giovedì 8 marzo 2012

11-de santis sul capitolo 19 di Giù al Sud di Pino Aprile




Messaggio n. 11 di Beppe De Santis,Segretario nazionale di “ Meridionalisti Italiani”

DUE PROPOSTE STRATEGICHE DI PINO APRILE PER IL RINASCIMENTO DEL SUD :
RIAPPROPRIARSI DELLE RISORSE ENERGETICHE ED ESTENDERE LO STATUTO AUTONOMISTICO SICILIANO A TUTTO IL SUD

Vi propongo un paio di brani estratti dal Capitolo 19 del libro di Pino Aprile , “Giù al Sud”.
Primo:il Sud deve riappropriarsi delle proprie risorse energetiche.
Secondo: occorre estendere le prerogative costituzionali dello Statuto Speciale Siciliano a tutto il Sud.
Lezione: le 8 Regioni del Sud o si salvano insieme e periscono una dopo l’altra insieme.
Occorre unificare il Sud.
Occorre costruire una rappresentanza politica unitaria del Sud e dei meridionali, liberando i diversi carismi dei diversi territori del Sud.
I napoletani, e campani, da soli, non vanno da nessuna parte.
I siciliani ,da soli, non vanno da nessuna parte.
Così, i sardi, i lucani , i calabresi,i pugliesi,i molisani, gli abruzzesi.
Determinante è l’alleanza tra la Sicilia e le altre 7 regioni del Sud.
Il Sud , senza la Sicilia , non va da nessuna parte.
E viceversa.


Alcuni brani estratti da “ Giù al Sud” di Pino Aprile, dallo straordinario capitolo 19 ( pagg. 149-172)


“FUCILI PARLATI, FUCILI SPARATI
La Lega minaccia la secessione; la Sicilia può farla. Se ne accorge Franco Bechis, vicedirettore di «Libero»: scopre che se l’isola se ne va per i fatti suoi, l’Italia scende dall’au­tomobile e va a piedi. Ogni sparata di Bossi sull’uso delle armi riempie giornali e telegiornali e si dimentica che se lui fa “pum!” con la bocca, i siciliani, per l’autonomia, spara­rono davvero, crearono un esercito di volontari, attaccaro­no le caserme dei carabinieri, tesero agguati ai militari, sostennero una battaglia campale. Il totale dei morti (ci furono carabinieri fatti prigionieri e fucilati; almeno un ri­voltoso sarebbe perito sotto tortura) forse resterà ignoto: fra cento e duecento.

[...]. Pochi lo sanno, ma la Sicilia ha in mano le chiavi dell’auto italiana. Lì si raffina il 40 per cento della benzina e del gasolio utilizzati nel continente. Non solo: Lombardo (primo presidente autonomista della Regione Siciliana; N.d.A.) è in grado di spegnere luce, gas e riscaldamento in buona parte d’Italia. Un po’ perché lui produce energia in sovrabbondanza e il 12 per cento lo gira alle altre Regioni. Ma soprattutto perché in Sicilia transita il più grande me­tanodotto marino italiano che trasporta 25 miliardi di me­tri cubi di gas e passa di lì pure il gasdotto libico che at­tualmente è chiuso per guerra» ( Bechis).

 Questa situazione non è solo siciliana, perché la Puglia, per dire, produce più del doppio dell’energia che consu­ma (ma, come non bastasse, vorrebbero regalarle pure una centrale nucleare nella più bella zona umida della regione, Torre Guaceto); e la Lucania ha i più grandi giacimenti petroliferi non sottomarini d’Europa. Ricchezza che passa sulla testa delle regioni in cui è prodotta e va quasi total­mente a beneficio altrui. Ma mentre la Sicilia può bloccare l’esproprio (tale è, poche chiacchiere) delle sue risorse, le altre regioni del Sud no, perché non hanno i poteri che lo statuto speciale riconosce all’isola. Ma cos’accadrebbe in Lucania, in Puglia (dove si scoprirono, negli anni Sessan­ta, i più vasti giacimenti di gas d’Europa, nel Subappen­nino Dauno, quaranta miliardi di metri cubi, trasferito al Nord, senza alcun vantaggio alla popolazione locale), cosa accadrebbe se vedessero la Sicilia gestire in proprio quello che loro sono costretti a cedere per niente (o quasi, nel caso del petrolio lucano; e del gas calabrese nelle acque di Crotone)?

