giovedì 8 marzo 2012

de santis Primi 10 messaggi di Meridionalisti Italiani

Messaggi dei “Merdionalisti Italiani”-Beppe De Santis, Segretario nazionale

N. 1

PRESIDENZA/SEGRETERIA 
                                        NAZIONALE
-Via degli Uffici del Vicario, n. 36, Roma
-Via Mariano Stabile, n. 229,Palermo
-Via G. Rulli, n.7 Vasto (CH)
-Tel. 329-1011815     339-6288704 

Prot. 1952/2012/262

Oggetto: Elezione della Segreteria nazionale di “Meridionalisti Italiani”

Il 26 febbraio 2012, a conclusione del Congresso fondativo del movimento “Meridionalisti italiani” , svoltosi a Rimini, nel “105 Stadium”, contestualmente al summit di MMT Italia( Modern Money Theory)  ,è stata eletta la Segreteria nazionale, che risulta così composta:
-Beppe De Santis ,Segretario nazionale;
-Alfonso Sciangula, Vicesegretario nazionale;
-Stefano Comparelli, Vicesegretario nazionale;
-Antonio De Santis, Segretario organizzativo nazionale;
-Antonio Mitidieri, Responsabile promozione  territoriale.
Sono stati eletti ,inoltre, il Consiglio direttivo nazionale,i responsabili delle 20 Regioni e i responsabili dei dipartimenti nazionali di lavoro.

Antonio De Santis, Segretario organizzativo nazionale.
27 febbraio 2012, Rimini.    










N. 2
 NOTE SULLA STRATEGIA GENERALE DEL NEOMERIDIONALISMO  ,NELL’EPOCA DEL DOMINIO DELLLA FINANZA GLOBALE
di Beppe De Santis
29 FEBBRAIO 2012

“Finanza globale,Europa/Euro,nuovi termini della questione meridionale

L’odierna “questione meridionale” può essere interpretata e affrontata soltanto all’interno dei più generali squilibri strutturali europei, mediterranei e globali.
All’interno della mappa delle questioni meridionali dell’Europa a 27 membri  e dell’Eurozona a 17.
All’interno della nuova mappa geoeconomica e geopolitica determinata, negli ultimi 40 anni, dal progressivo affermarsi, e ,oggi, dal dominio assoluto della finanza globale, del finanzcapitalismo.

Va attualizzata la grande lezione di Nicola Zitara.
Lo sforzo analitico e strategico –oltrechè il metodo-contenuto nel testamento di Nicola Zitara,”L’invenzione del Mezzogiorno.Una storia finanziaria”,pubblicato nel 2010, va aggiornato e applicato agli squilibri strutturali prodotti dall’odierno finanzcapitalismo globalizzato.
Altrimenti saremmo completamente fuori dalla storia reale,a rimuginare le tragedie di un passato, che non ci salva.

I-IL PRIMO PUNTO, DI PARTENZA E DI ATTACCO, DEVE ESSERE QUELLO CONTRO LA FINANZA GLOBALE CONTEMPORANEA

Innanzitutto, occorre comprendere la natura , i caratteri e i meccanismi esatti dell’attuale finanzcapitalismo.

Possono fungere da ottimo supporto analitico e strategico i seguenti volumi :
-Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, 2010;
-Nouriel Roubini e Stephen Mihm,” La crisi non è finita”,2011;
-Loretta Napoleoni, “Il contagio”, 2011;
-Lucio Caracciolo , “America vs America”, 2011.

La finanza globale contemporanea E’ “IL” POTERE,il vero potere, dominante su tutti gli altri:
-economia reale,imprese;
-politica, Stati;
-cultura, media,università,centri di ricerca e Fondazioni.

L’odierno finanzcapitalismo ha svuotato contestualmente le tre sovranità fondamentali:
-la sovranità statale;
-la sovranità popolare democratica;
-la sovranità monetaria statale.

Orientamenti e direttrici programmatiche e d’azione.
1-Riduzione radicale e strutturale della DIMENSIONE QUANTITATIVA DELL’ATTUALE FINANZA GLOBALE,e della massa monetaria,in gran parte virtuale, che ne consegue.
Rimettendo al centro l’economia reale e i territori;ricostruendo un rapporto corretto ed equilibrato tra economia reale e credito. Con un sistema creditizio al servizio dell’economia reale, cioè delle famiglie e delle imprese.
2-Riduzione strutturale della mole dei cosiddetti TITOLI DERIVATI,e, dei relativi aggregati, oscuri, ingestibili e destabilizzanti.
3-Eliminazione di gran parte della FINANZA OMBRA,che vive in simbiosi con il sistema bancario ufficiale,e,mediante la quale si producono le peggiori scorrerie dell’attuale finanzcapitalismo.
4.Abbattimento della dimensione quantitativa dei vari soggetti finanziari ( banche, assicurazioni, fondi),ristrutturando la platea degli attuali giganteschi soggetti finanziari in una mappa gestibile e controllabili di soggetti medi , medio-piccoli e piccoli.
Altrimenti, continuerà ad imporsi la regola secondo cui tali soggetti “sono troppo grandi per fallire”, anche  quando combinano disastri devastanti e diventano soggetti alegali, illegali, patentemente criminali.
5.Ripristinare la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento.
6.Definaziarizzare, il più possibile , l’economia reale.
7-Rilanciare la mappa e la rete della banche territoriali, a partire da quelle cooperative, piccole e medie.
8-Ridurre ,allo stretto indispensabile, la leva  finanziaria –il rapporto tra capitale posseduto e capacità di investimento- dei vari soggetti finanziari,a partire dalle banche ,e ,imporre una dotazione patrimoniale consistente ed effettiva.
Questa è la madre di tutte le battaglie.
Senza impostare, ingaggiare e vincere questa battaglia, la guerra è perduta.
Questa battaglia va condotta ad ogni livello territoriale , di governo e di governante:locale/regionale, nazionale, europeo, globale.

L’OBIETTIVO STRATEGICO DEVE CONSISTERE NEL RIPRISTINO DELLE TRE SOVRANITA’ SVUOTATE E PERDUTE:
la sovranità statale, la sovranità popolare democratica, la sovranità monetaria.

III-IL SECONDO PUNTO DI ATTACCO DEVE ESSERE A LIVELLO DELLA UNIONE EUROPEA E DELL’EUROZONA

Il primo compito strategico degli europei, dei singoli Stati della UE e dell’Eurozona, della UE e dell’Eurona, nel loro complesso, è quello di combattere contro l’attuale finanza globale, l’attuale finanzcapitalismo, di cui al punto precedente.
Per far ciò, occorre avere gli attributi giusti.
Al contrario, oggi, la UE, l’Eurozona, i singoli Stati membri sono completamente disarmati e impotenti nei confronti del DOMINIO della finanza globale sul mondo e sull’Europa stessa.
L’Unione Europea, l’Eurozona, è in crisi di identità e culturale, economica finanziaria e monetaria , istituzionale e politica.
Dopo oltre 50 anni di costruzione europea ,e, oltre 10 anni di Eurozona, i nodi sono venuti al pettine.
Siamo ad un passaggio fondamentale della storia europea. Siamo di fronte ad una svolta. Scelte alternative e drammatiche si impongono.
L’Unione Europea,in generale,e, l’Eurozona, nello specifico, soffrono di criticità costituzionali, non più gestibili nel modo tradizionale:
-crisi democratica e di legittimità;
-crisi istituzionale e politica ( governabilità efficiente e trasparente);
-crisi economica e di competitività;
-crisi finanziaria, di debito pubblico e monetaria;
-crisi per mancato coordinamento e unità delle politiche economiche e fiscali comuni.
Una crisi di sovranità ,insomma: di democraticità, di legittimazione, di patto sociale di cittadinanza, di spessore costituzionale.
In questo quadro, è esplosa la crisi dell’Euro,deflagrata formalmente nell’estate del 2011.

Gli atteggiamenti , e i  comportamenti, delle  elites, delle leadership, ma anche delle opinioni pubbliche, si  suddividono
-in atteggiamenti/comportamenti di galleggiamento inerziale, affidandosi allo stellone;
-di europeismo retorico e volontaristico;
-di euroscetticismo o di antieuropeismo, più o meno sinceri e coerenti.
In un mare enorme di confusione,una  babele di equivoci, di incompetenza, di irresponsabilità, di dibattiti risibili e pericolosi.

Il punto è che l’Unione Europea, e al suo interno l’Eurozona,
-NON E’ UNO STATO, né unitario , ne federale, tipo gli USA, gli Stati Uniti d’Europa non esistono ( non c’è sovranità statale europea);
-non è democratica e trasparente, è tecnocratica e opaca ( non c’è sovranità popolare democratica europea);
-l’Euro è una moneta senza Stato.Al paradigma storico per cui lo Stato batte moneta da noi si pretende che una moneta batti/fondi uno Stato.La Banca Centrale Europea ( BCE) non è una vera banca nazionale statale,  com’è -al contrario- la Banca centrale americana ( la Federal Reserve);
-non detiene,non governa politiche  economiche e fiscali unitarie.
Da qui derivano  disordine, impotenza,implosione, crisi.
La confusione di sistema.
Cosa è in crisi?L’Unione Europea/ Eurozona? L’Euro?
E’ in crisi per prima l’Unione europea/Eurozona, o prima l’Euro?
E’ saggio sottolineare che  prima della questione Euro, c’è  la questione dell’Europa, della statualità europea. Della mancata statualità europea.

Allora, delle due, l’una.
O, in tempi ravvicinati, si costruisce il nuovo soggetto politico europeo,gli Stati Uniti d’Europa.
Con un vero Parlamento, democraticamente rappresentativo e deliberativo. Non solo consultivo, e impotente.
Con un vero Governo europeo. Altro che Commissione europea, che oggi conta pochissimo, sempre di meno.
Con una vera Banca centrale statale dello Stato europeo. Altro che BCE.
Con una vera politica economica e fiscale unitaria. Altro che coordinamento ,e balletti e controballetti di summit bini e trini,e plenari.
Ricostruendo a livello europeo le tre sovranità svuotate e perdute:la sovranità statale, la sovranità popolare e la sovranità monetaria.
Saranno stroncate così le tentazioni e tendenze,insieme velleitarie e pericolose per tutti:
-ad un’Europa e/o Eurozona germano-centrica,
-ad un’ Europa velleitariamente diarchica franco-tedesca;
-ad un’Europa del Nord ( con Euro-nord) e una del Sud ( con Euro-sud).
Ciascuna di queste tre alternative è intollerabile, negativa,o impraticabile fino in fondo.
O, volenti o nolenti,ciascuno Stato membro della UE o dell’Eurozona è costretto, sarà costretto, dai fatti,a tutelare il proprio interesse nazionale,con meno o niente Unione Europea, con poco e niente Eurozona ,per conto proprio. E anche, ahimè, in competizione con gli altri Stati.
Tutelare il proprio interesse nazionale,con tutti i crismi.
Con il pieno ripristino delle tre sovranità statale, popolare, monetaria. In ciascuno degli attuali Stati membri.
Nel caos attuale, non si può continuare ad andare avanti.
L’Unione Europea , così com’è oggi, non può più funzionare.
L’Eurozona, così com’è oggi, non può più funzionare.
L’Euro, così com’è oggi, non può più funzionare.
La Banca Centrale Europea, così com’è oggi, non può più funzionare.
Questa è l’alternativa.
O Stati Uniti d’Europa, presto, prestissimo. Con sovranità europea.
O ciascuno Stato nazionale è costretto a riguadagnare la propria autonomia, la propria piena sovranità. Sovranità statale, popolare, monetaria.
Tertium non datur.
Ovviamente, quando parliamo di Stati Uniti d’Europa, non siamo così velleitari da pensare di aggregare tutti gli attuali 27 stati membri della UE,né tutti i 17 dell’Eurozona. Questo è oggi impossibile.
Pensiamo ad un nucleo centrale che comprenda ,innanzitutto,la Germania, la Francia,l’Italia,la Spagna e la Polonia.Questo è il baricentro equilibrato dei possibili Stati Uniti d’Europa.
Se questo percorso è  ritenuto non praticabile, non resta che la seconda alternativa: tornare alla piena sovranità degli Stati nazionali.
Insomma, o l’Euro diventerà presto la moneta sovrana di un vero Stato sovrano, i nuovi Stati Uniti d’Europa, o l’attuale sistema è destinato a crollare, e comunque a produrre più danni che benefici.
Noi non dobbiamo stare a guardare, o subire, ma dobbiamo pensare, progettare, proporre, agire.
Una vera alternativa al caos attuale, un vero progetto alternativo,una vera capacità politica alternativa.

Cosa è successo, e sta succedendo ,in questi mesi, in Europa?
Mentre i mercati, la finanza globale, la finanza ombra, gli speculatori, attaccavano  e attaccano all’arma bianca.
Questa volte, sul versante dei debiti pubblici.
Si potrebbe dire: ciascuno per se e Dio per tutti.
La Germania ha cercato di salvarsi, da sola, e a scapito degli altri partners, soprattutto quelli dell’Europa mediterranea e dei Paesi più piccoli.
La Francia, obtorto collo, e con qualche furbizia eccessiva, ha cercato di restare attaccata al carro tedesco o almeno far finta.
L’Inghilterra si è ulteriormente ritirata  e concentrata sul proprio ambito statale nazionale , finanziario e monetario.
La restante Europa mediterranea è andata- o è stata spinta,invitata bruscamente- via via alla deriva o nei paraggi della deriva:la Grecia vicina al completo fallimento;il Portogallo quasi idem;l’Italia e Spagna in grande ambasce,prossime a qualche irreparabile precipizio, sull’orlo dell’abisso.
L’Irlanda in un mezzo disastro.
I famigerati PIIGS.I porci.
L’Ungheria prossima al fallimento.

In questo quadro,sono maturate le note e travagliate manovre di tamponamento, del ciclo 2010-2011. A pezzi e bocconi, in ritardo, nella più grande confusione.
Da una parte, misure draconiane di austerità,inique e  fortemente recessive.
Dall’altra,misure per tutelare il sistema bancario europeo e per alimentarne la liquidità , tra ritardati e contenuti supporti tedeschi,FMI, e BCE.
Infine, la travagliata e contorta maturazione del cosiddetto NUOVO SISTEMA DI GOVERNANCE DELL’EUROZONA, da formalizzare nella primavera del 2012: il cosiddetto FONDO SALVA-STATI;uno schema unitario di rigide politiche fiscali, il nuovo patto fiscale dell’Eurozona; sullo sfondo, il miraggio degli Eurobond;la riapertura ciclica del dibattito sulla tassazione delle transazioni finanziarie ,con la mitica Tobin tax e così via.
E’ questo il gioco disperato, con le regole esistenti,con le tradizionali strategie e strumentazioni ,che fanno acqua da tutte le parti ,con i rapporti di forza attuali, sic stantibus rebus.

Bibliografia e documentazione di supporto:
-Limes, “Alla guerra dell’Euro”,n.6/2011;
-Enrico Letta e Lucio Caracciolo, “L’Europa è finita”, 2010;
-Bruno Amoroso, “Euro in bilico”, 2011;
-Dimitri Deliolanes, “ Come la Grecia”,2011;
-Degli Esposti, Giacomin, Righi, “Conversazione con Romano Prodi e Jaques Delors.Dieci anni con l’euro in tasca”, 2011;
-Max Otte, “L’euro disastro”, 2011;
-Marino Badiale e Fabrizio Trincali, “Liberiamoci dell’euro. Per un’altra Europa”, 2011.

