i deficit, «non aiuteranno a ripianare gli sprechi passati. Piuttosto, spingeranno le economie in un profonda recessione».
L'economista contesta ai Paesi fondatori dell'euro l'intero impianto sul quale è stata costruita l'Europa unita. «Quando la moneta unica fu introdotta, prevalse la dottrina che bastasse controllare la politica fiscale dei singoli Paesi. Nessuno di loro doveva avere un deficit o un debito pubblico troppo grande rispetto al Pil. Prima della crisi, Spagna e Irlanda avevano un surplus di budget e un basso indebitamento statale», ha ricostruito Stiglitz, «poi entrambi gli Stati hanno visto disavanzo e debito pubblico gonfiarsi rapidamente. Ora, i leader europei dicono che bisogna tenere sotto controllo i deficit dell'Eurozona».
IL DILEMMA DEL DEFICIT. Una ricetta riduttiva, secondo l'autore di Bancarotta, l'economia globale in caduta libera (Einaudi, 2010), se si considera che, «curiosamente, mentre la crisi continua, il porto sicuro per gli investitori internazionali sono rimasti gli Stati Uniti, un Paese che, per anni, ha registrato un pesante disavanzo del proprio conto corrente».
La faccenda si complica e non poco: come faranno adesso i leader dell'Unione europea, ha ironizzato Stiglitz, a «distinguere tra i deficit “buoni” dei Paesi in cui i governi creano un clima favorevole per gli imprenditori, generando un flussi di investimento dall'estero, e i deficit “cattivi”?».

Come limitare la politica neoliberista dell'Ue

Se un filo comune si può trovare tra la crisi attuale, che risale al 2008, e quelle degli ultimi decenni, per l'economista, è che i crolli di sistema sono stati generali dal mal comportamento dei settori finanziari, incapaci di gestire i rischi d'investimento, come invece si supponeva riuscissero a fare. Un intervento radicale per regolare questi eccessi e, di conseguenza, prevenire i deficit nei conti richiederebbe innanzitutto «un'azione nel settore privato molto più massiccia di quella contemplata dalle dottrine neo-liberiste e del mercato unico tanto in voga negli anni della fondazione dell'euro».
UN FRENO AI CAPITALI PRIVATI. In Spagna, ha ricordato Stiglitz, «è fuoriuscito un fiume di denaro dalle banche private nei settori privati»: per impedire questa esuberanza, i «governi dovrebbero decidere quali flussi di capitale, come per esempio quelli del mercato immobiliare, sono dannosi, tassandoli o frenandoli».
Un margine d'intervento che, per l'economista, «avrebbe un senso. Peccato che tali politiche sarebbero un anatema per i sostenitori del libero mercato dell'Ue».
Così come avrebbe un senso introdurre «i trasferimenti fiscali, la transfer union tanto odiata dai tedeschi», per dare ossigeno, come fa il governo Usa con gli Stati federali, ai Paesi membri più in difficoltà.
Una Ue senza autorità fiscale centrale e con una Bce concentrata, per mandato, a contenere l'inflazione piuttosto che a favorire la crescita, è uno spazio comune che scoraggia gli investimenti.
Proseguendo su questa strada, non stupisce che, ha scritto Stiglitz nel suo lungo contributo pubblicato su Project Syndicate, «proprio quando sembra che le cose non possano più peggiorare, si aggravino ancora di più. Tanto che gli economisti di entrambe le sponde dell'Atlantico si interrogano non solo sulla sopravvivenza dell'euro. Ma su come far sì che la sua scomparsa provochi minor danno possibile».
Venerdì, 09 Dicembre 2011

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