A norma di legge, la Calabria con il suo gas, la Lucania con il suo petrolio, la Puglia con il gas e il petrolio adriatico e via espandendo, potrebbero chiedere di aggre­garsi, previo referendum, alla Sicilia (com’è accaduto con alcuni ricchi comuni veneti, desiderosi di diventare trenti­ni, per essere ancora più ricchi). In tal modo, le norme del­lo statuto che tutelano la Sicilia si allargherebbero come un ombrello, su tutto il Sud; la cui ricchezza smetterebbe di migrare al Nord, in cambio di insulti.

 Ma l’elenco dei danni, se la Sicilia si staccasse, è anco­ra più lungo, ché «se uscendo dalle pastoie legali e buro­cratiche che finora li hanno fermati, venissero realizzati i due rigassificatori previsti a Porto Empedocle e a Priolo,» continua Bechis «quasi la metà del metano consumato in Italia verrebbe dalla Sicilia. Insomma, prima di chiude­re i ponti con una regione così, l’Italia dovrebbe pensarci su due volte.
 Lombardo ieri ha spiegato che se facesse la secessione, riscuoterebbe lui in loco quelle accise sui pro­dotti energetici che attualmente finiscono nelle casse del Tesoro italiano. È vero. E si tratta di dieci miliardi di eu­ro all’anno. Una somma che compenserebbe ampiamente quel che la Sicilia verrebbe a perdere staccandosi dal resto d’Italia
… Seguiamo Bechis: alla Sicilia, «nel bilancio provvi­sorio per il 2011 approvato in attesa della legge finanziaria sono previsti trasferimenti da parte dello Stato centrale per meno di 3 miliardi di euro, in gran parte legati alla spesa sanitaria. In quella somma non sono considerati però altri costi del governo centrale, che paga con fondi suoi buona parte del sistema di istruzione siciliano, così come l’ordine pubblico e la giustizia. Secondo uno studio (contestato dai siciliani) della Cgia di Mestre che ha diviso per abitante la spesa pubblica regionalizzata censita dalla Ragioneria generale dello Stato, ogni siciliano costa al resto di Italia 550 euro per la sanità, 681 euro per l’istruzione e 130 euro per ordine pubblico e giustizia. Ma anche mettendo insie­me tutte queste voci, la bilancia penderebbe dalla parte dell’isola: dieci miliardi di euro di accise in entrata e 6 mi­liardi di euro di trasferimenti statali per sanità, istruzio­ne e ordine pubblico a cui rinunciare. Ne avanzerebbero quattro, e sono ragione più che valida per non prendere sottogamba le parole di Lombardo».

E la Sicilia ha solo da guadagnare. Almeno finché si parla di soldi. Bechis non ha bisogno di spingere oltre il discor­so, per dimostrare quanto dice. Ma conviene fare un passo ancora in quella direzione: con tali sopravanzi, la Sicilia potrebbe finanziarsi l’espansione industriale, producendo merci che farebbero concorrenza a quelle del Nord in loco (dove arriverebbero sui mercati a chilometri zero e non dopo 1.200 e più) e altrove, facendo fruttare la posizio­ne centrale nel Mediterraneo; in più, come altri Paesi ex colonie, quale l’India, potrebbe puntare sulla più recente tecnologia informatica, lasciando al Nord quella del secolo scorso, su cui ancora insiste (auto, frigoriferi...): il necessa­rio, la Sicilia ce l’ha in casa, perché alle porte di Catania c’è il più grande centro di ricerca informatica d’Italia.”



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