III-IL TERZO PUNTO DI ATTACCO A LIVELLO NAZIONALE

Lo scenario nazionale si è caratterizzato, negli ultimi mesi, dalle manovre antideficit estive, dalla caduta di Berlusconi, dall’avvio del ciclo di Monti con le relative  e draconiane misure per il consolidamento della finanza pubblica, dal sicuro effetto recessivo, almeno per l’immediato.
Per ora,colpiti, innanzitutto ,i ceti popolari e medi di massa:IMU, Pensioni, IVA.
Scenario sociale  e politico:
-Monti che procede come un treno;
-ceti popolari bastonati,incazzati e preoccupati;
-Lega Nord ferocemente e spudoratamente contro;
-IDV contro;
-sindacati sul piede di guerra;
-PDL e PD che abbozzano, borbottano, minacciano;
-il terzo POLO completamente e opportunisticamente schiacciato su Monti,nella speranza di ereditare una parte dello spazio politico post-berlusconiano.

Strategie, visioni, programmi altri, diversi, alternativi: zero.
Un vuoto totale di idee , di strategie all’altezza della sfida posta dal dominio della FINANZA GLOBALE, che è il punto di partenza e di arrivo di tutte le battaglie di questa fase storica.
Una classe dirigente di nani , falliti,ignoranti, arroganti, opportunisti,bugiardi, corrotti e ladri.
Vi sono  i sostenitori, più o meno entusiasti di Monti, per vero o per finto ( Terzo Polo, tecnocrazie).
Vi sono quelli che sono costretti a sopportare , obtorto collo, Monti ( PDL, PD).
Vi sono quelli contro Monti, per mestiere, ma pronti a trattare, se legittimati ai tavoli di concertazione  e del potere( sindacati e rappresentanze corporative varie).
Vi sono quelli ferocemente contro Monti ( Lega, IDV, sinistre sindacali e radicali varie).
Queste quattro posizioni sono accomunate da una caratteristica comune: non hanno un progetto alternativo,non hanno una visione alternativa al dominio della finanza globale ( a parte fare quotidiane e generiche sparate contro tutto), non hanno nemmeno capito la portata della sfida globale in corso.
Il coro è molto molto più simile ed omogeneo di quanto non appaia.
Sono , tutte,posizioni perdenti e devastanti.
Noi non intendiamo accodarci a questo coro.
Noi lavoriamo per una visione, una strategia, un progetto alternativi.
Quel progetto evocato nei punti precedenti.

IV- LA STRATEGIA NEOMERIDIONALISTA VA INCARIDINATA IN QUESTA STRATEGIA GLOBALE
Il movimento neomeridionalista non si deve confondere dentro questa palude di incompetenza, di opportunismo,di ignavia, di miserabile povertà di strategie e progetti alternativi ,di populismi di destra e di sinistra, di populismi nordisti e sudisti.
Finora, ho registrato soltanto tre miserabili gare:
-tra chi sostiene, alla meglio o alla meno peggio, Monti :noi non siamo tra questi;
-tra chi cerca di barcamenarsi con Monti, in attesa  di liquidarlo e della rivincita ( PDL, PD): noi no siamo tra questi;
-tra chi attacca ferocemente Monti ( Lega Nord, IDV, populisti vari destrorsi e sinistrorsi, tribù  velleitarie di sudisti e nordisti o di sedicenti tali):noi non siamo tra questi.
Noi non facciamo parte di questa immonda cagnara.
Il progetto neomeridionalista va incardinato nel progetto e nella battaglia per abbattere e riformare l’attuale sistema di domino della finanza globale ( punto I);
nel progetto e nella battaglia per la riforma costituzionale, politica e monetaria dell’Europa, perché esistano e vengano ripristinate,  o a livello europeo o a livello nazionale statale, le tre sovranità  statale, popolare e monetaria ( punto II);
nel progetto e nella battaglia per ripristinare, per l’Italia, le tre suddette sovranità ( punto III).
Dentro questo scenario analitico e progettuale vanno incardinati e fatti vivere i cinque caposaldi del neomeridionalismo .
-identità storico-politica ( da Zitara a Pino Aprile);
-Repubblica federalista unitaria ,alla tedesca, con un Sud  unito al suo interno, secondo il progetto di Giorgio Ruffolo;
-progetto di sviluppo economico sostenibile del Sud ( progetto Grande mediterraneo, fiscalità di sviluppo, tutela e valorizzazione delle proprie risorse, centralità dell’agricoltura, progetto energetico);
-autonomia culturale e identitaria;
-autonomia politica, anche con la costruzione di un grande PARTITO D’AZIONE NEOMERIDIONALISTA, a partire dall’intuizione profetica di Guido Dorso.

Bibliografia e documentazione di supporto:
-Guido Dorso, “ La rivoluzione meridionale”, 1950;
-Il Manifesto del neomeridionalismo in 7 punti , approvato dagli Stati generali del Sud del 2010
-Dossier con i 30 comunicati 2010 di Beppe De Santis;
-Saggio critico di Beppe De Santis  contro il volume di Marco De Marco, “Terronismo” (2011);
-Lino Patruno, “Fuoco del Sud”, 2011;
-Pino Aprile, “ Giù al Sud”, 2011.










                                                    






N. 3






PRESIDENZA/SEGRETERIA 
                                        NAZIONALE
-Via degli Uffici del Vicario, n. 36, Roma
-Via Mariano Stabile, n. 229,Palermo
-Via G. Rulli, n.7 Vasto (CH)
-Tel. 329-1011815     339-6288704 

Prot. 1952/2012/13

Oggetto: Dall’esperienza del PSUD al congresso costituente di  “Meridionalisti Italiani”

1-Il 26 febbraio 2012, a conclusione del Congresso fondativo del movimento “Meridionalisti italiani” , svoltosi a Rimini, nel “105 Stadium”, contestualmente al summit di MMT Italia( Modern Money Theory)  ,è stata eletta la Segreteria nazionale.
Sono stati eletti ,inoltre, il Consiglio direttivo nazionale,i responsabili delle 20 Regioni e i responsabili dei dipartimenti nazionali di lavoro.

2-Il nostro percorso politico,negli ultimi 15 anni, è stato di ricerca , di innovazione, di sperimentazione:movimenti sociali e civili,movimenti antimafia, l’esperienza della Rete e altri successivi,il movimento “Noi siciliani”,recenti esperienze neo-autonomistiche.

3-Nel 2008, contestualmente all’esplodere della crisi globale,abbiamo maturato la scelta di contribuire alla progettazione e promozione di un GRANDE SOGGETTO POLITICO NEOMERIDIONALISTICO,UN VERO PARTITO POPOLARE DI MASSA.

4-Abbiamo lavorato ,di conseguenza, in questo triennio, soprattutto ad elaborare il PROGETTO STRATEGICO del neomeridionalismo. Senza Progetto,sarebbe tutto un vano agitarsi sudista,inconcludente e dannoso. Questo lavoro è continuato fino allo sbocco progettuale rappresentato dal summit MMT di Rimini del 24-27 febbraio 2012,per il ripristino della sovranità monetaria, statale e popolare.

5-In questo percorso, abbiamo incontrato altri soggetti singoli, associazioni, piccole reti di movimento dalla più diversa ispirazione meridionalista, collaborando e dialogando , ove è stato possibile. Si è inserita , in questo ambito, anche l’esperienza del PSUD, dal tardo autunno del 2010. Una esperienza utile, ma , dal nostro umile punto di vista, non pienamente soddisfacente. Si sono registrate, presto,legittime, ma non lievi, divergenze di strategia, di metodo, di prassi. Divergenze non facilmente componibili. Così,ciascuno ha ripreso e riprende la sua strada. Ciò è inevitabile, giusto e legittimo.

6-Noi, ad esempio, pensiamo che per porre in essere una vero grande partito neomeridionalista, occorre, perlomeno, un decennio di umile e generoso lavoro.Con prudenza, passo dopo passo. Altri, pensano legittimamente che si può fare più presto e altrettanto bene.
Noi abbiamo deciso di continuare il nostro cammino dando vita al  nuovo soggetto politico denominato “Meridionalisti Italiani”.

7-E’inevitabile, in questi casi, che insorgano malumori, polemiche, sorde o esplicite, diplomatiche o astiose.Anche atti , più o meno fondati, di appassionata stigmatizzazione.Con inerziali accuse e contraccuse. Così è la vita. Ciascuno si assume le proprie  responsabilità, nello stile che preferisce. Polemiche dalle quali volentieri ci asteniamo.

8-Conta ,infine,la storia di ciascuno. Conta  e conterà il  cammino fatto e  da fare. Per il bene del Sud, dei meridionali e dell’Italia intera. Poi, per il bene di tutti,chi ha più filo tesserà. Chi ha più talenti, pazienza e umiltà seminerà.Per i figli.

Nel rileggere “ I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, ciascuno, è umano,può identificarsi- o identificare l’altro- in Gulliver o nei Lillipuziani.
L’opzione è libera.
Soltanto i fatti contano e conteranno.

Grazie, buon lavoro a tutti e auguri.


Beppe  De Santis, Segretario  nazionale dei “Meridionalisti Italiani”;
Alfonso Sciangula, Vicesegretario nazionale vicario.

27 febbraio 2012, Rimini.    




















N. 4
PRESIDENZA/SEGRETERIA  NAZIONALE
-Via degli Uffici del Vicario, n. 36, Roma-Via Mariano Stabile, n. 229,Palermo-Via G. Rulli, n.7 Vasto (CH)-Tel. 329-1011815     339-6288704 
Prot. 1952/2012/263
Note sulle Strategie,le Politiche generali   e le priorità programmatiche di “Meridionalisti Italiani”.
Alcune Note organizzative e operative.

La ragione sociale, la missione, di “Meridionalisti Italiani” è il RINASCIMENTO DEL MEZZOGIORNO,
Con la promozione del massimo di coscienza storico-identitaria ( la verità sulla storia dell’Unità d’Italia),di autonomia culturale, politica, costituzionale ed economico-sociale.
Con la costruzione di una Repubblica federalista d’Italia, sul modello del federalismo coesivo e unitario tedesco.Il contrario del leghismo divisionista. Unificando le 8 regioni del Mezzogiorno, con l’elezione di un Parlamento meridionale, all’interno di una coesa Repubblica d federale d’Italia, secondo la proposta di Giorgio Ruffolo.
Ma, il Mezzogiorno, dopo la colonizzazione post-unitaria- colonizzazione, innanzitutto, economico-finanziaria,recentemente, ricostruita nell’ultimo volume del grande Nicola Zitara, “L’invenzione del Mezzogiorno”, subisce, insieme all’Italia intera, il dominio dell’odierna finanza globale, che sta sconquassando il mondo.
E’ questa dittatura devastante -della finanza globale speculativa -che bisogna battere.
Occorre ripristinare la SOVRANITA’  monetaria, la sovranità statale, la sovranità democratica popolare: le tre sovranità tra loro interdipendenti.
Non possiamo lasciare il Mezzogiorno, l’Italia, l’Europa , il Mondo in balia della finanza speculativa.
L’alternativa è secca: o si fanno subito gli Stati Uniti d’Europa, cioè uno Stato europeo sovrano,con moneta sovrana e banca europea in grado di stampare moneta sovrana, con una democrazia europea vera e funzionante;
o, per legittima difesa, ogni Stato d’Europa - a partire dall’Italia - è costretto – qui e ora-a ripristinare la propria sovranità nazionale, la propria sovranità statale, la propria sovranità monetaria,con propria valuta nazionale.
Per fortuna, dopo anni di dominio del pensiero unico neoliberista,4-5 anni di crisi globale stanno risvegliando coscienze ,popoli, tecnici e intellettuali.
In questo quadro,si è liberato anche un movimento culturale e scientifico di economisti critici, contro il dogma neoliberista dominante,un diffuso MOVIMENTO NEOKEYNESIANO, che ha trovato la sua punta di diamante nella rete mondiale MMT    (Modern Money Theory).L’economista americano Wray Randall è uno dei massimi animatori di questo approccio,insieme ad altri economisti  quali  Michael Hudson,Stephanie Kelton,Marshall Auerback,William Black, e Alain Parguez.Questi ultimi sono stati i relatori straordinari nel recente summit di MMT Italia, svoltosi a Rimini, tra il 24-26 febbraio 2012 ,con il contributo determinante del giornalista Paolo Barnard, al quale abbiamo partecipato attivamente e con entusiasmo, con una ampia delegazione dei “Meridionalisti Italiani”.
In italia, operano già numerosi sostenitori dell’approccio neokeynesiano MMT, tra i quali gli economisti accademici Andrea Terzi, Gennaro Zezza e Claudio Sardoni.
Altri brillanti autori italiani, da percorsi diversi, pervengono a conclusioni omologhe a quelle dei neokeynesiani MMT. Tra loro, cito volentieri Loretta Napoleoni, Luciano Gallino e Bruno Amoroso.
Non siamo più soli in questa titanica battaglia contro la finanza globale da rapina, che è all’origine di tutti i nostri guai.
Procederemo così.

CONTRO LA FINANZA GLOBALE SPECULATIVO, PER L’APPROCCIO NEOKEYNESIANO MMT
1-Socializzazione della piattaforma di lotta contro la finanza globale di rapina e dell’approccio neokeynesiano MMT, anche attraverso appositi corsi di formazione dei quadri dei “ Meridionalisti Italiani”.

L’UNIVERSITA’ POPOLARE MEDITERRANEA
2-Attivazione formale della Università Popolare del Mediterraneo (UPM) e messa a regime operativo della stessa, a partire dall’alimentazione del sito http://www.neomeridionalista.eu/, curato dai giovani molisani e abruzzesi.L’UPM assumerà le forme e le funzioni di una Fondazione.

SISTEMA INFORMATIVO E DI COMUNICAZIONE
3-Attivazione del sistema informativo e di comunicazione interno ed esterno dei “Meridionalisti Italiani”.Vi sta lavorando il team nazionale di WPS : http://welcomepeoplesystem.org.
Riorganizzazione degli strumenti web già operanti:
-postazioni facebook;
-youtube:beppedesantis2010, beppedesantis20101,alfonsosciangula,etc.

PROMOZIONE DELLA RETE ITALIA DI MMT ( MODERN MONEY THEORY)
4-Contributo massimo alla diffusione della rete italiana di MMT Italia, dopo il summit di Rimini e iniziative con gli esponenti più brillanti di questo movimento, di cui siamo componente interna , fondatrice, promotrice e attiva. Iniziative con gli altri  economisti e sociologi esponenti critici contro il paradigma neoliberista dominante ( Loretta Napoleoni, Luciano Gallino, Bruno Amoroso):

SVILUPPO E PROGETTAZIONE CON IL CENTRO STUDI MEDEA
5-La rete dei “Meridionalisti Italiani” è anche un movimento direttamente impegnato nella promozione dello sviluppo locale sostenibile.
Presto riattiveremo il Centro Studi Medea, ne riapriremo la sede palermitana, dandole, in progress, una dimensione nazionale.
Medea sarà il nostro catalizzatore progettuale.
Le filiere progettuali e contenutistiche che privilegeremo saranno quelle dei turismi di qualità,dei prodotti locali tipici tradizionali e di qualità,dei comprensori e dei distretti locali di sviluppo, della cultura e del patrimonio culturale immateriale.

I “MERIDIONALISTI ITALIANI” A SOSTEGNO DEI MOVIMENTI E DI VERTENZE SOCIALI E CIVILI
6-“Meridionalisti Italiani” sosterrà, poi, quelle battaglie, vertenze e  quei movimenti sociali e civili compatibili e coerenti con la propria strategia e col proprio programma, dalle vertenze urbane a quelle rurali, nel rispetto dell’autonomia dei vari movimenti in campo.
LA SCELTA TERRITORIALE,DECENTRATORIA E AUTONOMISTICA
7-Sarà privilegiata la dimensione territoriale, decentrata e autonomistica, in ogni senso e campo di intervento.Il punto di partenza dei “Meridionalisti italiani”  è quello comunale   e cittadino. Massimo impegno sarà profuso per la promozione e la governance intercomunale comprensoriale e distrettuale.”MI” è per il superamento dell’istituto delle Province, e, per il massimo decentramento delle competenze e delle risorse delle Regioni a favore dei comuni  e dei comprensori intercomunali.

Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani”
5 marzo 2012
                                              











































N. 5
La Rivoluzione che viene dagli Usa
di Federico Rampini, la Repubblica, 21 febbraio 2012
Le grandi crisi partoriscono grandi idee. Così fu dopo il crac del 1929 e la Depressione. Per uscirne, l'Occidente usò il pensiero di John Maynard Keynes, scoprì un ruolo nuovo per lo Stato nell'economia, inventò le politiche sociali del New Deal e la costruzione del moderno Welfare State. Oggi siamo daccapo. L'eurozona sprofonda nella sua seconda recessione in tre anni. Gli Stati Uniti malgrado la ripresa in atto pagano ancora i prezzi sociali elevatissimi della Grande Contrazione iniziata nel 2008 (almeno 15 milioni di disoccupati). Ma dall'America una nuova teoria s'impone all'attenzione. Si chiama Modern Monetary Theory, ha l'ambizione di essere la vera erede del pensiero di Keynes, adattato alle sfide del XXI secolo.

Ha la certezza di poter trainare l'Occidente fuori da questa crisi. A patto che i governi si liberino di ideologie vetuste, inadeguate e distruttive. È una rivoluzione copernicana, il cui alfiere porta un cognome celebre: James K.Galbraith, docente di Public Policy all'università del Texas e consigliere "eretico" di Barack Obama.
James K. Galbraith è figlio di uno dei più celebri economisti americani, quel John Kenneth Galbraith che fu grande studioso della Depressione e consulente di John Kennedy.

Il nuovo Verbo che sconvolge i dogmi degli economisti, assegna un ruolo benefico al deficit e al debito pubblico. È un attacco frontale all'ortodossia vigente. Sfida l'ideologia imperante in Europa, che i "rivoluzionari" della Modern Monetary Theory (o Mmt) considerano alla stregua di un vero oscurantismo. Quel che accade in questi giorni a Roma e Atene, l'austerity imposta dalla Germania, per i teorici della Mmt non è soltanto sbagliata nei tempi (è pro-ciclica: perché taglia potere d'acquisto nel bel mezzo di una recessione), ma è concettualmente assurda.

Un semplice esercizio mette a nudo quanto ci sia di "religioso" nella cosiddetta saggezza convenzionale degli economisti. Qualcuno ha provato a interrogare i tecnocrati del Fmi, della Commissione Ue e della Banca centrale europea, per capire da quali Tavole della Legge abbiano tratto alcuni numeri "magici". Perché il deficit pubblico nel Trattato di Maastricht non doveva superare il 3% del Pil? Perché nel nuovo patto fiscale dell'eurozona lo stesso limite è stato ridotto a 0,5% del Pil? Chi ha stabilito che il debito pubblico totale diventa insostenibile sotto una soglia del 60% oppure (a seconda delle fonti) del 120% del Pil? Quali prove empiriche stanno dietro l'imposizione di questa cabala di cifre? Le risposte dei tecnocrati sono evasive, o confuse.

La Teoria Monetaria Moderna fa a pezzi questa bardatura di vincoli calati dall'alto, la considera ciarpame ideologico. La sua affermazione più sconvolgente, ai fini pratici, è questa: non ci sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibile da parte di uno Stato, perché le banche centrali hanno un potere illimitato di finanziare questi disavanzi stampando moneta. E non solo questo è possibile, ma soprattutto è necessario. La via della crescita, passa attraverso un rilancio di spese pubbliche in deficit, da finanziare usando la liquidità della banca centrale. Non certo alzando le tasse: non ora.

Se è così, stiamo sbagliando tutto. Proprio come il presidente americano Herbert Hoover sbagliò drammaticamente la risposta alla Grande Depressione, quando cercò di rimettere il bilancio in pareggio a colpi di tagli (stesso errore che fece Franklin Roosevelt nel 1937 con esiti nefasti). Il "nuovo Keynes" oggi non è un profeta isolato. Galbraith Jr. è solo il più celebre dei cognomi, ma la Mmt è una vera scuola di pensiero, ricca di cervelli e di think tank. Così come la destra reaganiana ebbe il suo pensatoio nell'Università di Chicago (dove regnava negli anni Settanta il Nobel dell'economia Milton Friedman), oggi l'equivalente "a sinistra" sono la University of Missouri a Kansas City, il Bard College nello Stato di New York, il Roosevelt Institute di Washington. Oltre a Galbraith Jr., tra gli esponenti più autorevoli di questa dottrina figura il "depositario" storico dell'eredità keynesiana, Lord Robert Skidelsky, grande economista inglese di origine russa nonché biografo di Keynes.

Fra gli altri teorici della Mmt ci sono Randall Wray, Stephanie Kelton, l'australiano Bill Mitchell. Non sono una corrente marginale; tra i loro "genitori" spirituali annoverano Joan Robinson e Hyman Minsky. Per quanto eterodossi, questi economisti sono riusciti a conquistarsi un accesso alla Casa Bianca. Barack Obama consultò Galbraith Jr. prima di mettere a punto la sua manovra di spesa pubblica pro-crescita, così come fece la democratica Nancy Pelosi quando era presidente della Camera. Ma la vera forza della nuova dottrina viene dai blog. The Daily Beast, New Deal 2.0, Naked Capitalism, Firedoglake, sono tra i blog che ospitano l'elaborazione del pensiero alternativo. Hanno conquistato milioni di lettori: è una conferma di quanto ci sia sete di terapie nuove, e quanto sia screditato il "pensiero unico".

La Teoria Monetaria Moderna è ben più radicale del pensiero "keynesiano di sinistra" al quale siamo abituati. Perfino due economisti noti nel mondo intero come l'ala radicale che critica Obama da sinistra, cioè i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, vengono scavalcati dalla Mmt. Stephanie Kelton, la più giovane nella squadra, ha battezzato una nuova metafora… ornitologica. Da una parte ci sono i "falchi" del deficit: come Angela Merkel, le tecnocrazie (Fmi, Ue), e tutti quegli economisti schierati a destra con il partito repubblicano negli Stati Uniti, decisi a ridurre ferocemente le spese. Per loro vale la falsa equivalenza tra il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia, che non deve vivere al di sopra dei propri mezzi: un paragone che non regge, una vera assurdità dalle conseguenze tragiche secondo la Mmt.

Poi ci sono le "colombe" del deficit, i keynesiani come Krugman e Stiglitz. Questi ultimi contestano l'austerity perché la giudicano intempestiva (i tagli provocano recessione, la recessione peggiora i debiti), però hanno un punto in comune con i "falchi": anche loro pensano che a lungo andare il debito crea inflazione, soprattutto se finanziato stampando moneta, e quindi andrà ridotto appena possibile. Il terzo protagonista sono i "gufi" del deficit. Negli Stati Uniti come nell'antica Grecia il gufo è sinonimo di saggezza. I "gufi", la nuova scuola della Mmt, ritengono che il pericolo dell'inflazione sia inesistente. Secondo Galbraith Jr. «l'inflazione è un pericolo vero solo quando ci si avvicina al pieno impiego, e una situazione del genere si verificò in modo generalizzato nella prima guerra mondiale». Di certo non oggi.

Il deficit pubblico nello scenario odierno è soltanto benefico, a condizione che venga finanziato dalle banche centrali: comprando senza limiti i titoli di Stato emessi dai rispettivi governi. Ben più di quanto hanno iniziato a fare Ben Bernanke (Fed) e Mario Draghi (Bce), questa leva monetaria va usata in modo innovativo, spregiudicato: l'esatto contrario di quanto sta avvenendo in Europa.

(21 febbraio 2012)





N. 6

Modern Money Theory: A Primer on Macroeconomics for Sovereign
Monetary Systems
Traduzione di un articolo di Randall Wray: Modern Money Theory: A Primer on Macroeconomics
for Sovereign Monetary Systems a cura di Niccolò Sgaravatti.

Questa settimana aggiungiamo un nuovo elemento a New Economic Perspective – un corso introduttivo sulla Modern Money Theory. Ogni lunedì pubblicheremo un pezzo relativamente breve, avanzando verso la costruzione di una teoria completa sul modo in cui la moneta “funziona” negli stati sovrani. Raccoglieremo poi commenti fino a mercoledì notte, e pubblicheremo le risposte ai commenti di giovedì. I commenti devono riferirsi direttamente all'articolo della settimana. Poiche’ stiamo cercando di sviluppare una comprensione della MMT, noi soprattutto incoraggiamo i commentatori a farci sapere dove non siamo stati chiari. Poiché presenteremo il materiale durante il corso dell'anno, a volte dovremo fare appello alla vostra pazienza – chiaramente noi non possiamo presentare la teoria completa tutta in una volta.

Questi blog iniziano dalle basi; nessuna conoscenza pregressa della MMT – o persino di economia – è richiesta. I blog sono sequenziali; ogni blog è basato sui precedenti. I blog saranno a livello teorico, con limitati riferimenti a casi specifici, storie e politiche. Ciò è intenzionale. Un corso introduttivo dovrebbe fornire una visione generale che possa essere calata sulle situazioni nazionali specifiche. Le pagine abituali di NEP continueranno a trattare le problematiche attuali del mondo. Il corso introduttivo rimarrà su di un piano diverso.
Ciò che segue è una veloce introduzione sullo scopo e sul background del corso.


Introduzione alla MMT
Negli anni recenti si è sviluppato un approccio alla macroeconomia chiamato “modern money theory”. Le componenti della teoria non sono nuove, ma l'integrazione orientata ad una analisi coerente lo è. Il mio primo tentativo di fare una sintesi è stato nel mio libro del 1998, Understanding Modern Money. Quel libro tracciò sia la storia della moneta che la storia del pensiero che ne guidò l'impostazione. Presentò anche la teoria ed esaminò sia le politiche fiscali che monetarie dal punto di vista della “moneta moderna”. Da quella volta sono stati fatti grandi passi avanti nell'applicazione della teoria per lo sviluppo di una comprensione degli aspetti operativi in gioco.

Volendo farla semplice, abbiamo scoperto come la moneta “funziona” nell'economia moderna. Le scoperte sono state riportate in un gran numero di pubblicazioni accademiche. Inoltre, la crescita della “blogosfera” ha diffuso le idee largo il mondo. La “Modern money theory” è largamente riconosciuta come una più-o-meno coerente alternativa alle visioni convenzionali. Comunque, gli articoli accademici e i blog brevi non sono la sede appropriata per una introduzione completa all'approccio.

Questo corso cerca di colmare il gap presente tra le presentazioni formali nei giornali accademici e le presentazioni nei blog informali. Comincerà dalle basi per costruire una comprensione ragionevolmente sofisticata.

Inoltre, tratterà esplicitamente un altro gap: il caso delle nazioni in via di sviluppo. L'approccio dell'MMT è stato criticato spesso perché si concentrava troppo sul caso degli Stati Uniti, e molti critici hanno affermato che si può applicare poco o per niente nelle nazioni del mondo che non emettono la valuta di riserva internazionale. A dire il vero, quella critica è superata perchè i teorici della moneta moderna hanno applicato l'approccio a numerose altre nazioni, tra le quali Australia, Canada, Messico, Brasile e Cina. Nonostante questo, buona parte della letteratura si riferisce esplicitamente al caso delle nazioni sviluppate che operano con un tasso di cambio fluttuante.

Alcuni sostenitori hanno persino argomentato che la MMT non può essere applicata al regime di cambio a tasso fisso. E c'è stata molta poca applicazione della MMT nelle nazioni sviluppate (molte delle quali adottano tassi di cambio vincolati).
Così questo corso riempie anche quel gap—tratta esplicitamente regimi a tassi di cambio alternativi nonché la situzione delle nazioni in via di sviluppo. In quel senso, è una generalizzazione della modern money theory.

A differenza del mio libro del 1998, questo corso non rivisiterà la storia della moneta o la storia del pensiero. L'esposizione rimarrà soprattutto teorica. Riporterò alcuni esempi, un po'di dati, e qualche discussione sulle operazioni effettive nel mondo reale. Ma la discussione rimarrà in gran parte teorica. La teoria, comunque, non è difficile. E' costruita a partire da alcune semplici macro identità fino alla macroeconomia di base. E' disegnata per essere accessibile a chi ha poco background in economia—ci sono già molti critici, perciò il corso intende invece dare un contributo positivo.

Questo aiuta a tenere l'esposizione relativamente breve.
In questo corso esamineremo la teoria macroeconomica che è la base per analizzare l'economia che esiste realmente. Cominciamo con semplice macro contabilità, iniziando dal riconoscere che a livello aggregato la spesa eguaglia l'introito. Poi ci spostiamo ad un visione dei bilanci settoriali mostrando che i deficit di un settore devono essere controbilanciati dai surplus di un altro.
Concludiamo affermando che è necessario assicurare la coerenza di stock e flussi: i deficit si accumulano in debito finanziario, i surplus si accumulano in beni finanziari. Enfatizziamo che tutti questi risultati si possono applicare su ogni nazione perchè conseguono da identità macroeconomiche.

Poi ci spostiamo su una discussione di regimi delle valute—dal tasso di cambio fisso(currency board arrangements e pegs), ai regimi fluttuanti gestiti, e alla fine ai regimi di cambio fluttuanti.
Possiamo pensare alle possibilità come ad un continuum, con molte nazioni sviluppate verso la parte dello spettro del regime fluttuante e con molte nazioni in via di sviluppo verso la parte a cambio fisso.

Esamineremo come spende un governo che emette la propria moneta. Prima daremo un'analisi generale che si applica a tutti i regimi monetari, poi mentre ci muoveremo lungo il continuum dei tassi di cambio, discuteremo le limitazioni che questi pongono alle politiche interne. Sarà sostenuto che che il regime a tasso di cambio fluttuante comporta un maggiore spazio per le politiche interne.
La tesi è legata al famoso “trilemma” dell'economia aperta –una nazione può scegliere solo due di tre politiche: mantenere un tasso di cambio fisso, mantenere un tasso di interesse fisso, permettere la mobilità dei capitali. Sarà qui sostenuto quindi che una nazione che sceglie un regime di cambio fisso può non essere abile di portare avanti politiche interne dedite a conseguire piena occupazione con robusta crescita economica.

Dopo—molto dopo—mostreremo come l'approccio della “finanza funzionale” di Abba Lerner segua direttamente dalla MMT. Ciò porta ad una discussone sulla politica fiscale—non solo cosa la politca può fare, ma anche cosa la politica dovrebbe fare. Ancora, la discussione sarà generale perchè l'obiettivo principale del Primer è quello di definire della teoria che possa servire come base per la formazione di politche. L'intento di questo Primer non è quello di spingere alcuna particolare agenda politica. Può essere usato altrettanto da fautori dello “stato grande” che da chi preferisce lo “stato piccolo”. Le mie preferenze sono note, ma la MMT è neutrale.

Come menzionato sopra, un'intenzione principale di questo corso è quella di applicare allo studio delle nazioni in via di sviluppo i principi sviluppati dalle recenti ricerche sui bilanci settoriali e l'approccio dal punto di vista della moneta moderna. Il Levy Economics Institute, seguendo il lavoro di Wynne Godley e Hyman Minsky, è stato all'avanguardia nelle ricerche su questi temi, ma il grosso dell'attenzione è stata incentrata sulla situazione delle nazioni sviluppate. Jan Kregel, nel suo lavoro allo UNCTAD, ha usato questo approccio sull'analisi delle economie delle nazioni in via di sviluppo. Levy e altri usarono l'approccio di spingere per l'implementazione di programmi di creazione di lavoro nelle nazioni sviluppate ed in via di sviluppo. Questo corso estenderà quelle analisi, riconoscendo esplicitamente le differenti scelte politiche disponibili alle nazioni con regimi di cambio alternativi.

Alla fine, esploreremo la natura della moneta. Vedremo che la moneta non può essere un bene, piuttosto, deve essere un pagherò. Persino una nazione che opera con uno standard in oro sta in realtà operando con pagherò monetari, sebbene alcuni di questi pagherò siano convertibili a richiesta in un metallo prezioso.
Mostreremo perché le economie monetarie tipicamente operano a capacità ridotta, con risorse disimpegnate compreso il lavoro. Esamineremo anche la natura della fiducia nel credito, che è la ragione per cui alcuni debiti monetari sono più accettabili di altri. Come il mio professore, il tardo e grande Hyman Minsky era solito dire “chiunque può creare moneta, il problema sta nel farla accettare”.
Questa serie di blog in realtà cominciò come uno sforzo per fornire un corso di base in macroeconomia che potesse essere usato dagli analisti dei paesi in via di sviluppo sui loro paesi, come alternativa ai libri di testo macroeconomici che soffrono di una varietà di difetti. L'intento non era di criticare la teoria ortodossa ma piuttosto di dare un contributo positivo che mantenesse la coerenza degli stock e dei flussi riconoscendo nel frattempo le differenza tra regimi di cambio alternativi. Jesus Felipe alla Asian Development Bank mi esortò a mettere assieme una versione che potesse circolare più largamente. Nello stesso tempo, numerosi blogger hanno chiesto a coloro che hanno scritto sulla MMT di offrire una spiegazione concisa dell'approccio. Molti professori ci hanno anche chiesto un libro di testo da usare nelle classi.

Il corso è disegnato per soddisfare almeno alcune di queste richieste, sebbene un testo per l'uso nelle aule dovrà aspettare. Per tenere il progetto gestibile, io non mi inoltrerò profondamente in dettagli operativi. Ciò richiederebbe un'analisi ravvicinata delle procedure specifiche adottate in ogni stato.
È stato già fatto su pubblicazioni accademiche per alcune nazioni (come già menzionato, per gli Stati Uniti, Australia, Brasile, con qualche trattazione del Messico e della Cina). Dal momento in cui sto puntando ad un pubblico non specialista, ho intenzione di lasciare questi dettagli fuori dal corso. Ciò che do è una introduzione di base alla MMT che non richieda una gran mole di studi precedenti in economia. Lascerò da parte la matematica e il gergo non necessari. Costruirò a partire da quelli che possiamo chiamare “principi primi” fino ad arrivare ad una teoria sul modo in cui la moneta in realtà “funziona”. Nonostante affrontare una grande varietà di questioni politiche ed eventi attuali sia una tentazione—specialmente dato il disordine finanziario globale di oggi— cercherò di rimanere vicino a questo compito.


Ringrazio il gruppo MMT con cui ho lavorato negli ultimi 20 anni dato che abbiamo sviluppato l'approccio assieme: Warren Mosler, Bill Mitchell, Jan Kregel, Stephanie Kelton, Pavlina Tcherneva, Mat Forstater, Scott Fullwiler, and Eric Tymoigne, come molti studenti passati tra i quali ringrazio Joelle LeClaire, Heather Starzinsky, Daniel Conceicao, Felipe Rezende, Flavia Dantas, Yan Liang, Fadhel Kaboub, Zdravka Todorova, Shakuntala Das, Corinne Pastoret, Mike Murray, Alla Semenova and Yeva Nersisyan. Altri—alcuni dei quali erano inizialmente critici su alcuni aspetti dell'approccio—hanno pure contribuito allo sviluppo della teoria: Charles Goodhart, Marc Lavoie, Mario Seccareccia, Michael Hudson, Alain Parguez, Rob Parenteau, Marshall Auerback, and Jamie Galbraith. Altri collaboratori internazionali, tra i quali Peter Kreisler, Arturo Huerta, Claudio Sardoni, Bernard Vallegeas, and Xinhua Liu mi hanno dato l'occasione di mettere alla prova le idee di fronte al pubblico estero.
Molti blogger hanno aiutato a diffondere il messaggio, tra i quali Edward Harrison, Lambert
Strether, Dennis Kelleher, Rebecca Wilder, Yves Smith, Joe Firestone, Mike Norman, Tom Hickey, e le persone di New Economic Perspectives di Kansas City, Lynn Parramore di New Deal 2.0, Huffington Post, e Benzinga che ha pubblicato (e soprattutto, interpretando due ruoli, Bill Mitchell a billyblog!). Tutti questi al CFEPs negli Stati Uniti e al Coffee in Australia ed Europa hanno aiutato a promuovere le idee nell'ultimo decennio. Un grande grazie a tutti. Basta con i preliminari, la settimana prossima cominceremo con la teoria.









N. 7


documento degli economisti 2011

martedì 15 novembre 2011

Per un cambiamento della politica economica in Italia ed Europa che rilanci domanda,


Al Parlamento della Repubblica Italiana e alle forze politiche

Per un cambiamento della  politica economica in Italia ed Europa che rilanci domanda,
 sviluppo e occupazione

In questo difficile momento il paese ha bisogno di un governo autorevole che agisca con determinazione sia all’interno che nel quadro europeo e globale. Pur non nascondendo le gravi responsabilità che competono a buona parte della classe dirigente nazionale per non aver saputo attuare politiche che favorissero lo sviluppo del paese, la stagnazione dell’economia italiana nell’ultima decade trova la sua principale spiegazione nell’ambito del contesto macroeconomico europeo, e in particolare nell’assenza, nella costruzione dell’Unione Monetaria, di un quadro di politiche fiscali e monetarie coordinate volte alla crescita, alla piena occupazione, all’equilibrio commerciale fra gli stati membri, e a una maggiore equità distributiva nei paesi e fra i paesi.
La crisi europea e il suo aggravamento, in particolare con l’attacco ai titoli del debito pubblico italiano, trovano la loro origine in questa assenza e sono solo parzialmente riconducibili alla progressiva caduta di credibilità del governo sinora in carica. La mancata iscrizione tra i compiti della Banca Centrale Europea del tradizionale ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dei debiti sovrani ha contribuito ad esporre all’attacco i titoli del debito italiano e di altri paesi europei. Le misure intraprese dai paesi dell’Eurozona per sostenere i debiti sovrani, e in primo luogo il cosiddetto Fondo Salva-Stati, risultano del tutto insufficienti anche per i debiti delle economie più piccole, e a maggior ragione per quelli dei paesi più grandi. Per di più le misure di restrizione dei bilanci pubblici che vengono richieste in cambio di quegli aiuti hanno aggravato la recessione e la stessa crisi finanziaria nei paesi beneficiari. Attualmente l’Eurozona è senza una bussola. Per l’opposizione del paese più forte, nell’ultima riunione del G-20 essa ha persino respinto la proposta di una emissione di Diritti Speciali di Prelievo da parte del Fondo Monetario Internazionale a sostegno dei debiti sovrani sotto attacco. Sono in gioco la sopravvivenza dell’Unione Monetaria e del Mercato Unico, e la stabilità economica europea e globale.
I firmatari di questo appello ritengono che la grave situazione attuale nelle sue cause contingenti e di lungo periodo non possa essere affrontata se non nel quadro di un progressivo mutamento dell’insieme delle politiche economiche europee, fatte salve le azioni di politica economica che l’Italia deve intraprendere al suo interno. Siamo per un più pieno coordinamento delle politiche fiscali, monetarie e salariali in Europa, che includa a pieno titolo la piena occupazione fra gli obiettivi. Per questo siamo fermamente contrari alla iscrizione nelle Costituzioni nazionali della clausola del pareggio del bilancio pubblico.
In queste circostanze riteniamo che il nuovo esecutivo debba rapidamente muoversi nelle sedi europee appropriate, con la necessaria determinazione e le necessarie alleanze politiche, per ottenere una garanzia ferma e illimitata della BCE sul debito sovrano italiano e degli altri paesi dell’Eurozona, volto a ricondurre i tassi di interesse ai livelli pre-crisi -intervento da tempo sostenuto anche dall’Amministrazione americana e da molti autorevoli economisti di diverso orientamento teorico. Riteniamo, anche in questo caso con il conforto di opinioni diffuse tra gli economisti, che politiche di riduzione dei debiti pubblici siano in questa fase controproducenti, e reputiamo quindi che la richiesta nei riguardi della BCE vada accompagnata da un impegno non già all’abbattimento, ma bensì alla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil in Italia e negli altri paesi in difficoltà. Un nuovo esecutivo, tecnico o politico, che si configurasse invece come mero esecutore delle richieste europee, quali espresse nelle scorse settimane, determinerebbe un aggravamento della crisi economica e finanziaria in Italia e in Europa, con devastanti conseguenze sociali e l’insostenibilità degli attuali accordi, monetari e commerciali, nell’UE. Fermo nella denuncia di tali pericoli, il Governo italiano si dovrebbe pertanto fare promotore in ambito europeo e del G-20 di politiche fiscali, monetarie e salariali concertate volte al rilancio della domanda aggregata, in particolare da parte dei paesi in forte avanzo commerciale.
La riduzione dei tassi, accompagnata dall’impegno alla stabilizzazione del rapporto debito/Pil, nel quadro di politiche internazionali espansive libererebbe nel nostro paese risorse per la crescita sia dal lato del sostegno della domanda interna che del rilancio della competitività. Riteniamo in particolare che tali risorse - assieme a quelle che dovranno provenire da una seria lotta all’evasione fiscale, da un'imposta che colpisca i patrimoni su base regolare e annua e non una tantum, e dalla razionalizzazione della spesa pubblica (inclusi i costi della politica) - vadano prioritariamente destinate alla riduzione del carico fiscale sul lavoro, con un aumento dei salari netti, al sostegno di istruzione, ricerca e cultura, all’aumento degli investimenti per l’industria pubblica e il Mezzogiorno, alla difesa dell’ambiente, all’efficienza della giustizia e della pubblica amministrazione, alla difesa della legalità. Su questi obiettivi un nuovo e più autorevole esecutivo dovrebbe impegnarsi in Europa chiedendo e restituendo fiducia al popolo italiano.

Adesioni
Acocella Nicola, Università di Roma 1
Agustí Colom. University of Barcelona. Spain
Alacevich Michele, Columbia University, New York, USA
Aldred Dr. Jonathan University of Cambridge, U.K. : Fellow in Economics, Emmanuel College
Alfonso Vadillo, Facultad de Economía
Andriani Silvano, economista, ex Parlamentare
Arachi Giampaolo,Università del Salento
Archer Richard, President, Catalyst Australia
Ariani Fabrizio Economics Department University of Leicester
Artoni Roberto, Università Bocconi Milano
Aspromourgos Tony (University of Sydney)
Associate Prof. of Economics, Dept. of Finance & Economics, King Fahd University , Dhahran, Saudi Arabia
Babos Paola, Planning Specialist / Spécialiste en Planification, UNICEF Burkina Faso
Bagnai Alberto, Università Gabriele D’Annunzio Pescara
Barba Aldo, Università di Napoli Federico II
Barkin    David, Profesor de Economía, Universidad Autonoma Metropolitana-Xochimilco, Coyoacan, DF MEXICO
Barry John, Queen's University Belfast (UK)
Basil John Moore, Economics Department Stellenbosch University, South Africa.
Bass Hans-Heinrich, Bremen University A. S., Germany
Battistini Alberto Università di Siena
Bazzani Guido M. CNR IBIMET Bologna
Benería Lourdes, Professor Emerita of Graduate Studies, Cornell University, Ithaca, USA and Senior Associate IIEDG (Inter-University Institute on Women and Gender Studies), Barcelona, Spain
Berti Alessandro, Università di Urbino
Biagioli Marco, Università di Parma
Bibi Samuele, Universitá di Roma 3
Bina Cyrus Distinguished Research Professor of Economics, University of Minnesota (Morris Campus), USA
Birolo Adriano, Università di Padova
Blaas Wolfgang, Vienna University of Technology, Austria
Blankenburg Stephanie, SOAS Università di Londra
Boffo Marco, School of Oriental and African Studies, University of London.
Bonifati Giovanni Università di Modena e RE
Bosco Luigi, Università di Siena
Bosi Paolo, Università di Modena e Reggio Emilia
Branco Manuel, University of Évora, Portugal.
Cabrera Morales Sergio, Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM)
Cademartori Invernizzi José, Ex Ministro del Presidente Allende
Caianiello Eva, dottoranda, Ecole des Hautes Etudes di Parigi.
Campa Giuseppe ,  Università di Roma, Sapienza
Canale Rosaria Rita, Università di Napoli Parthenope
Cangiani Michele, Università Ca’ Foscari Venezia
Caravelis Georges, European Parliament, DG IPOL  secretariat, Brussels:
Carmichael Dr F, Reader in Industrial and Labour Economics, Univ. of BHam (UK)
Carrera Antonio Cuerpo, Università Complutense Madrid (Spagna)
Caruso Enza (università degli studi di Perugia
Caselli Gianpaolo, Università di Modena e Reggio Emilia
Caselli Lorenzo Università di Genova
Castellano Rosaria, Università di Macerata
Cesaratto Sergio,  Università di Siena
Chernomas Robert, University of Manitoba
Chiodi Guglielmo, Università di Roma 1
Cho Bokhyun, Professor of Economics, Hanbat National University, South Korea, Daejeon City, South Korea
Ciccone Roberto,  Università di Roma 3
Claudio Sardoni Professor of Economics Department of Economic and Social Analyses Sapienza University of Rome
Consigliere Isabella (Ord. Pol. Ec.Università di Genova)
Contini Bruno, "S. Cognetti de Martiis" Università di Torino
Correa Eugenia,  UNAM-Mexico.
Corsi Marcella, Università di Roma 1
Costabile Lilia, Università di Napoli Federico II
Cozzi Terenzio Università di Torino
Cruccolini Roberto, Arbeitsgemeinschaft kommunale und kirchliche Altersvorsorgung, München
D’Ippoliti Carlo, Università di Roma 1
Daniela Venanzi Professore Ordinario di Finanza aziendale Università degli Studi di Roma Tre
D'Apice Carmela Università di Roma 3
De Cecco Marcello, Scuola Normale Superiore di Pisa
De Francesco Massimo Università di Siena
De Leo Manfredi (Dottorando, Università Roma 3)
De Muro Pasquale, Università di Roma 3
De Nicola Fernando ricercatore ente pubblico di ricerca
De Vivo Giancarlo, Università di Napoli
Della Valle Claudio, economista, Independent International Consultant
Devillanova Carlo, Università Bocconi Milano
Di Gioacchino, Debora Department of Economics and Law, Sapienza University of Rome
Di Giorgi Umberto, Università di Roma 3
Di Guilmi Corrado, University of Technology, Sydney, Australia
Di Laurea Davide, Istat
Ditta Leonardo, Università di Perugia
Dorato Lorenzo, dottorando economia RomaTre
Edwards Michael, The Bartlett School, UCL, London
Elia Valerio, Università del Salento
Elsner Wolfram, Univ Bremen, Econ & Business Studies
Weeks John, Professor Emeritus, University of London
Epstein Gerald, University of Massachusetts, Amherst, MA, Usa
Evans Trevor, Berlin School of Economics and Law
Fabio Clementi, Dipartimento di studi sullo sviluppo economico, Università degli studi di Macerata
Farina Francesco, Università di Siena
Febrero Panos Eladio, Università di Castilla La Mancha (Spagna)
Felice Emanuele, Università autonoma di Barcellona (Spagna)
Fernando Pellerano Morilla, Universidad Autónoma de Santo Domingo, Santo Domingo, DOMINICAN REPUBLIC
Ferreiro Jesus, University of the Basque Country, Spain
Figuera Prof. Stefano Università degli Studi di Catania
Filipenko Anton, Taras Shevchenko Kyiv UniversityUkraine
Fiorito Alejandro, Universidad de Buenos Aires, Argentina
Fiorito Luca, Università di Palermo
Fischer Andrew M., International Institute of Social Studies of Erasmus University Rotterdam (ISS)
Fontana Marzia, Research Fellow, Institute of Development Studies at University of Sussex , U.K.
Forges Davanzati Guglielmo, University of Salento
FRANGAKIS MARICA, NICOS POULANTZAS INSTITUTE, ATHENS
Franzini Maurizio,  Università di Roma 1
Fratini Saverio M., Università di Roma 3
Frenkel Roberto CEDES
Fubini Lia, Università di Torino
Fullbrook Edward http://rwer.wordpress.com/
GARCIA-ARIAS Jorge, Department of Economics, University of Leon. Spain
Garofalo Guseppe Università di Roma 1
Garofalo Maria Rosaria, Università di Salerno
Gezgin Ulas Basar, former economics lecturer, Turkey-Vietnam
Ghignoni Emanuela, Università di Roma 1
Ghosh Jayati, Jawaharlal Nehru University, New Delhi, India.
Giannetti Marilena Department of Economics and Law University of Rome 1
Gianni Alfonso, già sottosegretario all’Industria (governo Prodi)
Ginzburg Andrea, Università di Modena e Reggio Emilia
Gnesutta Claudio, Università di Roma 1
Gomersall Nicholas (Luther College, Decorah, USA)
Gottardi Donata, ordinaria di diritto del lavoro, Università di Verona
Graça João Carlos, Departamento de Ciências Sociais, Universidade Técnica de Lisboa, Portugal
Granaglia Elena, Università di Roma3
Grillo Michele Università Cattolica Milano
Hamel Pierre J., INRS, Montréal, Québec
Harcourt G. C., University of New South Wales, Formerly University of Cambridge, UK
Hargreaves Heap Shaun P. University of East Anglia, Norwich UK
Helmedag Fritz, Lehrstuhl Volkswirtschaftslehr Technische Universität Chemnitz     
Hermann Arturo, Primo ricercatore presso ISTAT.
Hodgson Geoffrey, Università di HertfordShire (RU)
Holterman Martin, European University Institute
Iacono Roberto, Phd Candidate, Department of Economics, Norwegian University of Science and Technology, Trondheim
Ietto-Gillies Grazia, Emeritus Professor of Applied Economics, London South Bank University
Imperia Andrea Uniroma 1
Jaén-Garcia Manuel.  University of Almería (Spain)
Jakob Vestergaard, Danish Institute for International Studies, Copenhagen, Denmark
Jo Tae-Hee, Buffalo State College, US
Jorge Carreto, Universidad Nacional Autonoma de Mexico (UNAM), 
Jorge Garcia- Arias, University of Leon Spain
Jossa Bruno, Università 'Federico II' di Napoli
Keen Prof. Steve, School of Economics & Finance,University of Western Sydney,Australia
Kerr Prudence, University of Adelaide, AUSTRALIA
King John, La Trobe University, Melbourne (Australia)
Klaus Nielsen, Professor of Institutional Economics, Birkbeck, University of London, United Kingdom
Krimpas George E., Università di Atene (Grecia)
Kurz Heinz D., University of Graz , Austria
Laibman David, Professor (Emeritus), City University of New York, USA
Lampa Roberto, Università del Salento - New School for Social Research
Lavoie Marc, Università di Ottawa (Canada)
Lazzarini Andres, University of Buenos Aires & CONICET, Argentina
Lee Frederic S., Department of Economics, University of Missouri-Kansas City
Leon Paolo, Università di Roma 3
Levrero Enrico Sergio, Università di Roma 3
Levy-Orlik Noemi, UNAM, Mexico
Liagouras George, University of the Aegean, Chios Business School, Chios, Greece
Libanio Gilberto, Faculdade de Ciências Econômicas, Universidade Federal de Minas Gerais Brazil
Lisi Domenico, Research Assistant, Università degli Studi di Catania
Liudmyla Vozna (independent economist) Ukraine (Zhitomir)
Lo Turco Alessia, Università Politecnica delle Marche
Loaiza Quintero Osmar Leandro, Universidad Nacional de Colombia, FCHE, Medellín
Lombardi Mauro, Università di Firenze
Loperato Francis Luiz C., Università di Campinas (Brasile)
Lopez Julio, Universidad Nacional Autonoma de Mexico
Louis-Philippe Rochon, Laurentian University, Ontario (Canada)
Luca Fantacci, Università Bocconi Milano
Luca Solari Professore straordinario di Organizzazione aziendale Università degli Studi di Milano
Lucarelli Bill, University of Western Sydney
Lucarelli Stefano, Università di Bergamo
Luengo Fernando, Economía Aplicada, Instituto Complutense de Estudios Internacionales, Campus de Somosaguas (Spagna)
Lugli Loris, già direttore IRES Emilia Romagna
Lunghini Giorgio, Università di Pavia
Maccarini Andrea M. Department of SociologyUniversity of Padova
Michl Thomas, Economics, Colgate University Hamilton, New York
Madsen Ove  Mogens, Aalborg University (Danimarca)
Maffeo Vincenzo, Università di Roma 1
Maharajh Rasigan, chief director institute for economic research on innovation, faculty of economics and finance, tshwane university of technology, South Africa
Mañé-Estrada Aurèlia, Economic Policy lecturer (Universitat de Barcelona)
Mántey Guadalupe, Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM)
Marani Ugo, Università di Napoli Federico II
Marco MUSELLA, Ord. di Economia Politica, Preside di Scienze Politiche
Marco Ponti, professore ordinario di economia applicata Politecnico di Milano
Marcuzzo Maria Cristina, Università di Roma 1
Margherita Russo, Professore di Politica Economica, Università di Modena e Reggio Emilia
Marletto Gerardo Università di Sassari
Martinelli Alberto Professor Emeritus of Political Science and Sociology, University of Milan, Italy
Matera Claudio, T.M.C. Asser Instituut, L'Aja, Paesi Bassi
Mazzucato Prof.a Mariana, SPRU, University of Sussex
McCrate Elaine, Economics and Women's Studies, University of Vermont, USA
McDonnell Thomas, Economist, Think-Tank for Action on Social Change (TASC), Dublin, Ireland
McDonough Prof. Terrence,Economics, National University of Ireland, Galway
Meaulle Matthieu, Economic Advisor, Foundation for European Progressive Studies (FEPS), Brussels
Michelini Luca, Università LUM Bari
Milonakis Dimitris, Department of Economics, University of Crete
Mistri Maurizio, Università di Padova
Mittone Luigi, Director Computable and Experimental Economics Laboratory, University of Trento
Mohun Simon, Emeritus Professor of Political Economy, Queen Mary, University of London
Mohun Simon, Emeritus Professor of Political Economy, Queen Mary, University of London
Mongiovi Gary, St.Johns University (USA)
Morroni Mario, Università di Pisa
Mott Tracy, Department Chair, Department of Economics, University of Denver, U.S.A.
Musotti Francesco, Università di Perugia
Naldi Nerio Uniroma1.it
Napolitano Oreste, Università di Napoli Parthenope
Nissanke Machiko, SOAS, University of London
Nuti Domenico Mario, Università di Roma 1
Ofria Ferdinando, Università di Messina
Ortona Guido, Università del Piemonte Orientale, Alessandria
Osculati Franco, Ordinario di Scienza delle Finanze, Università di Pavia
Pack Spencer J. Professor of Economics, Connecticut College, New London, CT  USA
OTMANI Abdelhafid, Paris8 university
Ötsch Walter Otto, Johannes Kepler Universität, Linz, Austria
Pagano Ugo, Università di Siena
Paladini Ruggero , Università di Roma 1
Palazzi Paolo, Università di Roma 1
Palma Daniela - ENEA
Palumbo Antonella, Università di Roma 3
Pancotto Francesca Assistant Professor of Economics University of Modena and Reggio Emilia
Panico Carlo, Università di Napoli
Paolo PAESANI TOR VERGATA
Park Man-Seop, Università di Seul (Corea del sud)
Parodi Giuliana Università D'Annunzio Chieti-Pescara
Parrinello Sergio Università di Roma 1
Pastrello Gabriele, Università di Trieste
Pat Devine, University of Manchester, UK
Peacock Mark, York University, Toronto, Canada
Pennacchi Laura, Fondazione Basso
Pereira Fernando Batista , Cedeplar/Universidade Federal de Minas Gerais
Perri Stefano, Università di Macerata.
Pessali Huascar (Federal University of Parana, Brazil)
Picchio Antonella, Università di Modena e Reggio Emilia
Pier Luigi Porta Università degli studi di Milano-Bicocca
Pires Eugénia, Economista, Portugal, Research student at SOAS London.
Pisauro Giuseppe professore ordin. Scienza delle finanze, Fac. Economia - La Sapienza
Pivetti Massimo, Università di Roma 1
Pizzuti F. Roberto, Università di Roma 1
Pochini Silvia Università di Pisa
Podkaminer Leon, Wiener Institut für Internationale Wirtschaftsvergleiche Vienna (Austria)
Pugno Maurizio, Università di Cassino
Puig Albert, Universitat Oberta de Catalunya (Spain)
Raberto Marco, University of Genova
Ramazzotti Paolo, Università di Macerata
Rangone Marco, Università di Padova
Rapetti Martin, University of Buenos Aires, Argentina.
Ravagnani Fabio, Università di Roma 1
Realfonzo Riccardo, Università del Sannio
REATI Angelo, former EU official
Ricci Andrea, Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino
Richardson Colin, Internet Economics Consultant, Imperial College London
Ricottilli Massimo Università di Bologna
Rock Charles P.  Dr., Visiting prof., National Research Univ.- Higher School of Economics, Moscow, Permanent Position: Professor of Economics, Economics Department, 
Rollins College, Winter ParkUSA
Rossi Sergio, Professore ordinario di economia, Università di Friburgo (Svizzera)
Russo Alberto, Università Politecnica delle Marche
Russo Vincenzo Università di Roma 1
Sabatini Fabio, Università di Roma 1
Saccareccia Mario, Università di Ottawa (Canada)
Sacconi Lorenzo, Università di Trento (direttore EconomEtica)
Salanti Andrea, Università di Bergamo
Saraceno Francesco, Research Center in Economics of Sciences-Po, Paris
Sau Lino, "S. Cognetti de Martiis" Università di Torino
Savoia Antonio (Dr), Lecturer in Development Economics , Institute for Development Policy and Management , The University of Manchester (UK)
Sawyer Malcolm, Università di Leeds
Scacciati Prof. Francesco, Dipartimento di economia, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Torino
Schaffer Harwood D., University of Tennessee Institute of Agriculture, Knoxville (US)
Schiattarella Roberto, Università di Camerino
Schraner Ingrid GAICD, School of Economics and Finance, University of Western Sydney, Australia
Sciulli Dario Ricercatore Dipartimento di Economia Università "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara
Sergio Brasini, Prof. Ord. di Statistica economica, Università di Bologna
Severati Paolo – Ricercatore Isfol
Shaikh Anwar, Professor of Economics, Department of Economics, New School for Social Research, New York
Silva Francesco, Università di Milano Bicocca
Simonazzi Anna, Università di Roma 1
Soci Anna, Univesrità di Bologna
Solari Stefano, Università di Padova
Soliani Riccardo Università di Genova
Sordi Serena, Università di Siena
Spalletti Stefano, Università di Macerata
Stefania Gabriele, dirigente ricerca CNR
Stefano Sylos Labini, ENEA Roma
Stein Howard, University of Michigan,
Stirati Antonella, Università di Roma 3
Stroffolini Francesca Università Federico II Napoli
Tabb William K., Professor of Economics Emeritus, City University of New York
Tamborini Roberto Dipartimento di Economia - Università di Trento
Theocarakis, Nicholas J., Faculty of Law, Economics and Politics, National University of Athens
Thomasberger Prof. Dr
.
Claus, University for Applied Sciences, Berlin
Tiberi Mario, Università di Roma 1
Torsten Heinrich, University of Bremen
Travaglini Carlo, M., Università di Roma 3
Trezzini Attilio Università di Roma 3
Tridico Pasquale Università di Roma 3
Trillo David (Madrid), profesor titular de Universidad Rey Juan Carlos
Tropeano Domenica, Università di Macerata
Università Federico II - Napoli
Uthman Dr. Usamah Ahmed
UXÓ JORGE, University of Castilla - La Mancha, Spain
Vaggi Gianni Università di Pavia
van Ophem Johan, Wageningen University, The Netherlands
Veneziani Roberto, School of Economics and Finance, Queen Mary University of London
Vercelli Alessandro, Università di Siena
Villa Paola Dipartimento di Economia Università degli Studi di Trento
Visaggio Mauro, Università degli Studi di Perugia
Vote Christopher, Graduate School of Economics, Hitotsubashi University, Tokyo
Watt Andrew, Senior researcher European Trade Union Institute
WHITE GRAHAM, School of Economic, THE UNIVERSITY OF SYDNEY
Zamparelli Luca, Università di Roma 1
Zezza Gennaro Università di Cassino e Levy Institute (USA)
































N. 8

Uscire dalla crisi con Keynes
keynesblog.wordpress.com
“La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo
convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale”
        John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta

John Maynard Keynes (1883-1946) è stato il più importante e “rivoluzionario” economista del Novecento. La sua teoria economica, che ruppe con la tradizione liberista del laissez-faire,cioè con l’idea che lo Stato non debba occuparsi di economia e lasciar fare al libero mercato, fu la base del New Deal inaugurato dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt per uscire dalla crisi iniziata nel 1929 con il crollo di Wall Street. Le politiche keynesiane, costituite soprattutto da investimenti pubblici, tassazione progressiva e protezione sociale, risollevarono l’economia americana e segnarono la politica economica dell’Occidente fino agli anni ‘70. L’abbandono di quel fecondo filone di pensiero, in favore di un libero mercato senza alcun contrappeso, ha sguarnito la politica e la teoria economica degli strumenti per comprendere e gestire i cicli e ha prodotto diseguaglianze sempre più gravi che, secondo molti, sono tra le cause della recessione di questi
anni.

Il principio della domanda effettiva
“Quando si risparmiano cinque scellini, si lascia senza lavoro un uomo per una giornata.”
- John Maynard Keynes, Esortazioni e profezie

- Keynes, contrastando alla radice la teoria economica allora dominante1, affermò che il
livello di produzione di una nazione, il suo reddito (cioè il PIL) e di conseguenza
l’occupazione, sono determinati dalla domanda. E’ cioè la domanda dei consumatori e di altre imprese che induce un’azienda a produrre di più, costruire nuovi impianti produttivi ed assumere nuovo personale. Questo principio prende il nome di “principio della domanda effettiva”.
Si tratta di una rottura radicale con il pensiero economico tradizionale, basato sulla legge di Say, cioè sull'idea che l'offerta crei la sua stessa domanda. Keynes invece comprese l’importanza della moneta come “riserva di valore”. Non è vero cioè che tutto ciò che viene prodotto venga necessariamente venduto e che il denaro ricavato venga completamente speso: la moneta infatti può essere accumulata ed è proprio l’eccesso di risparmio a creare quel deficit di domanda che causa il successivo abbassamento della produzione e quindi la disoccupazione.

Gli “animal spirits”: il capitalismo è instabile per natura
“Come sono deludenti, ora che li conosciamo, i frutti della brillante idea di ridurre la scienza
economica a un’applicazione matematica”
        John Maynard Keynes, “Alfred Marshall, 1842-1924” in Essay in Biography

Nella visione economica ortodossa prevale l’idea che il mercato sia in grado di auto-equilibrarsi. Il massimo che può accadere sono oscillazioni temporanee nella produzione, nel PIL e nell'occupazione, le quali però modificheranno altre grandezze economiche come salari e prezzi e quindi il sistema, come un pendolo, tornerà da solo in una situazione di equilibrio ottimale.
Keynes rifiuta l’idea che il capitalismo funzioni come un sistema meccanico e quindi rifiuta l'accostamento dell'economia alle scienze naturali ed “esatte”. Nel sistema capitalistico i protagonisti non sono oggetti inanimati sottoposti a immutabili leggi fisiche in ogni particolare del loro comportamento, ma persone dotate di volontà propria e inclini a sbagliare. A differenza dei classici – ma anche dei moderni economisti che immaginano gli attori del mercato (imprese, consumatori, banche, lavoratori) comportarsi sempre secondo “aspettative razionali” – Keynes vedeva l’economia dominata dagli “spiriti animali” degli imprenditori che, per la natura stessa del mercato, non sono in grado di prevedere ogni singola conseguenza della loro azione e pertanto agiscono di istinto o basandosi su previsioni parziali e spesso fuorvianti. Il mercato assomiglia molto ad un gioco d’azzardo in cui ogni partecipante deve indovinare il comportamento degli altri giocatori, con tutte le incertezze che ne derivano.
L’incertezza, le aspettative, la fiducia o la sfiducia in un futuro sostanzialmente inconoscibile, gli istinti (in particolare il desiderio di accumulare la moneta), rendono il capitalismo, quando viene lasciato a se stesso, soggetto a squilibri gravi e imprevedibili.
Ma per Keynes questa situazione non è disperata e non va accettata passivamente. Al contrario, tutta la scienza economica sarebbe inutile se si limitasse a descrivere semplicemente i fatti come fanno le scienze naturali. E’ inutile (e infondato teoricamente) sostenere che, nel lungo periodo, tutto tornerà alla normalità: “Questo lungo periodo è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo periodo saremo tutti morti”2. Il compito degli economisti, come quello dei medici, è trovare una cura.

Il mercato non è né efficiente né giusto
Per Keynes insomma il capitalismo è un cavallo imbizzarrito da domare, piuttosto che un docile cavallo a dondolo che tornerà senza alcun intervento esterno alla sua posizione di equilibrio dopo aver oscillato avanti e indietro3.
Il fatto poi che in esso domini la moneta e quella pulsione irrazionale verso l’accumulazione del denaro in sé, piuttosto come il denaro come semplice mezzo per acquistare beni e servizi utili o piacevoli, comporta il suo allontanamento dai bisogni reali che la società esprime: “Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari”4. Come se non bastasse spreca una quantità enorme di risorse nella lotta per la concorrenza. Keynes paragonò il mercato alla lotta delle giraffe per accaparrarsi le foglie di cui si nutrono. In questa lotta molte giraffe moriranno di fame mentre altre mangeranno più del necessario e una quantità di foglie
finirà semplicemente calpestata per terra5. Un’immagine del tutto contrapposta all’idea del mercato giusto ed efficiente dei liberisti6.
Invece di lasciare tutto al caso, origine di enormi sprechi e ingiustizie, Keynes sostiene che sia necessario guidare l’economia attraverso precise politiche monetarie e fiscali poiché i mercati non sono sempre in grado di raggiungere equilibri efficienti da soli, ma anzi il più delle volte falliscono.La disoccupazione di massa ne è l’esempio più evidente.

I livelli stabili di disoccupazione
“I difetti lampanti della società economica in cui viviamo sono la sua incapacità di provvedere alla
piena occupazione e la sua distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi”
        John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta

Keynes aveva un assillo: impiegare tutta la forza lavoro nella produzione. In altre parole la piena occupazione. Negli anni ‘30 enormi file di disoccupati andavano a ritirare il sussidio; Keynes si chiedeva come potesse accadere che nessuno si preoccupasse di far produrre qualcosa a quei lavoratori, piuttosto che pagare loro una piccola cifra per non fare nulla. Non era solo ingiusto per loro, era uno spreco per l’intera società.
Fino ad allora però nessuno aveva spiegato come fosse possibile l'assenza di piena
occupazione, ovvero che tutti coloro che cercavano un lavoro potessero trovarlo. La teoria economica classica non prevedeva una possibilità del genere. Essa sosteneva che il mercato, da solo, avrebbe riportato la situazione alla piena occupazione. Ma questo non si vedeva negli anni della Grande Depressione. Non c’era nessun “rimbalzo”, ma una disoccupazione persistente.
Gli economisti classici indicarono quindi nei sindacati i responsabili della disoccupazione: i
lavoratori non accettavano salari più bassi in modo che le aziende potessero ridurre i propri costi, favorendo la ripresa. Keynes sostenne che la critica non era fondata: “Non è chiaramente sostenuta dai fatti l'opinione che la disoccupazione che caratterizza uno stato di depressione sia dovuta al rifiuto da parte dei lavoratori di accettare una riduzione dei salari monetari. […] I lavoratori non sono affatto più esigenti nella depressione che nella prosperità, al contrario [...] Questi fatti dell'esperienza costituiscono un primo motivo per mettere in dubbio l'adeguatezza dell'analisi classica.”7 Al contrario, secondo Keynes, la graduale riduzione salariale avrebbe indotto i lavoratori a risparmiare di più, deprimendo i consumi e quindi la domanda, e annullando così i supposti effetti positivi del contenimento dei salari. Keynes comprese cioè che nell’economia di mercato può accadere che si raggiunga una situazione stabile di alta disoccupazione. Può accadere cioè che, una volta licenziati i lavoratori e chiuse un certo numero di imprese, la produzione totale rimanga stabile e che tale produzione venga venduta a chi ha ancora un reddito. Non si tratta quindi di una situazione transitoria, ma di un equilibrio, un equilibrio di sotto-occupazione. E’ contro il mantenimento di questo equilibrio che si concentrerà il lavoro di Keynes.

La domanda aggregata
Se il PIL e l’occupazione dipendono dalla domanda, per aumentarli occorrerà quindi incrementare la domanda aggregata (cioè la domanda dell’intera nazione). In altre parole, per uscire da una crisi, è necessario che qualcuno spenda di più in modo da assorbire la produzione in eccesso ed eventualmente indurre le imprese a produrre di più. La domanda aggregata è così definita:

Domanda aggregata =
Consumi + Investimenti + Spesa Governativa + Esportazioni – Importazioni

Vediamo come aumentare i vari addendi, in modo da incrementare la somma.
Un modo per aumentare i consumi è diminuire le tasse, cosicché che i cittadini abbiano più reddito disponibile. Diminuire però le tasse dei ricchi, come tradizionalmente ha fatto la Destra americana, potrebbe rivelarsi inefficace. Difatti i ricchi tendono a risparmiare la maggioranza dei loro redditi. Cento euro in più o in meno non fanno differenza. Viceversa diminuire le tasse sul reddito dei lavoratori è molto più efficace: aumentare di 100 euro il reddito netto di un lavoratore che guadagna 1000 euro significa incrementare la domanda aggregata di circa 90 euro.
Empiricamente, infatti, si riscontra che la propensione al consumo delle famiglie italiane è attualmente maggiore del 90%8.
Per aumentare gli investimenti (cioè la spesa delle imprese volta ad aumentare la produzione,come ad esempio l’acquisto di nuovi macchinari) si può diminuire il tasso di interesse sui prestiti.
E’ per questo che in genere le Banche centrali, in periodi di bassa crescita, riducono il tasso di interesse in modo tale che che le banche possano a loro volta diminuire gli interessi per i clienti.
Se infine vogliamo aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni, possiamo diminuire il valore della nostra moneta rispetto a quelle estere (svalutazione). In questo modo per i consumatori stranieri le nostre merci saranno meno costose, mentre quelle provenienti dall’estero verso di noi lo saranno di più.
Tutte queste politiche sono efficaci in situazioni non troppo distanti dal pieno impiego delle risorse produttive. In una crisi arriva però un punto in cui tutto ciò non basta più. Anche diminuendo il tasso di interesse a zero, le imprese non chiederanno prestiti e non faranno investimenti: nessuno aumenta la sua produzione se prevede di non poterla smaltire. Le imprese preferiranno quindi tenere il denaro liquido invece di investirlo (“trappola della liquidità”). Anche i consumatori, se sono spaventati dal futuro, tenderanno (se il loro reddito è ancora abbastanza elevato) a risparmiare percentuali maggiori della norma. Riguardo i cambi, non si può oltrepassare un certo limite: se si
svaluta troppo la moneta, le merci provenienti dall’estero costeranno troppo e alcune di esse sono essenziali per la stessa produzione (come, ad esempio, il petrolio).
In questa situazione quindi le politiche monetarie della Banca centrale o le politiche sul lato del prelievo impositivo non bastano più. Serve agire sul parametro che rimane libero: la spesa governativa.

Lo Stato come propulsore della crescita
“Sembra improbabile che l’influenza della politica bancaria sul saggio di interesse sarà sufficiente da sé sola a determinare un ritmo ottimo di investimento. Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento si dimostrerà l’unico mezzo per farci avvicinare alla piena occupazione”
        John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta

Keynes suggerì quindi che fosse lo Stato a fare ciò che l’economia privata, da sola, non riusciva a fare. In particolare Keynes propose i lavori pubblici come antidoto alla crisi: strade, ferrovie, case.
Oggi potremmo aggiungere: banda larga, assetto del territorio, energie verdi. Tutti questi
investimenti pubblici non solo aumenterebbero la domanda, ma occuperebbero anche direttamente centinaia di migliaia o milioni di persone. E’, in effetti, la ricetta che gli Stati Uniti applicarono per affrontare la Grande Depressione.
Keynes inoltre proponeva che lo Stato si occupasse di ciò che il privato non aveva convenienza a produrre e che monitorasse costantemente la situazione economica, non solo agendo sulla tassazione e sul tasso d'interesse, ma anche avendo sempre pronto un piano di investimenti pubblici al fine di riequilibrare il sistema economico tramite l'iniezione di domanda aggiuntiva.
Keynes era ben consapevole infatti dei limiti del capitalismo nell'indirizzare correttamente gli investimenti: “Lo scopo sociale dell’investimento consapevole dovrebb’essere di sconfiggere le oscure forze del tempo e dell’ignoranza che avviluppano il nostro futuro. Invece lo scopo privato dei più esperti investitori di oggi è to beat the gun …, mettere nel sacco la gente, riuscire a passare al prossimo la moneta cattiva o svalutata”9.
Nell'Europa del dopoguerra i governi, in particolare quelli socialdemocratici, sono andati oltre questa concezione. Le aziende di stato e le partecipazioni pubbliche hanno svolto inoltre un ruolo di indirizzo degli investimenti, compresi quelli privati. Molto spesso le aziende di stato sono state i “campioni nazionali” che hanno aiutato la crescita delle economie dei diversi paesi e la loro competitività, anche attraverso l’innesco di fecondi processi di innovazione del tessuto produttivo, che diversamente (a causa dell’incertezza collegata alla redditività dell’investimento in nuove tecnologie) non si sarebbero potuti realizzare. Dagli anni '80 invece si è assistito ad una costante
privatizzazione delle aziende pubbliche, alla dismissione delle partecipazioni statali e alla
deregolamentazione dell'economia e della finanza, con il risultato che gli “spiriti animali” hanno ripreso i sopravvento. Dopo 30 anni di liberismo, nella crisi partita nel 2007/2008 sono stati proprio i paesi ad economia mista o comunque con una forte presenza pubblica quelli che meno hanno risentito della grave situazione economica mondiale, tanto che l'Economist nel gennaio del 2012 ha dedicato una copertina all' “ascesa del capitalismo di stato”.

Il moltiplicatore keynesiano
Supponiamo che lo Stato decida di dotare il Paese di una rete telematica ad alta velocità che arrivi in tutte le case, gratis o a prezzi molto contenuti. La realizzazione di questa infrastruttura andrebbe direttamente ad aumentare il PIL. Ma non finisce qui. L’azienda che realizza la rete (che eventualmente potrebbe essere anche un’azienda pubblica) dovrà comprare materiali, affittare sedi, investire in macchinari, ecc. Questo incrementerà la domanda dei beni necessari alla produzione.
Dovrà anche assumere un certo numero di persone e pagare consulenze tecniche. Queste persone si ritroverebbero un reddito che prima non avevano e che spenderebbero, ad esempio, in alimenti, vestiti, divertimenti e accendendo un mutuo per comprare una casa. Ciò stimolerebbe la domanda di beni di consumo e appartamenti, oltre a stimolare il commercio. A loro volta i produttori di beni di consumo e appartamenti dovrebbero far fronte alla domanda crescente, e così via.
Sebbene questo ciclo non sia infinito, in quanto ad ogni passaggio i vari soggetti tenderanno a non spendere tutto il proprio nuovo reddito ma ne risparmieranno una parte, è evidente che un l’intervento pubblico ha prodotto un aumento della domanda aggregata molto maggiore dell’investimento iniziale. Questo meccanismo è chiamato moltiplicatore keynesiano.
Ma non finisce qui: la nuova infrastruttura telematica potrà essere usata da alcune imprese per veicolare i propri prodotti (ad esempio film, software, ecc.) e permetterà ad altre imprese di risparmiare sui costi grazie ad un servizio di telecomunicazione migliore.
Considerando che cittadini e imprese che ne beneficeranno pagheranno più tasse allo Stato (essendo cresciuto il loro reddito) e che lo Stato non dovrà più erogare i sussidi di disoccupazione per chi avrà trovato un nuovo impiego, la spesa iniziale andrebbe dopo un certo periodo a compensarsi. In altre parole, se si sceglie bene l’investimento, è possibile quello che l’economia classica sostiene non esistere: un pasto gratis10.
E' importante notare che questa non è solo un'ipotesi teorica, ma un fatto riscontrato nella realtà. Sono infatti state le ingenti spese del New Deal, della guerra, del Piano Marshall e dell'intervento pubblico in economia nel dopoguerra a rendere gli USA e l'Europa i leader economici del 20° secolo. La domanda pubblica e l'erogazione diretta di beni e servizi, di ricerca e innovazione, di servizi sociali, così come la programmazione economica, hanno spinto gli investimenti privati e i consumi, rafforzando tutta l'economia.

Il debito pubblico è la priorità?
Spesso le politiche di spesa pubblica vengono accusate di aver innalzato a dismisura il debito pubblico. In realtà questo è accaduto solo quando sono state attuate in modo inefficiente o addirittura criminale (come ad esempio in Italia negli anni ‘80). Ma questo non ha nulla a vedere con Keynes e con il keynesismo. Come abbiamo visto, delle buone politiche pubbliche tendono a ripagarsi da sole. Ove questo non accada, Keynes stesso suggeriva di ripagare gradualmente il debito aggiuntivo una volta usciti dalla crisi. E’ infatti chiaro che è impossibile pensare di riuscire a pagare un debito se si è poveri. Solo se il proprio reddito aumenta si sarà in grado di onorare gli impegni.
In un periodo di crisi, insomma, la priorità è sempre la crescita e l’occupazione. Solo attraverso di esse sarà realistico ripianare il debito pubblico.
Il paradosso del risparmio
“Nelle condizioni contemporanee l'aumento della ricchezza, lungi dal dipendere dall'astinenza dei
ricchi, come in generale si suppone, è probabilmente ostacolato da questa”
- John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta
L'attenzione di Keynes per la domanda è parallela alla sua critica sul risparmio, visto
essenzialmente come distruttivo in tempi di crisi. Secondo l'economia del tempo il risparmio era
solo un consumo posticipato: tutto ciò che veniva risparmiato poi sarebbe stato speso. La moneta
aveva un ruolo neutro. Del tutto opposto invece il pensiero di Keynes: se tutti incominciano a
risparmiare la domanda aggregata diminuirà. Ma se diminuisce la domanda, diminuirà anche la
10 L’esempio della rete telematica non è casuale: in effetti Arpanet, l’antenata di Internet che collegava le strutture
militari americane, è nata proprio grazie all’investimento pubblico da parte del Ministero della difesa degli Stati
Uniti; molte delle sue tecnologie sono inoltre state sviluppate in collaborazione con l’Università di Berkeley,
California, di proprietà pubblica.
produzione e l’occupazione. Alla fine accade che l’ammontare totale dei risparmi, invece di
aumentare, rimane invariato o addirittura diminuisce. Questo è il paradosso del risparmio. E'
proprio la tendenza al risparmio e ad accumulare denaro, invece che investirlo e spenderlo, la
caratteristica peculiare delle crisi.
La speculazione
“Per motivi in parte ragionevoli, in parte istintivi, il nostro desiderio di tenere moneta come
riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacità di calcolo e
nelle nostre convenzioni sul futuro.”
– J. M. Keynes, “The general theory of employment” in The Quarterly Journal of Economics, 1937
La disponibilità di ingenti masse di moneta liquida, non impiegata in investimenti a lungo termine,
è la “materia prima” per le speculazioni finanziarie. L'incertezza sul futuro, così pesante durante
una crisi, è ciò che induce gli attori dei mercati a speculare sul breve termine. Quello della
speculazione è un fenomeno che ha assunto una dimensione enorme negli ultimi anni a causa della
finanziarizzazione dell'economia.
E' proprio di Keynes l'originale intuizione di tassare le transazioni finanziarie in modo da punire
la speculazione a breve termine e favorire invece gli investimenti: “L'introduzione di una
sostanziale tassa di trasferimento del governo su tutte le operazioni potrebbero rivelarsi la riforma
più utile disponibile al fine di mitigare il predominio della speculazione negli Stati Uniti”11.
Il premio Nobel James Tobin ha esteso la proposta alle transazioni valutarie.
L’austerità è controproducente
“Il momento giusto per l´austerità al Tesoro è l´espansione, non la recessione”
John Maynard Keynes, Lettera al Presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt, 1937
Se si ignora il problema della crescita il gettito fiscale dello Stato diminuirà e la situazione
peggiorerà. A seguito della crisi, in Europa è passata l’idea che l’austerità possa essere “espansiva”.
In particolare in Italia questa tesi è stata sostenuta da economisti neoliberisti come Alesina e
Giavazzi. In Europa la Germania e la Bce sono state in prima linea nel sostenere tale tesi. Ma come
è davanti agli occhi di tutti, e come si rileva dai dati economici dei paesi costretti all’austerità
(Spagna, Irlanda, Italia e Grecia), queste politiche stanno peggiorando la situazione. Su questo
punto sono ormai in maggioranza gli economisti secondo i quali l'austerità porterà a una più rapida
recessione. Lo stesso declassamento dei paesi periferici dell'Eurozona e della Francia, operato da
Standard and Poor's, è stato motivato con l'eccesso di austerità imposto dalla Germania al resto
d'Europa.
Difatti le politiche di austerità riducono il reddito nazionale, con il risultato che lo Stato potrebbe
ricevere meno gettito del previsto dalle imposte. Quando ciò accade, lo Stato non riuscirà a
ripagare il debito pubblico che, nel frattempo, diventerà insopportabile rispetto al PIL
decrescente. L’esatto opposto di quanto si voleva ottenere. E' in effetti ciò che sta accadendo
all'Irlanda12 e ad altri paesi periferici dell'Europa. La situazione europea rischia quindi di aggravarsi
con l’inasprimento delle politiche restrittive attraverso i nuovi accordi (il cosiddetto “fiscal
compact”) che impongono strettissimi limiti alla spesa pubblica.
11 J.M.Keynes, Teoria Generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, cap. 12
12 Il rapporto Debito/PIL dell'Irlanda è passato dal 25% del 2007 al 92% del 2010 (dati Irish National Treasury
Management Agency http://tinyurl.com/7ft866d )
Se guardiamo invece agli Stati Uniti la situazione è ribaltata: il presidente Obama ha attuato un
piano di spesa pubblica nel tentativo di far ripartire la crescita. Sebbene diversi economisti
keynesiani ritengano che si tratti di un piano ancora troppo timido che rischia di impantanarsi, esso
ha comunque il pregio di rompere il tabù della spesa pubblica.
L’euro e il monetarismo
La costruzione dell’euro è stata in larga parte basata sui criteri della scuola economica monetarista,
inaugurata da Milton Friedman e fortemente contrapposta alla scuola keynesiana13. Non sorprende
quindi che le regole contenute nei trattati siano delle vere e proprie “zeppe” messe lì per impedire
politiche espansive di tipo keynesiano.
La Banca centrale europea è molto differente dalle altre Banche centrali. In primo luogo essa ha un
solo obiettivo, quello di contenere l’inflazione. Lo statuto della Banca centrale americana (la FED)
invece prevede tra i suoi compiti quello di favorire la crescita e l’occupazione (usando
opportunamente i tassi di interesse e l’aumento dell’offerta di moneta). Inoltre la BCE non può
prestare denaro agli Stati membri né finanziare il debito pubblico stampando nuova moneta (come
invece ha fatto la FED).
Il trattato di Maastricht – nonché il nuovo “fiscal compact” – pongono poi seri limiti alla spesa che
un governo può effettuare in deficit per rispondere alla crisi.
Infine l’adozione di una moneta unica impedisce agli stati deboli di usare la svalutazione per
favorire l’esportazione delle proprie merci.
Vengono così a ridursi drammaticamente gli spazi di manovra per politiche economiche contro la
crisi. Una crisi peraltro che ha molto a che vedere con uno squilibrio tra il centro dell’Europa e la
periferia, con il centro (in particolare la Germania) che è diventato un grande esportatore e la
periferia che ha finora funzionato da acquirente. L’euro ha impedito un riequilibrio della bilancia
commerciale tra gli Stati membri dell’Eurozona, penalizzando le periferie che non hanno potuto
svalutare la moneta per far crescere le esportazioni.
Nonostante ciò i trattati comprendono diverse scappatoie e in passato la stessa Germania è riuscita a
piegarli ai propri interessi. E' quindi importante non cadere nel tranello che viene spesso ripetuto:
“ce lo chiede l'Europa”. L'Europa è l'insieme degli Stati autonomi, pertanto un singolo paese ha un
potere di veto che può far pesare per ottenere modifiche e bloccare eventuali sanzioni.
Le liberalizzazioni funzioneranno?
Sotto il nome di liberalizzazioni si collocano una serie di interventi molto differenti tra loro. Alcune
sono segnate da un chiaro intento di deregulation che ha spesso dimostrato, nel medio-lungo
periodo, effetti negativi sull'economia. Basti pensare alla deregolamentazione dei mercati finanziari
o all'impoverimento delle famiglie conseguente alla cancellazione di molti prezzi e tariffe
controllate. Alcune di esse possono avere effetti positivi, ridistribuendo i redditi da certe posizioni
di rendita verso i nuovi entrati nel mercato. Ma questo ha senso in un periodo di espansione
economica. Le liberalizzazioni sono in generale degli interventi sul lato dell’offerta di beni e
servizi, ma il problema che l’Italia e l’Europa hanno di fronte è invece un calo della domanda.
13 Il monetarismo è una scuola economica fortemente contraria all'intervento pubblico nell'economia. In particolare
essa si contrappone al keynesismo sostenendo che il ruolo delle banche centrali debba essere esclusivamente quello
di controllare l'inflazione e non – come invece sostengono i keynesiani – favorire la crescita e l'occupazione con
politiche espansive come la diminuzione dei tassi di interesse. Milton Friedman è stato l'ispiratore della politica
economica di Ronald Reagan, George Bush e in generale del partito repubblicano degli USA.
Il premio Nobel Paul Krugman e l'economista della FED Gauti Eggertsson hanno mostrato al
contrario come certi interventi di segno opposto alle liberalizzazioni (tariffe controllate, monopoli
pubblici, rafforzamento del potere dei sindacati per favorire della rigidità salariale) abbiano avuto
un ruolo positivo nella ripresa economia durante la Grande Depressione negli anni ‘3014.
L'economia internazionale va regolata
Keynes ruppe anche un altro dogma: quello del libero scambio nei mercati internazionali. In primo
luogo Keynes si oppose fermamente al sistema del Gold Standard, cioè la parità delle monete con
una certa quantità d'oro. Questo riduceva le possibilità di manovra sui cambi che le singole nazioni
potevano operare. Sono molti oggi a sostenere che l'Euro funzioni in Europa come il Gold Standard,
favorendo certi paesi (come la Germania) a discapito di altri15.
Dopo la Seconda Guerra mondiale Keynes propose, alla Conferenza di Bretton Woods, una serie di
istituzioni internazionali per il controllo del commercio e per il sostegno internazionale
all'economia. Queste istituzioni, come il Fondo monetario internazionale, furono costruite ma negli
anni hanno spesso tradito l'originale proposta di Keynes. Non si tratta di una casualità. Fu infatti la
pervicace volontà degli USA di diventare l'economia egemone a bloccare la più radicale e
innovativa proposta di Keynes: una moneta internazionale per gli scambi, chiamata Bancor, il cui
funzionamento avrebbe dovuto favorire le esportazioni dei paesi deboli ed evitare gli eccessi di
esportazioni di quelli più forti. Una proposta recentemente tornata alla ribalta come antidoto alla
globalizzazione incontrollata.
Che fare?
Elenchiamo una serie di ricette che sono state avanzate da più parti in questi mesi. Molte di queste
trovano largo consenso nelle fila dell'economia critica, ma anche nella parte più avveduta del
mainstream economico:
1) assumere come obiettivo vincolante la riduzione del peso del debito pubblico attraverso
la crescita guidata dalla domanda interna e non attraverso i “sacrifici”;
2) trasformare la BCE in una vera Banca centrale, con tutti i poteri e doveri che le altre
Banche centrali hanno nel mondo, a partire dalla possibilità di emettere moneta per
finanziare il debito pubblico, poter prestare direttamente agli Stati, fungere da
prestatore di ultima istanza per gli istituti di credito e investendola del dovere di favorire
la crescita e non solo controllare l'inflazione;
3) trasformare l'Unione europea di una “transfer union” come gli USA, in cui il governo
centrale si occupa di sostenere finanziariamente i singoli Stati;
4) rilanciare gli investimenti pubblici nella produzione di beni collettivi materiali e
immateriali (infrastrutture, ricerca, tutela ambientale, istruzione, salute), anche utilizzando
lo strumento degli Eurobond, cioè i “BOT europei”, così da condividere il rischio del
debito pubblico e avere una fonte di finanziamento diretto per i programmi comunitari di
sviluppo;
5) istituire una vera imposta patrimoniale sia in funzione redistributiva che allo scopo di
disincentivare la rendita e indurre invece agli investimenti;
14 Gauti Eggertsson , Was the New Deal contractionary? http://tinyurl.com/76cwkgn
15 Secondo Paul Krugman: “L'elite europea, nella sua arroganza, ha bloccato il continente in un sistema monetario che
ha ricreato le rigidità del gold standard, e - come il gold standard nel 1930 - si è trasformata in una trappola
mortale”. http://tinyurl.com/6skyxef
6) favorire chi ha maggiore propensione al consumo, abbassando il carico fiscale sui
lavoratori e sul ceto medio;
7) istituire una vera tassa sulle transazioni finanziarie e valutarie sul modello proposto da
Keynes e James Tobin, una tassa che sia abbastanza elevata da sfavorire le transazioni a
breve termine (tendenzialmente speculative) e quindi incentivare gli investimenti a più lunga
scadenza;
8) favorire la centralizzazione dei capitali, superando l'idea che sia sempre vero che “piccolo
è bello”: l'Italia ha invece disperato bisogno di “campioni nazionali” che in questi anni
sono spariti o si sono indeboliti;
9) d'altro canto in molti casi i distretti industriali italiani non hanno superato la prova della
globalizzazione e quindi vanno ripensati in un'ottica di nuova programmazione economica,
guardando in particolar modo alle esperienze dei “cluster” negli altri paesi, con un
importante ruolo pubblico anche nel trasferimento tecnologico;
10) ridare al settore pubblico un ruolo di peso nell'economia, bloccando le privatizzazioni
dei servizi pubblici, mettendo al centro l'interesse collettivo e usando le grandi imprese
nazionali ancora in mano pubblica come volani per lo sviluppo;
11) aumentare considerevolmente la spesa pubblica in ricerca, poiché il tessuto economico
italiano è troppo frammentato in microimprese per potersi accollare i costi necessari;
12) usare la spesa pubblica per orientare la modernizzazione del sistema produttivo
italiano e la sua indipendenza; due esempi concreti sono a) l'adozione obbligatoria del
software libero nelle pubbliche amministrazioni, non tanto per favorire i risparmi ma
soprattutto per stimolare la nascita e la crescita di imprese italiane nel settore, affrancandosi
così dalla eccessiva dipendenza verso l'estero, e usando l'Università come laboratorio di
innovazione tecnologica per la produzione di software libero come “bene collettivo”; b)
domanda pubblica di energia verde e stimoli alla ricerca tecnologica e alla produzione
nazionale di impianti produttivi di energie pulite;
13) combattere la precarietà cancellando molte delle forme contrattuali oggi vigenti e
favorendo la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, sia attraverso un contratto di
inserimento fortemente orientato alla formazione sia attraverso carichi che rendano
antieconomico il ricorso ai contratti diversi dal tempo indeterminato;
14) rafforzare e tutelare il potere contrattuale dei lavoratori (in particolar modo attraverso il
Contratto nazionale di lavoro) in modo che i salari tendano a risalire per favorire la
domanda interna e la crescita.
Conclusioni
La ripresa economica del New Deal negli anni ‘30 in America, e le politiche di intervento pubblico
nell’economia e nel welfare in Europa, hanno assicurato decenni di prosperità e crescita all’interno
di un quadro di giustizia sociale. La forza della socialdemocrazia europea è stata proprio questa.
L'abbandono delle politiche di stampo keynesiano e la deregolamentazione della finanza hanno
avuto un ruolo decisivo nel provocare la crisi. Gli anni ‘80 e ‘90 sono stati anni all'insegna del
laissez-faire e delle privatizzazioni. Non sorprende quindi che gli anni 2000 e ancor più il nuovo
decennio si siano aperti con drammatici problemi di disuguaglianza, fino ad arrivare alla recessione.
Bisogna quindi invertire la tendenza, tornando a ridare al pubblico un ruolo significativo
nell'economia non solo come regolatore, ma anche come propulsore.

1 La teoria cosiddetta “neoclassica”, oggi di nuovo prevalente.
2 John Maynard Keynes, A Tract on Monetary Reform, 1923
3 Teodoro Dario Togati, Incertezza e comportamenti individuali: Keynes e il dibattito http://tinyurl.com/7md3mc5
4 John Maynard Keynes, Autosufficienza nazionale in Collected Writings Vol. 11, 1933
5 John Maynard Keynes, La fine del laissez-faire, 1926
6 “Che libro potrebbe mai scrivere un cappellano del Diavolo sulle goffaggini, gli sprechi, l'orrenda crudeltà della
natura!”, Charles Darwin, Lettera a J.D.Hooker, 1856.
7 John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, 1936
8 dati Confcommercio, report marzo 2011, http://tinyurl.com/72dldza
9 John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta









































N. 9

PRESIDENZA/SEGRETERIA  NAZIONALE
-Via degli Uffici del Vicario, n. 36, Roma-Via Mariano Stabile, n. 229,Palermo-Via G. Rulli, n.7 Vasto (CH)-Tel. 329-1011815     339-6288704 
Prot. 1952/2012/264-messaggio n.9
“GIU’ AL SUD” di Pino Aprile,un libro straordinario,una miniera di idee e suggestioni per la costruzione di un moderno meridionalismo
Il libro di Pino Aprile, “Giù al Sud. Perchè i terroni salveranno l’Italia” è un libro straordinario, un capolavoro, un super-libro.Tutti i meridionali e gli italiani, tutti i giovani, lo devono leggere e meditare.Chi l’acquista fa un affare.19,50 euro di prezzo sono niente rispetto al valore del libro.500 pagine eccezionali.
Ma, il punto è che UN libro ne contiene DIECI.
Comprartelo.Farete un affare.Paghi uno, prendi dieci.
Il libro contiene più libri, a matrioska.
Primo libro.
“Terroni bis”.Il libro è l’aggressiva continuazione, e lo sviluppo, di “Terroni”, dal successo fuor dal comune.
La riscossa dell’identità meridionale.La storia ri-disvelata della colonizzazione del Sud. Colonizzazione militare, politica, economica, mentale.La distruzione del paradigma della MINORITA’ mentale e culturale meridionale.Pino procede a raggiera, a cerchi concentrici, con veri colpi da fuoco d’artifico, nel distruggere i pregiudizi razzisti antimeridionali.Si veda-ad esempio- il capitolo 38 sul terremoto di Messina del 1908 e il successivo terremoto governativo sabaudo abbattutosi sulla città martirizzata.
Secondo libro.
Diario di bordo di un grande polemista.
Pino narra due anni di polemiche furiose innescate dalla pubblicazione di “Terroni”.E rintuzza tutte le aggressioni, una per una.Puntuale, pungente, ironico, scintillante in alcuni tratti. Esilarante e feroce è il capitolo 12 contro il presuntuoso e sballato libello del sociologo torinese Luca Ricolfi, il presunto “Saccheggio del Nord”, nel quale il mirabile scienziato dimostra che la disoccupazione avvantaggia i meridionali, perché il, TEMPO LIBERO E’ RICCHEZZA quantizzata e quantizzabile. Cose da manicomio. Che dire dell’azzardato volume “Terrorismo”, di Marco Demarco, saccente direttore del “Corriere del Mezzogiorno”? Un tentativo della corazzata del “corriere della sera” di affondare l’umile barchetta di Pino Aprile, risoltosi- per Demarco -in un fallimento e in un boomerang. Demarco ha venduto -del librone pseudo -crociano- soltanto qualche centinaia di copie.In questo brillante quadro polemico, Pino fa a pezzi tutti gli equivoci su veri o presunti borbonismi e antiborbonismi, a proposito di “Terroni” e degli stessi movimenti neomeridionalisti. Spiega Pino che lo stesso “ Terroni” è stato scritto non per fare ulteriormente a pezzi l’Italia, ma per rifondarne l’Unità, su fondamenti di verità e giustizia. Rimettendone al centro il grande cuore meridiano.
Terzo libro.
Diario di bordo del viaggiatore identitario.
 Il diario del viaggiatore della rinascente identità meridiana.
Centinaia di paesi, luoghi, personaggi,associazioni, circoli, memorie, suggestioni, miti, nel lunghissimo viaggio di presentazione di “Terroni” .nel Sud, nel centro-Nord, all’estero. Un caleidoscopio di spunti vitali. Pino risulta insieme un esploratore, un entomologo,un archeologo, un visionario lucido e concreto delle identità meridiane passate, presenti e future. Alla ricerca e alla individuazione anche del genius loci dei vari territori e comunità lunghe , che compongono il Sud.Le città e le regioni nelle quali prevale la creatività artistica, ad esempio Napoli;quelle  dalla vocazione analitica e polemica ( le Puglie);quelle dal carisma , dall’inventiva,e dal genio politico connaturati ( la Sicilia).
Quarto libro.
Il libro delle nuove generazioni meridionali.
 Che non sono più meridionali. Ma, globali. Globali-locali, se volete. Pino ne propone  almeno una diecina di esempi calzanti e affascinanti. Sono loro che salveranno il Sud e il Nord, salveranno l’Italia. E’ questo il vero centro del libro. La vera profezia narrata e comprovabile. Questa la tesi. Questa la sfida.
Quinto libro.
E’ il libro dei carismi del Sud.
Diversi e complementari.  Esemplifico con i capitali 19,38 e 52 , che riguardano più direttamente la Sicilia. La sua lunga storia autonomistica. La sua tensione storica a diventare nazione. La rivisitazione finalmente onesta e fiera del gigantesco  e complesso movimento rappresentato dal separatismo siciliano della fine degli anni 40 del novecento.Il valore strategico dello Statuto autonomistico, utile , in prospettiva a tutto il Sud , argomenta- con audacia e generosità- Pino Aprile. La Sicilia laboratorio storico di innovazione politica. Su questi capitoli tornerò presto.
Sesto libro.
E’ il libro della riforma costituzionale dell’Italia del XXI secolo.
Pino propone una grande riforma costituzionale dell’Italia. In particolare, nel già citato capitolo 19. In sintesi, si tratta di estendere, in modo unificante,la potenza costituzionale contenuta nello Statuto Speciale Siciliano. Per questa via, Pino giunge alle stesse straordinarie conclusioni di Giorgio Ruffolo, contenute nel libro ,”Un Paese troppo lungo”:unificare  costituzionalmente le 8 Regioni del Sud, superare i difetti del regionalismo autoreferenziale e sprecone,istituire un vero Parlamento del Sud, all’interno di una  rifondata Repubblica federale d’Italia, unita, coesa, solidale. E’ questa la parte geniale del libro di Pino. Vi torneremo più volte nelle prossime settimane.
Settimo libro.
Un manuale di AUTODIFESA del Sud e dei meridionali diffusi. Vi sono regole  e suggestioni di attacco e difesa , per tutti i gusti.
Potrei continuare, ad enucleare il libro ottavo, nono, decimo..Mi fermo qui.Abbiamo recentemente dibattuto del libro di Pino, con QUESTA IMPOSTAZIONE ALTA E STRATEGICA- rifuggendo ogni cretinismo sudista, molto di moda, peraltro- nel meraviglioso Salone della Capriate di Palazzo Steri, sede del rettorato, a Palermo, il 2 marzo 2012.Potete scorrere i relativi video nel blog http://meridionalistiitaliani.blogspot.com/ .
Faremo una campagna, con questa impostazione, in ogni angolo d’Italia. Sono già in calendario una cinquantina di riunioni.
Buona lettura e buona meditazione.Grazie Pino.
Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani”,6 marzo 2012.









                                              

N. 10

PRESIDENZA/SEGRETERIA  NAZIONALE
-Via degli Uffici del Vicario, n. 36, Roma-Via Mariano Stabile, n. 229,Palermo-Via G. Rulli, n.7 Vasto (CH)-Tel. 329-1011815     339-6288704 
Prot. 1952/2012/265-messaggio n.10
SI AGGRAVA LA CRISI AGRICOLA,SI APPESANTISCE IL CARICO FISCALE,CONTINUANO LE LEGITTIME PROTESTE,NON SI OTTENGONO I RISULTATI CONCRETI DELLA VERTENZA E DELLE LOTTE,RESTANO CONFUSI O MANCANTI LE STRATEGIE VINCENTI,IL PROGETTO E LA PIATTAFORMA PER LA SALVEZZA E  LA RINASCITA DELL’AGRICOLTURA ITALIANA E  MERIDIONALE
Continuano, per fortuna,manifestazioni e proteste degli agricoltori nel Sud e in tutta Italia. Da parte di organizzazioni autonome e di quelle ufficiali storiche.
Il 9 marzo è prevista una manifestazione nazionale a Roma.
Come è noto, gli antesignani di questo ciclo di lotta sono stati i Pastori Sardi, da 10-15 anni sul campo di battaglie.
Sono spuntate ,poi, diecine di sigle autonome, un po’ in tutta  Italia, con caratteristiche anche molto peculiari e diversificate tra loro.
Nel Sud e in Sicilia, abbiamo visto – e vediamo- all’opera, con alterna fortuna, dal 2009,  tra gli altri, “Il Tavolo verde di Puglia   Basilicata”,“Altragricoltura”, i CAS ( Comitati Autonomi Agricoltori Siciliani), Comitati in Rete, “Terra è Vita”,in ultimo, i “Forconi” con gli autotrasportatori di Richici, la FIMA ( Federazione Italiana Movimenti Agricoli).
Frattanto, almeno dal 2009 al 2012, la crisi agricola si è aggravata.
Recentemente, si è aggiunta  la mazzata fiscale di Monti, in particolare con l’IMU agricola (da 1,3 a 1,5 miliardi di euro di aggravio fiscale), l’una tantum di circa 2-3 MLD per l’accatastamento dei fabbricati rurali, insomma 4-5 mld in più rispetto alla  vecchia ICI. Piove sul bagnato.
La settimana scorsa, il Parlamento Europeo ha approvato una normativa a favore della piena libertà di esportazione dei prodotti agricoli marocchini in Italia e in UE. Ad una mazzata, segue un’altra mazzata.
Insomma, aumentano le lotte, ma ,aumentano contestualmente i disastri,le mazzate,i risultati negativi. Ecco, il punto. Ecco, la contraddizione sbalorditiva.
Bisogna interrogarsi su questa contraddizione. E tentare di risolverla.
Gli agricoltori, le associazioni, i movimenti, per resistere e vincere, HANNO ASSOLUTO BISOGNO DI OTTENERE RISULTATI CONCRETI.
La lotta per la lotta,sacrosanta, purtroppo, prima o poi mostrerà la corda. Se mancheranno sempre i RISULTATI CONCRETI.
Anzi, più precisamente occorrerebbe ottenere risultati di tre tipi:risultati immediati, sia pure limitati;risultati intermedi, nei tempi e nella consistenza; risultati strutturali e strategici, di sistema.
Altrimenti, un conflitto sociale, pur legittimo e prezioso, è destinato alla dispersione.
Allora, il problema preliminare da ponderare è LA PORTATA DELLA VERTENZA,  la portata della partita.
Ebbene, quella della crisi agricola/civiltà agricola- e della relativa vertenza- è, per usare una metafora calcistica,un CAMPIONATO MONDIALE, non un torneuccio da oratorio.
Bisogna  essere attrezzati, dunque, ad un campionato mondiale:le mutazioni in- dotte dalla  globalizzazione  sull’agricoltura,il dominio della finanza globale speculativa anche sull’agricoltura,la liberalizzazione  legale illegale e anche criminale dei mercati mondiali agricoli e agro-alimentari,la pervasività delle agromafie in tutta la filiera, qualità e sicurezza dei prodotti,il nesso tra agricoltura qualità della vita, territorio e ambiente.
Quella dell’agricoltura e della civiltà agricola non è una crisi settoriale, congiunturale, ma, una CRISI DI SISTEMA, storica.
Per essere fronteggiata ha bisogno di una RISPOSTA DI SISTEMA.
Occorre dotarsi di un’analisi all’altezza della sfida, di una teoria adeguata, di una visione adatta, di una strategia potente, di un progetto all’altezza dello scontro,di una piattaforma precisa e robusta, coerente.
Occorre dotarsi, quindi, di una SOGGETTIVITA’ culturale, tecnica, sindacale, civile, politica e istituzionale all’altezza della sfida.
Costruire una rete potente di alleanze culturali, tecniche , politiche e istituzionali, per farcela.
Sul tempo immediato, sul medio termine, sul lungo termine.
Gli agricoltori, le associazioni tradizionali, i nuovi movimenti agricoli dispongono, oggi,  di tale strategia, programma, progetto, piattaforma? No.
Dispongono di una potenza soggettiva all’altezza dello scontro? No.
Dispongono della rete delle alleanze adeguata? No.
Gli agricoltori dispongono oggi della tragedia della crisi agricola, dei debiti, del massacro fiscale e previdenziale, di tanta rabbia, di dolore, di voglia  a volte eroica di battersi, di capacità  di lottare.
Ma, così e da soli, non possono farcela.
E’ l’intero sistema che si deve far carico della crisi agricola. Se lo può e vuole fare.
Altrimenti saranno guai e dolori.
Ciascuno deve poter fare, nella propria autonomia, la propria parte, se vuole e se può.
Per parte nostra, abbiamo , negli anni seguito con rispetto  e responsabilità la parabola della crisi agricola e delle proteste.
Abbiamo rispettato e rispetteremo sempre l’AUTONOMIA dei singoli gruppi e movimenti.
Il problema non è cosa fa  o non fa questa o quella  associazione, o questo o quel movimento.
Il problema è cosa fa ciascuno di noi ,come singolo e come responsabile di qualcosa: a livello  internazionale L’Organizzazione del Commercio Mondiale, la Banca  mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, le varie strutture di governance della cattiva globalizzazione in corso; a livello europeo, le varie istituzioni della UE; a livello nazionale, l’intero circuito istituzionale, politico, amministrativo, sindacale e culturale. Così, a livello regionale e locale.
Noi faremo, con umiltà e rigore, la nostra parte. NEL RISPETTO DELL’AUTONOMIA RECIPROCA DEI RUOLI.
A partire da questa prima nota  generale,nei prossimi giorni e settimane, avremo modo di comunicare idee e progetti, di proporre e promuovere iniziative che riterremo utili, di agire i raccordi e le alleanze giuste.
Beppe De Santis, Segretario nazionale dei “Meridionalisti Italiani”,7 marzo 2012.









                                              






































Nessun commento:

Posta un commento